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La firma del protocollo d'intesa tra la Regione Marche, la Federazione Nazionale dei Parchi e il Coordinamento dei parchi marchigiani per il pro getto CIP sanziona ufficialmente con un importante atto politico-istituzionale e amministrativo l'impegno delle aree protette marino-costiere e con loro del complesso dei parchi italiani, rappresentati autorevolmente dalla federazione, per una politica di tutela delle coste. La sottoscrizione del protocollo costituisce un significativo riconoscimento del lavoro avviato alcuni anni fa da parte del Parco del Conero d'intesa con altre aree protette costiero-marine e il gruppo di lavoro sui problemi del mare della federazione.
Ora questo impegno assume rilievo e proiezione nazionale come era già avvenuto per altri temi e situazioni geografiche, con il progetto APE, Convenzione delle Alpi.ITACA. E come per questi progetti d'area vasta i quali costituiscono l'ossatura portante della Rete Ecologica Nazionale, il ministero dell'Ambiente dovrà provvedere, dopo il finanziamento assicurato dalla Regione Marche, con un suo adeguato contributo, perché il CIP possa a tutti gli effetti dispiegare la sua azione sul piano nazionale.
Rispetto agli altri progetti di area vasta ricordato il CIP si caratterizza per talune peculiarità che è bene richiamare. Esso infatti a differenza degli altri progetti prende avvio da una precisa iniziativa e decisione dei parchi. la prima volta dunque che una ipotesi di lavoro nazionale messa a punto dalle aree protette si fa carico di una tematica - quella delle coste - rimasta per tanti anni, nonostante la legge sul mare sia dell'82, nel limbo a testimonianza di un clamoroso fallimento che ha avuto conseguenze pesanti sulla condizione dei nostri litorali. Tanto per rinfrescarci la memoria non sarà inutile ricordare che soltanto il 4,5% delle nostre coste (412 km) possono essere definite ancora selvagge. Questo significa che percorrendo le sponde della penisola partendo da Ventimiglia, la prima area 'selvaggia' che si incontra è quella della zona di Punta Ala e successivamente del Parco dell'Uccellina, in Toscana. Bisogna poi scendere fino al Mar Ionio per incontrare il bosco di Policoro, in Basilicata. Risalendo lungo il versante Adriatico l'ultima costa selvaggia è rappresentata dalle dune del lago di Lesina, in Puglia. Non meno drammatica sotto questo profilo la situazione siciliana mentre in Sardegna, fortunatamente, troviamo ancora 292 km di costa selvaggia.
In una recente e ben riuscita conferenza regionale sulle gestioni integrate delle coste promossa dalla Regione Liguria abbiamo potuto toccare con mano gli effetti prodotti in un territorio fragile ed esposto come quello ligure da politiche finora sostanzialmente sottratte ad una seria pianificazione integrata mare-terra. Ed è significativo che tra gli orientamenti emersi e definiti nella conferenza si sia posto mano ad una ferma revisione dei progetti portuali e non solo.
Ed è altrettanto significativo che alla definizione di queste nuove misure di intervento chiaramente correttive di indirizzi seguiti in passato, abbiano concorso strutture e istituzioni regionali e locali che in questi anni hanno con apprezzabili risultati puntato sulla costruzione di un sistema di aree protette terrestri e marine. Anzi la regione Liguria, al di là di taluni recenti pasticci ministeriali nella istituzione delle riserve marine, è tra le poche regioni insieme alle Marche che sta cercando di darsi una politica che recuperi quanto c'è ancora di valido ma non attuato nella legge sul mare e soprattutto nei nuovi indirizzi generali quali emergono anche dalle leggi Bassanini che puntano strategicamente ad una sempre più stretta integrazione disciplinare e ad una più leale collaborazione di tutti i livelli istituzionali, abbandonando una volta per tutte la tentazione di tenere tutto al 'centro' un comando rivelatosi inidoneo a far decollare serie politiche nazionali. Che siano oggi i parchi, i quali hanno innegabilmente un peso ancora assai modesto e fortemente circoscritto sulle politiche costiere, a farsi carico in prima persona di questi temi con un loro progetto non è però un caso e neppure un atto di presunzione e superbia. A pagare un prezzo straordinariamente alto per il fallimento della legge sul mare sono stati, come abbiamo visto, soprattutto gli ambienti più pregiati ma anche più delicati e fragili della costa dove operano o meglio, avrebbero dovuto operare, le aree protette marine previste da ben due leggi nazionali che dopo quasi 20 anni ancora non hanno visto la luce salvo modeste, ancorché preziose, eccezioni.
