PARCHI | |
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 33 - GIUGNO 2001 |
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LA MANUTENZIONE DEL TERRITORIO SI SPERIMENTA NEI PARCHI Un documento dei parchi del Po |
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TORINO - 9 MARZO 2001 Innanzitutto una piccola doverosa premessa, che si ricollega a quanto già espresso nel documento presentato dai Parchi in occasione della 2^ Conferenza sul Piano di Bacino del Fiume Po (Torino, 23.aprile.98), per riaffermare la necessità inderogabile di una reimpostazione del rapporto tra l'Autorità di Bacino del Po e gli enti di gestione delle aree protette, soprattutto in funzione di un maggiore raccordo operativo sulle strategie di intervento. Nei documenti finora prodotti dall'Autorità di Bacino, infatti, il ruolo delle aree protette non risulta quasi mai tenuto nella considerazione che merita, con riferimento alla gestione ed al controllo del territorio, sottovalutando in tal modo la funzione dei parchi come laboratorio in cui sperimentare concretamente, e fin da subito, nuovi modelli culturali e nuovi approcci alla pianificazione e gestione territoriale, più rispettosi degli equilibri naturali. Se prendiamo in esame gli obiettivi generali del P.A.I. riscontriamo molto probabilmente una grande coerenza con le strategie pianificatorie e gli obiettivi gestionali dei parchi, salvo poi purtroppo dover constatare che nello stesso documento emergono ancora residui delle filosofie di intervento indirizzate prevalentemente al tentativo di controllare e limitare il più possibile i dinamismi naturali. I parchi fluviali sostengono da tempo che la sicurezza delle popolazioni rivierasche passa attraverso una rilettura critica delle opere esistenti ed una loro razionalizzazione, in funzione di una maggior naturalità del territorio, per restituire quegli spazi di allagamento, irresponsabilmente sottratti alle golene, così indispensabili per una corretta gestione dei corsi d'acqua. L'esperienza ci mostra che un territorio caratterizzato da un elevato grado di naturalità costituisce un sistema dotato al suo interno di una serie di "infrastrutture" naturali in grado di garantire nel contempo la sicurezza e la gestione sostenibile delle risorse territoriali. L'alterazione di queste "infrastrutture", rappresentate dalla ricca serie degli ecosistemi fluviali, ha determinato la necessità di attuare una serie di nuove opere di artificializzazione, alle quali si sono nel tempo estese ulteriori, e spesso ingiustificate, azioni di antropizzazione dei corsi d'acqua. Pertanto, a fianco delle necessarie opere di difesa di manufatti strategici e di attività per le quali non sia praticabile la rilocalizzazione, l'approccio progettuale in grado di garantire il maggior grado di sicurezza e di abbattimento dei danni, è quello che pone in primo piano il mantenimento e l'estensione della naturalità delle fasce fluviali. Ne consegue la contestuale revisione del concetto di manutenzione, non più da riferire solo alle opere ma da estendere a tutto il territorio. In tal senso sono da intendere come attività di manutenzione non solo quelle atte a garantire la funzionalità di un'opera "artificiale", ma anche e prioritariamente tutte le azioni volte al mantenimento dell'ecosistema, nonché gli interventi di rinaturazione ovvero di ripristino di un ecosistema o di parte di esso. Questa svolta è di carattere più culturale che tecnico ma, tuttavia, dev'essere ancora realmente e totalmente acquisita: tuttora, nella prassi quotidiana come nell'approccio progettuale, i problemi ecologici sono visti come semplice inserimento ambientale e minimizzazione d'impatto delle opere. In sintesi, il nuovo ruolo che la rinaturazione assume nel quadro della gestione del territorio e delle sue attività manutentive, determina contestualmente una radicale trasformazione del concetto di "vincolo": vincolare la progettazione e le attività di manutenzione al rispetto degli equilibri naturali e della funzionalità degli ecosistemi, significa aumentare il grado di sicurezza del territorio e delle comunità che in esso vivono. La trasformazione culturale di fronte alla quale ci troviamo consiste quindi nel rendere il "vincolo" sinonimo di "sicurezza", e nell'abbattere finalmente i preconcetti che per troppo tempo hanno ostruito la strada all'approccio ed alle tecniche della progettazione ecologica. Per riuscirci