PARCHI | ||
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 28 - OTTOBRE 1999 |
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Notes Riflessioni sul codice delle aree protette Carlo Alberto Graziani * |
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1. I1 primo ordine di riflessione riguarda le aree protette come sistema. Tra gli addetti ai lavori si parla molto di sistema italiano delle aree protette e si comincia anche a parlare di sistema europeo, quanto meno nell'ambito dell'Unione Europea. I1 primo principio è quello dell'unitarietà. L'elemento dell'unitarietà è legato al concetto stesso di area protetta, e in particolare di parco, così come viene accolto dal nostro ordinamento. Dal quale si evince (e in alcuni commenti contenuti nel "Codice" è detto in modo molto chiaro) che la tipologia introdotta, pur dando vita a differenti regimi giuridici, non corrisponde a diversità di carattere ontologico. E vero che l'ordinamento parla di interessi internazionali, nazionali, regionali e locali. Ma l'interesse è elemento che resta esterno alla natura del bene (area protetta) ed è legato al contingente. Se esaminiamo in maniera approfondita la normativa possiamo renderci conto che essa non introduce alcuna diversità circa la natura del bene, ma si limita a fare riferimento alla diversità degli interessi: è questa diversità che porta ora la legge nazionale a istituire le aree protette nazionali (parchi nazionali o riserve statali), ora la legge regionale a istituire le aree protette regionali (parchi regionali o riserve regionali), ora la normativa internazionale e comunitaria - ma su questo punto il problema diventa più complesso - a istituire aree protette diverse, diciamo non tradizionali. Dunque, almeno nel nostro sistema, queste aree non si diversificano a seconda della diversa natura del bene, cioè del diverso valore intrinseco delle risorse in esse contenuto. Lo sforzo da fare, a livello di sistema, è quello di confrontare con le nuove aree protette quelle tradizionali, che comunque possiedono una forte carica di innovatività come la prassi gestionale sta dimostrando, sui problemi concreti e in particolare su quelli della gestione. Questa del resto è l'esperienza che facciamo nella gestione dei parchi, dove su ogni problema è possibile trovare, se vogliamo affrontarlo in termini nuovi e nello stesso tempo concreti, un livello di sintesi più alto all'insegna non del compromesso, ma della soddisfazione più autentica delle vere esigenze in questione. Tale principio generale discende direttamente dalla natura mista dell'organo di gestione. Si è discusso molto sui rapporti tra interessi e loro rappresentanze all'interno degli enti parco, sulla necessità o meno che prevalgano determinate rappresentanze (quelle locali o quelle centrali). Parlare in questi termini significa parlare di cose che non esistono nella realtà. Il problema è diverso ed è quello della compresenza e della sintesi di interessi diversi, tra i quali è, come subito vedremo, deviante distinguere tra interessi particolari (di cui sarebbero titolari i rappresentanti degli enti locali) e interessi generali (di cui sarebbero titolari gli altri rappresentanti). Nella prassi dei parchi questa comprensenza di interessi diversi si sta dimostrando un elemento dinamico e stimolante: la partecipazione delle rappresentanze locali non crea inerzia e rallentamento, ma, anzi, assai spesso un dinamismo nuovo e fecondo, soprattutto laddove i rappresentanti degli enti locali si rendono conto delle nuove sfide (e spesso se ne rendono conto più degli altri). Il problema su cui occorre riflettere, anche sul piano dell'interpretazione delle norme, è quello della natura e della gerarchia degli interessi. Esistono, nel processo istitutivo delle aree protette e soprattutto in quello gestionale, interessi gerarchicamente sovraordinati agli altri? Si possono configurare interessi generali da contrapporre a interessi particolari? Esistono e quale natura han- no gli interessi ambientali? I1 tema è affascinante e meriterebbe un'ampia riflessione. Mi limito ad alcune considerazioni più intuite che elaborate, comunque influenzate da una specifica esperienza gestionale e che pertanto corrono il rischio di essere parziali. Prescindo dall'analisi degli interessi coinvolti nel processo istitutivo delle aree protette (problemi cui ho già accennato, ma che meriterebbero un ben altro approfondimento) e mi limito agli "interessi rappresentati" nell'organo di gestione dei parchi nazionali, così come previsto e disciplinato dall'art. 9 della legge 394, che è, di fatto, modello tipo anche per i parchi regionali. Limitandomi all'aspetto teorico osservo che nessuno dei rappresentanti nominati nel Consiglio direttivo degli enti parco può essere considerato portatore di interessi particolari: non quelli ministeriali, il cui compito non è di far valere interessi in una parte di cittadini, cioè interni di categoria (es., per il rappresentante del Ministero agricolo il compito non è quello di far valere gli interessi degli agricoltori), ma di portare il contributo dello Stato centrale attraverso i suoi settori amministrativi più direttamente coinvolti (e competenti) nelle questioni relative ai parchi; non i rappresentanti delle istituzioni scientifiche, perché l'interesse della scienza e della ricerca