La pianificazione integrata delle politiche del mare che nella costa trovavano la loro naturale interfaccia, era stata concepita come una politica rivolta innanzitutto alla tutela e protezione di risorse fondamentali e irripetibili per il territorio in cui i parchi marino-costieri avrebbero dovuto svolgere una funzione importantissima di tutela attiva, sperimentazione e qualificazione.
Il mancato decollo della legge sul mare, a cui non ha finora giovato granché neppure l'entrata in vigore della legge quadro sulle aree protette che l'aveva in un certo senso 'rilanciata' prevedendo la istituzione di nuovi parchi anche marini i quali si sarebbero dovuti aggiungere agli altri, ha vanificato l'impiego di questi strumenti di pianificazione territoriale a carattere integrato.
Le conseguenze sono state pesanti sia in termini di costi ambientali, come può agevolmente verificare chiunque guardi alla condizione dei nostri litorali, sia in termini politico-istituzionali. In questi anni si sono persi per strada studi, ricerche spesso avviate e non concluse o concluse ma mai utilizzate. I decreti istitutivi di alcune riserve marine sono lì a testimoniare una sostanziale incapacità a far entrare in funzione gli enti di gestione, a far trovare d'accordo le istituzioni interessate che anziché collaborare sembrano spesso preferire litigare, poco facendo per trovare effettive intese. Ancora oggi gli studi preliminari di talune importanti aree marine in cui operano parchi nazionali o regionali istituiti prima, ma soprattutto dopo la legge 394, vengono persino 'sottratti' agli enti di gestione di questi parchi in nome di procedure e interpretazioni della legge che rispondono unicamente ad assurde logiche burocratiche di vecchio e insopportabile stampo centralista. Da questo punto di vista la ricerca da parte di organi ministeriali di contatti con 'talune' istituzioni ma non con 'altre' è solo una versione ipocritamente mascherata dei vecchi, e per troppi versi inguaribili, vizi del passato.
Dove si pensa di istituire una area protetta marina ed è presente un parco terrestre - e non fa nessuna differenza sostanziale che esso sia nazionale o regionale - ricercare i contatti con i sindaci ma non il parco e magari neppure con la provincia e men che mai con la regione, comunque deve essere chiaro che si andrà incontro alle solite scontate e prevedibili polemiche e rinvii. Tanto più assurdo poi è giustificare questo metodo insulso in nome della speditezza delle decisioni e degli interventi, perché il più elementare senso del pudore non dovrebbe far dimenticare che i ritardi clamorosi accumulati in tutti questi anni recano tutti come giustificazione questo inconfondibile marchio. Ora non si pretende che la storia anche per taluni ambienti ministeriali (ma non solo), sia magistero di vita, ma ignorarla totalmente è soltanto da sciocchi.
Queste considerazioni deliberatamente polemiche, visto il persistere di posizioni che pensavamo superate, non intendono però semplicemente rispondere 'colpo su colpo' a chi sembra dimentico dei danni che la presunzione 'centralistica' ha provocato. Intendono più costruttivamente riproporre a tutti i livelli istituzionali - non giocando gli uni contro gli altri - una esigenza ormai insopprimibile di collaborazione senza la quale parlare di integrazione, specialmente per le coste, non ha alcun senso.
