Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 28 - OTTOBRE 1999
 

Esperienze europee di pianificazione*
Roberto Gambino e Gabriella Negrini *
 



1. Sviluppo e conservazione: dilemma o sinergia?

In un recente articolo (La Stampa 1418199: "L'allegria del cemento armato"), M. Deaglio contrapponeva lo sviluppo turistico di massa, legato alla globalizzazione, alla difesa dell'ambiente e del paesaggio, sostenendo che se si vogliono i benefici del primo (prima di tutto occupazionali) bisogna almeno in parte rinunciare alla seconda, accettando, quando è il caso, la "bruttificazione che crea lavoro": tertium non datur. La tesi è stata ovviamente contestata da più parti (ad es. da M. Fazio, 2618199), ma le contestazioni non sembrano cogliere il nocciolo positivo di quella provocazione, il fatto che essa richiama l'attenzione sulle dimensioni economiche e sociali della conservazione. Quanto costa e quanto rende alla collettività - tenendo conto di tutte le esternalità positive e negative associate - il mantenimento dei vigneti terrazzati delle Cinque Terre, o di quelli "architettati" della Val d'Aosta, o degli uliveti del Cilento, o delle praterie pascolate della dorsale appenninica? Quale contributo occupazionale è lecito attendersi dalle politiche "manutentive" a paragone di quello conseguibile in assenza di politiche conservative, soprattutto nelle aree di maggior potenzialità turistica? Fino a che punto è giusto infliggere penalizzazioni (soprattutto nel breve termine) alle comunità locali che vivono nelle aree protette per offrire benefici (soprattutto nel lungo termine) a comunità esterne o comunque più vaste? A quali condizioni le aree economicamente e socialmente "perdenti" (quali, sono attualmente gran parte delle aree protette italiane ed europee) possono sfruttare la loro stessa marginalità-diversità dalle aree dello sviluppo per diventare vincenti? A domande come queste non si risponde né col vecchio criterio della compatibilità ambientale (la conservazione come limite allo sviluppo) né con l'illusione di una "naturale" sinergia tra conservazione e sviluppo che esorcizzi le paure della globalizzazione.

2. Sviluppo socioeconomico e politiche dei parchi: quali orientamenti in Europa?

Da almeno 15-20 anni le politiche, dei parchi praticate nella maggior parte dei paesi europei hanno assegnato un peso crescente allo sviluppo socioeconomico locale, diventato spesso (soprattutto per i parchi regionali) lo scopo prevalente, accanto a quelli classici della conservazione e della pubblica fruizione. Ciò dipende da ragioni di carattere generale (come la necessità di contrastare i circuiti "perversi" tra sottosviluppo e degrado ambientale o di dare risposte efficaci alle nuove domande sociali) ed anche, in particolare, dalla crescita impetuosa del numero e della superficie complessiva delle aree protette (più che decuplicate in Europa nell'arco di un trentennio). Tale crescita infatti, incrociando le spinte all'urbanizzazione diffusa che si sono manifestate nello stesso periodo in tutto il mondo industrializzato, ha comportato la loro diffusione in contesti sempre più densamente antropizzati, con rilevanti cambiamenti nella tipologia delle aree stesse (il modello del "santuario della natura" cede ben spesso a quello dell"'isola assediata"), nei caratteri ambientali, nei problemi e nei conflitti che vi si presentano.

 

Crescita dei parchi e differenziazione del loro rapporto col contesto

Nel corso degli ultimi trent'anni si evidenzia a livello europeo una crescita esponenziale del numero dei parchi naturali e della superficie protetta. Se nel 1965 i parchi naturali erano 64 con una superficie di 40.000 kmq, nel 1999 essi risultano 667 con una superficie complessiva di 264.92] kmq (Ricerche CED PPN, 1999). Tale crescita, associata ai cambiamenti dei processi economici, sociali e culturali, ha comportato profonde trasformazioni nel rapporto tra area protetta e contesto territoriale. Secondo le ricerche citate, solo una parte minoritaria dei parchi ricade in contesti naturali (29%), una quota di essi ricade in contesti a medio-bassa pressione antropica (36%), mentre una quota rilevante di parchi ricade in contesti a medio-alta e alta pressione (31%), in particolare in Olanda, Germania e Italia. Questa situazione se da un lato rivela una ricchezza e una varietà maggiore di valori culturali e ambientali delle aree protette rispetto al passato, dall'altro lato evidenzia molte situazioni di assedio degli spazi protetti che possono risultare estremamente pericolose da un punto di vista ecologico e paesistico.

fonte: Ced Ppn (1999)
Tali cambiamenti sono stati affirontati in modi e con stili diversi nei diversi paesi e nelle diverse regioni. Ad un estremo si collocano orientamenti come quelli paradigmaticamente espressi dalla Scozia (Scottish Natural Heritage, 1992-96) ben riassunti nello slogan "Working with Scotland's people to care for our natural heritage", che, se da un lato hanno finora contrastato l'istituzione di nuovi parchi nazionali, hanno dall'altro enfatizzato il rapporto tra sviluppo socioeconomico locale e tutela del patrimonio naturale-culturale, emblematicamente rappresentato nelle "national heritage areas". All'estremo opposto parrebbero collocarsi le politiche tradizionali del nostro paese, segnate pesantemente dalla separazione tra le misure di protezione e gli interventi di promozione dello sviluppo: una separazione che trova riscontro anche nella logica dualistica della l. 394/1991 (da una parte il Piano del Parco, dall'altro quello Pluriennale Economico e Sociale, di competenza della Comunità del Parco), peraltro corretta significativamente dalla l. 426/1998 e precocemente contraddetta da numerose regioni nelle politiche per i parchi regionali. Molti e diversi gli orientamenti intermedi tra questi due estremi: dalle rischiose politiche "compensative" per i parchi nazionali francesi (con le loro "zones périphériques" che calamitano investimenti), a quelle localiste-volontariste praticate nella stessa Francia per i parchi regionali a quelle molto blandamente protezioniste dei Lander tedeschi, a quelle, più complesse e pragmatiche, dell'esperienza inglese, che (forte di una tradizione prestigiosa nel duplice campo della conservazione e del governo del territorio) tende a legare strettamente la valorizzazione economica e sociale locale con la tutela della natura e del patrimonio culturale tradizionale. I comportamenti dei diversi paesi europei sono peraltro sempre più intensamente influenzati dagli orientamenti che si profilano a scala europea, sia per iniziativa dell'Unione che del Consiglio d'Europa e di altri organismi internazionali. Già il V Programma della Commissione Europea (CCE 1993) conteneva indicazioni impegnative per integrare lo sviluppo nella protezione della natura e dell' ambiente, con riferimento alla pluralità degli attori e delle attività a vario titolo incidenti sulle condizioni ambientali, e sulla base di un approccio "preventivo" ed ispirato alla sussidiarietà ed alla condivisione delle responsabilità.

