PARCHI | |
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 33 - GIUGNO 2001 |
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COSTE ITALIANE PROTETTE di Giulio Ielardi |
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Toscana, parco di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli: la spiaggia della più grande pianura allagata della costa regionale, quella delle Lame - cinquecento ettari praticamente senz'alberi, duecentocinquanta le specie di uccelli che la frequentano - cede ai marosi qualcosa come venti metri all'anno. Venti metri, avete letto bene. Sicilia, riserva marina di prossima istituzione delle Eolie: grazie al turismo ogni estate la popolazione dell'arcipelago si quintuplica, squassando i preziosissimi, fragili e già provati equilibri naturali isolani. Italia, indagine sull'occupazione dei suoli costieri: le aree libere da asfalto e cemento non per cinquanta chilometri di fila, ma solo per venti, su settemila e passa del totale nazionale sono appena sei. Non solo da numeri così, ma poi dalla esperienza di ciascuno vien da pensare che se c'è un sistema ambientale sul punto del non ritorno, in Italia, è quello delle coste. E che se ha un senso fare una classifica dei progetti di area vasta da varare, CIP probabilmente è tra i più urgenti. Erosione, pressione turistica, urbanizzazione sono i punti caldi di un incontro tra le attività umane e l'ambiente naturale mai così rovinoso. Un degrado esploso in tutta la sua gravità, e su scala mondiale, negli ultimi decenni. Nel nostro Paese, ricco di coste ma povero di coste protette, l'attenzione al riguardo dovrebbe essere particolare. Dovrebbe. Che siano invece i parchi a lanciare un progetto nazionale non è il migliore dei segnali, ma tant'è. Con l'adesione al progetto di Federparchi (con l'appoggio di Legambiente) da parte della prima Regione, le Marche, può essere giunto il tempo degli ulteriori avalli istituzionali senza cui non si va da nessuna parte. Ma qui occorrono spalle ben larghe, oltre che vista lunga. E' attesa per il prossimo maggio, infatti, la messa a punto di una decisa strategia sulla gestione integrata delle zone costiere da parte dell'Ue. Quella strategia è la strategia di CIP. Oltre a sintonizzarsi alla perfezione con le indicazioni di Bruxelles, CIP è pure in linea con i contenuti della legge 426/98 e la sua innovativa visione della politica di tutela ambientale per sistemi territoriali, ormai abbastanza matura per trovare le prime applicazioni. Ed ora che i parchi appenninici iniziano a vedere i primi finanziamenti aggiuntivi grazie al progetto APE (e che per la Convenzione delle Alpi pure si nuove qualcosa), i parchi costieri attendono dal ministero dell'Ambiente e dalle Regioni - secondo gli animatori di CIP - una considerazione analoga. Qualcosa in più, cioè, di una semplice citazione all'interno della nuova Relazione sullo stato dell'ambiente. L'avranno ? CIP sta per Coste Italiane Protette ed è il nome di un progetto a carattere nazionale, nato e voluto dai parchi. L'idea è partita dal parco marchigiano del Conero, già nel 1996 (allora si chiamava "progetto PACE"), ed ha un obiettivo semplice ma da far tremare i polsi: immettere nelle scelte politiche e programmatiche delle istituzioni che a diverso titolo governano le aree costiere, tanto centrali che decentrate, nuovi contenuti e obiettivi ispirati alle finalità generali delle aree protette oggi. Insomma, basta starsene a guardare dietro i cartelli di confine dei parchi il degrado che avanza. Anche lungo le coste del Bel Paese, i parchi vogliono diffondere "Non è di mia competenza". L 'Italia comincia così,con la più italiana delle frasi, pochi metri dopo la frontiera di Ponte San Ludovico,che divide Mentone dai primi lembi di Liguria Di chi sarà mai la competenza ?Di chi la responsabilità di tutto ? Dello scempio edilizio,dell 'inquinamento,dei prezzi alle stelle,della privatizzazione selvaggia delle spiagge,del cinismo predatorio con cui l 'uomo si accosta alla natura ?E come farà,nonostante tutto,questo paese di gentili e fantasiosi incompetenti a reggere l 'onda di decine di milioni di turisti,senza per giunta disgustarli più di tanto dal momento che l 'anno seguente tornano quasi tutti? oltre i loro perimetri le buone pratiche della tutela del