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Commenti di Mariano Guzzini
Perché il Coordinamento dei parchi e la sua rivista ("Parchi") hanno costituito, alcuni anni fa, assieme ad un parco (il parco regionale dell'Alto Garda Bresciano) e ad una Regione (la Lombardia), il "Centro studi Valerio Giacomini" che nel 1996 tenne a Gargnano (Bs) la sua prima iniziativa nazionale, un convegno dedicato a "Uomini e parchi oggi, ricordando Valerio Giacomini" che si è poi ripetuto con cadenza biennale e poi annuale, "...ed è oggi uno dei più qualificati e lucidi momenti di riflessione sulla conservazione delle risorse naturali nel nostro Paese" (Augusto Pirola)?
Se rispondiamo con chiarezza a questa domanda piuttosto semplice, non c'è nemmeno bisogno di porsene una seconda, che avrebbe identica risposta, e che sarebbe così formulata: perché mai un centro studi ed una federazione nazionale di parchi e di riserve naturali (la Federparchi) chiede ad un editore (Franco Angeli) di ripubblicare un libro già uscito in cinque edizioni ("Uomini e parchi"), e che ormai è esaurito, forse anche perché c'è un tempo per ogni cosa, libri ed autori compresi, o forse perché non c'è un ordine naturale nelle cose, e tutto avviene in grandissimo e casuale disordine.
La rivista "Parchi", attorno alla metà degli anni Novanta dello scorso secolo era diretta da Renzo Moschini, che l'aveva fondata nel maggio del 1990 per esprimere la volontà del neonato Coordinamento dei parchi e delle riserve regionali (sorto un anno prima, con trenta aderenti, a fronte dei più di cento attuali) per ... "presentare materiali, documentazioni, fatti" che consentissero "di accostarsi alla realtà dei parchi italiani, oggi poco conosciuta anche dagli addetti ai lavori, attraverso una informazione politica, legislativa, scientifica e tecnica di prima mano, ricavata cioè dalla esperienza diretta degli amministratori, tecnici e studiosi che operano in questo campo." (nota redazionale del numero zero, pag.2, molto probabilmente scritta da Renzo Moschini).
Nel corso degli anni, "Parchi" mantenne queste promesse, diventando una delle occasioni che sono state messe a disposizione della collettività (soprattutto di quella impegnata in prima persona nell'amministrare aree protette, ma anche di studenti e studiosi, e di circa un migliaio di abbonati) per maturare un pensiero nuovo, che andasse oltre quello che in passato avevano assemblato i padri pionieri del naturalismo e dell'ambientalismo.
La Regione Lombardia (intesa come istituzione elettiva, ma anche come strutture amministrative, denominate in vari modi ma con nomi e cognomi che andavano al di là delle etichette appiccicate sulle porte dei rispettivi uffici) conosceva negli stessi anni una rigogliosa fioritura di politiche di attenzione per i temi della tutela e della valorizzazione del patrimonio naturalistico e paesaggistico.
Il parco regionale dell'Alto Garda Bresciano, parte del sistema che veniva curato dai sullodati uffici milanesi, elaborava il suo piano di sviluppo, sotto il coordinamento di Valerio Romani, e con la guida di Valerio Giacomini, responsabile del settore "ecologia".
Da questo insieme di opportunità e di speranze, uscì una "struttura di supplenza" di una domanda che nessuno soddisfaceva.
Chi vorrà studiare queste strutture tipiche di materie di frontiera in periodi di crisi e di passaggi di fase, scoprirà che ciascuno dei soci fondatori del "Centro studi Valerio Giacomini" era innovativo in quanto esso stesso innovazione allo stato nascente.
La rivista, che non voleva essere la ripetizione di niente che già fosse reperibile nelle librerie nell'armadio dell'ambientalismo, gli uffici della Regione Lombardia, che non volevano essere confusi con nessuna altra struttura burocratica esistente, ed il parco dell'Alto Garda Bresciano, che voleva un luogo di confronto e di studio di livello almeno nazionale, per non morire di localismo, ed era fiero che quel luogo utilizzasse la struttura di proprietà dell'Università degli Studi di Milano (Villa Feltrinelli a Gargnano) per dare un messaggio netto, anche dal punto di vista della comunicazione non verbale.
Il fatto ormai incontestabile che ogni appuntamento del "Centro Studi Valerio Giacomini" riscuota un successo forte, di partecipazione e di approfondimento delle conoscenze, dimostra l'esistenza di una domanda che fino al maggio 1996 non era stata soddisfatta altrove, in strutture più ricche di finanziamenti e più oggettive nella loro composizione formale.