Nel panorama europeo si possono evidenziare alcuni orientamenti paradigmatici che caratterizzano specifiche esperienze, quali ad esempio la Scozia, I'Inghilterra, la Francia e l'Italia. Come risulta schematicamente dalla tabella, I'approccio alle politiche di conservazione perseguito dalla Scozia è tra quelli che sembrano tentare più radicalmente di articolare sull'intero territorio la ricerca della sostenibilità, sia per la concezione assunta di patrimonio naturale e culturale come "nsorsa complessiva ambientale, sociale ed economica", su cui sono basate le politiche si sviluppo, sia per il "riferimento territoriale" delle politiche di tutela. Esse risultano inoltre "differenziate" in base agli obiettivi, ai caratteri e alle esigenze ambientali e socio-economiche specifiche delle diverse realtà locali ed "integrate" nelle politiche e nelle pratiche ordinarie di pianificazione territoriale ed urbanistica. Questa strategia complessiva di integrazione e differenziazione delle politiche, trova ulteriore affermazione negli onentamenti più recenti della Scottish Natural Heritage (SNH, 1992, 1995, 1996) e ha indotto fino ad oggi a non istituire i parchi nazionali. Ma il tema dell'istituzione dei parchi nazionali in Scozia è riemerso nel dibattito attuale, confermando l'utilità di tale politica anche in situazioni come queste, tra le più avanzate nella direzione dello sviluppo sostenibile. I nuovi parchi nazionali scozzesi, in considerazione dei criteri internazionali, dovrebbero secondo i nuovi orientamenti (SNH, 1997): a) promuovere lo sviluppo sostenibile; b) rispondere alle esigenze specifiche non soddisfatte dalle politiche esistenti; c) coniugare le aspirazioni "top down" e "bottom up". Sono in particolare le National Heritage Areas (SNH, 1992) a rappresentare la formalizzazione del concetto di integrazione tra salvaguardia e sviluppo locale sostenibile, fondato sulla partnership e sull'adesione volontaria.

Anche nell'esperienza inglese, che esprime una tradizione culturale di grande prestigio sia nel campo della conservazione del "countryside" e della natura che nel campo del governo del territorio, si delinea un approccio che lega strettamente la conservazione della natura alla protezione del paesaggio culturale e alla sua fruizione. Il carattere integrato che accomuna i piani dei parchi nazionali inglesi trova riscontro nell'individuazione di politiche, norme e modalità di attuazione e di gestione strettamente interrelate e articolate per i temi ritenuti prioritari (conservazione, ncreazione, sviluppo socio-economico delle comunità locali e accessibilità) e per tipologie di aree. Nel North York Moors National Park è stato predisposto un metodo di incentivazione finalizzato alla conservazione dei caratteri dei paesaggi tradizionali e degli ambienti naturali delle proprietà agricole (Farm Scheme, 1994). Lo schema è basato su un accordo volontario, di durata quinquennale, tra il proprietario e il Consiglio di Contea, in cui il proprietario si impegna a seguire precise indicazioni del Consiglio e quest'ultimo, come contropartita, eroga pagamenti o contributi. Il programma di pagamenti annuali e di contributi discrezionali è rivolto a lavori di restauro o di miglioria effettuati sulle proprietà. I pagamenti annuali sono suddivisi tra la manutenzione effettuata sui terreni, gli edifici tradizionali ed i percorsi soggetti a diritto di passaggio pubblico. I contributi discrezionali sono quelli che vengono versati per l'efl`ettuazione di lavori di restauro portati a termine nel periodo di durata del contratto e secondo le indicazioni fornite dal parco.