paesaggio, della difesa della biodiversità, della valorizzazione del patrimonio culturale e di quello agro-alimentare e artigianale, dei nuovi indirizzi alle economie locali, dello sviluppo sostenibile. E nonostante il problema, come s'è detto, abbia dimensioni planetarie, ciò è soprattutto doveroso in Italia dove proprio i litorali sono divenuti celebri nel mondo per l'armoniosa integrazione dei paesaggi naturali e antropici. Da dove cominciare? Secondo CIP, dal rilancio della pianificazione territoriale e dalla gestione integrata delle zone costiere, coinvolgendo tutti i soggetti interessati. Tale processo non deve limitarsi ai cittadini e alle istituzioni presenti nella ristretta fascia costiera, poiché molte delle difficoltà di tali zone possono essere risolte soltanto attraverso un approccio che vede il coinvolgimento dei soggetti residenti in altre zone del medesimo bacino idrografico o nell'hinterland. Ad esempio, il problema dell'eutrofizzazione nelle zone costiere va affrontato in collaborazione con coloro che utilizzano o producono i fertilizzanti azotati che finiscono per inquinare le coste. Analogamente, la soluzione dei problemi legati alla forte affluenza di turisti sulla costa può comprendere la promozione di forme di turismo diversificate che prevedano anche il coinvolgimento dell'entroterra. Una via indicata dall 'Europa Un'isola vastissima, con una costa che si estende per 89.000 km. Così può esser vista l'Unione europea, i cui Stati membri - con l'eccezione del Lussemburgo e dell'Austria -sono tutti costieri. Un'isola dove gli abitanti risiedono nella metà dei casi nel raggio di 50 km dalla costa (dati Ue). Negli ultimi anni l'attenzione verso la tutela dei territori costieri è andata crescendo, di pari passo con la compromissione degli originari assetti naturali e con la definizione degli orientamenti internazionali, ad iniziare dal Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (Unep) e dall'Agenda 21, elaborata in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992. Nel '76 a Barcellona viene predisposta la Convenzione per la protezione del Mediterraneo, ratificata da tutti i Paesi rivieraschi (nel '79 dall'Italia) e significativamente ridenominata nel '95 Convenzione per la protezione dell'ambiente marino e delle aree costiere del Mediterraneo. Essa si concretizza in un Piano di azione per il Mediterraneo e in una serie di protocolli, tra cui il Protocollo per la protezione del Mediterraneo dall'inquinamento da fonti terrestri (firmato ad Atene nell'80, ratificato dall'Italia nell'85). Secondo le stime delle Nazioni Unite, infatti, l'inquinamento del Mare nostrum deriva all'80% proprio da fonti terrestri. Una gestione territoriale attenta ai valori ambientali anche delle aree costiere è supportata in varie forme dall'Ue, ad esempio mediante il programma finanziario Life Natura. Negli ultimi anni, così, sono state co-finanziate iniziative di salvaguardia e/o ripristino ambientale di ambienti costieri -fuori o dentro aree protette - proposte dai rispettivi enti gestori ma anche da enti locali e associazioni. Alcuni esempi, tra i tanti: controllo dell'accesso alle grotte della costa degli Infreschi nel parco del Cilento (Life '99, progetto presentato dal Wwf), gestione degli habitat palustri e dunali del parco dell'Uccellina (Life '98, progetto presentato dall'Ente parco), conservazione delle leccete sul promontorio del parco del Conero (Life '98, progetto presentato dall'Ente parco), tutela delle dune di Piscinas e del monte Arcuentu (Life '97, progetto presentato dalla Provincia di Cagliari), etc. Anche la rete Natura 2000, in via di costituzione, fa la sua parte. Infatti, oltre il 30% delle sole zone di protezione speciale (ZPS) designate nei Paesi dell'Ue ai sensi della direttiva sulla conservazione degli uccelli selvatici (79/409/CEE) si trova lungo il litorale. Ma un'attenzione ancora più mirata alle questioni costiere si è espressa a livello comunitario con uno strumento diverso. In risposta a una sollecitazione del Consiglio europeo dei ministri dell'Ambiente del 1992, la Commissione europea ha approntato uno specifico programma dimostrativo sulla gestione integrata delle zone costiere (GIZC). Il programma ha preso in esame i numerosi problemi biologici, fisici e antropici che