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Il concetto di parco, soprattutto in Italia, si è storicamente
radicato attraverso la contrapposizione, ed oggi il compromesso, tra due
concetti fondamentali: il parco ottocentesco, visto come grande giardino,
e il parco nazionale, istituito negli anni venti, per la conservazione della
flora e della fauna piuttosto che in considerazione delle esigenze della
popolazione residente e dell'impatto socioeconomico. Se il primo aspetto
esula dalla concezione moderna di contesto ecologico, in cui l'ambiente
dovrebbe essere inteso come la continuazione dell'ecosistema senza pesanti
abbellimenti, il secondo vive sulle contraddizioni del postulato "conserviamo
tutto con una finalità protezionistica che ha portato alla sua mummificazione"
(1).
In Europa molte nazioni, la Francia su tutte, stanno cercando di migliorare
tali condizioni, attraverso l'istituzione di progetti guida che abbiano
come punto di partenza e fine il territorio storico e/o culturale attorno
a cui il parco nasce. L'istituzione di un'area protetta, avulsa dalla comunità
che vive al suo interno, è il problema principale che deve essere
affrontato una volta intrapresa la strada della progettazione in ambito
protezionistico. La legislazione italiana, soprattutto nelle ultime direttive,
ha puntato decisamente la sua attenzione sulla programmazione organica in
funzione della collettività e dell'aspetto economico. Il tema dello
sviluppo sostenibile, da alcuni anni, è considerato di fondamentale
importanza per la convivenza del parco con quelle zone definite umanizzate
per la forte presenza di comunità residenti che spesso hanno avuto
e creato problemi di non poco conto. Partendo dall'analisi delle potenzialità
dell'area protetta e dal concetto di turismo sostenibile, avendo comunque
ben fermi gli obiettivi di tutela obbligatori per un parco, si giunge necessariamente
alla conclusione che la valorizzazione delle emergenze, anche architettoniche,
possa essere espressa soltanto con una forma di turismo non alla moda o
elitario, ma legato al territorio, ricco di cultura e contenuti: la scelta
obbligata cade sull'ecomuseo. Questa è sicuramente l'idea più
funzionale e progettualmente ottimale per un'area protetta che abbia enormi
potenzialità e risorse inespresse. Tra le altre cose, l'ecomuseo,
infatti, permette la localizzazione e la rivalutazione dell'elemento rurale
rappresentato dalla cultura materiale del luogo, mai sradicato dal territorio
cui è figlio, ma legato a quel sapore e a quell'umore che lo ha visto
nascere. È inoltre in grado di incrementare la valorizzazione e lo
sfruttamento di quelle emergenze storicorurali altrimenti abbandonate al
proprio destino e preda di inutile degrado, trasformandole anche in una
fonte di sviluppo economico, e di sottolineare il protagonismo della popolazione
stessa nella gestione, allargando così i benefici a tutti i residenti.
Tali iniziative si basano sulla realizzazione di elementi museali mai fini
a se stessi e nati allo scopo di essere le tappe di un museo più
grande: il cosiddetto Museo del Territorio. È opportuno ora addentrarsi
nell'area di intervento vero e proprio: il Parco Naturale delle Capanne
di Marcarolo. Posto a cavallo dell'Appennino LigurePiemontese - in quella
zona storica che fu il cuore dell'Oltregiogo - incastonato tra il versante
costiero e la pianura alessandrina, traccia una linea immaginaria dividendo,
con i confini amministrativi, ciò che la storia e la cultura non
hanno mai diviso. Istituito dalla Regione Piemonte con la legge regionale
n. 52 del 31 agosto 1979 copre oggi una superficie di circa 8000 ettari.
La felice concomitanza delle particolari condizioni climatiche, geografiche
e, soprattutto, geomorfologiche rende l'area uno dei maggiori santuari naturalistici
italiani se si considera che un sesto della flora italiana è presente
in questa oasi appenninica.
