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Una nuova ricchezza per l'Emilia Romagna
Pietro Pigozzi
Nel novembre 1995, Fiorini, a nome dell'allora Coordinamento Regionale dei Parchi e Riserve Naturali elencava i risultati raggiunti nelle legislature regionali precedenti con l'istituzione di tredici Parchi Regionali e di diverse Riserve.
Dopo quattro anni dobbiamo affermare che questo "patrimonio" di aree tutelate nella nostra Regione è ulteriormente cresciuto: sono quattordici i Parchi Regionali Istituiti; dodici le Riserve Naturali Orientate ed un Parco Nazionale.
Sono 160.000 gli ettari di territorio interessato a questa forma di tutela pari al 7,20% della superficie dell'intera Regione.
Un contributo importante e significativo allo sforzo complessivo che si sta compiendo in Italia e nel resto del mondo per aumentare la consistenza delle aree protette in generale.
Dei quattordici Parchi Regionali cinque hanno approvato il Piano Territoriale (circa 1,50% della superficie della Regione), ogni Parco ha un suo statuto, organo di gestione ed un minimo di organizzazione per la gestione (direttore, sede, apparato).
Un fatto positivo, una nuova ricchezza per l'Emilia Romagna.
I territori che ci sono stati dati in cura hanno le caratteristiche di zone in cui l'interazione tra l'uomo e la natura ha modellato, nel tempo paesaggi dalle qualità estetiche, ecologiche e/o culturali eccezionali, preservando spesso una biodiversità importante. Coscienti di questa ricchezza che la natura e la storia ci hanno consegnato noi stiamo mettendo in atto, quotidianamente, azioni tese a fare di questi spazi dei territori d'eccellenza:
- per la preservazione dei paesaggi e delle risorse naturali;
- per la qualità, la diversità e l'autenticità dei prodotti agroalimentari;
- per la cura del mantenimento di modi d'uso del suolo e dei mestieri;
- per la qualità di vita agli abitanti.
Crediamo vadano assegnati i giusti meriti per questo primo risultato a quei soggetti che si stanno impegnando quotidianamente per la gestione delle aree protette nell'ambito degli Enti di Gestione, negli Enti locali e nella Regione ed in quelle associazioni ambientaliste ed economiche che stanno condividendo questo impegno.
Abbiamo dato, in questi anni, specifica e concreta attuazione al d.P.R. 616/77 che ha segnato una tappa l`ondamentale nel processo di crescita delle aree protette in Italia, con il trasferimento delle competenze in materia di aree protette dallo Stato alle Regioni e con la conseguente istituzione da parte delle stesse dei Parchi.
Si sono interrotti decenni di assoluto silenzio e di inattività. I Parchi Regionali oltre ad aumentare sensibilmente la complessiva superficie di territorio nazionale protetto come dimostrano i dati regionali hanno dato l'avvio ad una stagione di innovazioni concettuali sui temi della forma, del ruolo e della gestione delle aree protette.
In particolare le aree protette regionali, sulla base delle analoghe esperienze condotte in altri paesi europei, hanno saputo adattare il primitivo modello di parco nordamericano alla complessa realtà dell'antropizzato mondo italiano.
Per l'Emilia Romagna non poteva essere diversamente vista la sua struttura territoriale.
La novità apportata da questi parchi è stata quella di aver cercato di coniugare la conservazione delle risorse naturali con l'uso sociale delle stesse e con la ricerca dello sviluppo compatibile per le popolazioni insediate. I parchi regionali si stanno proponendo come terreno di sperimentazione ecologica permanente, dove, con un nuovo approccio culturale ed economico, si cerca di definire un modello di gestione territoriale da estendere al resto della Regione.
Desideriamo affermare che ci spinge nel lavoro quotidiano una idea forte di ragionalismo che ci vede attenti a quanto di nuovo in materia viene portato avanti dal processo di riforma della legge n. 59/97 (legge Bassanini).
Infatti il d.lgs. 112/98 prevede nella materia delle aree naturali protette un ulteriore ampio conferimento di funzioni alla regione e agli enti locali e rafforza (in particolare a seguito della soppressione del programma triennale) l'autonomia e la responsabilità delle regioni in questo campo.
Sotto questo profilo è evidentemente di grandissima importanza lo sviluppo autonomo di aree protette regionali e locali, nel rispetto comunque delle decisioni generali che le stesse regioni avranno contribuito a stabilire nella Carta della natura e nelle "linee fondamentali".