tali zone si trovano attualmente ad affrontare e la loro interdipendenza. Le cause di tali problemi possono essere ricondotte, in estrema sintesi, alla mancanza di conoscenze, a leggi inadeguate e non coordinate, all'assenza di coinvolgimento delle parti interessate e di coordinamento tra gli organismi amministrativi competenti. La Commissione definisce la GIZC come un processo dinamico e continuo volto a promuovere l'assetto sostenibile delle zone costiere, "nel lungo periodo ed entro i limiti imposti dalle dinamiche naturali e dalla capacità ricettiva delle zone in questione". Il termine integrata sta a specificare sia la necessità dell'integrazione "di tutte le politiche, i settori e i livelli dell'amministrazione pertinenti nonché quella delle componenti terrestre e marina del territorio interessato". Quindi, sulla base delle conclusioni del programma dimostrativo, la Commissione ha recentemente proposto una strategia europea. Una proposta di Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del settembre 2000 prevede da parte dei singoli Stati, a due anni dalla sua adozione, una valutazione a livello nazionale e lo sviluppo di una successiva strategia (che includa ad es. l'introduzione di incentivi economici e fiscali, la definizione dei ruoli dei diversi soggetti amministrativi, la realizzazione di programmi di formazione, etc.) per applicare i principi della GIZC. Consiglio e Parlamento europeo devono ora esaminare tale proposta di Raccomandazione e decidere se adottarla o meno. Al Parlamento di Bruxelles attualmente è al vaglio della commissione Ambiente, che valuterà pure la relativa posizione delle commissioni Pesca e Politica regionale, trasporti e turismo. Il verdetto finale è atteso per maggio. In seno al Consiglio il dossier verrà invece esaminato dal Gruppo Ambiente. E per il giudizio di entrambi rivestiranno notevole importanza pure le valutazioni espresse dal Comitato delle Regioni e da quello Socio-Economico. A livello internazionale anche la stessa Wcpa, la Commissione aree protette dell'Iucn, ha recentemente presentato un programma strategico 1999-2002 sul mare, centrato tra l'altro sulla gestione integrata costiera con particolare enfasi sul ruolo delle aree protette marine quali sistemi esemplari di gestione integrata e partecipata. Inoltre a gennaio è stato presentato dalla Commissione europea di Romano Prodi e Margot Wallström (la responsabile per l'Ambiente) il VI Programma d'azione per il decennio 2000-2010. Accusato dai verdi europei di eccessiva prudenza e genericità, riguardo a protezione della natura e biodiversità il programma mette tra gli approcci strategici per raggiungere l'obiettivo dello sviluppo sostenibile appunto la GIZC e relative raccomandazioni proposte dalla Commissione. Anche qui la definitiva discussione e approvazione da parte del Parlamento di Bruxelles verrà presa solo a maggio. Tra stato e regioni c 'é di mezzo il mare Intanto la legge n.431 dell'85, meglio nota come "legge Galasso", pone il vincolo paesaggistico lungo tutte le coste fino a una distanza di 300 metri dalla battigia. Quanto alla tutela attiva delle coste e del mare, com'è noto, le due principali norme sono la legge sulla difesa del mare (979/82) e la legge quadro sulle aree protette (394/91). Anche dopo il riordino delle competenze istituzionali e il relativo decentramento amministrativo coi "provvedimenti Bassanini", conservazione e valorizzazione delle aree naturali protette marine restano affidate allo Stato. Alle Regioni viene invece conferito - pur se non in esclusiva - il compito di protezione delle zone costiere, nonché, insieme agli Enti locali, la funzione di programmazione, pianificazione e gestione integrata degli interventi di difesa delle coste. Va comunque ricordato, purtroppo, come nella passata inefficacia delle azioni di tutela del mare e della costa la burocrazia, i conflitti di competenza tra le pubbliche amministrazioni e un anacronistico centralismo abbiano avuto un ruolo non secondario. Recentissimo esempio di ciò è rappresentato dalla legge di ratifica dell'accordo Italia-Francia- Principato di Monaco (è del 25 novembre 1999) relativo all'istituzione del cosiddetto Santuario dei cetacei, approvata dalla Camera a marzo e al momento in cui scriviamo in attesa di essere