L'esperienza francese risulta caratterizzata da una efficace eppur problematica coniugazione tra politiche di vincolo e politiche di spesa, con risvolti non sempre virtuosi sul fronte della conservazione. Ciò in ragione dell'originale forma istituzionale che contraddistingue in particolare i parchi regionali, risultato di un parternariato volontario che associa i comuni, la regione e, recentemente anche lo Stato, che viene ad essere coinvolto nell'istituzione del parco attraverso una Convention d'application de la Charte (Loi Paysage, 1993). La filosofia della "compensazione" tra politiche di tutela delle aree protette e politiche di valorizzazione e di sviluppo dei contesti territoriali, che caratterizza soprattutto la politica dei parchi nazionali (zone centrale e zone périphérique), ha registrato un'evoluzione nel periodo recente. Per i parchi nazionali, nel senso di una maggiore "attenzione" e consapevolezza sul ruolo che i territori di contesto possono giocare nelle politiche del parco, e, per i parchi regionali, nella direzione di un "consolidamento" del loro ruolo come espressione delle comunità locali, che dai parchi si estende al territorio e alla regione, e come strumenti di valorizzazione e gestione del territorio protetto, anche nelle sue valenze prettamente paesistiche. Sono in particolare i parchi regionali a configurarsi come strumento per la sperimentazione di politiche globali del paesaggio e come componente specifica delle politiche di gestione del territorio protetto, sia per gli obiettivi istituzionali, di protezione, valorizzazione e gestione di territori naturali e rurali sensibili, sia per la struttura intercomunale consolidata e per il carattere contrattuale della gestione. L'interesse per gli eftetti di sviluppo e in particolare le ricadute occupazionali dei parchi regionali è testimoniato anche dallo studio, promosso dalla Federazione dei parchi regionali e finanziato dal Ministero dell ' ambiente, "Les parcs naturels régionaux et I'emploi" (FPNRF, 1996; Parchi, 1998) i cui primi risultati sono stati pubblicati con riferimento alla sperimentazione condotta su due casi-studio: il Parc naturel régional de la Brenne e il Parc naturel régional du Luberon. La finalità dello studio è quello di valutate l'impatto economico dei parchi regionali, tradurlo in termini occupazionali, in particolare per quanto riguarda gli impieghi indotti, e stimare così il loro contributo alle politiche di sviluppo locale. L'idea di fondo di tale studio è che i parchi concretizzano sul terreno, seppur in spazi limitati, I'idea che si possa realizzare uno sviluppo sostenibile. Conoscere più a fondo l'azione dei parchi, migliorarla, confrontare le esperienze fra parchi e con altre situazioni territoriali, significa costruire uno scenario di sviluppo sostenibile per una gran parte del territorio rurale francese

(Parchi, 1998).
Più recentemente i documenti per lo Schema di sviluppo dello spazio europeo (CCE 1997) esplicitamente legano la finalità dello sviluppo sostenibile a quelle della coesione economica e sociale e della competitività, introducendo fra le opzioni politiche "le strategie che concilino la conservazione responsabile del patrimonio naturale e lo sviluppo economico nelle altre zone rurali". Da parte sua, il Consiglio d'Europa (1998) con la risoluzione per la Convenzione europea del paesaggio, riconoscendo nel paesaggio "un soggetto politico d'interesse generale in quanto contribuisce in maniera molto importante al benessere dei cittadini europei" e proponendone una considerazione allargata all'intero territorio, apre la strada a politiche di valorizzazione assai interessanti per le aree protette europee (in larga misura classificate internazionalmente come "paesaggi protetti"). A livello internazionale, espliciti orientamenti a rifondare le politiche di tutela ambientale su forme appropriate di sviluppo economico e sociale sono stati d'altronde espressi dall'Unione mondiale per la natura (IUCN, 1992, 1994, 1996), che fonda sulla gestione cooperativa da parte delle popolazioni locali la speranza di "prendersi cura" più efficacemente della terra.
Orientamenti europei ed internazionali per il rapporto tra conservazione e sviluppo
A livello comunitario, nonostante non esista una politica complessiva per la protezione degli spazi naturali protetti e le misure intraprese dalla Unione europea risultino ancora in molti casi settoriali, si può rilevare una significativa evoluzione delle politiche di conservazione, come documentano le iniziative più recenti.

La Commissione Europea (CCE, 1995) ha da tempo evidenziato l'insufficienza delle politiche, finora avviate, di conservazione della natura basate sulla protezione delle singole specie e di specifiche aree ed ha sottolineato come spesso all'istituzione di un'area protetta non corrisponda l'attuazione delle misure di tutela. I più recenti programmi intemazionali e comunitari per la protezione dell'ambiente e della natura pongono l'accento sulla necessità di una più ampia integrazione delle politiche di conservazione della natura e della biodiversità nel quadro della pianificazione dello sviluppo economico e territoriale, a livello nazionale e locale (CEE, 1993, CCE, 1995, EEA, 1995, IUCN-CNPPA, 1995; IUCN, Montreal 1996).

Tale prospettiva d'integrazione delle politiche di conservazione nelle politiche territoriali e di settore (agricoltura, turismo, energia, trasporti, pianificazione fisica) e la necessità di coinvolgimento delle collettività locali nella gestione delle aree protette, vengono richiamate anche dall'Agenzia Europea dell'Ambiente (EEA, 1995) e dall'Action Planfor Protected Areas in Europe (IUCN-CNPPA, 1994; IUCN, Montreal, 1996). La Comunità e gli Stati membri hanno infatti sviluppato la ricerca di azioni comuni a favore dello sviluppo sostenibile, in particolare sui temi del turismo "responsabile" (CCE, 1995; IUCN, FNPPE, FPNRF, I 995, 1997) e dell'integrazione della diversità biologica e paesistica nelle politiche agricole e per i territori rurali (CE, Reg. 797/85; CE, Reg. 2078/92).

Il Quinto programma politico d 'a..ione a favore dell 'ambiente e dello sviluppo sostenibile (CCE, 1992), rappresenta, con le Dichiarazione cli Rio, Agenda 21 e Conven~.ione sulla Biodiversità, ONU Rio + 5, uno dei documenti più innovativi e significativi degli orientamenti diretti ad affermare il legame indissolubile che esiste tra ambiente e sviluppo. Particolare attenzione è posta agli attori (amministrazioni pubbliche, imprese pubbliche e private, collettività) ed alle attività (industria, trasporti, settore energetico, agricoltura e turismo) che possono danneggiare le risorse ambientali (suolo, acqua, zone naturali, zone costiere). Evidenziando la situazione attuale ed i principali problemi che investono le risorse ambientali, il documento delinea una strategia volta alla riconciliazione tra ambiente e sviluppo, basata su un approccio preventivo e sui concetti di sussidiarietà e di condivisione delle responsabilità, indicando gli obiettivi di lungo periodo (da realizzare entro il 2000) e le azioni necessarie per la loro realizzazione.

