Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 33 - GIUGNO 2001


RETI ECOLOGICHE E CONTINUITÀ AMBIENTALE
I ruoli del biologo della conservazione e dell'ecologo
di Corrado Battisti*
  Il processo di frammentazione degli ambienti naturali per cause antropiche, costituisce una priorità di indagine nella biologia della conservazione per le sue conseguenze a tutti i livelli ecologici (Wilcox e Murphy, 1985, Wilcove et al., 1986). Recenti acquisizioni teoriche in ecologia e biogeografia hanno fornito un primo schema di riferimento concettuale ribadendo come, in contesti territoriali frammentati, una strategia basata esclusivamente sulla istituzione di aree protette non possa garantire la conservazione di popolazioni, ecosistemi e processi ecologici.
E' allora emersa la necessità di trasferire le acquisizioni scientifiche sull'argomento alle azioni pratiche di conservazione e pianificazione territoriale, pur se ciò presenta difficoltà per l'ampia gamma di differenze eco-etologiche tra le specie oggetto di indagine e per le diverse scale spaziali, temporali, ecologiche coinvolte (Haila, 1985, Opdam et al., 1994).
Da qui il dibattito sulla continuità ambientale che si è tradotto nello sviluppo di una settore specifico della pianificazione, le reti ecologiche, anche in accordo con le indicazioni espresse nelle Direttive comunitarie e nelle strategie pan-europee . Le figure dell'ecologo e del biologo della conservazione possono risultare strategiche in un ambito ove vengono interessati tutti i livelli di organizzazione ecologica: dai processi di dispersione individuale, alla struttura e dinamica di popolazione, dai parametri di comunità ai flussi ecosistemici di materia ed energia sino alla configurazione del paesaggio ed alla sua funzionalità.
Tuttavia la multidisciplinarietà che caratterizza tale argomento, se da un lato può favorire lo scambio culturale tra scienze naturali e di pianificazione può, dall'altro, generare equivoci, in assenza di concetti e terminologie ben definite, rendendo tale campo vulnerabile ad accuse di scarso tecnicismo e base scientifica (Boitani, 2000, Romano, 2000b). Inoltre, il carattere di "disciplina di crisi" (Soulè, 1986), che caratterizza la biologia della conservazione, e valido per questo tipo di pianificazione, può portare ad opinioni differenti nel condurre azioni, anche in seno alla stessa componente naturalistica. E' emersa, allora, la necessità di definire i concetti, chiarire gli obiettivi, individuare i possibili approcci e le problematiche. Seguono alcune considerazioni inerenti un iter concettuale preliminare, elaborato nell'ambito della Convenzione ANPA-Provincia di Roma "Monitoraggio delle reti ecologiche" (v. Battisti et al., 2000), per una ipotesi di pianificazione nel territorio provinciale, limitatamente agli aspetti ecologici e di conservazione riguardanti la fauna selvatica. Si vuole, con questo, fornire un contributo alla elaborazione di un processo logico utilizzabile dai tecnici, come compromesso tra la speditività richiesta in azioni di piano e i necessari tempi di analisi di un corretto approccio scientifico (v. Guidi, 2000).
Per impostare un iter metodologico che segua criteri ecologici e di conservazione sarà necessario definire, oltre al contesto di studio, le scale di indagine (spaziali e temporali), i target di pianificazione/conservazione (v. dopo), i livelli di organizzazione ecologica coinvolti.
Può essere utile effettuare un lavoro bibliografico nei settori naturalistico, di conservazione, di pianificazione territoriale, suddivisibili, a loro volta, per argomenti, al fine di impostare una traccia teorica, metodologica, applicativa cui riferirsi. Gli approcci indicati di seguito si rifanno, in parte, alle indicazioni fornite da Malcevschi (2000) e Reggiani (2000) riguardo alle differenti tipologie di rete ecologica.