approvata dal Senato prima del suo scioglimento. Per la definizione delle misure nazionali da prendere e di quelle internazionali da proporre, essa prevede un "comitato di pilotaggio" composto da un rappresentante dei ministeri dell'Ambiente, delle Politiche agricole e dei Trasporti. In più, si aggiungono con funzioni consultive tre rappresentanti delle associazioni ambientaliste, ma non delle Regioni interessate e tantomeno dei ben quattro parchi nazionali coinvolti (Arcipelago toscano, Asinara, Cinque Terre e La Maddalena). Tra le Regioni, l'unica ad avere elaborato un vero e proprio piano territoriale di coordinamento della costa è la Liguria - e di contenuti simili è il redigendo piano della Provincia di Venezia. La Sardegna ha realizzato un piano di gestione del demanio marittimo. Altre Regioni hanno realizzato piani più specifici e settoriali, riguardanti i porti o altri singoli aspetti di gestione o tutela del litorale, fra cui il Lazio, l'Emilia Romagna e la Toscana. Quest'ultima, a riprova di un interesse niente affatto marginale delle amministrazioni locali sul tema, di recente ha organizzato la prima Conferenza regionale sull'Economia del Mare (tenutasi a Livorno), preceduta da ben cinque seminari tematici preparatori. In uno di questi, dedicato alla "Gestione integrata delle zone costiere e tutela dell'ambiente marino in Toscana", l'allora responsabile dell'Ufficio regionale parchi Antonello Nuzzo ha sottolineato la preoccupante demarcazione tra terra e mare in materia di protezione ambientale, suggerendo tra l'altro un'integrazione del progetto Bioitaly per l'individuazione delle risorse da tutelare a mare. A livello nazionale, lo strumento programmatore principale per la tutela del mare e delle coste è il Piano generale per la difesa del mare e delle coste marine dall'inquinamento e di tutela dell'ambiente marino, previsto già dalla legge 979/82 ma ancora in via di elaborazione. Un primo schema era stato predisposto dal ministero della Marina Mercantile nell'88, poi rielaborato nel '96 dal ministero dell'Ambiente, che nell'agosto del '99 ne ha infine affidato l'aggiornamento e l'integrazione all'Enea. Al riguardo il nostro istituto di ricerca ha pure siglato un recente accordo con la statunitense università del Delaware e il suo prestigioso Center for the study of marine policy, per un proficuo supporto tecnico-scientifico. Riguardante l'intero territorio nazionale, il Piano conterrà le linee guida per la pianificazione di competenza regionale, così come previsto dalle leggi Bassanini e dal decreto legislativo 112/98. Concretamente, esso conterrà criteri e metodi per lo sviluppo sostenibile delle aree costiere cui dovranno uniformarsi i diversi piani territoriali - piani paesaggistici, portuali, della pesca, dei parchi, etc. -dimensionando gli impegni di spesa. Inoltre, grazie ad una visione d'insieme sarà possibile intervenire laddove i confini amministrativi non coincidono con quelli fisiografici. Sviluppato in stretto collegamento con le Regioni, sarà portato all'approvazione della Conferenza Stato-Regioni entro il 2001 per passare poi al Cipe, che definirà la pianificazione finanziaria degli interventi prioritari entro il giugno del 2002. Un enorme patrimonio da proteggere e valorizzare E' l'aspetto più noto, su cui non pare qui opportuno soffermarsi più di tanto se non per fornire qualche numero riepilogativo. Il Mediterraneo rappresenta solo lo 0,8% della superficie dei mari del pianeta, e meno dello 0,25% in termini di volume, ma include circa il 7% della fauna e il 18% della flora marine mondiali. Delle specie che frequentano le sue acque, il 28% sono endemiche. Ma il suo patrimonio di biodiversità è ben lontano dall'essere conosciuto per intero. Negli ultimi centocinquanta anni, in relazione ad esempio ai soli vertebrati, il numero di specie descritte dalla scienza è quintuplicato (dati EEA, 2000). Sostiene un recente rapporto dell'EEA, l'Agenzia europea per l'ambiente (State and pressures of the marine and coastal Mediterranean environment, 2000), che "mancano ancora uno specifico, inter-Mediterraneo approccio al monitoraggio della biodiversità marina e l'identificazione dell'importanza dei fattori che minacciano l'attuale stato dell'ambiente". Il più caratteristico insieme di comunità