Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 37 - OTTOBRE 2002


CO-PIANIFICARE LA DIVERSITA’
Il coordinamento delle azioni sul territorio-ambiente
presuppone una nuova cultura della conservazione
e la rivisitazione delle normative
di Maurizio Piazzini
Scriveva Giacomini in "Uomini e parchi": "Il parco naturale è il luogo di una effettiva riconversione del territorio verso l'abolizione generalizzata di separazioni tra usi, stili di vita di una comunità e tutela delle risorse, e, in ultimo, del superamento della dicotomia tra parco e non-parco perchè è il parco medesimo come principio di gestione sostenibile che si dilata fino a coprire l'intero territorio". Sono qui felicemente condensate con una chiarezza ed una semplicità insolite per i tempi (inizi anni ’80) e per la complessità dei problemi, alcune fertili intuizioni riguardo all’esigenza di rendere tra loro coerenti le pratiche pianificatorie che hanno per oggetto il territorio, l'ambiente ed il paesaggio. La riflessione di Giacomini pone in evidenza quella che nel dibattito attuale appare come assoluta necessità di attingere ad una visione integrata delle tematiche territoriali: una necessità che riguarda tanto la conoscenza dei fenomeni quanto la capacità di governarli.
Nella dimensione geografica e spaziale, visione integrata significa ricomposizione unitaria del territorio in nome di quel "principio di gestione sostenibile" che viene sperimentato anzitutto nei parchi ma che è valido come modello anche per il resto del territorio. Nell'ultimo decennio, a partire anche da questa considerazione si è andata maturando una profonda rivoluzione nei principi della conservazione della natura che ha portato al convincimento che la salvaguardia del patrimonio naturale e, soprattutto, la tutela delle biodiversità presuppongono la capacità di intervenire sul rapporto dinamico tra ambiente, specie, uomo e territorio alle diverse scale e che questo rapporto, comunque, non solo non può essere compiutamente interpretato all'interno dall'arcipelago delle aree protette ma esorbita anche dallo stesso concetto di rete ecologica.
Si è, infatti, venuta consolidando un'idea di continuità e "naturalità diffusa" nella quale l'agricoltura, i boschi, i fiumi, le città, e le fabbriche sono ambienti in cui non vi è contrapposizione tra naturale ed artificiale ma solo diversi gradi di naturalità. Secondo questa concezione la biodiversità viene favorita dalle forme di naturalità diffusa, le quali creano occasioni di eterogeneità e diversità biologica e culturale e l'efficacia delle politiche ambientali si misura non in rapporto a singoli interventi, ma sulla base della coerenza degli interventi su porzioni molto ampie e molto eterogenee di territorio; i parchi, le altre aree protette e la rete ecologica non sono soltanto zone elettive dove si sperimenta un modello di gestione sostenibile da estendere altrove, ma tendono a divenire uno degli elementi, dotato delle sue specificità, inserito nell’articolato processo di pianificazione territoriale di cui va perseguita la complessiva coerenza.
Nella riflessione di Giacomini vi è, però, anche un'altra dimensione dell'integrazione: quando parla di abolizione della separazione tra tutela delle risorse naturali e usi e stili di vita delle comunità, intravede la necessità che le azioni tendenti alla conservazione della natura vengano integrate in politiche che affrontino contestualmente anche gli altri tematismi coinvolti nelle trasformazioni del territorio e dell'ambiente, e così postula una visione quanto meno multisettoriale in cui gli aspetti naturalistici siano posti al centro di un sistema di relazioni con i temi dell'evoluzione socio-economica, storico-insediativa, dei modi d'uso del suolo, etc, e dei loro riflessi nella cultura diffusa.
