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Pubblichiamo integralmente il primo intervento ufficiale del nuovo
Ministro dell'ambiente all'assemblea della Federparchi - Ercolano, 3 giugno
2000
Innanzitutto voglio ringraziarvi per questo invito. Esso mi dà anche
la possibilità di trovarmi nuovamente in questa splendida villa che
visitai quando ricoprivo l'incarico di Sottosegretario ai beni culturali
e che simboleggia e sintetizza in maniera così precisa due cose:
da una parte l'immensità, la straordinarietà e la ricchezza
del nostro patrimonio culturale e ambientale - siamo, come sapete, nel "miglio
d'oro", cioè in una condizione di abbondanza come in poche altre
parti del mondo: forse solo a Versailles ci fu un fenomeno simile - e dall'altra
l'incuria. Certo in questa villa siamo di fronte all'epifenomeno contrario,
ma di ville vesuviane, le ville appunto del "miglio d'oro", ne
esistevano oltre un centinaio se non ricordo male e oggi ce ne sono molte
ma molte di meno; di conservate bene poi, pochissime. Le altre sono inserite
in un contesto che voi stessi potete in taluni casi - si fa per dire - ammirare:
alcune sono state letteralmente mangiate, in certi casi dall'ignoranza (ed
è il minore dei mali) in altri casi dall'insipienza o, quel che è
più grave, dalla follia della speculazione, spesso priva di ogni
dimensione, anche di quella economica. Qui si può toccare con mano
ciò che si deve e ciò che non si deve fare. Io fra l'altro
non riesco a separare conservazione dei beni culturali dalla conservazione
dei beni ambientali. Continuo a considerare tale separazione un errore:
un errore, sia detto tra parentesi, che il legislatore non fece. Attenzione:
Spadolini, quando costituì il Ministero dei beni culturali ebbe un'intuizione.
Lo seguirono signori che allora stavano nel Senato della Repubblica - non
voglio offendere nessuno se dico bei tempi - e si chiamavano Asor Rosa e
Giulio Carlo Argan, signore a cui si deve fra l'altro parte delle cosiddette
leggi Bottai, perché allora giovane funzionario lavorava al ministero
della Cultura nazio nale. Ci fu una bellissima discussione - è utile
leggere gli atti del Senato - in cui il problema era se chiamarlo Ministero
dei beni culturali o Ministero dei beni culturali e ambientali o dei beni
paesaggistici o dei beni ambientali. Spadolini, dicevo, ebbe una intuizione:
volle insistentemente, e alla fine la spuntò, che si chiamasse Ministero
dei beni culturali e ambientali. E fu giusto così, per due motivi:
perché non si può separare il patrimonio del nostro Paese
e perché non si può avere del bene paesaggistico soltanto
un apprezzamento formalmente estetizzante, senza comprenderne il valore
in sé, come luogo nel quale c'è la traccia forte dell'uomo,
dal momento che noi viviamo in un territorio fortemente antropizzato. Io
ho questa concezione e quindi mi vengono molto bene alcune cose che ho letto,
purtroppo molto affrettatamente, nella sua relazione, PresidenteValbonesi.