Tale orientamento trova riscontro anche nella proposta di Convenzione europea sul paesaggio che nconosce nel paesaggio una componente di vita del territorio (Convenzione sul paesaggio, CPLRE, CE, 1998).
Le iniziative ed i progetti che si stanno sviluppando in riferimento alla realizzazione delle reti ecologiche mostrano anch'esse un crescente orientamento a collegare i temi ecologici a quello dello sviluppo e dell'uso del territorio (Progetto APE e Progetto PLANECO nel contesto dell'Appennino centrale).

Traleiniziativeeleconvenzioniavviatealivellointerregionale,varichiamatalaConven~ioneAlpina(l991),checostituisce uno degli accordi più interessanti ai fini dell'integrazione delle politiche delle aree protette nelle politiche complessive di sviluppo del territorio, attraverso la cooperazione intemazionale e la partecipazione della popolazione locale.

Con riferimento più specifico ad importanti risorse di interesse sovranazionale, grande rilievo assumono le iniziative di cooperazione transfrontaliera tra paesi e tra aree naturali protette o da proteggere, in particolare il Progetto interna_ionale franco-italo-svizzero per la tutela e la valorizzazione dell'Espace Mont Blanc (1991) che ha definito una strategia globale orientata su quattro obiettivi principali: il sostegno all'agricoltura di montagna, la salvaguardia delle aree sensibili, lo sviluppo del tunsmo estensivo "soffice" e la riduzione dell'impatto dei trasporti. Al proposito, la stessa Comunità europea evidenzia la necessità di un coordinamento transfrontaliero della pianificazione regionale nei diversi campi (trasporti, ambiente, fommazione professionale, ricerca) (CE, 1995).

 

3. La valorizzazione dei sistemi locali: isolamento, integrazione o assimilazione?

Gli orientamenti emergenti a livello internazionale in tema di coniugazione tra conservazione e sviluppo sono in larga misura riferibili alla raccomandazione di Rio (UNCED 1992) volta a "territorializzare" le politiche ambientali, a radicarle nelle specifiche realtà territoriali, integrandole con quelle economiche e sociali, urbane ed infrastrutturali, in funzione delle loro risorse, dei loro problemi e delle capacità gestionali in esse presenti.

E a questo scopo che la tutela dell'ambiente fa appello alla pianificazione, sia all'interno che all'esterno delle aree protette. La pianificazione dei parchi (che, sebbene solo negli ultimi anni generalizzata in quasi tutta l'Europa, copre ormai il 54% dei parchi europei) non risponde tanto o soltanto all'esigenza di differenziare spazialmente le misure di protezione (come la zonizzazione prevista dalla l. 394/1991). Risponde anche e soprattutto all'esigenza di favorire l'integrazione ed il coordinamento di una pluralità di politiche e d'azioni diverse, offrendo loro un quadro di riferimento strategico, intersettoriale e di lungo periodo, esplicitamente motivabile ed argomentabile. E, poiché tale quadro strategico coinvolge necessariamente, data la natura dei problemi e delle poste in gioco, soggetti diversi, istituzionali e non, dentro e fuori delle aree protette, la pianificazione dei parchi non può restare confinata all'interno dei loro perimetri. Di qui esigenze di cooperazione, co-pianificazione, concertazione ed intesa che erano state precocemente avvertite dal National Park Service americano (NPS-USDI, 19781986) e che costituiscono ormai un tema centrale d'attenzione per la maggior parte dei parchi europei, come anche le innovazioni introdotte con la l. 426/1998 dimostrano. Tali esigenze trovano simmetrico riscontro in quelle che si avvertono nella pianificazione "ordinaria" del territorio globalmente inteso, alle prese col problema di "mettere in rete" le diverse risorse naturali e culturali ed i soggetti che ne curano la gestione.

Nelle esperienze di pianificazione "ambientalmente orientata" osservabili in Europa, si avverte una crescente attenzione per i "sistemi locali", la difficile ricerca dello sviluppo sostenibile non sembra aver senso che in rapporto coi sistemi socioeconomici (territoriali) locali, intesi come insiemi solidali di soggetti legati da interazioni orizzontali e verticali e da comuni obbiettivi di sviluppo, capaci di auto-organizzarsi e di agire, almeno in parte, come un soggetto collettivo, reagendo con un certo grado di autonomia alle sollecitazioni esterne. Nei piani più recenti, si nota spesso lo sforzo di declinare lo sviluppo sostenibile essenzialmente come sviluppo locale, endogeno ed autogestito, prevalentemente fondato sulle iniziative dal basso: e quindi di fondare la conservazione-valorizzazione delle risorse locali sul consolidamento dei sistemi sociali che hanno titoli per gestirle.

In generale, il riferimento ai sistemi locali ribadisce l'impossibilità di confinare le politiche dei parchi all'interno dei loro perimetri, che ne tagliano spesso le rispettive aree territoriali. Ma soprattutto esso pone in evidenza il loro rapporto con i contesti socioeconomici più ampi, con le cui dinamiche essi debbono fare i conti. Nella maggior parte dei casi, i sistemi locali in cui si articolano i territori protetti accusano una crescente debolezza nei confronti dei rispettivi contesti, a causa dell'emarginazione delle economie tradizionali che tuttora vi dominano, dell'infragilimento delle loro basi demografiche e della scomparsa o del declino delle culture locali sotto l'urto delle spinte globalizzanti. Tre modelli di rapporto sembrano delinearsi:

  • a) quello dell'isolamento, visto spesso come necessario presupposto per la difesa dell'identità dei sistemi locali, della loro diversità ambientale e culturale dal contesto, delle loro tradizioni e della loro riconoscibilità, come chiusura protettiva contro i rischi dell'omologazione; ma esposto ai rischi del ripiegamento nostalgico sui moduli arcaici dell'economia tradizionale, della fossilizzazione socioculturale, della più o meno rapida scomparsa per incapacità di rinnovamento;
  • b) quello dell'assimilazione, volto invece all'apertura incondizionata nei confronti delle dinamiche economiche, sociali e culturali esterne, legato spesso alla relativa "specializzazione" delle aree protette (come spazi di natura incontaminata, o come espaces de loisir per le popolazioni esterne, o come paesaggi culturali rigidamente connotati); ed esposto al rischio, simmetrico di una inesorabile accentuazione della dipendenza dai sistemi esterni, con la perdita di ogni capacità di sviluppo endogeno ed autogestito;
  • c) quello dell' integrazione, volto alla difficile ricerca di una reciprocità di relazioni tra le aree protette e quelle esterne, che valorizzi le differenze e consenta ai sistemi locali di affermare la propria identità affacciandosi efficacemente sui circuiti economici, sociali e culturali del contesto e reagendo con la propria creatività alle sollecitazioni che ne derivano; ciò implica un bilanciamento tra la "chiusura" (una certa "insularizzazione" è utile o necessaria per consentire la riconoscibilità e l' apprezzamento delle qualità specifiche locali, soprattutto nelle aree maggiormente esposte, come il Monte Bianco, il Vesuvio o le città d'arte) e l'apertura al mondo esterno e alle dinamiche globali.

 

4. Economie di manutenzione ed economie di fruizione: conflitti o sinergie?

Nella maggior parte dei parchi italiani ed europei la conservazione efficace dei valori naturalistici, paesistici e culturali presenti - in particolare la conservazione della biodiversità e della diversità paesistica - comporta la prosecuzione o la ripresa delle cure manutentive del territorio. Sebbene i processi d'abbandono e di regresso delle attività agro-silvo-pastorali aprano spesso la strada a forme inevitabili ed auspicabili di rinaturalizzazione di vaste aree "domesticate" negli ultimi secoli dall'uomo, in generale la fase di transizione epocale che stiamo attraversando deve essere "gestita", se si vuole evitare la perdita o l'erosione di un patrimonio prezioso di risorse e di valori. Ciò richiede una gamma diversificata di attività di manutenzione, che solo in parte ed in misura decrescente possono essere remunerate dalle economie tradizionali, quasi ovunque declinanti. Nell'esperienza internazionale dei parchi, un contributo decisivo è rappresentato dalle economie di fruizione, legate cioè alle diverse forme di utilizzazione pubblica delle risorse naturali e culturali, ed in particolare al turismo, che possono pagare i costi della manutenzione del patrimonio, integrare i redditi agricoli e creare nuova occupazione. Il turismo nel contempo (soprattutto nelle sue forme più massicce ed aggressive, come quelle che sollecitano la costruzione di edifici ed infrastrutture o determinano flussi di mobilità motorizzata) costituisce palesemente uno dei principali fattori di impatto paesistico ed ambientale nella maggior parte dei parchi europei. La coniugazione delle economie di manutenzione con quelle di fruizione costituisce perciò un tema centrale nelle politiche di gestione dei parchi europei: un tema tanto più difficile in quanto le forme ed i livelli di fruizione delle risorse interne dipendono largamente da politiche "esterne" che le autorità dei parchi non sono in grado di controllare.

La rilevanza assunta, sia dentro che fuori dalle aree protette, dal turismo sostenibile - basato sulla conciliazione di interessi economici, sociali, scientifici ed ambientali - è stata riconosciuta nel 5° Programma d'azione della CCE (1993) a favore dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile ed in una molteplicità di documenti e raccomandazioni internazionali successive (FNPPE, 1993; IUCN, 1994, 1996; EEA, 1995; UNEP, 1996). In generale, tali documenti evidenziano i vantaggi che l'adozione di criteri di sostenibilità può portare, almeno nei tempi medi e lunghi, non solo al contesto economico ed ambientale, ma agli stessi operatori del settore direttamente implicati. I criteri di sostenibilità - applicabili non già ad alcune forme particolari di turismo come quello strettamente "naturalistico", ma ad ogni forma di turismo - concorrono infatti a definire la "qualità totale" dell'offerta turistica e mirano a coinvolgere gli operatori nella produzione di una vasta gamma di durature esternalità ambientali, favorevoli allo sviluppo non solo delle comunità locali, ma delle stesse attività turistiche. Tuttavia il turismo sostenibile, lungi dal potersi rinchiudere in formule pacificanti, si misura con conflitti e contraddizioni di fondo, quali quelle che concernono (Goodey, 1996; Thibal, 1996):

  • la domanda turistica, mossa da dinamiche globali che, se da un lato riflettono il bisogno crescente di natura e di qualità ambientale, dall'altro danno spazio a manifestazioni estremamente aggressive o perverse (come il turismo sessuale a spese dei bambini);
  • l'occupazione indotta, cui spesso la forza lavoro locale non può accedere per mancanza di specializzazione o di training;
  • i servizi e le attrezzature pubbliche, il cui sviluppo può essere stimolato, a vantaggio anche dei residenti, dalla domanda turistica, ma con effetti spesso drammatici di sovraccarichi e di maggiorazioni dei costi;
  • il patrimonio culturale, che il turismo concorre a far conoscere, valorizzare e riutilizzare, ma con effetti spesso disastrosi di sovrautilizzazione, o contaminazione o banalizzazione;
  • il mercato immobiliare, su cui la domanda turistica può esercitare effetti di dinamizzazione (in particolare per il riuso del patrimonio abbandonato o sottoulizzato) ma anche di perturbazione ed innalzamento dei prezzi a livelli non affrontabili dalla domanda locale.

I rischi e le contraddizioni insite nelle prospettive di sviluppo turistico indicano la necessità di importanti cambiamenti nei comportamenti e negli atteggiamenti di tutti gli attori coinvolti, dalle amministrazioni locali alle autorità di gestione dei parchi, agli operatori turistici. Di qui l'interesse assunto dalle iniziative di formazione, volte a creare una nuova cultura ricettiva, profondamente radicata nei milieux locali ed insieme capace di intercettare le spinte innovative della domanda sociale che si rivolge ai parchi, restituendo senso al "viaggio", come scoperta ed incontro di genti diverse e di luoghi diversi che si arricchisce "dando un po' di se stessi" (come recita la Carta europea del turismo sostenibile, FPNRF, 1997). Ma di qui anche l'esigenza di strategie "integrate" e plurisettoriali, che considerino, insieme alle azioni in campo turistico, anche altre azioni riguardanti le culture e le economie rurali.