viventi, ricchissimo di specie, è rappresentato dall'ecosistema della Posidonia oceanica, una pianta marina che cresce sui fondali alla profondità di 25-40 metri. Lungo le nostre coste è in corso la mappatura delle praterie di Posidonia - importantissime, inoltre, per la tutela degli arenili - nelle acque della Sardegna e della Sicilia come pure lo studio per l'individuazione delle misure più idonee alla sua salvaguardia, previsto dalla legge 426/98. Sopra il pelo dell'acqua, la costa offre altri ambienti caratterizzati da una biodiversità da primato. Basterà ricordare che circa un terzo delle zone umide dell'Unione europea si trova proprio lungo il litorale. Tuttavia, dei 700mila ettari di paludi costiere esistenti all'inizio del secolo in Italia ne restavano 192mila nel 1972 e meno di 100mila nel 1994. Le residue foreste costiere a sclerofille, le distese di macchia mediterranea, i cordoni dunali, le falesie rocciose, sono altrettanti serbatoi di varietà animale e vegetale. Quanto al patrimonio culturale, le risorse dei nostri litorali si fanno - se possibile - ancora più preziose. Immersa nel Mediterraneo, culla della civiltà occidentale, è proprio a partire dai suoi territori costieri che l'Italia mostra i segni stratificati del passaggio di popoli e culture giunte spesso proprio dal mare. Nonché le testimonianze di una convivenza millenaria tra uomo e mare, espressa nell'arte, in centri storici unici, in un patrimonio di saperi, sapori e tradizioni che rendono irripetibile il paesaggio costiero italiano. Migliaia di chilometri che "continuano a rimanere per la loro bellezza una delle principali attrattive paesaggistiche e ambientali del turismo internazionale", scriveva anni fa il Centro Studi del Touring Club nel primo dei suoi dossier dedicato proprio a Il patrimonio costiero in Italia. Una risorsa in pericolo. Non è un caso che paesaggi costieri quali quelli del parco nazionale delle Cinque Terre, del parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, del parco regionale del Delta del Po, della Costiera amalfitana, siano oggi tra i gioielli inclusi nella prestigiosa World Heritage List dell'Unesco. Seppure con i limiti propri di una singola iniziativa, è un segnale forse di una nuova attenzione anche il concorso internazionale di progettazione e fotografia Paesaggi Costieri lanciato l'inverno scorso dal ministero dei Beni e delle attività culturali assieme a Legambiente e a Civita. I fattori di pressione La linea di costa è, tra i segni del paesaggio naturale, uno dei più variabili. A voler nominare le principali cause dell'evoluzione dei profili costieri, c'è da distinguere intanto tra processi naturali (tra cui principalmente variazioni del livello del mare, terremoti, maree e temporali di eccezionale entità, correnti marine, etc.) ed attività umane (come riduzione degli apporti fluviali dei sedimenti, costruzione di porti e frangiflutti, distruzione o manomissione delle dune costiere, cave, estrazione di gas, oli o acqua dal sottosuolo, etc.). Riguardo ai fattori antropici, nelle zone costiere spesso lo sviluppo non è mantenuto entro i limiti della capacità di tolleranza dell'ambiente locale. Tra le manifestazioni più ricorrenti di tale problema sono: la diffusa erosione costiera, la distruzione degli habitat, la perdita della biodiversità, l'inquinamento del suolo e delle acque. Secondo i progetti europei Corine e Lacoast, è da considerarsi stabile solo il 50% delle coste dell'Unione europea bagnate dal Mediterraneo. Tra le più instabili sono le coste italiane del mar Adriatico, interessate per il 25% da fenomeni di erosione. Quanto al Tirreno, tra i dati disponibili più recenti sono quelli relativi alla Toscana, resi pubblici in occasione della già citata conferenza regionale sul mare. Da notare, in particolare, la situazione dei tre parchi costieri. All'Arcipelago e in particolare all'Elba, l'erosione avanza nel 78% delle spiagge. Di San Rossore e dei suoi dati impressionanti s'è già detto in apertura di questo articolo: nella zona delle Lame, presso Bocca d'Arno, si registrano i tassi di erosione più alti della Regione ed è dato per imminente l'inizio di lavori non meglio specificati per la difesa costiera, per impedire oltretutto la penetrazione dell'acqua salata nelle zone umide retrostanti