Viene affermato con questi provvedimenti un ruolo evidente delle regioni e degli enti locali ed un approccio alle tematiche della protezione ambientale non dualistico con lo Stato ma forte della loro autonomia e delle esigenze della collettività rappresentata. Si evidenzia a questo proposito l'esigenza di esprimere un livello di collaborazione con lo Stato nel governo del sistema nazionale delle aree protette e nella partecipazione alla gestione dei parchi. Su questa strada bisognerebbe agire con più determinatezza legislativa. La questione del "governo delle aree protette" ha bisogno di certezze ed oggi scontiamo ancora una normativa poco chiara ed imprecisa.
Ad esempio per le riserve naturali statali il d.lgs. n. 112 non prevede il conferimento, ma un "affidamento" della gestione alle regioni o agli enti locali, dal quale sono escluse - afferma espressamente il comma 2 dell'art. 78 -: Le riserve "collocate" nei parchi nazionali, in ordine alla gestione delle quali tuttavia non si dice nulla.
Sarebbe, però, piuttosto curioso che. nel momento in cui lo Stato affida ad un soggetto diverso le proprie riserve, non le affidasse, invece, proprio agli enti parco, nei confronti dei quali ha importanti e diretti poteri di varia natura ed ai quali era già previsto dall'art. 31, comma 3 della legge n. 59/91 che fossero affidate le riserve istituite su proprietà dello Stato. Poiché si parla in generale di riserve statali, dovrebbe essere chiaro, poi, che l'affidamento alle regioni o agli enti locali o, se collocate nel loro territorio, agli Enti Parco Regionali o Statali può riguardare tutti i tipi di riserve (terrestri, marine, biogenetiche, ecc.).
In particolare, assistiamo poi in questi giorni alla proposta del Ministero dell'Ambiente alla Conferenza Stato-Regioni di non trasferire la totalità delle R.N.S. presenti nell'ambito del perimetro del Parco Regionale del Delta del Po, alla Regione Emilia Romagna in quanto istituite in zona Ramser.
Detto questo, crediamo opportuno introdurre una ulteriore riflessione.
Con la 1. n. 426/98, che ha introdotto modeste modifiche ed integrazioni alla 1. n. 394/91, e con alcuni emendamenti al provvedimento del Governo di "Rifinanziamento degli interventi in campo ambientale" sono state proposte l'istituzione di alcuni nuovi Parchi Nazionali.
C'è naturalmente solo da rallegrarsi di fronte alla volontà di accrescere ulteriormente le aree protette del paese, il fatto deve essere considerato un nuovo esempio dell'estendersi di una attenzione positiva nei confronti della tutela e della conservazione.
Ma, di fronte a questo fenomeno della continua accumulazione, "in corso d'opera", di proposte istitutive di parchi, alcuni dei quali nemmeno compresi tra le aree di riferimento della legge quadro del 1991, viene innanzitutto da chiedersi se sia opportuno alfidarsi agli emendamenti a provvedimenti parlamentari che hanno tutt'altro scopo ed ignorare i passaggi che la legislazione in atto prevede, appunto, per i fini istitutivi.
L'esperienza dovrebbe infatti aver reso chiaro a tutti, quanto sia delicata e importante la fase preliminare all'istituzione di un parco, che deve essere condotta attraverso un processo democratico, condiviso e pienamente legittimato dalle comunità locali. E importante notare che si stanno facendo, da una parte proposte a prescindere dal vero valore ambientale degli ambiti candidati a diventare Parco Nazionale; di estensione territoriale limitata, con un chiaro "auspicio" ai finanziamenti nazionalie attivabili.
Sta passando, in alcune zone d'Italia, l'idea che un "Parco Nazionale" possa diventare un volano di accumulo di risorse pubbliche per sostenere bassi livelli di sviluppo e nuova occupazione.
Tutto questo in alternativa ad analoghi provvedimenti che in passato venivano assunti con la creazione di nuove autostrade e/o con aree ed insediamenti industriali.
La situazione va al più presto ripensata, e non rincorsa come ci pare stia facendo il Ministero dell'Ambiente con il solo scopo di aumentare il numero dei Parchi Nazionali istituiti.
Bisogna rivedere i meccanismi del riconoscimento preliminare del "valore ambientale", trovare forme di coerenza con i grandi progetti di sistema nazionali (Alpi, Appennino, Isole minori, Po) ed attivare preliminari processi democratici di condivisione legittimati dalle comunità locali introducendo adeguati strumenti innovativi, quali gli "Accordi di Programma" previsti dalla stessa 1. n. 426/98.
* Presidente del Parco del Delta del Po e del Coordinamento regionale dei parclli clell'E~nilia Ronlagna
responsabilità delle regioni in questo campo. Sotto questo profilo è evidentemente di grandissima importanza lo sviluppo autonomo di aree protette regionali e locali, nel rispetto comunque delle decisioni generali che le stesse regioni avranno contribuito a stabilire nella Carta della natura e nelle "linee fondamentali".
