PARCHI | |
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 37 - OTTOBRE 2002 |
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PANTELLERIA: UNISOLA QUASI UN PARCO Di Giuseppe Riggio |
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Lisola di Pantelleria come laboratorio in cui sperimentare nuove ma antiche forme di coesistenza fra uomo e natura. Terra di frontiera in cui esaltare la innata propensione dei suoi abitanti alla salvaguardia del territorio oppu- re ennesimo paradiso distrutto dal cemento? Dopo lautorevole citazione riservata da Piero Bevilacqua nello scorso numero di Parchi al caso Pantelleria, cerchiamo di approfondire la conoscenza di questa isola messa di traverso in mezzo al canale di Sicilia. Innanzitutto è bene partire dai dati geografici essenziali: 83 chilometri quadrati di superficie, un territorio vario e articolato con la cima più alta che supera gli 800 metri e poi una serie di altri crateri spenti disseminati un po dappertutto. La distanza dalla Sicilia è di circa 95 chilometri quella dalla Tunisia di 67 chilometri, in termini di navigazione tradizionale significa che per arrivarci da Trapani occorrono circa 6 ore di traversata notturna (ma da qualche mese cè anche una nave veloce che parte da Marsala). Una insularità quasi perfetta dunque che contraddistingue in maniera forte gli abitanti: in tutto circa 7400 persone distribuite fra Pantelleria centro e le frazioni fittamente sparse nel territorio, ad eccezione della zona sud-orientale che non a caso viene definita dietro isola, il luogo dove domina la scogliera strapiombante e inquietanti leggende che narrano di streghe precipitate nel vuoto. Fra i residenti sono annoverati anche un centinaio di stranieri, in buon parte tunisini e albanesi oltre ad una piccola colonia di tedeschi. Sullisola cè anche un aeroporto che ovviamente serve ai turisti ed agli abitanti: un volo di linea per Trapani, ed a volte anche per Palermo, e i charter stagionali che fanno giungere direttamente i visitatori da Milano e da Roma. Chiacchierando con i panteschi così si chiamano gli isolani si percepisce uno straordinario attaccamento al loro nido in mezzo al mare. Una affezione che li induce ad osservare con moderata diffidenza quanti dichiarano mire imprenditoriali. Lo stesso status di pantesco doc non viene riconosciuto al forestiero che dopo un paio di generazioni di stabile insediamento sullisola. Lattività prevalente è sempre stata lagricoltura, mai la pesca come invece avviene nella non lontana Lampedusa. Per strappare ad una natura difficile il necessario per vivere, il contadino pantesco ha elaborato nei secoli delle originali forme di adattamento. Le viti fatte vegetare allinterno di buche scavate nel terreno; gli ulivi potati e mantenuti alla dimensione di un cespuglio; i capperi trasformati da pianta spontanea in redditizia coltura la cui raccolta impegna per buona parte dellestate; le piante di agrumi riparate allinterno di vere e proprie case di pietra. Esiste un contenuto ma costante flusso di emigrazione dallisola (circa 400 unità in meno dal 1986 al 2000) collegato in genere allesercizio di professioni intellettuali, mentre centinaia di barconi pieni di clandestini continuano a squassarsi sulle nere scogliere che circondano Pantelleria. Le rotte che un tempo erano dominate dai pirati barbareschi adesso sono in mano ai moderni trafficanti di esseri umani. La cosiddetta balata dei turchi è sempre la, ma adesso vi sbarcano turchi laceri e disarmati. Se gli accenni di descrizione geografica e di identikit sociologico dellisola sono stati sino a questo punto esaurienti, il lettore avrà già capito che quando a Pantelleria giunsero le sirene dello sviluppo a tutti i costi non trovarono un ambiente del tutto favorevole. Certo, un paio di grossi insediamenti sono stati realizzati, qualcosa è rimasto allo stato di scheletro di cemento, una cooperativa vinicola costruì un grosso stabilimento che rimase come una cattedrale nel deserto. Nella restante parte gli 83 chilometri quadrati di sabbia vulcanica e di rocce nere hanno però mantenuto una invidiabile armonia. Anzi tornandoci dopo oltre quindici anni abbiamo avuto la inattesa sensazione di trovare tutto più bello e curato di prima. Il segreto sta probabilmente nel singolare mix che caratterizza e costituisce in definitiva il caso Pantelleria: ovvero da una parte linteresse degli abitanti a continuare le loro attività tradizionali (che anzi nel frattempo hanno acquisito nuovo valore aggiunto, basti pensare alla riscoperta dei vino passito giunto ormai a quotazioni da grandi vini francesi). Dallaltra il piacere di quanti hanno destinato somme ingenti alla ristrutturazione degli edifici tradizionali (personalità delle politica e dello spettacolo, architetti ma anche semplici innamorati dei profumi e delle luci dellisola) di preservare linimitabile armonia del paesaggio, consapevoli che il valore dellinvestimento è legato proprio alla tutela complessiva dellisola. A suggello di tutto ciò è arrivata nel 1998 listituzione di una Riserva naturale regionale che interessa una superficie di oltre 2600 ettari, quindi quasi un terzo dellintero territorio