ad alto valore naturalistico. E valori negativi pure a Bocca d'Ombrone, al parco dell'Uccellina. Qui il mare si mangia più di quattro metri all'anno, con arretramenti della linea di costa che localmente superano i dieci metri all'anno. Unica nota consolante della comunicazione tenuta alla conferenza da Luigi E.Cipriani ed Enzo Pranzini, l'annuncio della predisposizione - "in tempi brevi" - del Piano di gestione integrata della fascia costiera da parte della Regione. Più in generale, le attività umane che incidono sullo stato di conservazione delle risorse naturali degli ambienti costieri sono numerose. Tra queste, particolare impatto hanno l'urbanizzazione, i trasporti, il turismo, l'agricoltura, le industrie, la produzione di energia, la pesca. Nei comuni litoranei vivono circa 17,8 milioni di abitanti con una densità pari a 387 ab/kmq, rispetto alla media nazionale di 188 ab/kmq. Una recente ricognizione effettuata dai ministeri dei Trasporti, Lavoro e Finanze sul demanio marittimo - cioè generalmente battigia, spiagge e porti, lagune, foci di fiumi e canali - ha accertato la presenza di 4334 costruzioni abusive. Più in generale, riguardo al consumo dei suoli costieri, una ricerca del Wwf Italia - il Progetto Oloferne - ha fornito già qualche anno fa dati allarmanti. Il 58 % dell'intero litorale italiano è soggetto ad occupazione antropica intensiva; il 13% è interessato da una occupazione estensiva; solo il rimanente 29% risulta completamente libero da insediamenti e infrastrutture. Esistono ormai soltanto 6 ambiti costieri omogenei prevalentemente liberi di lunghezza superiore ai 20 km e sono dislocati in Sardegna (4), Campania (1) e Veneto (1). Secondo Legambiente, nella sola Sicilia le case abusive edificate entro una fascia di 150 metri dalla linea di costa sono 170.000, di cui 50.000 costruite negli ultimi cinque anni. E' indicativo, inoltre, che buona parte delle aree industriali dichiarate "a rischio di crisi ambientale" dal ministero dell'Ambiente interessino ambiti marino-costieri. Ancora, tra porti, banchine e opere di protezione, i presidi di calcestruzzo si sviluppano per oltre 600 km. Nelle acque dell'intero Mediterraneo circolano più di un milione di imbarcazioni da diporto, e i soli porti - in Italia oltre trecentoquaranta, e in forte recente sviluppo - occupano linearmente 1250 km di costa (dati Corine). Quanto al turismo, la relativa pressione sui litorali del Bel Paese è elevatissima e le previsioni per il futuro sono di un suo ulteriore sviluppo. Secondo stime del Blue Plan dell'Unep il numero di turisti nelle regioni costiere mediterranee passerà dai 135 milioni del 1990 ai 235-355 milioni nel 2025. Il rapporto cruciale tra turismo e risorse ambientali costiere è analizzato da un' interessante ricerca della società Eco&Eco di Bologna, facente capo all'istituto di studi economici Nomisma, contenuta nel volume in via di pubblicazione sul progetto CIP. Rimandando alla lettura completa del documento, citiamo qui appena qualche interessante annotazione. Il caso di Hanauma Bay, ad esempio. Prima area protetta marina istituita al mondo (nel 1967), alle isole Hawaii, qui la crescita esponenziale di turisti - passati dal mezzo milione del '75 ai quasi tre milioni del '90 - causò un serio peggioramento della qualità ambientale. A fronte di una capacità di carico giornaliera calcolata in circa 1.350 persone, giunsero ad affollare quotidianamente la baia hawayiiana qualcosa come 7.500 turisti. Nell'89 un piano per la protezione della baia riuscì ad invertire la tendenza, introducendo una serie di provvedimenti quali restrizioni all'arrivo dei bus turistici e delle auto, chiusura settimanale della baia, numero chiuso nei parcheggi, realizzazione di centri visita e altro. Più noti naturalmente i casi italiani citati, come quello del parco nazionale della Maddalena e del ticket introdotto a partire dall'estate '99. Ma è interessante la conclusione stessa della ricerca, secondo cui è proprio la vicinanza e l'integrazione con un'area protetta ad offrire alle località balneari l'opportunità del marchio più efficace e riconoscibile, quello più immediato da comunicare e da cogliere. Cip al lavoro Appena partito, il progetto di Federparchi già possiede un piccolo importante bagaglio di esperienze e progetti