Io credo che se noi avessimo una visione dei parchi soltanto come fortezze
assediate, come tanti Fort Alamo, noi saremmo inevitabilmente condannati
alla sconfitta, come lo furono quegli eroi. Come sapete, malgrado avessero
Davy Crockett con loro, alla fine perirono. Ma forse lo sbaglio più
grave sarebbe la consegna dell'altra parte del territorio italiano alla
distruzione, rinchiudendoci nei confini dei parchi, infatti, segnaleremmo
che ci sono luoghi in Italia in cui non vale la pena di fare tutela. Io
mi rifiuto di credere questo. Il nostro è un Paese in cui è
difficile segnare confini da questo punto di vista. Basti pensare che nel
nostro paese ci sono 85.000 chiese, ognuna delle quali contiene straordinari
patrimoni di carattere artistico. Ci sono poi migliaia di altri luoghi che
non sono contenuti nel patrimonio chiesastico e che pur tuttavia sono di
un altissimo valore. Come si fa a considerare tutti questi luoghi da non
tutelare, solo perché magari non ricadono in un'area formalmente
protetta? Allora è giusto sostenere quello che voi dite. Ma io voglio
spezzare una lancia anche a favore di chi ha una concezione - come dire
- un po' più rigida, magari solo "custodialistica" della
tutela. È la lancia di chi ha fatto per due anni e mezzo il Sottosegretario
dei beni culturali, con delega proprio alla tutela paesaggistica, e si è
reso conto che la battaglia perché si affermi questa concezione è
una battaglia durissima, difficilissima, complicatissima. Parliamoci con
franchezza: è una battaglia di minoranza. Attenzione a non fare sbagli
da questo punto di vista, a non farvi ingannare. L'altro ieri al Senato,
dopo che avevo fatto la mia audizione, una serie di interventi ha esordito
dicendo "chi non è oggi a favore della tutela della natura?".
Soltanto per l'ovvio rispetto del luogo istituzionale non ho sbottato; stavo
per dire: "la stragrande maggioranza". Stiamo attenti, anche a
questo riguardo, alle messe cantate. Certo è facilissimo oggi, in
qualsiasi luogo, sentire dire che "bisogna difendere il patrimonio
culturale e naturale". Figurarsi se qualcuno si permetterebbe di dire
il contrario. Probabilmente anche quelli che hanno distrutto questa zona
così straordinaria, ad Ercolano, hanno mai detto cose diverse, anzi:
spesso quelli che la distruggevano stavano poi in zone molto belle, ma questo
è un altro discorso. Quindi il problema vero è far discendere
da questa affermazione comportamenti costanti, quotidiani, completi: e qui
invece la battaglia che noi stiamo facendo è ancora una battaglia
di minoranza. È bene averlo presente, perché quando si fanno
le battaglie è bene avere presente le forze - ha ragione il Sindaco
e Presidente del Parco dell'Asinara - è bene sapere quali sono gli
interlocutori e anche qual è la dimensione della partita. Noi spesso
abbiamo assistito, a sinistra come a destra - a destra forse peggio, ma
anche a sinistra non è che la cultura della tutela, se non da poco
tempo, sia stata vincente - abbiamo assistito ad una partita impari. Spesso
abbiamo lasciato delle sentinelle isolate, penso ai Sovrintendenti ma penso
ovviamente a coloro che stanno nel Ministero dell'ambiente, che è
più recente. Ecco perché io spezzo una lancia anche a favore
di coloro che hanno dovuto difendersi dall'assalto e che quindi è
naturale che in alcuni casi abbiano fatto scattare un meccanismo da Fort
Alamo. È naturale perché quando uno si trova a battersi per
cause giuste e gli spiegano che le cause sono giuste ma che c'è sempre
qualcosa di più importante di quel le cause giuste, si innervosisce
e alla fine finisce per non capire più niente e, per reagire, dice
sempre "no" a qualsiasi cosa, anche a quella giusta. Lo dico perché
l'operazione che tenterò di fare è questa: una battaglia molto
ferma, senza infingimenti e senza ipocrisie, anche usando parole dure quali
quelle che ho detto qui e che ho detto altrove, come l'altro ieri all'Unione
Petrolifera Italiana: una sede con una diversa sensibilità verso
questi temi - una battaglia di acquisizione anche culturale e di trasformazione
su questi temi. Allora a quel punto, una volta rassicurato il mondo della
tutela sul fatto che c'è finalmente (in minoranza ma c'è!)
una parte del mondo politico che queste cose le ha comprese per davvero,
allora avremo le condizioni per andare all'attacco. È quello che
io vorrei fare e che cercherò di fare: passare cioè dalla
fase di difesa - sempre più limitata, sempre più piccola,
come è avvenuto in questi anni - a una fase offensiva. Nel vostro
campo per fortuna la fase è già venuta, perché qui
in questi quattro anni il Ministero dell'ambiente si è trasformato.