è indispensabile però accettare il concetto di "limite" (nell'occupare il territorio), fondamento irrinunciabile di una corretta strategia pianificatoria a scala di bacino, in cui i corsi d'acqua siano visti come sistemi complessi e vitali in continua trasformazione - da rispettare il più possibile per non rovinarne i delicati equilibri naturali e quindi usufruire dei conseguenti vantaggi in termini di autodepurazione, conservazione della biodiversità, tutela delle falde, riduzione dei rischi di piena, ecc. - ed i boschi spontanei siano considerati come realtà composite governati da dinamiche ben precise, differenti da un luogo all'altro, in grado di autosostenersi nella maggior parte dei casi. In questo contesto assume un preciso significato funzionale la proposta dell'Unione Europea (Direttiva 92/43/CEE detta "Habitat") di interrompere il processo di artificializzazione del paesaggio mediante la ricostruzione di una rete continua d'aree seminaturali e naturali che interessi tutto il territorio dell'Unione. Ciò può verificarsi solo attraverso la pianificazione e la creazione di una "rete ecologica", che sappia connettere tra loro aree e spazi di rilevante valore biologico ora separati, a cui possiamo riconoscere almeno quattro funzioni fondamentali: - Rete ecologica come sistema di conservazione di specie animali e vegetali minacciate; - Rete ecologica intesa come sistema interconnesso di habitat definito allo scopo di salvaguardare la biodiversita'; - Rete ecologica intesa come sistema di unità di paesaggio, realizzata a supporto prioritario di fruizioni percettive e ricreative; - Rete ecologica intesa come sistema ecologico funzionale polivalente, realizzata a supporto di uno sviluppo sostenibile. In quest'ultimo caso la rete ecologica si fonda sul presupposto che uno degli elementi di insostenibilità dell'attuale modello di sviluppo sia stata la rottura del rapporto tra l'ecosistema (con i suoi flussi di energia e di materia vivente) ed il territorio (inteso in modo riduttivo solo come risorsa da sfruttare in funzione unica delle esigenze produttive). Tale rottura non ha comportato solo perdite sostanziali di biodiversità ma anche un aumento ingiustificato dei rischi idrogeologici, perdite indebite di funzioni primarie (tamponamento dei microclimi, autodepurazione, ricarica delle falde, controllo intrinseco degli organismi nocivi ed infestanti, produzione di ossigeno ecc). Si tratta ora di puntare ad un nuovo scenario ecosistemico in cui siano riacquisite le funzioni perdute, che possono trovare riscontro in una "Rete padana delle aree ecologiche fluviali", che proprio nelle aree protette potrebbe trovare luoghi privilegiati di avvio. La geometria della rete dovrà via via inserirsi in un sistema di aree naturali tra loro collegate e coordinate. La scala di questo tipo di rete è a livello di bacino idrografico, quale parte di un sistema nazionale ed elemento di connessione tra il sistema di rete alpino e quello appenninico. Ecco quindi che si evidenzia una volta di più il ruolo esemplificativo, sperimentale, dimostrativo e trainante dei parchi, in quanto enti territoriali sovracomunali nei quali esistono una serie di opportunità per realizzare fin da subito alcune operazioni particolarmente importanti, ad iniziare dalle aree demaniali. Soprattutto lì vi sono gli estremi per attuare forme sperimentali di gestione diretta, e/o di supporto rispetto ad interventi demandati ad eventuali concessionari privati, coinvolgendo principalmente gli agricoltori già operanti in loco, con l'obiettivo di perseguire le finalità dettate dal P.A.I., in particolar modo rivolte al miglioramento della naturalità e ad una corretta e costante opera di conservazione dell'ecosistema, in funzione sia della difesa del suolo che della sicurezza. Il concetto di manutenzione qui esposto fa emergere una serie di problematiche connesse alle azioni concrete di intervento periodico sul territorio, da affrontarsi con le adeguate modalità anche in materia di aggiudicazione dei lavori. E' necessaria però un'azione convinta e decisa che cominci innanzitutto a far chiarezza sulla situazione patrimoniale di molte aree ancora oggi in bilico tra il patrimonio pubblico e quello privato, perché in attesa di una definizione delle pratiche di accolonnamento, da anni o addirittura da decenni. Questo stato di cose, sintomo evidente di un disinteresse diffuso verso la cosa pubblica, ha