Il piccolo mosaico di colture che caratterizza il sito si può così
brevemente riassumere: - Terreni non disboscati - la metà della superficie
totale - che sono utilizzati come bosco ceduo in quanto più facilmente
gestibile e lavorabile. Questa conversione ha mutato di molto l'aspetto
del bosco ed ha esposto il terreno e le giovani piante al vento e al gelo,
eliminando i pochi luoghi riparati alle specie più pregiate come
il faggio e il carpino bianco che hanno lasciato il posto alla roverella,
al sorbo e al carpino nero. - Boschi ridotti a cespuglieti. A causa della
forte pendenza e per l'esposizione, lande desolate e coperte da erica e
ginestra oppure foraggiere di poco valore hanno sostituito l'antico bosco.
- In terzo luogo vi sono i terreni da pascolo che furono disboscati nei
secoli per scopi agricoli e pastorali. La relativa omogeneità del
paesaggio e la seguente scarsa copertura vegetazionale, potrebbero far ritenere
che l'interesse botanico di questa area non sia affatto rilevante; in realtà,
come citano molti autori (2), tra le 1500 entità
botaniche localizzate all'interno del parco, più di 80 sono specie
da proteggere totalmente. A conferma di ciò si ricorda che l'area
è stata iscritta nell'elenco MAMB delle aree naturali protette al
n. 314 ed è anche stata proposta quale "sito di importanza comunitaria"
(3). Questi aspetti naturalistici e paesaggistici
vengono completati dagli importanti elementi di architettura rurale quali
cascine, mulini, neviere, ghiacciaie, arbeghi (gli essiccatoi per le castagne)
e dalle numerose emergenze storiche rappresentate da castelli, monasteri,
oratori, chiese che si sommano alle potenzialità inespresse. È
proprio l'ecomuseo che permetterebbe di vivere tale area come un'unica identità
legando così i due ambiti - quello storicoarchitettonico a quello
territorialenaturalistico - per la rinascita e la riscoperta dell'intero
territorio. Interventi analoghi - si citano le esperienze ecomuseali di
Brotonne e di Armorique - hanno dimostrato che questo risulta essere il
modo ottimale per incentivare benefici economici e creare posti di lavoro
attraverso iniziative che, in fondo, non sono altro se non la Riconversione
di aree dismesse risolvendo il problema del degrado ambientale con la restituzione
di aree e di manufatti all'intera comunità. Il metodo da attuare
è da ricercarsi nella reintegrazione di tutti quegli elementi architettonici,
oggi abbandonati, riutilizzandoli previo restauro conservativo. Dopo un
primo fondamentale studio di analisi delle emergenze esistenti, i passi
successivi sono l'individuazione di quei siti adatti ad ospitare i musei
o i punti d'informazione o di ricezione, il loro restauro conservativo e,
dove necessario, quello strutturale attenendosi fedelmente alle caratteristiche
tipologiche e ai materiali tipici dell'area. Al fine di attuare tali scopi,
il progetto proposto è l'Ecomuseo dell'Oltregiogo. L'ecomuseo vivrebbe,
quindi, su percorsi storici e paesaggistici lungo i quali si svilupperebbero
elementi di attrazione turistica - proprietà private di enorme valenza
storica come castelli e ville - supportati da punti di sosta, siti museali
dove il visitatore potrà interagire direttamente. Zoomando sullo
specifico è da sottolineare che l'Ecomuseo dell'Oltregiogo si potrebbe
sviluppare su due itinerari: la Via della Storia e della Devozione e la
Via delle Risorse Territoriali. L'itinerario denominato appunto la Via della
Storia e della Devozione nasce dall'esigenza di valorizzare, dando il giusto
risalto, le memorie storiche. Con la definizione di "memorie storiche",
è da precisare, s'intendono non solo costruzioni risalenti ai secoli
scorsi e luoghi di particolare suggestione legati all'evoluzione dell'Oltregiogo,
ma anche sentimenti, ricordi che fanno sì che tutto risulti amalgamato,
continuo, in grado di far fare un salto all'indietro nel tempo. In effetti
la sensazione di rivivere epoche passate coglie già, abbastanza di
sovente, coloro i quali attraversano le terre del Monferrato; castelli,
rocche, torri, chiese e monasteri risalenti addirittura al X secolo costituiscono
spunti estremamente interessanti per l'intelligente curiosità del
turista casuale. È proprio questa casualità, la mancanza di
guide o di supporti, anche sul territorio che possano far conoscere questo
stupendo patrimonio, e la sommaria indifferenza delle amministrazioni locali,
ha stimolato il desiderio di riscattare la storia stessa. Lavorando sempre
e solo sull'esistente si potrebbe riorganizzare il territorio dal punto
di vista della viabilità intervenendo sulla manutenzione delle strade
stesse, sulla segnaletica, comprendendo anche pannelli esplicativi relativi
alle varie emergenze, e sulla possibilità di creare percorsi didattici
completati da attività museali attualmente inesistenti. Fondamentali
sarebbero, infatti, i punti dedicati alla raccolta di oggetti, testimonianze,
piccoli tasselli di un mosaico che si estende nei secoli rendendoci complici
e, al tempo stesso, spettatori di un'interessante evoluzione storicoculturale.