Ronchi ha avuto grandi meriti in questo campo, anche nella delimitazione
e nella tutela di un patrimonio che, per me, è indivisibile. Parchi
nazionali, parchi regionali, altre aree protette marine e terrestri: anche
se ci sono poi delle differenze importanti, e in alcuni casi necessarie,
comunque è l'intero patrimonio che dobbiamo salvaguardare. In questi
anni questo patrimonio è fortemente aumentato e ciò ci mette
oggi nelle condizioni (lo dicevo appena poco fa alla Commissaria Europea)
di presentarci a testa alta in Europa. Ma senz'altro dobbiamo fare ancora
di più. Abbiamo quattro parchi nazionali che dobbiamo istituire al
più presto. È un impegno che io ho preso, che aveva già
preso Ronchi, e che voglio mantenere. Così come abbiamo aree marine
e terrestri di cui dobbiamo urgentemente completare l'iter istitutivo: una
delle quali, completata in queste ore, è l'area marina protetta di
Tor Paterno di cui ho firmato proprio ieri il decreto che consegnerò
domenica al Presidente Ciampi in occasione della Festa Verde della Repubblica.
Festa che abbiamo voluto significativamente tenere proprio nella giornata
della festa nazionale e durante la quale, assieme ad alcuni vostri rappresentanti,
incontreremo il Presidente della Repubblica nei giardini del Quirinale -
che saranno aperti al pubblico, perché è anche la domenica
ecologica - e consegneremo al Presidente una bellissima targa, realizzata
per l'occasione, nella quale sono incastonati gli stemmi dei parchi italiani:
un'occasione anche questa per dare significato a quello che sta avvenendo.
Dicevo che a questo punto occorre fare molto di più ed occorre passare
chiaramente all'attacco. Passare all'attacco vuole dire anche cercare di
avere una concezione precisa di questi temi. La Repubblica si articola in
diversi livelli di governo, che io definirei funzionali, ma che sono di
pari dignità. Sarà perché ho ricoperto l'incarico di
sindaco per undici anni ma io non mi considero, da ministro, più
importante di un sindaco. Abbiamo diversi compiti e diverse responsabilità.
Forse quella del governo nazionale può essere a volte più
complicata; non so se più difficile. Ma io ho l'idea che la Repubblica
è come una grande casa: una sorta di grande condominio in cui ai
piani alti ci sono i governi nazionali e regionali e il piano terra, quello
con le porte e le finestre spalancate, è il piano della comunità
locale. Ma la casa è la medesima, assolutamente la medesima. Perciò
una contrapposizione seria fra i diversi governi è una assurdità,
prima di uno sbaglio. So che nel passato su questo c'è stata un po'
di rigidità. Non voglio giudicarla, anche perché può
darsi che le rigidità dipendano dal fatto che quando uno per la prima
volta, in un campo tanto delicato, ha il compito di affermare la cultura
della tutela in un Paese come il nostro - in cui troppo si è distrutto
e male costruito - e quando si è naturalmente convinti delle proprie
idee (avendo fatto il sindaco ho acquisito anche questa coscienza: più
ti avvicini al luogo del conflitto, più ne sei direttamente coinvolto
e quindi in qualche modo anche condizionabile) è ovvio che possa
insorgere qualche volta una contrapposizione fra le diverse istituzioni.
Io invece, rispetto a questa questione delle competenze ho sempre sostenuto
una tesi. Quando mi si chiedeva se fossi d'accordo per il trasferimento
al livello degli enti locali di alcune competenze delicatissime come quelle
del patrimonio culturale (lo stesso discorso vale per il patrimonio ambientale)
io ho sempre risposto: "sì" se c'è compartecipazione;
"no" se c'è separazione. Parto insomma da un principio
molto semplice: preferisco le tutele dei governi ad una sola tutela di chicchessia.
Voglio dire che se crediamo alle cose che diciamo quando affermiamo che
il nostro patrimonio ambientale e culturale è universale, straordinario,
fondamentale, allora dobbiamo essere coerenti. E dunque non c'è mai
troppa tutela, il che non sta a dire che dobbiamo fare troppa burocrazia.