comunale. I confini della Riserva vanno da una costa allaltra da balata dei Turchi a punta Spadillo- interessando ambienti piuttosto diversificati. Allinterno dellarea protetta ricadono il lago di Venere (o meglio il bagno dellacqua come lhanno sempre chiamato i locali), ma anche estese zone di florida macchia mediterranea, le grotte pervase da vapori caldi e le favare dove invece i vapori generati dal vulcanismo secondario si effondono allaria aperta. Sino alle impressionanti scogliere di Saltalavecchia, dove rimbomba cupamente il frangersi delle onde del mare. Dal punto di vista gestionale lAzienda foreste demaniali della Regione Siciliana che ha preso in carico anche questa area protetta come gran parte di quelle istituite negli ultimi anni dalla Regione- ha già realizzato e segnalato una prima rete di itinerari, offrendo così una nuova e interessante opportunità di visita soprattutto della zona montana della Riserva. Ma in realtà listituzione formale dellarea protetta non ha fatto altro che porre un ombrello formale di tutela ad unarea che già possedeva dei consolidati equilibri ambientali, grazie fra laltro- ad una significativa presenza del demanio regionale. E quel che più importa, la Riserva si è inserita in un contesto territoriale allinterno del quale alcune scelte qualificanti- come abbiamo già accennato- erano state già fatte e andavano proprio nella direzione della protezione delle risorse. Probabilmente il caso Pantelleria è quindi giunto ad una fase più matura di quella ipotizzata da Piero Bevilacqua. Perché pur esistendo ma questo è inevitabile- le opposizioni allarea protetta (perché è molto estesa, perché proibisce la caccia, perché pone vincoli anche alle possibilità di ristrutturazione dei dammusi), listituzione della Riserva è intervenuta su unisola dove, per esempio, il rilancio della viticoltura più pregiata ha determinato il reimpianto di vitigni autoctoni anche in aree in cui la coltivazione era stata da tempo abbandonata. Con immaginabili e immediati benefici non solo economici per i proprietari dei fondi- ma anche di carattere ambientale, considerato che un territorio in cui lagricoltura viene rivitalizzata grazie allapporto di vecchi e nuovi protagonisti dellindustria del vino (peraltro con mantenimento degli standard tradizionali di coltivazione) corre meno il rischio di cadere nella tentazione dei grandi alberghi. Allo stesso tempo il tipo di motivazione che ha indotto grandi industriali (pensiamo a Giorgio Armani) e uomini di spettacolo a acquistare e ristrutturare i poveri dammusi di Pantelleria è stato lamore per un isola realmente inimitabile nei suoi caratteri territoriali. Anche in questo caso leffetto imitazione ha giocato a difesa dellautenticità di Pantelleria. Chi è arrivato dopo ha colto più facilmente limportanza di perpetuare i valori creati dallarchitettura spontanea, essendo stato anticipato da avanguardie così famose. Trascorrere le vacanze al riparo di un rustico dammuso (beneficiando degli accorgimenti costruttivi ideati nei secoli da panteschi) e raccogliere un frutto nel jardinu -che vegeta al riparo di alti muri di pietra lavica- è diventato da anni un piacere egualmente ambito dalle stelle dello spettacolo e dagli innamorati dellisola. Possiamo quindi affermare che nella fattispecie di Pantelleria le scelte di carattere economico maturate sullisola hanno in realtà preceduto lavvio ufficiale della politica di tutela dellambiente (avvenuto sulla carta soltanto nel 1998, ma nei fatti ancora più tardi) ed hanno quantomeno garantito una sostanziale tutela del caratteristico paesaggio costruito esistente nelle campagne. I panteschi da parte loro non dimostrano smanie di novità. Osservano con un certo distacco i turisti che si aggirano per lisola con auto e motorini, vivono in 83 chilometri quadrati e curiosamente ma solo per gli osservatori frettolosi- raggiungono il loro ritmo massimo di relazioni sociali nel periodo del carnevale. Esistono infatti decine di circoli in tutta lisola costituiti quasi esclusivamente per organizzare feste e serate danzanti nel periodo immediatamente precedente la Quaresima e che continuano ben oltre il giorno delle ceneri. Sono le settimane (quando i lavori agricoli richiedono solitamente meno impegno) in cui i panteschi movimentano la loro micro-collettività, si allacciano amori e si consolidano relazioni di conoscenza e amicizia. Dinanzi ad una comunità locale così coesa intorno alle sue tradizioni contadine anche le minacce ambientali diventano un po meno allarmanti. Negli anni a venire non mancheranno certamente mire di carattere speculative sospinte da interessi più o meno legittimi (come ha purtroppo messo in luce una recente indagine della Direzione investigativa anti-mafia di Trapani), ma sarà più difficile concretizzarle in una realtà dove gli abitanti non vogliono essere estromessi né dallisola, né dalle attività tradizionali, dove anche chi è venuto da fuori per investire in edifici o in agricoltura è stato richiamato proprio dalle inimitabili tipicità dellisola. E non da porti turistici, locali notturni, grandi chef pluri-decorati che a Pantelleria continuano a non esserci. |