Proprio alla conferenza di Genova il prof. Greco, che su questi problemi ha scritto pagine e testi fondamentali, in suo lucido intervento ricordava che anche le leggi Bassanini su questo punto lasciano irrisolte non poche questioni a cominciare da quella della distribuzione e sovrapposizione di competenze tra ministeri e tra Stato, regioni ed enti locali. Cosa fare dunque? Alla luce di quanto siamo andati sommariamente riassumendo è indubbio che innanzitutto si dovrà cercare di rendere meno complicati i rapporti istituzionali e politici, improntando tutti gli atti alla massima collaborazione tra Stato, regioni, enti locali. Da questo punto di vista la 'costa' ha tutte le caratteristiche per aiutare questo impegno volto, ad 'integrare' i diversi interventi e progetti. Si potrebbe cominciare intanto a fare il punto sugli studi, ricerche, progetti che in questi anni in maniera spesso 'clandestina' e non raramente incompleta sono stati fatti da istituti, ministeri, regioni etc. molto probabile che in più di un caso ci troveremo in presenza di materiali costati spropositamente e comunque non sempre di grande utilità. accaduta la stessa cosa per la Carta della Natura dove ancora si vagola se non nel buio, certo tra inspiegabili lentezze e viscosità. Ma una vera e propria operazione verità e trasparenza va fatta una volta per tutte, non per processare qualcuno ma per poter finalmente porre le basi di un lavoro serio e davvero coordinato tra ricercatori e tra questi e le istituzioni. finito il tempo in cui 'prima' si studia - per tempi indeterminati - e poi si discute come mettere a frutto gli studi compiuti. Per questa via, come ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, ci si può assicurare qualche 'vitalizio' ma non si riuscirà mai a impiegare e utilizzare concretamente e con profitto quegli studi. E se ciò è stato, in tutti questi anni fonte di sprechi e continui rinvii, va aggiunto anche che il tutto ha finito per costituire poi un alibi per tutti. Ecco bisogna sgombrare il campo da qualsiasi manfrina volta unicamente a giustificare, spesso penosamente e talvolta persino con presuntuosa supponenza, incongruenze e inconcludenze.
In questo quadro andrà accertato in che misura le ricerche scorse o in corso hanno preso in considerazione oltre ai fenomeni abiotici (erosione, etc.) anche le componenti biotiche che riguardano gli ecosistemi litoranei e marini.
Altro punto da accertare è quali sono attualmente i 'pezzi' di costa sui quali sono stati fatti studi e con quale esito. In particolare questa verifica appare urgente per quelle poche aree 'selvagge' rimaste fortunatamente al riparo o quasi dall'assalto di questi anni. Si tratterà inoltre di accertare lo stato degli studi e dei progetti in quelle aree indicate dalla legge sul mare e dalla legge 394 quali riserve marine.
Dal dibattito alla Conferenza della Regione Liguria abbiamo visto come spesso il litorale sia stato preso in considerazione prevalentemente per interventi portuali turistici soprattutto per i quali però oggi è in atto una giusta e importante revisione. E non è un caso che tale riflessione 'critica' sugli abusi commessi in questa direzione sia in corso specialmente dove - è il caso della Liguria - si sono fatte e si stanno facendo buone cose per le aree protette anche marino-costiere.
Ecco, da una mappatura di massima della situazione dei litorali del nostro Paese, non dovrebbe neppure risultare difficile individuare anche riguardo le riserve marine le aree interessate soprattutto a determinati aspetti; esempio la pesca, ed aree invece dove non sono questi i problemi di maggiore rilevanza bensì il turismo, l'archeologia etc. Anche sotto questo profilo è giunto il momento di uscire dalla generica e casuale sollecitazione a istituire riserve che restano per anni senza ente di gestione.
Si cominci a individuare quelle riserve che rispondono ad un qualche 'disegno', o quanto meno ad una scelta, di cui ora non si riesce a capire il senso e gli scopi. La varietà delle situazioni presenti nel nostro Paese permette, ma al contempo esige che gli interventi rispondano ad una qualche logica, anche di carattere sperimentale. Vogliamo finalmente affrontare i diversi problemi dandogli un ordine? sicuramente importante, ad esempio, verificare la praticabilità di una gestione delle aree protette marine in collaborazione con gli interessi economici e sociali e specialmente la pesca. Ma non tutte le aree marine sono interessate a questo profilo. Si individuino allora alcune di queste aree e li ci si muova con impegno e coerenza, soprattutto coinvolgendo sempre e comunque tutti i livelli istituzionali. Vi sono inoltre altre aree marine interessate fortemente ad altri problemi diversi da quelli della pesca. Si individuino anche qui quelle su cui puntare per una coerente sperimentazione. Operando in questo modo non riusciremo semplicemente ad istituire un certo numero di riserve (magia delle cifre ma saremo in grado di verificare il ruolo effettivo delle aree protette marine in situazioni precise e ben differenziate, il che consentirà di trarne anche importanti elementi di giudizio e di verifica per il futuro. Si metta infine nel conto, che forse pochi paesi come il nostro sono in grado di offrire anche uno spaccato in cui la integrazione terra-mare anche per quanto riguarda le aree protette, può risultare di grande utilità non soltanto alla costruzione di un reale sistema integrato di parchi a livello nazionale ma, anche comunitario. Per tutte queste ragioni, ed altre sulle quali non ci siamo soffermati, è chiaro che il progetto coste italiane può rappresentare davvero una occasione e una opportunità abbastanza unica per 'ripartire' non da dove le cose sono rimaste per la mancata attuazione della legge sul mare ma, da dove oggi può prendere le mosse una politica di 'integrazione' volta alla protezione, che non è né solo terrestre né soltanto marina.