non può certo qualificarsi come particolare; non i rappresentanti espressi dalla Comunità del Parco, cioè i rappresentanti degli enti locali, perché 1' ente locale è portatore di interessi generali e non certo particolari. Paradossalmente il dubbio potrebbe porsi per i rappresentanti delle associazioni ambientalistiche proprio in quanto rappresentanti di una parte delle collettività (oltre tutto spesso in conflitto con altre parti della collettività). Ma la scelta del legislatore, pur opinabile (anche qui sarebbe necessario un approfondimento), di coinvolgere negli enti i rappresentanti delle associazioni sembra fondato proprio sulla natura generale degli interessi (interessi ambientali) di cui tali associazioni sono portatrici e che trova un fondamento giuridico preciso nella trasversalità della tematica ambientale accolta dall' ordinamento soprattutto sulla base di precise indicazioni del diritto comunitario: l'ambiente non è settore, ma è elemento che attraversa tutti i settori. Dalla considerazione della natura mista dell'organo di gestione dei parchi può allora ricavarsi un altro principio che a ragione deve considerarsi come generale: quello della compresenza dialettica di interessi generali. Il sistema delle aree protette si costruisce nel segno del contemperamento, e perciò della complessità, e non della gerarchia, e perciò della semplicità. Infine il sistema delle aree protette, per come si sta realizzando, è un sistema aperto; e non potrebbe essere altrimenti: proprio in ragione del loro complesso ruolo le aree protette devono ricercare effettivi collegamenti con altre istituzioni, aprirsi ad esse, coinvolgerle. L'apertura diventa quindi un altro principio generale del sistema. Se pensiamo alla rete ecologica nazionale, ai progetti regionali che si vanno costruendo attorno alle aree protette o comunque ispirati alla filosofia delle aree protette (Ape, Itaca, le Alpi, ecc.), se vogliamo atturare progetti anche comunitari che si innovano a livello di sistemi, dobbiamo fare riferimento a una complessità istituzionale che non può limitarsi solo alle aree protette. Oggi, però, vedo il rischio che in questi progetti di sistema le istituzioni tradizionali, per la loro forza oggettiva, finiscano per soffocare o comunque porre al margine le aree protette con tutta la loro carica di novità e di vitalità. Perderemmo in tal modo l'aspetto più significativo di quei progetti e soprattutto vanificheremmo quello sforzo che i Parchi stanno compiendo per affrontare i problemi a un più alto livello qualitativo.
2. L'altro ordine di riflessioni suscitate in me dal "Codice", proprio perché si presenta come corpus normativo compiuto, porta al di là di esso e della sua compiutezza e pone questioni de iure condendo, legate innanzitutto al ruolo delle aree protette. Si aprono in proposito ampi spazi tanto alla elaborazione teorica quanto all'indagine pratica legata alle scelte gestionali da effettuare ai differenti livelli, istituzionali e non. Sul ruolo delle aree protette ciascuno offre la sua interpretazione. Secondo la mia interpretazione - che peraltro si inserisce all'interno di un movimento culturale di cui uno dei protagonisti autorevoli è la Federazione italiana dei parchi e delle riserve naturali, che pur non costituendo, ovviamente, una fonte di interpretazione autentica, è comunque un operatore particolarmente significativo per la sua rappresentatività - le aree protette sono luoghi di sperimentazione dello sviluppo sostenibile nel senso a cui ho fatto riferimento in precedenza e cioè luoghi di ricerca di soluzioni dei problemi a livello alto. Se si accoglie questa interpretazione ci si deve chiedere se sia sostenibile la tendenza assai diffusa, presente anche nelle indicazioni del Ministero dell' ambiente, di considerare le aree protette come delle specie di agenzie che devono produrre reddito e che pertanto possono esigere finanziamenti pubblici solo entro certi termini, perché per il resto prima o poi devono essere in grado di autofinanziarsi. Si tratta di un'interpretazione che era apparsa anche nel dibattito sulla legge quadro, ma che oggi deve essere verificata alla luce degli interessi generali oltre che del dettato normativo. In altri termini lo sviluppo sostenibile previsto dal legislatore, in termini a volte espliciti a volte impliciti, e comunque voluto ormai dalla coscienza collettiva, non viene realizzato dal parco persona (ente parco), ma dall'intera società del parco: compito dell'ente parco è quello di stimolare, porre nuovi obiettivi, coordinare, individuare percorsi, trovare canali finanziari, controllare, ma non certo "guadagnare". Ciò non significa che l'ente parco non possa, o non debba, trovare autonome fonti di reddito (autonome rispetto ai finanziamenti statali o regionali e in genere ai finanziamenti pubblici), non debba offrire sul mercato servizi anche a pagamento (è la legge stessa a prevedere, ad esempio, la concessione dell'uso dell'emblema e della denominazione), ma non può essere questo tipo di attività a caratterizzare la politica del parco né il nuovo modello di sviluppo. Il parco dovrà invece operare perché nel suo territorio si inneschi quel meccanismo di sviluppo sostenibile che può rappresentare un modello anche per il resto del territorio. * Presidente del Parco Nazionale dei Monti Sibillini |