senz'altro favorito in modo clamoroso l'utilizzo abusivo dei terreni demaniali, agevolato anche dalla mancanza di censimenti volti a costituire un catasto aggiornato con cui confrontarsi e tramite cui controllare le trasformazioni dei luoghi. Principalmente all'interno delle aree protette vi sono le condizioni per invertire la tendenza descritta e per verificare nel concreto un nuovo approccio gestionale; occorre però poter disporre degli strumenti operativi e di un minimo di risorse assolutamente indispensabili, tramite cui creare anche nuove opportunità occupazionali. Se alle dichiarazioni seguiranno i fatti, dovranno essere destinate alla manutenzione ordinaria adeguate risorse economiche che per le fasce fluviali di pianura, ma anche per i versanti collinari e montani, significano stanziamenti per la riconversione di alcuni terreni agricoli (magari già oggi abbandonati o in via di abbandono, perché non ripristinabili dopo un'alluvione, o marginali dal punto di vista produttivo) ed il miglioramento qualitativo di aree boscate di recente colonizzazione, con conseguente aumento dell'efficacia dell'azione meccanica di consolidamento del suolo e di trattenuta delle acque piovane, nonché d'incremento della scabrezza del corso d'acqua, con conseguente riduzione dei picchi di piena. In sintesi gli interventi di manutenzione ordinaria, da intendersi come governo del territorio e dell'ambiente basato sulle azioni di tutela e di prevenzione volte a mantenere le capacità naturali di autodifesa e di autoprotezione del territorio stesso, per essere coerenti con i principi già espressi nel P.A.I. e nel Programma di rilancio degli interventi di manutenzione approvato dall'Autorità di bacino (ma anche in altri documenti della stessa autorità) dovrebbero prevedere: - una nuova impostazione delle schede predisposte per il rilevamento delle criticità, non solo da riferire ai corsi d'acqua ma a tutte le fasce fluviali ed anche ai versanti; - un'analisi critica delle opere esistenti per valutarne il ruolo attuale; - un'attenzione particolare agli interventi sui versanti, finalizzati ad aumentarne la capacità di assorbimento delle acque piovane; - la riconversione di terreni agricoli (attivando forme di incentivazione economica), con priorità nei confronti delle aree marginali dal punto di vista produttivo e più soggette a fenomeni di dissesto, per orientarli verso la destinazione originaria (o comunque più compatibile con l'assetto territoriale), in genere da intendersi come riforestazione; - la gestione delle aree demaniali, soprattutto di quelle comprese in fascia A, indirizzata verso il ripristino, la riqualificazione e la tutela delle caratteristiche ambientali del territorio; - il riconoscimento pieno del ruolo dei parchi come soggetti a cui affidare, direttamente e senza oneri, il controllo delle aree demaniali (la cui conduzione, prevalentemente orientata in senso naturalistico sia magari anche affidata a terzi, che potrebbero essere gli stessi agricoltori locali), ovviamente per le superfici inserite all'interno dei confini di competenza; - l'applicazione dei nuovi criteri di gestione del territorio, più rispettosi degli equilibri naturali, innanzitutto all'interno delle aree protette e in sintonia con i piani dei parchi, così da sottolinearne la funzione di laboratorio sperimentale; - la formazione e l'aggiornamento professionale, specie per le modalità di esercizio delle attività produttive, della rinaturazione e del recupero possibile degli ecosistemi; - la riorganizzazione degli enti nazionali operanti sul territorio, conseguente al passaggio in tutto o in parte delle competenze dallo Stato alle Regioni, in seguito all'applicazione del Decreto Legislativo n. 112/98, da attuare rafforzando il collegamento interregionale ed il rapporto con l'attività di pianificazione dell'Autorità di bacino. Lo stesso Comitato di Consultazione dell'Autorità di bacino del Po, nel documento sulla manutenzione, si è espresso condividendo gli obiettivi generali espressi nel P.A.I., rispetto al fatto di garantire un livello di sicurezza adeguato, tramite il ripristino degli equilibri idrogeologici ed ambientali, da raggiungere anche attraverso decisioni di non intervento, assecondando processi spontanei di rinaturazione, laddove il riequilibrio morfologico o il dissesto in atto non costituiscano fattori di rischio per le popolazioni. La situazione patrimoniale