Tra gli elementi museali legati all'ambito storico si individueranno il
Museo della Vita Cortigiana presso il Castello Spinola a San Cristoforo,
il Museo dell'Arte Sacra e della Devozione Popolare presso il Monastero
medioevale di San Remigio, nel Comune di Parodi Ligure e lungo il percorso
si troverà anche l'Auditorium localizzato presso l'Oratorio di San
Sebastiano a Voltaggio. La seconda traccia si svilupperebbe quasi interamente
all'interno dei confini del Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo ponendo
l'attenzione sul territorio e sul legame storico e culturale tra l'uomo,
il suo lavoro e l'ambiente circostante. Uno scrigno di cui si è persa
la chiave; questa può essere la definizione giusta per individuare
immediatamente il campo in analisi. L'itinerario della Via delle Risorse
Territoriali diventerebbe il mezzo di correlazione tra le potenzialità
presenti nell'ambito naturalistico ed il desiderio di riscoprirle, nella
loro integrità architettonica e funzionale. È in questa direzione
che nascerà la parte di ecomuseo più legata alla cultura rurale;
la necessità di non decontestualizzare importanti esempi di antropizzazione
protoindustriale, unita alla volontà di riportarli in vita vedendoli
nuovamente in funzione, sono lo stimolo e lo scopo principale del progetto.
Gli elementi cardine di questo percorso saranno, infatti, le cascine cinquecentesche,
immerse nelle colline e nei castagneti, messe in comunicazione da diversi
itinerari a cavallo o in mountain bike che renderanno la natura protagonista.
I punti museali sulla vita e sul lavoro contadino saranno ospitati in diverse
strutture all'interno del Comune di Bosio, scrupolosamente restaurate; alla
cascina Astore infatti, prenderà vita il Museo della Castagna, a
quella degli Alberghi il Museo della Vita Agreste, nei pressi della cascina
Nespolo sorgerà la Casa Museo mentre il complesso dei Foi vedrà
il Punto Informativo sull'eco museo e sul parco. Alcune fabbriche riaperte
mostreranno gli antichi mestieri e tra queste la Ghiacciaia di Sadù,
a Fraconalto, diverrà sede del Museo dell'Acqua legato allo sfruttamento
della risorsa idrica nell'economia rurale dell'area. La fortuna e la caratteristica
di questo ecomuseo potrebbe essere l'estrema facilità con la quale
ognuno potrà giungere ai diversi punti museali sistemati lungo il
percorso. Le due vie, transitabili in auto o in qualunque altro mezzo, si
svilupperanno infatti su circa 50 Km di strada carrabile più decine
di chilometri di circuiti paesaggistici, al crocevia dei quali troveranno
sede diversi punti di sosta completi di attrezzature ed arredo urbano. L'Ecomuseo
dell'Oltregiogo avrebbe come scopo prioritario quello di conservare e recuperare
gli ambienti storici ed architettonici, come già detto, ma l'elemento
caratterizzante dei due percorsi sarebbe quello di non dover essere inteso
dalla popolazione come un nuovo modo di porre veti e paletti. Per evitare
questo problema sarà necessario operare in modo da far procedere
di pari passo gli interventi museali e quelli economici, per dare immediato
impulso ad un'area che ha bisogno di sbocchi e di sviluppo. L'intervento
progettuale andrebbe perciò in due direzioni: recuperare e rivalutare
il Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo e sfruttare le potenzialità
storiche dell'Oltregiogo. Queste due grandi aree, unite e distinte, potrebbero
essere intese alla francese, con un'area parco più strettamente vincolata
e legata al rispetto dell'ambiente, ed un'area preparco dove alcune norme,
semplici ma necessarie, permetterebbero di controllare lo sviluppo di attività
economiche il cui recupero è necessario al parco stesso. L'area preparco
verrebbe individuata come propaggine storica dell'Oltregiogo, zona in cui
le vicende delle popolazioni dei borghi medioevali durante i secoli, trovano
ampio spazio nelle pagine dei libri. Non si ricorderanno certo tutte le
emergenze e le potenzialità storiche dell'area riguardanti sia il
Parco che l'Oltregiogo Genovese, ma è indubbio che tale patrimonio
vada recuperato. Tutto ciò convive nell'Ecomuseo dell'Oltregiogo
che permetterebbe di vincere il binomio più economia uguale meno
cultura.
La domanda, non tanto di aumento di reddito, quanto di benessere sociale
ed economico, è forte in tutta l'area sotto l'influenza del parco
e soprattutto in quella zona più fortemente popolata definita, in
Francia, Zone Peripherique. L'ecomuseo è un progetto pratico che
permette di pianificare uno sviluppo economicoterritoriale nell'arco di
alcuni anni, ma capace di trarre i frutti dell'intervento in pochissimo
tempo, all'atto dell'apertura dei primi punti museali e di sosta dei diversi
percorsi. Essendo strumento vivo ed aperto alle iniziative, non potrebbe
far altro che crescere ed ampliarsi, riuscendo sempre a svilupparsi su se
stesso, poiché molte delle entrate derivanti dall'apertura dei primi
luoghi museali, dovrebbero essere reinvestite nella struttura per permettere,
a quest'ultima, di incentivare l'iniziale strada progettuale, riuscendo
anche ad ottenere un notevole risparmio sui finanziamenti necessari (effetto
a cascata). L'aspetto positivo di questa iniziativa è che tale fonte
economica e culturale può essere intesa come elemento didattico:
l'Ecomuseo è, infatti, uno strumento messo a disposizione della comunità
per trasmettere la propria cultura e le proprie radici a tutti coloro i
quali fossero interessati a scavare nel proprio passato per comprendere
gli sforzi dell'uomo ed i passi compiuti alla ricerca di un benessere che,
fino al secolo scorso, coincideva con la parola sopravvivenza. Riconoscere
una identità culturale e trasmetterla può anche essere il
modo per riunire sotto uno stesso scopo, popolazioni ed amministrazioni
segnate da contrasti, a volte anche accesi, che potrebbero sfruttare questa
iniziativa alla luce di una unità sociale che caratterizzò
gli uomini e le donne che, fino a pochi decenni fa, combattevano cause ben
più importanti di quelle piccole beghe di confine che oggi minano
i rapporti della convivenza vicinale.
*/** Collaboratori del Dipartimento "Polis" dell'Università
di Genova, Fac. di Architettura
Il Dott. Burlando ha curato la parte teorica, la Dott.ssa Baldasso quella
progettuale
Note
- (1) FABBRI P., Le risorse del territorio attraverso le analisi fisiografiche,
Alessandria 1978.
- (2) Tra tutti PIGNETTI S., Flora d'Italia, 1982.
- (3) Ai sensi dell'art. 4 della direttiva CEE 92/93 "Habitat".
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