cui attingere. Grazie a un primo finanziamento della Regione Marche, che per prima ha scelto di condividere il progetto - la stipula del protocollo d'intesa con Federparchi è del 24 febbraio 2000 - è già in attuazione un piano di lavoro che comprende in prima battuta l'individuazione di tecniche innovative di difesa delle coste dall'erosione, in particolare elaborando due progetti sperimentali in luoghi particolarmente significativi della costa marchigiana. Come già messo in luce da un convegno organizzato nell'ambito del progetto CIP (Ancona, marzo '99), infatti, gli innumerevoli interventi di "difesa della costa" messi finora in atto si sono dimostrati spesso inefficaci e/o dannosi per gli effetti indotti sui tratti costieri limitrofi. Sono in corso poi la redazione di un Atlante delle coste italiane, che prevede la raccolta sistematica della documentazione di base esistente, nonché la stesura di un Inventario degli ingorghi istituzionali, cioè tutti quei conflitti tra istituzioni pubbliche che rendono difficile il lavoro di tutela e valorizzazione (con relative indicazioni per possibili soluzioni anche normative). Verranno poi sperimentate la realizzazione di una nuova azione di tutela del sistema mare/costa, frutto di una consultazione e di una intesa tra tutte le autorità interessate, ed azioni di integrazione tra il settore turistico e quello di tutela ambientale. In particolare, dovranno ad esempio individuarsi nuovi criteri di revisione degli indicatori ISO 9000 di qualità dell'offerta alberghiera, di rilascio delle licenze e di assegnazione delle "stelle", di assegnazione di "bandiere verdi" o simili, etc. Infine, il varo di CIP è accompagnato da una campagna informativa sul progetto stesso inaugurata alla scorsa edizione di ParcoProduce, con una mostra itinerante di trenta pannelli (attualmente allestita presso il centro visite del parco del Conero a Sirolo, Ancona) e un convegno, cui seguiranno a breve la pubblicazione del già citato volume di studio e la realizzazione di un apposito sito Internet. Con i cinquecento milioni per ora stanziati, lasciano intendere i promotori, impossibile fare di più. Più avanti, CIP si propone di elaborare concrete strategie per affrontare alcune priorità già delineate per contrastare il degrado delle aree costiere. Tra esse sono l'arretramento delle infrastrutture (strade, ferrovie, etc. che si affiancano talvolta l'una a ridosso dell'altra creando barriere ecologiche ma anche visive e paesaggistiche insormontabili), la razionalizzazione dell'attuale sistema portuale, l'avvio di seri progetti per il turismo sostenibile agendo in prima misura verso la destagionalizzazione, la difesa della costa dall'inquinamento. Un piano così impegnativo, però, deve raccogliere il consenso convinto e l'appoggio concreto delle forze più vitali e innovative della società, e delle istituzioni pubbliche centrali e decentrate che hanno il compito di interpretarne i nuovi orientamenti secondo le indicazioni sovranazionali. CIP dunque è un progetto aperto all'adesione dei ministeri interessati, delle altre Regioni costiere, degli enti locali, delle associazioni ambientaliste e di tutti i soggetti territorialmente coinvolti. A cominciare dai parchi, si capisce. La strada è tracciata. Le coste degli altri Stato o poteri locali ? Esproprio o concertazione ? Grande è la varietà di risposte politiche alla questione della gestione territoriale dei litorali. Negli Usa, ad esempio, sebbene l'attuazione della legge per la gestione delle zone costiere (CZMA, Coastal Zone Management Act) sia responsabilità dei singoli Stati, il sostegno del livello centrale dipende dall'esito della valutazione dell'ufficio federale competente. In Svezia, la giurisdizione comunale in materia di assetto territoriale si estende fino al limite delle acque territoriali (12 miglia nautiche). Analogamente, in Norvegia e in Finlandia le competenze delle autorità locali (comunali o di contea) possono arrivare fino ai confini degli arcipelaghi. In Danimarca la legge sulla pianificazione del 1992 è stata modificata nel 1994 per creare una zona di pianificazione costiera che si estende per 3 chilometri dalla costa verso l'interno. Nel Regno Unito, il National Trust protegge ben 565 miglia (oltre 900 chilometri) di fascia costiera