delle fasce fluviali ed il ruolo attivo dei Parchi. I parchi, rispondendo alle proprie finalità istitutive, sono pronti ad operare attivamente nella manutenzione del territorio, anche promuovendo interventi di ricostituzione di ambiti naturali, la difesa e il miglioramento delle acque, lo sviluppo di un'agricoltura ecocompatibile, nonché partecipando alla realizzazione di piani e progetti di tutela ambientale predisposti ai sensi della legge 183/89. Il trasferimento concreto sul territorio delle indicazioni del P.A.I. e delle leggi istitutive dei parchi non può, ovviamente, prescindere dalla necessità di interloquire con i soggetti che, a vario titolo, detengono la proprietà o utilizzano i terreni golenali, a partire dal demanio, proprietario per eccellenza della porzione più prossima all'alveo attivo e dei bracci dismessi. Un impulso in questa direzione dovrebbe essere dato dal recente trasferimento del demanio dallo Stato alle Regioni, alle quali spetta ora il compito di individuare, al loro interno, le strutture più adatte per gestire queste aree in maniera consona al P.A.I., superando l'obsoleta visione dell'apparato finanziario statale, che non si è dimostrato in grado di adeguarsi alle necessità di un approccio gestionale multifunzionale. I parchi possono allora essere presenti in veste di concessionari, con riferimento alla previsione dell'art. 41 del Decreto Legislativo 11 maggio 1999, n.152; a loro volta, essi potrebbero sviluppare forme semplificate di affidamento dei lavori nei confronti dei soggetti presenti attivamente sul territorio. Ci si riferisce innanzitutto alle imprese agricole, in tutte quelle situazioni ove l'ambito fluviale, e sono parecchie nella realtà padana, è a stretto contatto con l'agricoltura. La collaborazione fra parchi ed agricoltori attuerebbe, fra l'altro, un fine importante delle aree protette, cioè quello di promuovere, valorizzare e qualificare l'attività agricola intesa come presidio del territorio. In modo particolare si tratta, in questo caso, sia di collaborazione finalizzata alla manutenzione delle sponde e delle aree golenali, sia di collaborazione finalizzata all'adozione di scelte colturali, in prossimità dell'ambito fluviale, rispettose delle caratteristiche naturali e delle condizioni idrobiologiche, in grado di contribuire alla ricostituzione di ecosistemi validi dal punto di vista della biodiversità e stabili dal punto di vista idrogeologico. In quest'ottica, i parchi si propongono come soggetti in grado di coordinare, di progettare, nel rispetto di linee programmatiche stabilite a scala di bacino (o di sottobacino), di svolgere funzioni di consulenza ed assistenza tecnica, ma anche come soggetti che possono gestire direttamente alcuni interventi. Gli affidamenti degli incarichi, nel campo della manutenzione, dovrebbero poter avvenire secondo forme e procedure semplificate sotto l'aspetto giuridico-amministrativo, ad esempio estendendo alle zone di pianura e di collina le possibilità di assegnazione già previste per le aziende agricole ubicate in territori montani, finalizzate alla sistemazione e manutenzione del territorio, ai sensi dell'art. 17, comma 1, della Legge n. 97/94. Tali affidamenti in deroga alle disposizioni di legge, dovrebbero poter essere effettuati soprattutto fuori dagli schemi della normativa in materia di lavori pubblici, in quanto aventi ad oggetto innanzitutto il ripristino ed il miglioramento di condizioni ambientali, senza essere finalizzati alla realizzazione di nuove opere o di modifiche sostanziali delle medesime. Dovrebbero quindi essere previste, anche nelle zone di pianura, forme di affidamento (ad esempio per importi entro i 30.000 euro/anno) disciplinate da convenzioni fra parchi ed aziende agricole o associazioni di categoria rappresentative in un certo ambito locale, che prevedano: - gli obiettivi da raggiungere (ad esempio miglioramento della funzionalità di tratti fluviali associato al ripristino della vegetazione spontanea adiacente ai corpi idrici e ad un riequilibrio idrobiologico); - le azioni da intraprendere (tra cui: gli interventi di taglio e di impianto della vegetazione arboreo-arbustiva, la scelta della coltivazione più appropriata dal punto di vista idraulico, come ad esempio l'incremento delle superfici a prato stabile polifita, gli interventi agronomici riguardanti le tecniche di coltivazione nelle aree sensibili, ad esempio la riduzione