I territori rurali, in varia misura dominati dall'agricoltura, rappresentano in Europa più del 50% del territorio complessivo, e, pur impiegando solo il 5% della forza lavoro e concorrendo per meno del 3% al PIL, ospitano od influenzano gran parte della sua biodiversità (IUCN, Working Group, 1998); e, poiché "l'agricoltura non può da sola assicurare la prosperità dei territori rurali", la difesa della diversità biologica e paesistica dipende dall'insieme delle economie che possono riguardarli, integrando quella agricola e dando luogo ad economie "multifunzionali". E questa una delle considerazioni chiave per il ripensamento in corso delle politiche comunitarie. Benché non si disponga di dati specifici per l'insieme delle aree protette europee, si può supporre che essa valga anche per loro, dal momento che solo il 3% dei parchi europei è situato in contesti di alta naturalità, ed il 29% in contesti propriamente rurali (Ced-ppn, 1996-98). Per la maggior parte dei parchi europei, quindi, le innovazioni necessarie per stimolare forme sostenibili di sviluppo endogeno ed autopropulsivo, lungi dall'esaurirsi nella disperata difesa dell'agricoltura tradizionale (con effetti spesso controproducenti, come dimostra l'esperienza inglese degli anni 80) o dall'inseguire politiche "di nicchia", possono e debbono riguardare strategie diversificate di integrazione dei redditi agricoli, quali quelle riguardanti, oltre al turismo, la ricreazione, le attività didattiche ed educative (un mercato in espansione) e quelle ecomuseali e culturali, la manutenzione ambientale e le attività produttive di specifica tradizione locale (ivi comprese quelle connesse al restauro-manutenzione del patrimonio edilizio).

 

Programmi di sviluppo turistico nei parchi europei

Nel Peak National Park (UK), il piano dedica una specifica parte alla fruizione e alla sua gestione, sviluppando una sene di azioni sia dirette del parco, sia in collaborazione con altri soggetti nazionali e locali che riguardano ad esempio l'acquisizione di aree ed immobili e la fornitura di servizi per il turismo e la fruizione, la redazione di programmi di azione turistica, iniziative per la manutenzione dei sentieri, ecc.. Tali interventi sono attivati congiuntamente anche per altri settori strettamente collegati quali I'informazione, la ncerca, lo sviluppo rurale. Oltre a queste iniziative dirette ed in partnership, un altro strumento utilizzato nei parchi inglesi è quello dei contributi, sia in conto capitale, ad esempio per la realizzazione di attrezzature di servizio alla fruizione, sia annuali per garantire la continuità delle azioni di gestione ai quali si attinge ad esempio per i servizi del parco, per garantire gli accessi pubblici a strade o zone di proprietà privata, per sostenere il trasporto pubblico per la fruizione domenicale (Peano, 1999). Come per le attività fruitive tali contributi vengono erogati anche per interventi di gestione dell'agricoltura, per la conservazione e per la manutenzione attiva degli elementi del paesaggio quali siepi, alberature, campi chiusi, ecc.. Altri strumenti utilizzati per una gestione sostenibile sono i sistemi di incentivazione. Il piano del North York Moors National Park (UK) individua precisi criteri per quanto concerne i servizi e le attrazioni per i visitatori, la ricettività turistica, le strutture di sosta e di ristoro, il recupero e la riqualificazione paesistica del patrimonio esistente, il rispetto di standards turistici, le infrastrutture per I'accessibilità, il riutilizzo di fabbricati del paesaggio tradizionale, configurando una fruizione e un tunsmo del parco di tipo strettamente selettivo e adeguato ai vincoli di tutela, e alle esigenze delle comunità locali (North York Moors National Park Plan, 1991, 1994).

Un altro esempio originale nel quadro europeo è costituito dai parchi regionali francesi che, pur nella specificità delle situazioni, sviluppano la gestione attraverso il partenariato, come dimostrano i contratti e le convenzioni conpartners locali e nazionali per progetti di conservazione degli spazi naturali, di sviluppo rurale, di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio edilizio, di creazione di circuiti tunstici, di gesbone di zone del parco o di suoi servizi.

La strategia per lo sviluppo del turismo definita nel parco regionale dei Vosges du Nord in Francia (Charte Constitutive, 1994), ad esempio, risulta caratterizzata da un insieme di obiettivi diversificati e diffusi sul territono (hotels, gites, campings, servizi e infrastrutture per il loisir) e di siti di particolare interesse dal punto di vista culturale e promozionale. L'economia turistica del parco si basa fondamentalmente su: poli turistici principali, nei quali si concentra un'offerta turistica multitematica, caratterizzati da un elevato potenziale di attrattività, che hanno anche una funzione di richiamo e strutturano l'immagine del marchio del Parco regionale; sih di interesse turistico e .spazi di accoglienza che dispongono di un'offerta più limitata rispetto a quella dei poli plincipali, ma che hanno un potenziale di frequentazione importante, organizzati attomo ad un'infrastruttura o ad un'attività turistica attiva; punti di appoggio all'accoglien~a, tipicamente costituiti dalle villes-portes; assi turistici, alcuni con una forte sensibilità paesistica, che hanno la funzione di vetrine del parco.

Più in generale, si evidenzia nella politica dei parchi regionali francesi un nuovo modo di concepire il turismo: mentre cioè nei centri turistici tradizionali il turista usufruisce di un'offerta costruita direttamente per lui, nei parchi il turista si inserisce nella vita del parco e della popolazione locale, entrando quindi in relazione con le identità dei luoghi e con le risorse locali.

