Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 34 - OTTOBRE 2001


1991-2001
Dieci anni importanti per l'Italia e l' Europa
Mettendo a confronto il decennio relativo alla legge 394, a quello europeo dello stesso periodo non si può certo affermare che abbiano seguito un percorso parallelo.
E' fuor di dubbio però che essi presentano profili e intrecci sebbene non sempre immediatamente individuabili che debbono essere adeguatamente considerati e tenuti presenti più di quanto finora sia stato fatto.
Che la legge quadro sulle aree protette abbia rappresentato un fondamentale punto di svolta per le politiche di tutela nel nostro paese non credo possa oggi essere ragionevolmente messo in dubbio, qualunque sia poi il giudizio che può essere dato sui suoi contenuti, gestione e risultati. E' con quella legge infatti che il nostro paese in gravissimo ritardo rispetto a tutti i paesi europei più importanti, assume e riconosce i parchi come strumenti di una politica nazionale.
A ciò spinto dall'impegno di alcune regioni (non tutte) che avevano fatto capire al legislatore nazionale, dandone concretamente l'esempio, che non ci potevamo accontentare ormai dei cinque vecchi parchi nazionali, che cinque poi non erano. Strattonato, incalzato da quelle regioni che - come avrebbe riconosciuto il presidente Scalfaro- svolsero una preziosa ed encomiabile opera di ‘supplenza costituzionale', il Parlamento riuscì a darsi dopo tante peripezie una legge nazionale.
Si apriva così, dopo una prima stagione segnata dall'iniziativa innovativa delle regioni, una seconda fase, questa volta ‘nazionale'. Non si dimentichi che fino a quel momento neppure vicende travagliate come quella del Parco Nazionale del Gran Paradiso erano riuscite ad assumere une effettiva portata ‘nazionale', se non come esempio e conferma di una persistente difficoltà, persino tra regioni confinanti a trovare il registro giusto. La nuova legge non risolveva ovviamente di colpo questi problemi, ma per la prima volta li assumeva e li riconosceva come questioni importanti e non più eludibili di una politica nazionale.
Finalmente anche l'Italia poteva presentarsi sulla scena europea e internazionale con le carte in regola, in grado di rappresentare gli impegni e gli interessi del nostro paese in quei consessi. Sedi nelle quali non avevamo certo brillato per presenza e capacità di proposta.
Ora potevamo finalmente farlo con pari dignità e titolo.
Un bilancio della legge quadro che non voglia immiserirsi in diatribe e polemiche di basso profilo e di dettaglio, non può ignorare o trascurare perciò questo aspetto che nulla togliendo ai ritardi ed anche agli errori, rappresenta sicuramente un fatto estremamente importante e significativo ancorchè, ripetiamo, probabilmente troppo sottovalutato. La 394 come sappiamo fa riferimento alle aree protette di importanza internazionale e nazionale.
Le prime sono quelle che originano da obblighi internazionali. La classificazione delle aree protette - che come vedremo rimane un problema più che mai aperto- poteva infatti ampliarne la tipologia ‘allo scopo di rendere efficaci i tipi di protezione previsti dalle convenzioni internazionali; Ramsar, Direttiva Uccelli, aree specialmente protette del Mediterraneo' etc, ma tace sugli obblighi comunitari.
In questo silenzio c'è probabilmente la conferma che dieci anni fa, mentre alcune convenzioni internazionali riguardanti temi specifici di una politica di conservazione costituivano ormai un patrimonio presente e riconosciuto anche da parte del movimento ambientalista, le politiche comunitarie non erano ancora tali da ‘meritare', diciamo così, di essere prese in considerazione neppure per le loro potenzialità future.
D'altronde il richiamo alle convenzioni internazionali o alle elaborazioni, ad esempio, dell'UICN ignoravano o quanto meno non evidenziavano che la classificazione internazionale delle aree protette messe a punto in quelle sedi non coincidevano con quelle ricavabili dalla legge 394 e neppure dalle esperienze più innovative e significative delle regioni. E questo, come ho già accennato, è questione sempre aperta anzi ancor più aperta di dieci anni fa.
Nel 91 si erano già avviate alcune importanti politiche comuni in campo agricolo, nella politica regionale, per la pesca etc ma taluni aspetti delle politiche ambientali sarebbero maturati soprattutto nel decennio successivo per diventare sempre più un ineludibile e fondamentale punto di riferimento anche per noi. Questo va detto più che per giustificare la ‘svista' o la sottovalutazione del legislatore, proprio per valutare correttamente quello che è accaduto in questi dieci anni anche in riferimento alle aree protette in sede comunitaria dove queste questioni erano assai poco presenti anche negli impegni del legislatore europeo. E' nel 92 che il Trattato di Maastricht riconosce che per l'ambiente "i pericoli sono generalmente transfrontalieri per cui è necessario adottare misure a livello comunitario per la conservazione"; gli habitat fanno parte del patrimonio naturale della comunità. Solo nel Maggio dello stesso anno la Comunità si dota di uno ‘strumento finanziario per l'ambiente (LIFE)' che comprende anche le ‘azioni per la conservazione della natura' con particolare riferimento ai siti proposti da uno Stato membro ( direttiva 92/43 CEE) o siti classificati (direttiva 79/409 CEE) e specie menzionate nella direttiva 92/43 CEE allegato 1. Con questa direttiva si intende ripristinare e mantenere gli habitat naturali e delle specie comunitario in uno stato di conservazione soddisfacente e realizzare una rete ecologica europea.