nell'uso dei presidi fitosanitari, ecc.); - le modalità di monitoraggio per la verifica dell'efficienza e, soprattutto, dell'efficacia delle azioni intraprese; - l'adozione di iniziative per l'informazione e l'educazione ambientale (ad esempio installazione di cartelli e bacheche, visite guidate per scuole con gli agricoltori sui luoghi di intervento ecc.). Superfici non trascurabili, all'interno delle fasce fluviali (ma talvolta anche su versanti collinari e montani) sono di proprietà comunale. Normalmente i comuni utilizzano queste aree a scopo produttivo, tramite la conduzione diretta o l'affitto a privati, ma di solito le scelte gestionali sono estemporanee, dettate dall'idea del momento e spinte innanzitutto da necessità di tipo finanziario; a ciò fanno eccezione pochissimi casi, di norma legati alla presenza di aree protette, nei quali sono in vigore piani di gestione forestale. Molte amministrazioni sono sensibili ad un uso più consono dei loro terreni, ma sono bloccate dalle esigenze del bilancio comunale. Le proprietà private costituite da terreni agricoli sono ambiti preferenziali per la promozione di una gestione forestale sostenibile e per l'applicazione delle misure agro-ambientali previste dai piani di sviluppo rurale. In questo caso il ruolo dei parchi può diventare riferimento trainante per le amministrazioni locali e gli operatori privati, finalizzato a promuovere azioni di manutenzione efficaci e costanti, ivi compresa un'assistenza tecnica che superi il controllo meramente burocratico. I grossi eventi alluvionali e le divagazioni dell'alveo attivo possono implicare l'erosione di suoli golenali e la conseguente perdita di terreni privati, innescando una serie infinita di contenziosi per gli indennizzi, con enormi difficoltà di ripristino della situazione pregressa, che comunque ricreerebbe le condizioni di partenza, in termini di rischio, talvolta accentuando ancora le probabilità di essere nuovamente danneggiati. Una soluzione equa, e definitiva, a questo problema potrebbe essere l'indennizzo pubblico (a titolo di esproprio) delle proprietà private compromesse. Tale azione, per altro non eccessivamente onerosa, renderebbe meno problematica, dal punto di vista sociale, l'attuazione delle scelte del P.A.I. e, soprattutto, costerebbe molto meno dei ripetuti indennizzi o, peggio, della costruzione di quelle opere volte a consolidare le sponde con massi o calcestruzzo. Per i terreni non ripristinabili a causa dell'azione modificativa operata dall'acqua si propone l'indennizzo totale, pari al valore d'esproprio, con conseguente trasferimento della proprietà al demanio. - Per i terreni privati ancora utilizzabili, in Fascia A, si propongono incentivi, tali da non comportare riduzione del reddito, finalizzati alla sostituzione degli utilizzi agricoli con utilizzi funzionali al miglioramento dell'assetto idraulico e geomorfologico, tramite la costituzione di boschi naturaliformi, arbusteti e/o praterie permanenti, anche per mezzo dell'attivazione dei contributi U.E. sullo sviluppo rurale. - Per i terreni privati ancora utilizzabili, in Fascia B, si propongono analoghi incentivi, estendendone però l'utilizzo anche per impianti di arboricoltura da legno a ciclo medio-lungo. Tali incentivi dovrebbero essere garantiti nel tempo, in quanto rientranti a tutti gli effetti tra le risorse da destinare alla manutenzione del territorio. Preme ribadire che una gestione oculata delle fasce fluviali porterebbe ad un notevole risparmio (o recupero) di denaro pubblico, com'è verificabile sperimentalmente proprio nelle aree protette, che sono già in grado di fornire indicazioni specifiche in merito all'orientamento di indennizzi e incentivi tramite cui evitare il ripetersi di danni sempre maggiori dopo ogni evento di piena ed anzi invertire la tendenza, sostenendo economicamente gli agricoltori che svolgano attività volte a garantire la difesa del suolo. Tra le sperimentazioni attuate da alcuni parchi, si sottolinea infine l'acquisizione gratuita al patrimonio pubblico di aree agricole golenali private da sottoporre a miglioramento ambientale, tramite l'estrazione controllata di inerti e la ricostruzione di zone umide laterali ai corsi d'acqua. Tale azione, allontanando definitivamente le attività produttive dall'alveo attivo, determina anche la riduzione dei potenziali danni economici. |
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