Approccio strutturale.
Dati di campo, strumenti cartografici, aerofoto, immagini da satellite, permettono, anche attraverso una loro stratificazione (GIS), l'individuazione sul territorio delle unità ecosistemiche, del loro grado di isolamento e frammentazione, delle connessioni e discontinuità.
Ciò sarà utile per un inquadramento del fenomeno a livello territoriale-strutturale, propedeutico per l'impostazione delle fasi successive del lavoro. I dati di uso del suolo possono costituire una solida base di lavoro, almeno per analisi a determinate scale (v. anche Blasi, 1997).
L'ambito di riferimento deve essere soggetto ad una contestualizzazione naturalistico-territoriale, nonché storico-antropica, per valutare se le discontinuità osservate sono la risultante di un processo di frammentazione antropica passata o recente, oppure sono la conseguenza di naturali eterogeneità. Un'ipotesi metodologica relativa agli aspetti floristico-vegetazionali, non affrontati in questa sede, è indicata in Guidi (2000).

Approccio funzionale e dinamico.
Secondo l'IUCN (1999) tra le funzioni che una rete ecologica deve assolvere vi sono la conservazione degli ambienti naturali e la protezione delle specie di interesse conservazionistico, anche attraverso il mantenimento dei processi di dispersione e lo scambio genetico fra le popolazioni.
Il precedente approccio strutturale risulta fondamentale: le relazioni spaziali fra gli elementi del paesaggio influenzano i flussi di energia e materia e la dispersione di individui e propaguli (Gimona, 1998).
Tuttavia la mera individuazione cartografica di una continuità ambientale può non essere funzionale agli obiettivi di conservazione (Malcevschi, 1998, Gimona, 1999). Alcune specie possono mostrare, infatti, difficoltà a disperdersi lungo fasce di apparente continuità, effettiva ad una preliminare analisi territoriale ma solo presunta a livello funzionale (ad es., per problemi legati all'effetto margine: v. le interior species; Wilcove et al., 1986).
La connettività è, allora, determinata non solo da una componente strutturale, legata al contesto territoriale, ma anche da una funzionale eco-etologica, specie-specifica (Bennett cit. in Reggiani 2000).
La scelta della scala e la funzione connettiva o di barriera degli elementi territoriali sono quindi legati alle differenti caratteristiche eco-etologiche delle specie di volta in volta individuate (Harris e Silva-Lopez, 1992)
Eccezioni legate al comportamento di singole specie nei confronti del processo di frammentazione, della configurazione del mosaico paesaggistico, dell'uso specifico delle aree di connessione rendono difficile l'individuazione di regole generali.
Nell'impossibilità di conoscere l'autoecologia di ciascuna specie (soprattutto per ciò che concerne la risposta alla frammentazione) è opportuno scegliere allora quelle che possano servire da modello per un largo seguito di specie affini eco-etologicamente, in grado di dirigere le scelte del tecnico: si tratta, ovviamente, di una semplificazione operativa (Malcevschi, 2000, Reggiani, 2000).
Assume quindi un ruolo cardine l'individuazione dei soggetti su cui focalizzare l'attenzione.
Tale approccio è stato recentemente discusso (v. le target-species in Soulè, 1991 e Reggiani et al., 2000 e le focal species in Massa et al., 2000). La scelta di tali specie verrà effettuata sulla base di una check-list della fauna locale ricavabile da bibliografia, da atlanti qualora disponibili, da studi di campo.
Andrebbero scelte specie target differenti in relazione alle diverse categorie ambientali presenti nel contesto studiato, ciascuna rappresentativa di un gruppo affine ecologicamente, prescindendo da scelte emotive e soggettive.
Tali specie dovrebbero interessare scale diverse così da assolvere a funzioni eco-etologiche differenti (Gimona, 1999).
A questo proposito sono stati indicati criteri di ausilio nella scelta (v. anche Lindenmayer e Nix, 1993, Boitani e Ciucci, 1997):
- il criterio conservazionistico: dalle liste rosse nazionali e locali sarà possibile individuare specie (e popolazioni) inserite in diverse categorie di minaccia (v. Malcevschi, 1999).
Gli interventi di conservazione per queste specie presuppongono, in parte, proprio la risoluzione delle problematiche di isolamento ristabilendo una connettività tra gli habitat di loro elezione (v. Bulgarini et al., 1998);
- il criterio biogeografico, in parte ricompreso in quello precedente, può essere utile per completare la lista delle potenziali specie- obiettivo (es. disgiunzioni rispetto all'areale principale, specie relitte, ecc.);
- il criterio ecologico: in relazione alle esigenze ecologiche ed alla ampiezza di nicchia potranno essere individuate specie che, benchè relativamente diffuse e comuni (quindi non rientranti nelle liste ottenute con i precedenti criteri), presentano una vulnerabilità alla frammentazione ambientale.
Specie comuni possono, oltretutto, svolgere un ruolo chiave nella funzionalità dei sistemi ecologici (Soulè, 1986). Indicazioni utili alla scelta sono rinvenibili nella letteratura scientifica in lavori che affrontano gli aspetti legati alla dispersione, alla vulnerabilità all'isolamento e alla frammentazione.