Le politiche di riassetto del territorio e di sviluppo ed anche la gestione degli elementi del paesaggio sono mirate alla tutela della fauna e della flora attraverso i vari siti.
Nel 95 a Barcellona viene revisionato il Protocollo di Ginevra con l'inserimento della biodiversità.
Con la successiva riforma del Trattato dell'Unione Europea, intervenuta ad Amsterdam nel 1997, si approfondisce e si allarga l'obiettivo del perseguimento di uno sviluppo sostenibile e si punta alla creazione di aree protette in base ad un approccio interdisciplinare; proteggere non è soltanto preservare dalla distruzione ma utilizzare in modo più razionale le risorse naturali. Non si punta più soltanto su misure specifiche nei vari campi; turismo, agricoltura, foreste ma su politiche integrate. In questo periodo molti documenti comunitari e specialmente i più recenti recano nel titolo il termine ‘integrazione' sia che si tratti delle coste, della ruralità, del paesaggio, delle reti ecologiche. E tuttavia -ecco una primo rilievo critico- in questi importanti documenti e programmi, anche quando le scelte coincidono perfettamente con le finalità delle aree protette, esse non sono espressamente citate. E' vero che vi si trovano quasi formulazioni largamente affini e vicine ma non ‘esplicite' se si fa eccezione di qualche progetto settoriale come PAN. Le aree protette possono naturalmente avvalersi di quei provvedimenti, attingere a quei fondi se presentano progetti e programmi in regola, ma ciò alla stregua di uno dei tanti soggetti abilitati a farlo e non in quanto parchi ovvero organi ‘speciali' preposti alla tutela attiva.
Cosa emerge da questa osservazione?
Direi principalmente due aspetti. Il primo è che l'Unione Europea in questo campo procede con approccio prevalentemente settoriale scoprendo e richiamando a mano a mano che deve ‘legiferare' o ‘normare' gli interventi, concetti già presenti, spesso da anni, nelle varie legislazioni nazionali.
E ciò vale anche in riferimento al nostro paese e alla legge 394 che conteneva già quei concetti di ‘protezione attiva' e di integrazione che ritroviamo oggi così frequentemente e ricorrentemente presenti nei documenti comunitari. Il secondo è che in questa marcia di avvicinamento a politiche integrate di protezione l'Unione Europea paradossalmente e contraddittoriamente non ha ancora messo a punto programmi e iniziative rivolte alle aree protette in quanto tali, privandosi così dell'ausilio diretto di un soggetto che più di ogni altro in campo ambientale è preposto proprio alla gestione ‘integrata' e reticolare degli interventi, con i suoi piani territoriali e di settore.
Se da un lato dunque la mancanza di una visione e politica europea nei confronti delle aree protette che ne colga il carattere, diciamo così, ‘intersettoriale' fa mancare un apporto fondamentale alle politiche di integrazione, dall'altra ci si priva di una dimensione d'intervento transnazionale che potrebbe e dovrebbe interagire con le diverse politiche regionali attuate nei diversi territori europei. In questi ultimi tempi si parla molto di strumenti di certificazione ambientale, di marchi e quant'altro tanto che lo stesso ministero dell'ambiente con l'ENEA ha avviato un lavoro a carattere sperimentale per verificare anche l'applicabilità della norma ISO 14001 e del regolamento EMAS alle aree protette.
I parchi presi in considerazione sono quello nazionale del Circeo e quello del parco regionale fluviale del PO piemontese; il primo privo di piano il secondo dotato già dei due piani previsti dalla legge.
Ora questa al pari di altre ricerche volte ad utilizzare - come in questo caso- strumenti mirati a realtà e situazioni assolutamente diverse e lontane dalle aree protette va comunque apprezzata e sostenuta.
Ma cercare di ‘convertire' o più correttamente ‘adattare' una certificazione di gestione ambientale nata per introdurre nelle strutture aziendali criteri e modalità ecosostenibili per evitare sprechi, inquinamento e garantire prodotti e servizi ecologicamente certificati alla gestione delle aree protette non è impresa da poco.
Che ciò stimoli le istituzioni a cominciare dai comuni a misurarsi con questo e altri strumenti disponibili ( Agenda 21 etc) su temi sempre più meritevoli di attenzione è bene e può dunque servire.
Come può servire il FORUM attraverso cui tutta questa matassa può essere gestita d'intesa con i vari soggetti coinvolti nella operazione.
Resta il fatto innegabile che questa lunga e complicata marcia per agganciare le aree protette ad una vaga e generica certificazione ambientale, se da un lato può essere in maniera più propria e efficace essere realizzata attuando gli strumenti di pianificazione e gestione che i parchi hanno a disposizione, dall'altra conferma se ce ne fosse bisogno che le aree protette non possono continuare ad arrampicarsi sugli specchi per poter accedere e utilizzare sostegni e aiuti normativi e finanziari della comunità.
E' questa la riflessione che mi pare debba essere fatta per evitare fra l'altro di concentrare ed esaurire i nostri sforzi in direzioni che ci distraggano da quello che oggi deve essere considerato l'obiettivo principale.
Ciò appare tanto più urgente se si pensa che nel settore delle aree protette tutti gli stati europei hanno legislazioni nazionali ‘avanzate' che richiederebbero, come del resto si fa in tanti settori importantissimi delle politiche nazionali, una maggiore armonizzazione.
R.M.