In linea con tale orientamento sono state avviate ultenori iniziative e sperimentazioni, sia da parte della Federazione dei parchi naturali regionali di Francia che dei singoli parchi regionali, tra le quali risulta particolarrnente significativo il progetto di costituzione di una "Chaine des Hótels Parcs Naturels de France", promossa dalla stessa Federazione ed approvata dal Ministero dell' ambiente, per la quale è stata elaborata una "Charte des Hótels Parcs Naturels de France", che costituisce un esempio di tale politica di valorizzazione del territorio del parco attraverso un progetto complessivo di sviluppo turistico durevole basato sulle risorse locali.

Progetti di turismo sostenibile si sviluppano anche al di fuori dei confini delle aree protette, quali ad esempio il Tarka Project nella Contea di Devon (UK), i Tourism Management Programmes in Scozia, ed in particolare il progetto di rilievo europeo nguardante la Wadden See Region che investe tre Paesi (Olanda, Danimarca, Germania) in una cooperazione internazionale per una politica comune di tunsmo sostenibile.

L'attività turistica e fruitiva si sta confermando come uno dei principali fattori di sviluppo socio-economico anche per i parchi naturali e le aree protette. In Europa si è assistito ad una forte espansione del turismo naturalistico, culturale, escursionistico che, in Paesi nei quali questa tipologia turistica si è affermata da più tempo come ad esempio il Regno Unito, raggiunge dimensioni elevatissime, ma che si sta velocemente affermando anche nelle regioni del Sud dell'Europa, dove l'istituzione dei parchi e delle aree protette si è affermata più recentemente, con una rapida crescita soprattutto nell'ulhmo ventennio.

Nonostante la fruizione turistica evidenzi spesso effetti negativi rilevanti soprattutto nelle forrne di turismo concentrato e di massa, in particolar modo in ambienti fragili e vulnerabili come quelli naturali e rurali, il tunsmo rappresenta uno dei pnncipali fatton per indurre effetti positivi economici e occupazionali, nel quadro di politiche integrate di gestione responsabile del terlitorio in parternariato con la natura.

Proprio per la molteplicità di fattori che il turismo sostenibile chiama in campo, dovendo necessariamente coniugare obiettivi in conflitto tra loro e coordinare una pluralità di attori portatori di interessi contrastanti, assume sempre maggior rilievo il ricorso alla pianificazione territoriale come quadro strategico di lungo penodo da attuarsi attraverso specifici piani e programmi di intervento per il controllo e la geshone della fruizione.

L'esigenza di integrare il turismo nella pianificazione territoriale emerge con evidenza dagli orientamenti e dalle iniziative intemazionali ed europei sulla fruizione nelle aree protette (UNEP, 1996; IUCN, 1994; IUCN-Protected Areas Programme, 1996; FNPPE,1993,1997; EEA,1995; CCE,1993) e trova spenmentazione in alcune azioni concrete di turismo sostenibile nei parchi. Le Guideliness definite nel documento "Loving them to death" del 1993 FNNPE, 1993) per i gestori delle aree protette, precisano i principi fondamentali su cui basare l'Action plan sul turismo sostenibile, evidenziandone i vantaggi non solo per le aree protette, ma per la stessa attività turistica e per lo sviluppo locale. Se l'obiettivo della sostenibilità può essere perseguito solo attraverso un approccio integrato ed un piano specifico per tale settore, integrato nel piano del parco, l'Action plan deve configurarsi, attraverso un approccio collaborativo con tutti i partners interessati, come uno strumento di conoscenza del territorio nelle sue valenze e dotazioni naturali, culturali ed economiche, evidenziando il tipo di attività compatibili con il parco e la capacità di carico delle sue diverse parti; la domanda fruitiva e le opportunità di sviluppo presenti; il monitoraggio in quanto strumento di valutazione degli effetti e delle ncadute sociali ed economiche sul territorio locale.

Il turismo sostenibile viene indicato come una delle politiche di settore prioritarie per i parchi, anche dalla IUCN, sia nel documento "Parks for Life" del 1994 (IUCN-CNPPA, 1994), seguito al Congresso di Caracas del 1992 (che ha posto le basi per lo sviluppo di importanti progetti da parte degli organismi istituzionali ai vari livelli), sia nei documenti del IV° Congresso mondiale sui parchi nazionali e sulle aree protette del 1996 (IUCN-Protected Areas Programme, 1996).

E in tale quadro che si colloca la "Charte européenne du tourisme durable dans les espaces protégés", presentata ufficialmente a Lille nel 1999, la quale costituisce l'esito di un lavoro congiunto svolto da parte della Federazione dei parchi naturali regionali francesi, dell'IUCN e di Europarc, e di 10 parchi pilota europei, che ne hanno costituito terreno di spenmentazione concreta. La Carta europea del turismo sostenibile nelle aree protette è finalizzata ad incoraggiare gli operatori ed i gestori dei parchi ad operare nel settore secondo modi e criteri di qualità di livello europeo. Essa è concepita come approccio strategico a cui partecipano in modo volontalio le singole aree protette, le imprese turishche e i diversi operatori presenti sul territorio, i quali si impegnano a accettame e rispettarne i principi, adattandoli al contesto locale, e a definire una strategia a medio termine per lo sviluppo turistico sostenibile del proprio territorio (FPNRF, 1997).

I principi della "Carta" nchiamano l'esigenza di: considerare l'attività turistica come attività economica, la cui sostenibilità implica di partire dai bisogni del terlitorio, promuovendone e valorizzandone le economie locali; lavorare in partenariato, sensibilizzando la coscienza collettiva e coinvolgendo i diversi partners. L'aspetto più interessante della Charte consiste nel considerare le politiche per lo sviluppo di forme sostenibili di turismo nei parchi come terreno di sperimentazione di politiche adeguate da estendere al territorio complessivo.