in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord. Quanto alla vicina Francia, l'esperienza del Conservatoire du Littoral - con l'obiettivo dichiarato di arrivare a proteggere un terzo delle coste nazionali - ha superato ormai il quarto di secolo. Si tratta di un ente pubblico amministrativo sorto nel 1975, diretto da un consiglio di ben 34 membri nominati dal ministro dell'Ambiente, che prestano la loro attività a titolo gratuito. La composizione del consiglio riflette la visione integrata delle questioni costiere da parte del Conservatoire: vi figurano infatti rappresentanti di numerosi ministeri (Economia, Difesa, Cultura, Interni, Urbanistica, Territorio, Territori d'Oltremare, Agricoltura, Bilancio, Proprietà, Ambiente, Sport e Mare), dei Conseils de Rivage (sette in tutto, soprattutto espressione dei governi locali delle regioni costiere), delle associazioni ambientaliste (quattro membri). Secondo il più recente rapporto pubblicato, al dicembre '99 il Conservatoire aveva finora acquisito 808 km di fascia costiera - su 6000 totali della Francia - tramite accordo privato, anche se di tanto in tanto si ricorre all'espropriazione obbligatoria per pubblico interesse. I singoli siti sono oggi 435, per un'estensione di circa 60.000 ettari, e diventano inalienabili. Nel '99 una delle acquisizioni più rilevanti (271 ettari) ha riguardato metà dell'isola di Port-Cros, sede dell'omonimo parco nazionale. Proprio l'intervento del Conservatoire ha assicurato una coerenza di gestione sull'intero ecosistema insulare, per l'altra metà già posseduto dallo Stato e più precisamente dall'Ente parco e dal ministero della Difesa. In generale, all'acquisto dei siti da parte del Conservatoire seguono interventi di restauro ambientale e/o per la fruizione del pubblico, che affluisce numeroso. Le ultime cifre parlano addirittura di quindici milioni di visitatori all'anno per il complesso dei siti identificati sul terreno con l'eringio marino, simbolo del Conservatoire. Vale a dire, quasi quanto i visitatori stimati di tutti i nostri parchi nazionali. Le proposte della commissione Europea Dalla "Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'attuazione della gestione integrata delle zone costiere in Europa": gli Stati membri devono condurre un'attenta valutazione a livello nazionale per analizzare quali soggetti, leggi e istituzioni influenzano la pianificazione e la gestione delle rispettive zone costiere - tale valutazione deve riguardare tutti i livelli amministrativi e delineare il ruolo dei cittadini, delle ONG e del settore - i settori oggetto di valutazione devono includere (senza peraltro limitarvisi esclusivamente) pesca, trasporti, energia, gestione delle risorse, tutela delle specie naturali e degli habitat, occupazione, sviluppo regionale, turismo e settore ricreativo, industria e settore estrattivo, gestione dei rifiuti, agricoltura e istruzione - sulla base dei risultati della valutazione condotta, gli Stati membri devono sviluppare una strategia nazionale per applicare i principi della gestione integrata delle zone costiere. - tale strategia deve: definire i ruoli dei diversi soggetti amministrativi che sono nel Paese responsabili per le attività e le risorse delle zone costiere e stabilire i meccanismi che ne pemettano un'azione coordinata; definire la miglior combinazione di strumenti per garantire l'attuazione dei principi nell'ambito del quadro giuridico e amministrativo nazionale. Nello sviluppare questa strategia, gli Stati membri devono valutare se sia opportuno: sviluppare un programma strategico per le coste a livello nazionale, istituire meccanismi per l'acquisto di terreni e per l'istituzione di aree pubbliche demaniali, concludere contratti o accordi volontari con gli utenti delle zone costiere, prevedere incentivi economici e fiscali - gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione le esperienze raccolte in seguito all'attuazione della presente raccomandazione, a due anni dalla sua adozione. La gestione integrata delle zone costiere in europa comporta una valutazione attenta a livello nazionale per analizzare quali soggetti leggi ed istituzioni influenzino la pianificazione e la gestione delle rispettive zone costiere. |
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