R.M.
Questa nostra rivista
Un decennio è un periodo più che ragguardevole perché anche una rivista come la nostra faccia un bilancio del suo lavoro e soprattutto verifichi in che misura il tempo trascorso e i cambiamenti intervenuti rendano opportuni innovazioni e correzioni.
Inutile dire che ci riferiamo principalmente ad aspetti di contenuto e non tecnici o grafici sebbene anche questi debbano essere presi in considerazione ma non 'prima' che si sia fatta chiarezza sugli altri. Discutere di "Parchi" alla luce di quel che è accaduto innanzitutto nel mondo delle aree protette in questo decennio (ed è molto) significa in primo luogo non dimenticare gli scopi che ci eravamo prefissi all'inizio quando decidemmo con non poco coraggio di fare una rivista con un forte segno 'politico-culturale'. La soluzione più naturale allora poteva sembrare ed era in effetti un'altra tenendo conto che una associazione ai suoi primi passi quale era il coordinamento nazionale dei parchi regionali aveva indubbiamente e prima di tutto bisogno di farsi conoscere e quindi di dare il massimo di 'notizie' sul suo operato. Noi però scartammo questa ipotesi niente affatto peregrina e preferimmo puntare - sapendo di andare incontro a maggiori problemi - su una rivista più 'ambiziosa'. In sostanza volevamo che anche le 'notizie' sul lavoro e le esperienze dei parchi spesso poco conosciuti anche nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori circolassero non allo stato, per così dire, 'puro', ma fossero filtrate da una riflessione sui contenuti, il significato e le diverse implicazioni.
In questo modo pensavamo non soltanto di aiutare i parchi a conoscersi in maniera meno superficiale ma anche a fornire 'all'esterno' una immagine più veritiera e interessante in quanto problematica del nostro lavoro.
Potremmo fare numerosi esempi (basta andare a vedere la collezione della rivista) di cosa ha significato battere questa strada che non si affidava alla mera presentazione o anche valorizzazione delle varie iniziative dei parchi, ma mirava a fornire una chiave di lettura anche culturale e scientifica di quelle esperienze. I parchi hanno il merito di avere introdotto in questi anni delle novità significative in vari campi, dall'educazione ambientale all'allestimento di centri museali naturalistici, che sulla rivista hanno trovato una sede di informazione, confronto e approfondimento apprczzata e utilizzata anche in sedi diverse e spesso 'lontane' da quelle delle aree protette.
Non si riuscirebbe a valutare interamente il significato e il valore di questo connotato della rivista se non si tenesse conto di quanto esso ha contribuito ad esempio, a fornire a tanti studenti e ricercatori che hanno scelto il tema delle aree protette quale argomento delle loro tesi e lavori una fonte preziosa e per molti aspetti unica di documentazione e di stimoli.
Chiunque abbia avuto modo in questi anni di consultare scritti e ricerche sulle aree protette del nostro Paese (e non solo) avrà sicuramente notato quanti siano i rimandi e i riferimenti alla nostra rivista. Ora, discutendo di "Parchi" ci si è chiesti, giustamente, se la rivista è stata altrettanto efficace e utile nei confronti di chi opera come amministratore o tecnico nelle aree protette.
Ma qualunque sia la risposta a questa domandache va data senza reticenze e imbarazzi - è innegabile che questa 'presenza' culturale in un paese che non brilla certo per sensibilità verso talune tematiche, ha rappresentato una assoluta novità e ha conseguito risultati importanti di straordinario valore di cui dobbiamo essere fieri e orgogliosi. Se una rivista così 'povera' e artigianale è riuscita ad affermarsi su un terreno largamente dominato da interessi accademici e lobby settoriali e corporative vorrà pur dire qualcosa. E qualunque sia perciò la risposta che si intende dare al quesito se la rivista è stata ed è altrettanto efficace per chi lavora all'interno dei parchi sarebbe davvero masochistico e miope considerare la nostra presenza culturale un fardello o peggio un lusso di cui ci si possa senza danno sbarazzare e fare a meno. Se questa caratterizzazione della rivista è risultata premiata in questi anni quando il mondo delle aree protette era meno diffuso e robusto rispetto a quello odierno, essa oggi non è meno necessaria al contrario, lo è di più.