Perché nessuno pensa che la rivista "Parchi" sia un canale ufficiale della ricerca accademica, neppure a partire dall'inizio del nuovo secolo, allorquando la direzione è passata - formalmente, ma anche informalmente - da Renzo al sottoscritto. Ve ne sono altre, di riviste, dove la pubblicazione equivale a titolo per i concorsi accademici. Da noi si pubblica per il piacere di comunicare e di costruire qualcosa di socialmente utile.
Ed il "Centro studi Valerio Giacomini" non ha mai preteso di essere una struttura per convegni che rilasciano attestati che fruttano punti nei concorsi, ma è nato e cresciuto nello stesso spirito. Come, del resto, Valerio Giacomini, non si propose mai come titolare di un punto d'approdo teorico da chiosare nei secoli a venire da generazioni di "giacoministi".
Al contrario, la lezione attualissima di Giacomini richiede sempre maggiore interdisciplinarietà in un aggiornamento che deve essere continuo, in sintesi che dovranno essere dinamiche, e mai statiche né autosufficienti.
Sintesi dinamica nella ricerca scientifica, sperimentazione, indagine nei territori più antropizzati, critica radicale a "quella mentalità approssimativa e assai poco scientifica che ancora sostiene il principio del 10% del territorio italiano da salvare": queste lezioni di Valerio Giacomini ci sembrarono un passaggio che si apriva tra la vallata che stavamo attraversando e quella successiva, che si indovinava laggiù, all'orizzonte.
Quindi una cordata di "strutture di supplenza" per rispondere sperimentalmente a bisogni insoddisfatti ha individuato a metà degli anni novanta dello scorso secolo in Valerio Giacomini una possibile insegna, un marchio, un logo.
E nella sua opera maggiormente impregnata di spirito critico e di indicazioni sull'avvenire, "uomini e parchi", una sorta di breviario, di guida per le scarpinate nei sentieri della ricerca, e anche nei territori senza piste già segnate, dove il cammino è più difficile e dove può anche capitare di doversi fermare e di tornare sui propri passi.
Per questo insieme di suggestioni ci è sembrato insopportabile che "uomini e parchi" fosse introvabile, in quanto esaurito e non ripubblicato.
E per un identico insieme di suggestioni sono personalmente molto lieto che "uomini e parchi" riprenda a circolare nelle bottiglie extravaganti nei mari delle librerie e delle vetrine dei centri visite dei parchi, o delle università, o nei banconi attigui ai convegni, o chissà dove, per coinvolgere altri lettori imprevisti ed imprevedibili, nella speranza che qualcuno di loro si ammali delle nostre malattie dopotutto così piacevoli da gestire, a partire da quella che ci fa credere che una o più riviste di cultura siano in grado di cambiare il mondo (o di scalfirne le principali nefandezze), a seguire con quella che immagina possibile sperimentare nelle aree protette uno sviluppo sostenibile applicabile in seguito a tutti i territori protetti o non protetti, fino a quella che ci fa stravedere per la tutela della biodiversità, letta addirittura come metafora del pluralismo nella ricerca e nell'impegno civile, in un continuo superamento ("giacominiano") delle posizioni concettuali raggiunte, a beneficio di una modernizzazione che tuteli per valorizzare, e valorizzi per tutelare sempre meglio.
P.S. Questo testo era stato preparato lo scorso dicembre, per essere inserito nel volume che all'epoca era in preparazione, a cura di Valter Giuliano. È stato risucchiato dalla rete delle reti, e non è mai arrivato né sul tavolo di Valter, né all'editore Franco Angeli. Restando un testo che mi pare abbia un suo senso, ne ho utilizzato una piccola parte a Trento, quando assieme a Giuliano e a Fusilli ho avuto l'onore e il piacere di partecipare alla prima uscita pubblica del libro, sotto il tendone di piazza Fiera, nella cosiddetta "libreria della montagna" annessa al Festival del cinema di montagna, aggiungendo brani di Giacomini e considerazioni estemporanee. Per il collegamento stretto che faccio tra questa rivista e la nascita del centro studi "Valerio Giacomini", trovo utile mettere a disposizione del lettore queste righe, rivendicando alla mia direzione il fatto che, se non altro, dopo 33 numeri, due uomini sono stati pubblicati in copertina, dopo tanti paesaggi incontaminati, piante rare ed animali liberi e felici.
Uomini e parchi, appunto ...
(m.g.) |