Al fine di porre le basi per una nuova cultura del turismo particolare nlievo assumono i temi della formazione, dell'educazione e dell' interpretazione. La fommazione, identificata come uno degli strumenti fondamentali per garantire continuita alle azioni definite nella Charte, viene anche sperimentata attraverso uno specifico progetto Leonardo (Programme Leonardo-Formation continue des TPE et PME touristiques. Pour s 'adapter aux enjeuxfixés par la Charte européenne du tourisme durable dans les parcs naturels et nationaux d 'Europe, coordinato dalla FPNRF,1997) che ha per obiettivo quello di sviluppare e testare un programma di fommazione sia dei "formatori" che delle PME tuuistiche. L'aspetto innovativo del progetto, rispetto alle metodologie di fomlazione esistenti, consiste nel fatto che i temi sviluppati nel manuale formahvo non si limitano alla sola gestione ambientale, ma sono estesi all'approccio temtoriale della gestione d' impresa. n programma ha pertanto un contenuto pedagogico che prevede l'azione dell'impresa e la cooperazione tra imprese per risolvere i diversi problemi che si pongono e per contlibuire al progetto del territorio. La diagnostica del territorio diviene l'elemento chiave per adattare i contenuti della formazione ai caratteri specifici di ogni parco.

 

5. Piani dei parchi e programmi di sviluppo: verso la contestualità?

Una politica integrata per i territori rurali richiede certamente una buona mistura di misure regolative, interventi diretti e segnali per il mercato. Questo è particolarmente vero per i parchi, dove da un lato la difesa prioritaria dei valori da tutelare non può essere affidata ai meccanismi di mercato, dall'altro la proprietà privata dei suoli generalmente prevalente e la forte dipendenza delle strategie conservative da dinamiche esterne non controllabili dalle autorità di gestione richiedono il concorso attivo e volontario degli attori privati. In questa situazione può assumere grande importanza la proposizione di visioni strategiche, ampie e lungimiranti, capaci di dare impulso alle creatività locali e stimolare comportamenti cooperativi, mostrando i vantaggi conseguibili nei tempi medi e lunghi con la messa in rete delle risorse controllabili dai diversi soggetti coinvolti. Affiancate alle misure regolative, ai vincoli ed alle limitazioni atte a presidiare i valori non negoziabili, le visioni espresse dai piani dei parchi possono orientare la concertazione e la negoziazione delle scelte di sviluppo sostenibile e trovare flessibile riscontro negli "accordi di pianificazione", negli accordi di programma e nei patti territoriali. Questo richiede alla pianificazione dei parchi la capacità di guardare lontano e soprattutto di guardare "fuori" dei parchi, verso i territori circostanti (non solo le "aree contigue" in senso stretto, ma anche le aree più lontane con cui si profilino significative necessità-opportunità di connessione), interagendo efficacemente con i piani urbanistici, paesistici e territoriali del contesto: mostrando in sostanza capacità "visionaria" ed attitudine al dialogo.

Nello stesso tempo, però, la maturazione di strategie consensuali di sviluppo sostenibile deve misurarsi col problema dei tempi: con la necessità di dare risposte concrete e tempestive alle urgenze locali, di frenare l'infragilimento e il collasso delle soccombenti comunità locali, di lanciare in tempo i segnali che gli operatori dovrebbero raccogliere, prima che le tendenze indesiderabili si consolidino. Gran parte delle ostilità che le politiche dei parchi nel nostro paese debbono fronteggiare derivano spesso dal divario tra i tempi della regolazione e i tempi della promozione: da una parte vincoli e penalizzazioni che entrano subito o quasi subito in vigore, dall' altra promesse e previsioni dai tempi incerti e comunque non brevi. Un divario che acuisce il distacco delle politiche di vincolo dalle politiche di spesa, e quindi le iniquità distributive connesse alle strategie conservative. Ciò rende più intollerabili i ritardi e gli ostacoli burocratico-amministrativi nell'impiego dei fondi disponibili (oggi assai meno scarsi che nel recente passato), mina la credibilità dei piani e dell'azione di tutela, sgretola il consenso sociale.

La 1. 426/98 ha opportunamente sancito l'obbligo della contestualità tra il Piano del Parco e il Piano pluriennale di sviluppo economico e sociale, prevedendo altresì la partecipazione incrociata del Consiglio direttivo e della Comunità del parco alla predisposizione di entrambi gli strumenti. Ciò va indubbiamente nella direzione di meglio coordinare le politiche di vincolo con le politiche di spesa, in armonia con gli orientamenti prevalenti in vari paesi europei, in cui spesso i due strumenti di pianificazione sono unificati. In questa direzione prende rilievo 1' orientamento già manifestato da alcune regioni (come la Toscana) e da alcuni parchi nazionali a concepire, come contenuto essenziale del Piano pluriennale, la definizione dei progetti d'attuazione. Ed ancor più rileva l'indirizzo assunto dal Ministero del tesoro nel 1998 per integrare i progetti di sviluppo nella programmazione dei fondi strutturali. E attraverso i progetti o i programmi di intervento, riqualificazione e valorizzazione di specifiche realtà locali che le strategie generali possono acquistare credibilità, tentando di tradurre in realizzazioni concrete o in esperienze pilota le iniziative, le attese e le intenzionalità locali. In questo senso i programmi di valorizzazione non possono essere pensati come l'approdo finale dei processi di pianificazione, secondo una logica sequenziale che vedrebbe al primo posto le strategie generali: i progetti mirati ed i programmi di valorizzazione, che maturano nel vivo della progettualità locale, possono concorrere ad orientare le strategie non meno di quanto siano da esse orientati. Senza il conforto dei progetti, le visioni strategiche sono troppo facilmente assimilate a sterili e inattuabili utopie.

* n contributofa riferimento alle ricerche ed elaborazioni operate, presso il Dipartimento
Territorio del Politecnico di Torino, dal Ced-Ppn (Centro Europeo di Documentazione sulla
Pianificazione dei Parchi Naturali)

** La Dott. G. Negrini ha curato la stesura dei box