Non credo possa sfuggire oggi un dato che balza con tutta evidenza agli occhi di chiunque guardi al panorama della pubblicistica ed editoria che in qualche misura si occupa anche di aree protette e cioè la superficialità e spesso l'approssimazione, l'angustia e la ripetitività con cui se ne parla. Nonostante i parchi siano fortemente cresciuti di numero e abbiano una indiscutibilmente accresciuta capacità di iniziativa, le 'notizie' che li riguardano sono non di rado scontate e comunque quasi unicamente rivolte a profili anche importanti ma pur sempre tutt'altro che rappresentativi della ricchezza e complessità degli impegni e del ruolo di una area protetta. Abbondano i servizi sugli itinerari e simili ma poco o niente su tutto il resto. Va detto al riguardo - e qui deve concentrarsi anche la nostra riflessione sulla rivista - che sotto questo profilo anche "Parchi" ha perso dei colpi, o se si preferisce, stenta maggiormente a rappresentare questa nuova, più complessa e variegata realtà nella misura e in forme adeguate. In questo senso si potrebbe parlare quasi di una crisi di 'crescita'. Detta in altro modo oggi è più difficile anche per noi dare conto in termini non meramente descrittivi ( e anche questo non è sempre facile) di ciò che succede in tanti parchi che spesso faticano non poco a funzionare come un sistema nazionale incardinato in sistemi regionali. Talvolta si ha l'impressione infatti che di quel che bolle nella pentola dei parchi si sapesse più ieri di oggi. Non sembri un paradosso ma forse la crescita quantitativa di iniziative ed esperienze rende spesso più complicato coglierne il senso più profondo e generale e non semplicemente il conteggio. Voglio fare un esempio. Qualche anno fa la rivista per un certo periodo dedicò con continuità ampio spazio alle esperienze nel campo della educazione ambientale e il loro rapporto con il mondo della scuola. Ricordo fra gli altri i contributi qualificati e puntuali di Vellutini. Quelle esperienze hanno fatto davvero scuola e la rivista contribu" in maniera determinante a farle conoscere e a diffonderle. Di questi esempi potremmo farne altri non meno significativi e importanti e tutti confermerebbero che sotto questo profilo c'è stata una'caduta', un impoverimento della rivista che la rende probabilmente meno immediatamente 'utilizzabile' e spendibile da parte di chi opera in un parco o che ad esso è interessato. Con ciò non intendo dire, come qualcuno sembra invece ritenere, che la rivista con gli anni si sia troppo 'politicizzata' a danno di altri compiti più utili e propri. "Parchi" ha sempre dedicato ai temi politici e istituzionali ampio spazio (si può discutere naturalmente se lo ha fatto sempre appropriatamente e bene) ed anche questo - è bene ricordarlo - è stato apprezzato dai lettori.
Anche questo è stato un segno inconfondibile della rivista che non a caso è stata la sede più qualificata in cui con più autorevolezza i rappresentanti delle istituzioni parlamentari, di governo, regionali e locali hanno sovente discusso e si sono confrontati sulle politiche della protezione oggi. E se ciò non è avvenuto sempre con la necessaria continuità e coralità, più che alla rivista questo fatto va imputato al persistere di atteggiamenti anche all'interno delle istituzioni di un disinteresse e comunque di sottovalutazione che sono ancora piuttosto diffusi nonostante gli indubbi progressi che sono stati compiuti.
Non credo perciò si possa dire che la politica abbia finito per sacrificare il resto e rendere meno incisiva e interessante la rivista.
vero invece che il 'resto' è divenuto probabilmente più difficile per cui non sempre siamo riusciti a cogliere le novità della situazione, o comunque a farvi fronte come sarebbe stato necessario. Ma questo chiama in causa non soltanto -come è ovvio - chi ha avuto e ha la responsabilità della rivista ed anche le sue 'debolezze' gestionali e di redazione, ma anche chi opera negli enti parco.