Ma è chiaro che la competenza della tutela è in capo a tutti
i diversi livelli che hanno rappresentanza. Si tratta di non appesantirla,
di renderla fluida, di concepire i rapporti come rapporti di leale cooperazione.
Si tratta di fare una cosa diversa da ciò che si è fatto talvolta
in Sardegna. Io andrò in Sardegna, mi fermerò due giornate
intere (lunedì 12 e martedì 13) e incontrerò la Giunta
regionale, le amministrazioni più importanti, in particolare là
dove ci sono i conflitti. Incontrerò tutte le associazioni, tanto
quelle a favore che quelle contrarie al parco nazionale. Ma soprattutto
renderò evidente che il Governo nazionale ha una sede formale a Roma,
ma il Governo nazionale sta anche in Sardegna, non ne è fuori, e
non è contro. E affermerò la cosa che ho già detto:
cioè che non è pensabile fare un'operazione come quella, assolutamente
indispensabile calandola sulla testa di tutta quella realtà. Perché
una volta fissati i paletti bisogna avere chiarezza: il Parco del Gennargentu
non è che lo ha deciso Ronchi o non si sa bene chi altri; il Parco
del Gennargentu è "naturalmente" da fare, penso per una
"legge naturale". Ma non si può pensare, solo perché
si ritiene che questo obiettivo sia giusto, di calarlo sul popolo sardo
- un popolo con una concezione così radicata dell'autonomia - se
esso ritiene in questo momento trattarsi di un'imposizione. Chiarito che
in questo momento sono queste le strettoie, comunque là in mezzo
bisogna andare. Anche perché se non si va là in mezzo il parco
poi non esisterebbe, e questa sarebbe la peggior cosa che possiamo fare:
sarebbe pulire la stanza buttando l'immondizia sul tappeto o ripetere le
cose che qualche volta in questo Paese si sono fatte cioè le grida
manzoniane, con le quali ci si lava la coscienza. Per quanto mi riguarda
ritengo di averla sufficientemente pulita e di non avere bisogno di fare
dichiarazioni a cui non seguano i fatti. A me interessa che il parco ci
sia e che funzioni. Voglio dire anche un'altra cosa: che non possiamo nemmeno
però rovesciare il problema e permettere che una zona così
delicata come quella del Delta del Po (una zona che ha per "diritto
naturale" la necessità di avere una gestione unitaria) venga
lasciata in una condizione di governo non unitario per problemi (che io
rispetto ma che a questo punto hanno esaurito il tempo disponibile) di discussione
tra le due diverse realtà: quella veneta e quella dell'Emilia Romagna.
Non è ammissibile. E allora: così come io sono disponibile
a ridiscutere tutto di quello che è stato fatto in Sardegna (fermo
restando che il parco va fatto e non è ancora stato fatto, perché
questa è la sostanza delle cose) così però chiedo ai
governi regionali dell'Emilia e del Veneto di essere disponibili a discutere,
immediatamente, rispetto ad un obiettivo che avrebbe dovuto essere già
raggiunto: quello del parco interregionale. Altrimenti, in caso diverso,
non ci sarebbe niente di male se il Governo esercitasse il suo compito di
alta vigilanza; un potere che avrebbe già dovuto esercitare, un compito
di alta vigilanza che non ci sarebbe nulla di male se esercitasse. Non possiamo
pensare che una volta che lo Stato ha ceduto il proprio diretto potere sul
territorio non guardi più a ciò che accade. Tante volte, nel
Governo, mi sono posto questo problema. È come se, per assurdo, una
volta accettato lo statuto autonomo, rafforzatissimo, della regione Sicilia
lo Stato nazionale non intervenisse, appreso che quella regione - che ha
anche autonomia totale per quanto riguarda il patrimonio culturale - decidesse
di vendere a qualche museo giapponese la valle di Agrigento. Se ciò
dovesse avvenire lo Stato nazionale, legge o non legge, non potrebbe dire:
"questo non è competenza mia". Anche ai governi di Emilia
Romagna e Veneto, quindi, deve essere chiaro che il tempo è scaduto.