L'apertura verso la complessità dei tematismi implica anche il superamento dell'idea della pianificazione come definizione, da compiere una volta per tutte, di un quadro di assetto ottimale da perseguire o da restaurare, idea che è tuttora alla base di gran parte delle formulazioni legislative e della prassi amministrativa che riguardano le problematiche della conservazione. L'integrazione dei tematismi rafforza l'esigenza di introdurre l'orizzonte temporale nella trattazione dei fenomeni: la pianificazione anche degli ambienti naturali diviene strumento per il governo dinamico dei processi di trasformazione, all'interno del quale ricevono nuovo significato anche le pratiche conservative; in grande sintesi, il piano diviene "progetto integrato di trasformazione". Tutto questo comporta il ripensamento dei principi di sostenibilità, che non vanno più intesi come resistenza ai cambiamenti di una realtà che viene immaginata come immobile ed assistita, ma piuttosto come attitudine ad una progettualità alta nei confronti di sistemi aperti, dinamici ed interattivi, che richiedono una nuova cultura della diversità e della conservazione.
Come si vede, vi è una sequenza logica che collega tra loro i tre concetti di continuità territoriale, di integrazione tematica e di prospettiva dinamica che sono al centro delle elaborazioni disciplinari più recenti e delle esperienze più mature nel campo della pianificazione territoriale ed ambientale; alla stessa sequenza va aggiunto il concetto di multiscalarità spaziale: infatti, il confronto fra le diverse scale spaziali si è rivelato essenziale per approfondire la conoscenza dei fenomeni e per assicurare efficacia alle azioni che vengono intraprese ai diversi livelli, mediante le sinergie derivanti dalla reciproca congruenza.
E' evidente, tuttavia, che nessuno di questi concetti, per la propria stessa natura relazionale, può essere realmente e pienamente applicato in un singolo piano o in un solo livello di piano, mentre sarebbero tutti insieme e contemporaneamente praticabili nell'ambito di un "sistema della pianificazione" esteso a vasti territori ed inteso come processo continuo tendente a mettere in coerenza i diversi piani ai diversi livelli. E' molto verosimile, alla luce delle esperienze finora compiute ed in considerazione della molteplicità di livelli, soggetti istituzionali, oggetti di competenza, normative, che questa coerenza tra i piani sarebbe raggiungibile non per le tradizionali vie gerarchiche (prevalenze di un piano sull'altro, sostituzione di un piano all'altro, adeguamenti, attribuzione di ruoli puramente "attuativi") ma attraverso la condivisione di un disegno del territorio e dell'ambiente, che sia sufficientemente affidabile per fornire indicazioni concrete ed utili alle diverse scale e sui diversi tematismi senza tuttavia predeterminarne gli esiti; va da sè, per le considerazioni svolte fin qui, che un tale disegno, in cui si condensa il "progetto integrato di trasformazione" del territorio, degli ecosistemi e del paesaggio, non potrebbe avere nulla di definitivo ma sarebbe fin dall'origine predisposto per gli aggiornamenti ed anche i mutamenti richiesti dall'evolversi delle situazioni.
Un "sistema della pianificazione" così inteso o, più semplicemente, il coordinamento sistematico dei piani, progetti e dei connessi processi decisionali, appare oggi l'unica strada ragionevolmente percorribile per conferire un qualche respiro strategico ed una qualche prospettiva di successo non episodico agli interventi sul territorio, ivi compresi quelli rivolti alla gestione della biodiversità.
Ma, per percorrere questa strada, è necessario che si diffonda una cultura della conservazione più aperta verso le dinamiche che attraversano la realtà territoriale-ambientale a tutte le scale ed in tutti i suoi aspetti, e, soprattutto, che si instauri una cultura giuridico-amministrativa meno condizionata da categorie astratte che ostacolano, di fatto, le forme di progettualità tendenti ad aderire alla complessità ed alla articolazione, anche temporale, dei fenomeni che si vogliono governare.
La co-pianificazione, intesa non come pura istanza retorico-politica ma come necessità pratica, è lo strumento che aiuta a percorrere questa strada, ovvero è il metodo che può consentire di integrare o, quanto meno, di coordinare nel tempo, nello spazio e nei contenuti le politiche settoriali e specialistiche che vengono gestite dalla non riducibile pluralità di attori che intervengono sul territorio e sull’ambiente.