Perché alla rivista arrivano da sempre molti più contributi 'esterni' (non importa qui discutere della loro validità) che apporti dagli amministratori e operatori che hanno la responsabilità delle tante cose che si fanno oggi nei parchi? Solo perché essi hanno meno tempo e più da fare?
questo un punto che va affrontato senza falsi pudori e timori e non certo per dar luogo ad una sorta di scaricabarile delle responsabilità che sarebbe oltremodo sciocco e sterile. Ma se non avremo il coraggio e la forza di parlare anche di questo la discussione giustamente avviata sulla rivista non andrà molto lontano. Se c'è una tradizione dell'ambientalismo che non deve andare perduta è proprio questa; la sua capacità di valorizzare le proprie azioni di essere presente in prima persona nel dibattito politico e culturale. Sappiamo per esperienza che ogni parco deve prima di tutto essere presente sul territorio e quindi sui mezzi di informazione 'locali'. Ma se questa è la prima linea del fronte da cui non ci si può sottrarre, pena l'isolamento, è innegabile che un sistema di aree protette non può esaurire, nella dimensione e cronaca locale, la sua azione e presenza. E qui si torna alla rivista. Perché sono così pochi gli amministratori che scrivono del loro lavoro, dei risultati ed anche delle difficoltà e degli errori. Oggi il presidente di un parco, e non mi riferisco soltanto a quelli dei grandi parchi nazionali e regionali, è una figura istituzionale di grande rilievo pubblico. Se ieri le responsabilità di rappresentare un parco, anche nei confronti della grande opinione pubblica nazionale, erano affidate unicamente a qualche direttore prestigioso e combattivo, oggi fortunatamente non è più così.
Eppure quella 'lezione' che ci viene da un passato sicuramente più difficile, non sempre sappiamo farla nostra, rinverdirla, arricchirla nell'interesse dei parchi e più in generale delle istituzioni e della opinione pubblica.
Le difficoltà e i problemi della rivista di cui dobbiamo discutere senza timori sono dovuti anche a questo, sebbene non unicamente a questo.
Per ciò mettevo in guardia all'inizio di non prendere abbagli e confondere, scambiare i problemi politico-culturali che dobbiamo affrontare, consapevoli che essi dipendono anche dalla nostra crescita e non da una nostra crisi, con questioni di ordine tecnico. Naturalmente una rivista che sappia oggi essere all'altezza delle nuove esigenze ha bisogno molto probabilmente anche di un taglio se vogliamo più 'agile' (anche nel numero delle pagine) e una periodicità diversa per evitare un eccessivo invecchiamento degli articoli e fornire con maggiore continuità ai parchi informazioni, argomenti e stimoli. Ciò che essa può perdere sotto il profilo dell'approfondimento (recuperabile con degli speciali o altro) deve poter guadagnare in tempestività e in freschezza. Ma tutto questo - ammesso naturalmente che sia questa la strada da seguire - non può essere pienamente risolto senza riuscire a coinvolgere di più chi ha la responsabilità della gestione delle aree protette. Forse non ha molto senso stabilire confronti con riviste di altre associazioni che diversamente da Parchi non stanno sul mercato e tuttavia non sfuggirà a chi le conosce che i titolari 'politici', ma anche quelli tecnici, vi scrivono certamente con maggiore frequenza. Con ciò non voglio dire che la soluzione dei problemi della rivista dipende esclusivamente da una maggiore presenza e sensibilità degli amministratori dei parchi. Ma è innegabile che la loro scarsa presenza ne evidenzia una debolezza e una difficoltà da superare perché essa, lo si voglia o no, di fatto la 'impoverisce' in quanto risulterà più difficile dar conto bene e vivamente, direttamente di quel che succede nelle aree protette. Tutto questo farà bene alla rivista ma credo che gioverà anche ai parchi.
In conclusione vorrei dire che una associazione quale noi siamo, impegnata come non mai ad allargare le sue 'alleanze' con nuovi soggetti istituzionali e sociali, non può avere una rivista che nella impostazione e nelle collaborazioni non sappia pienamente e in maniera facilmente percepibile e visibile raccogliere quella molteplicità di contributi culturali e tecnico scientifici che stanno alla base delle nuove politiche per l'ambiente e la tutela.
Non abbiamo insomma bisogno di abbassare il profilo di Parchi quasi dovesse pentirsi del livello raggiunto. Abbiamo al contrario urgente necessità di ridisegnarlo senza impoverirlo perché esso si attagli adeguatamente alle nuove esigenze dei nostri lettori.
R.M. |