Ovviamente questo non vuol dire che io domani faccia il decreto: sono finiti
i parchi regionali, adesso faccio un parco nazionale. Vuol dire che chiederò
un incontro, nei prossimi quindici giorni, con i due Presidenti delle due
Giunte regionali, per un accordo sulla data per l'emanazione dei decreti
del parco interregionale. Altrimenti interverrò con un decreto ministeriale
per l'istituzione del parco nazionale. Ho voluto darvi la filosofia del
mio modo di lavorare. Ovviamente questa filosofia avremo modo di svilupparla,
insieme, nei prossimi giorni. Fra l'altro, come vi è già noto,
e come già Valbonesi ha annunciato, ho intenzione di convocare entro
l'anno la seconda Conferenza nazionale delle aree protette. Vi confermo
che ho l'intenzione di chiamarvi a prepararla con noi del Ministero dell'ambiente
perché - sarò pragmatico, ma mi rendo conto che c'è
qualche... chiamiamola "dialettica", all'interno del mondo delle
aree protette - in questo caso si impongono due concetti secondo me: in
primo luogo che più partecipanti ci sono e meglio è; in secondo
luogo che occorre ragionare anche sulla legge delle rappresentanze, che
vale in ogni luogo. Già da questo momento ho visto che la vostra
associazione è fortemente rappresentativa e mi sembra assurdo, parlando
di una cosa che riguarda le aree protette, non lavorare con voi, dando il
massimo della disponibilità a coloro che raccolgono la maggior parte
di queste aree protette e di questi parchi nazionali. Ovviamente, se ce
ne sono altri, porte altrettanto spalancate. Io ho anche detto che per quanto
mi riguarda sto lavorando perché vi sia il passaggio delle riserve
dello Stato alle regioni e ai parchi nazionali. So che anche voi l'avete
chiesto. Nello stesso tempo vorrei dare anche una leggera accelerata all'argomento
del Corpo forestale dello Stato. La questione la conoscete: è una
questione per la quale la legge vorrebbe che si attuasse simultaneamente
il passaggio del CFS in capo al Ministero dell'ambiente e il trasferimento
di parte consistente di esso alle regioni. È una discussione molto
complessa sulla quale ancora vi sono molte perplessità. Non entro
nel merito ora. Credo però che non dobbiamo continuare a tenere legate
insieme le due cose, poiché se insieme continuano a stare insieme
cadono. Potremmo in questo caso causare un danno gravissimo al CFS che è
in una costante situazione di incertezza. Non mi sembra né giusto
né corretto, e se mi permettete nemmeno opportuno, perché
abbiamo un Corpo di competenze elevate e di qualità tecnicamente
apprezzata ed apprezzabile, che non può continuare ad essere mantenuto
in questa condizione, a bagnomaria o in stand by, per dirla all'inglese.
Io ho chiesto ai miei colleghi di governo - ma ho bisogno ovviamente di
avere anche un sostegno politico più generale - di procedere. Fermo
restando il dibattito relativo a quanta parte dovrà passare alle
regioni - discuteremo se sarà l'1% o il 99% - facciamo intanto in
modo che questo CFS che rimarrà cominci a svolgere i suoi compiti,
che sono definiti dalla legge di riforma n. 300, e sono posti in capo al
Ministero dell'ambiente, come mi sembra chieda e voglia anche la stragrande
maggioranza dei componenti del CFS. Vorrei andare avanti con una certa decisione
su questo argomento e poi se sarà necessario fare il trasferimento.