Ma la co-pianificazione ha come presupposto il riconoscimento delle differenze che coesistono nella complessità del reale, che si traducono in differenze fra gli attori con i rispettivi interessi, fra i luoghi, fra i tempi, fra i contenuti e fra gli obbiettivi dei piani; pertanto, è, in primo luogo, esercizio di consapevole e ricercata coesistenza e tendenzialmente di cooperazione fra differenze, tutte in pari grado legittimate. Al contrario, il contesto normativo formato dalle leggi che regolano la pianificazione degli interventi sul territorio e sull’ambiente, è dominato da logiche formali finalizzate ad abolire, ad omologare o quanto meno a “tagliare” le differenze: per questo suo carattere costitutivo, il contesto normativo dominante nelle pratiche della pianificazione territoriale-ambientale, come la cultura che lo ha generato, è generalmente e fondamentalmente ostile o, nel migliore dei casi, estraneo allo stesso concetto di copianificazione. Mi riferisco all’insieme della produzione legislativa che è stata avviata negli anni ’30, è proseguita fino ad oggi senza nessun significativo ripensamento degli originari presupposti concettuali, ed è contrassegnata da alcuni episodi salienti, tra i quali le leggi del ’39 – recepite senza sostanziali modifiche nel testo unico del ’99 –, la legge urbanistica del ’42 tuttora sostanzialmente invariata, il decreto 1444 del ’68 sugli standards, la legge dell’89 sulla difesa del suolo, la legge del ’91 sui parchi; rispetto a questa tradizione soltanto la recente entrata in vigore di normative di origine comunitaria ha marcato positivamente qualche discontinuità.
Nell’attuale situazione italiana la riforma dell’ambiente normativo appare una pre-condizione (anche se non la sola) per la riforma dell’ambiente reale.
Da questo punto di vista, le proposte di riforma urbanistica nazionale elaborate nel corso della passata legislatura, anche se innovative rispetto al contesto, appaiono insufficienti, dal momento che non escono dal solco tradizionale della pianificazione urbanistica, non propongono un’idea di governo complessivo del territorio e dell’ambiente, non affrontano realmente il tema delle pianificazioni separate e specialistiche, ovvero della copianificazione. Un maggiore sforzo nella direzione qui auspicata è stato compiuto in alcune recenti leggi regionali, in particolare quella dell’Emilia-Romagna, in cui per la prima volta si è tentato di ordinare e sistematizzare le procedure della copianificazione, anche se questo sforzo è stato in gran parte limitato ai tre soggetti istituzionali principali, ovvero comuni, province e regione, lasciando impregiudicate le altre pianificazioni separate. Per le argomentazioni fin qui svolte sia pure schematicamente, è chiaro che i contenuti dei diversi tipi di piano in capo ai diversi soggetti dovrebbero essere definiti nelle nuove leggi sulla base dei concetti di continuità dei territori, di integrazione dei tematismi, di processualità nel tempo, di visione multiscalare, cosicchè i piani, sia quelli tendenzialmente generali sia quelli cosiddetti specialistici e quelli settoriali siano, fin dall’origine, predisposti per la comunicazione reciproca. Ma tutto questo non avrebbe un risultato se non si istituisse una sede permanente di dialogo fra i soggetti che pianificano in tempi diversi nelle diverse aree, alle varie scale e sui diversi tematismi, una sorta di laboratorio continuo per quel disegno condiviso del territorio al quale accennavo. Qualcosa di simile è configurato nelle leggi recenti di varie regioni con le “conferenze di copianificazione”, una per ciascun piano con durata pari alla sua elaborazione. E’ assolutamente necessario che nelle “conferenze” siano coinvolti, ad esempio, i parchi non solo quando si tratta dei territori dei parchi, ma anche quando si affrontano temi, come ad esempio quello della biodiversità, sui quali l’azione condotta all’interno dei parchi ha riflessi sugli altri territori. Ma è anche importante che oltre ai soggetti che istituzionalmente pianificano, siano coinvolti in conferenza anche i titolari di azioni e progetti vari che in qualunque forma interferiscono con i piani. Si eviterebbe, in questo modo, di compiere scelte che possono avere riflessi sull’area vasta usando criteri tutti interni ai singoli settori ed ai singoli luoghi: ad esempio nella individuazione dei S.I.C., dovrebbe essere acquisita l’ottica territoriale dell’area vasta (almeno provinciale) al fine di valutare la dislocazione di questi siti in rapporto ad una distribuzione più equilibrata della naturalità sul territorio.