In assenza di dati bibliografici sulla sensibilità alla frammentazione, in contesti specifici, possono essere, infine, previsti studi ad hoc (v. Massa, 2000).
E' anche possibile individuare specie viceversa favorite dai processi antropici: le specie introdotte volontariamente o involontariamente (per le quali è prioritario il controllo, anziché la conservazione, dei processi di dispersione; v., ad es., Amori e Lapini, 1997), quelle legate alla gestione venatoria, quelle antropofile con problematiche di controllo demografico.
Oltre che a livello di popolazioni/specie possono essere previsti approcci in cui i target siano livelli superiori di organizzazione ecologica (es.: biocenosi; Bologna e Contoli, com. pers.).
L'uso dei dati distributivi ed ecologici della vertebratofauna, disponibili e informatizzati a scala nazionale (Ministero dell'Ambiente, 1993), può essere finalizzato ad analisi complessive in grado di fornire indicazioni per la pianificazione (individuazione di pattern di ricchezza specifica e di aree critiche, valutazione del grado di efficacia delle aree protette rispetto agli obiettivi di conservazione e Gap analysis; v. Arceri et al., 2000 per una preliminare applicazione).
La stratificazione dei dati strutturali-territoriali ed ecologico-funzionali con quelli inerenti le diverse forme di antropizzazione può facilitare il riconoscimento dei punti di conflitto costituendo un necessario passo per adottare le successive scelte tecnico-progettuali (Malcevschi, com. pers.).

Approccio gestionale.
Secondo questo approccio le aree naturali protette o con specifiche tipologie di vincolo 10 verrebbero a rappresentare i nodi della rete, differentemente da una lettura strutturale e funzionale ove i nodi erano, rispettivamente, le unità ecosi-stemiche e le popolazioni di specie target.
Tuttavia, in un recente dibattito, è emersa la necessità di non confondere la "rete di aree protette" con una "rete di ambienti naturali" (Boitani, 2000, Moschini, 2000). Benché talvolta coincidenti, i due approcci sono concettualmente indipendenti e andrebbero tenuti distinti: la perimetrazione delle aree protette è la risultante di un procedimento di istituzione che, nonostante si basi su indicazioni di tipo conservazionistico, di fatto e per alcuni contesti, può seguire criteri di individuazione e perimetrazione politico-amministrativi.
L'efficacia ecologica di una rete di aree vincolate può essere allora garantita solo attraverso una sua rilettura funzionale (v. sopra).
Questa permetterà di rilevare incongruenze, pianificando azioni specifiche in grado di seguire gli obiettivi di conservazione prefissati.

*Naturalista-Servizio pianificazione ambientale, svilupo parchi, riserve naturali-Provincia di Roma