Un altro capitolo che conosco e che è importante è naturalmente
quello delle risorse. Io voglio dire una sola cosa su questo. Vorrei fare,
assieme al Dott. Cosentino, una valutazione più attenta riguardo
tutto l'investimento fatto e il modo in cui esso riesce a trovare la sua
capacità effettiva di essere trasformato. Ci sono ancora parchi che
questa capacità non riescono ad esercitarla fino in fondo e ci possono
essere mille motivi a giustificazione. Da una parte è giusto che
noi privilegiamo chi riesce a spendere, mi pare evidente, però dobbiamo
anche capire perché alcuni non riescono a spendere: altrimenti rischiamo
di riaprire una forbice molto pericolosa. Le cose debbono essere valutate
con molta attenzione. Mi verrebbe da dire una cosa ("bisognerebbe che
ci fossero più mezzi finanziari") che però non posso
affermare perché sono il ministro. Nel momento in cui ho accettato
di fare il responsabile di un ministero da me si attendono risposte più
che petizioni o aspirazioni. Queste sono funzioni delle associazioni e dei
parlamentari, non del ministro che deve conservare il senso delle proporzioni.
Se servono più mezzi bisogna indicare anche il modo di reperirli.
Io credo che servano più mezzi e mi impegnerò per dare un
segnale in questa direzione. Mi fermerei qui. Non senza aver detto un'ultima
cosa cui ho sentito accennare mentre arrivavo: è quella degli organismi
geneticamente modificati. Non voglio fare un discorso su di essi: mi pare
molto corretto il discorso fatto da voi. A prescindere da quelle che saranno
le posizioni nazionali, o le convenzioni - come il protocollo di Cartagena
- gli OGM sono qualcosa che, al di là di qualsiasi altro rilievo,
nelle aree protette rischia di compromettere un equilibrio che è
fondamentale. È per questo che io ho sostenuto con molta convinzione
l'operazione dell'Atlante dei prodotti tipici: perché sono sempre
stato convinto che l'ambiente si conserva se si conservano, in taluni casi,
anche le attività dell'uomo in quell'ambien te. Altrimenti disegnamo
spesso un quadretto che non c'è mai stato, se non nelle nostre fantasie.
Spesso i nostri territori, organizzati nei secoli dai nostri contadini,
sono stati le fonti ispiratrici di alcune delle più grandi opere
artistiche, proprio perché rappresentano di per sé un'armonia
straordinaria tra l'attività dell'uomo e la tutela della natura.
Voglio continuare a difendere la biodiversità che è fatta
anche dalla coltivazione dei prodotti tradizionali tipici delle nostre terre.
In questo senso mi pare ce ne sia abbastanza per dire di no alla coltivazione
degli OGM all'interno delle aree naturali protette, senza andare a perorare
altre cause. Chiudo scusandomi se vi ho portato via più tempo di
quello che mi ero ripromesso, ma occasioni come questa cerco di sfruttarle.
Io parto dalla convinzione, facendo una analisi realistica, che siamo ancora
una minoranza e ne approfitto per fare alleanze e per cercare di avere più
alleati possibili su un discorso che spero sia vincente. Da questo punto
di vista vi voglio dire ancora una ultima cosa. Questo discorso sarà
vincente se noi riusciremo a far comprendere che nella tutela della natura,
come anche voi avete detto - e per questo ho salutato con grande felicità
che Fazio nel suo discorso da Governatore della Banca d'Italia abbia detto
che "L'Italia ha nel patrimonio ambientale e culturale una sua straordinaria
ricchezza" - è necessario rendere evidente la trasformabilità
in termini di economia e di occupazione. E l'unica trasformabilità
che io vedrei possibile è quella in termini di sviluppo sostenibile.
Solo così, in un mondo in cui i termini "cultura" e "tutela"
sono purtroppo ancora in minoranza rispetto al termine "economia",
noi riusciremo probabilmente a passare in maggioranza. Io ci conto e ci
spero perché voglio uscire dai confini delle riserve indiane. Vorrei
caso mai che tutta l'Italia fosse un'area naturale protetta. Penso che per
alcuni versi, se sapremo farlo in modo intelligente ed articolato, proprio
lì dovremo andare. Certo, i livelli della tutela dovrebbero e potrebbero
essere diversi per rigidità, ma tutti insieme, grazie anche ad associazioni
come la vostra, potremmo finalmente salvaguardare questo straordinario patrimonio
che è il nostro Paese. * Ministro dell'ambiente.
* Ministro dell'ambiente
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