Viene affermato con questi provvedimenti un ruolo evidente delle regioni e degli enti locali ed un approccio alle tematiche dellaprotezione ambientale non dualistico con lo Stato ma forte della loro autonomia e delle esigenze della collettività rappresentata.
Si evidenzia a questo proposito l'esigenza di esprimere un livello di collaborazione con lo Stato nel governo del sistema nazionale delle aree protette e nella partecipazione alla gestione dei parchi. Su que sta strada bisognerebbe agire con più determinatezza legislativa. La questione del "governo delle aree protette" ha bisogno di certezze ed oggi scontiamo ancora una normativa poco chiara ed imprecisa.
Ad esempio per le riserve naturali statali il d.lgs. n. 112 non prevede il conferimento, ma un "affidamento" della gestione alle regioni o agli enti
locali, dal quale sono escluse - afferma espressamente il comma 2 dell'art. 78 -: Le riserve "collocate" nei parchi nazionali, in ordine alla gestione delle quali tuttavia non si dice nulla.
Sarebbe, però, piuttosto curioso che, nel momento in cui lo Stato affida ad un soggetto diverso le proprie riserve, non le affidasse, invece, proprio agli enti parco, nei confronti dei quali ha importanti e diretti poteri di varia natura ed ai quali era
già previsto dall'art. 31, comma 3 della legge n. 59/91 che fossero affidate le riserve istituite su proprietà dello Stato. Poiché si parla in generale di riserve statali, dovrebbe essere chiaro, poi, che l'affidamento alle regioni o agli enti locali o, se
collocate nel loro territorio, agli Enti Parco Regionali o Statali può riguardare tutti i tipi di riserve (terrestri, marine, biogenetiche, ecc.).
In particolare, assistiamo poi in questi giorni alla proposta del Ministero dell'Ambiente alla Conferenza Stato-Regioni di non trasferire la totalità delle R.N.S. presenti nell'ambito del perimetro del Parco Regionale del Delta del Po, alla Regione Emilia Romagna in quanto istituite in zona Ramser.
Detto questo, crediamo opportuno introdurre una ulteriore Rifflessione.
Con la l. n. 426/98, che ha introdotto modeste modifiche ed integrazioni alla 1. n. 394/91, e con alcuni emendamenti al provvedimento del Governo di "Rifinanziamento degli interventi in campo ambientale" sono state proposte l'istituzione di alcuni nuovi Parchi Nazionali.
C'è naturalmente solo da rallegrarsi di fronte alla volontà di accrescere ulteriormente le aree protette del paese, il fatto deve essere considerato un nuovo
esempio dell'estendersi di una attenzione positiva nei confronti della tutela e della conservazione.
Ma, di fronte a questo fenomeno della continua accumulazione, "in corso d'opera", di proposte istitutive di parchi, alcuni dei quali nemmeno compresi tra le aree di riferimento della legge quadro del 1991, viene innanzitutto da chiedersi se sia opportuno affidarsi agli emendamenti a provvedimenti parlamentari che hanno tutt'altro scopo ed ignorare i passaggi che la legislazione in atto prevede, appunto, per i fini istitutivi.
L'esperienza dovrebbe infatti aver reso chiaro a tutti, quanto sia delicata e importante la fase preliminare all'istituzione di un parco, che deve essere condotta attraverso un processo democratico, condiviso e pienamente legittimato dalle comunità locali. E importante notare che si stanno facendo, da una parte proposte a prescindere dal vero valore ambientale degli ambiti candidati a diventare
Parco Nazionale; di estensione territoriale limitata, con un chiaro "auspicio" ai finanziamenti nazionalie attivabili.
Sta passando, in alcune zone d'Italia, l'idea che un "Parco Nazionale" possa diventare un volano di accumulo di risorse pubbliche per sostenere bassi livelli di sviluppo e nuova occupazione.
Tutto questo in alternativa ad analoghi provvedimenti che in passato venivano assunti con la creazione di nuove autostrade e/o con aree ed insediamenti industriali.
La situazione va al più presto ripensata, e non rincorsa come ci pare stia facendo il Ministero dell'Ambiente con il solo scopo di aumentare il numero dei Parchi Nazionali istituiti.
Bisogna rivedere i meccanismi del riconoscimento preliminare del "valore ambientale", trovare forme di coerenza con i grandi progetti di sistema nazionali (Alpi, Appennino, Isole minori, Po) ed attivare preliminari processi democratici di condivisione legittimati dalle comunità locali introducendo adeguati strumenti innovativi, quali gli "Accordi di Programma" previsti dalla stessa 1. n. 426/98.
Pietro Pigozzi, Presidente del Parco del Delta del Po e del Coordinamento regionale dei parchi dell'Emilia Romagna |