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A ncora una volta mi sembra naturale tornare a sfogliare il fascicolo allegato a questa rivi- sta nel settembre 1995, intitolato Uomini e parchi, ventanni dopo, un contributo della redazione della rivista Parchi al dibattito sui temi della protezione oggi. Rileggo alcuni passaggi della presentazione:
Grazie alle caratteristiche specifiche del lavoro che al suo interno viene svolto, la rivista è diventata anche un osservatorio, un punto di incontro di domande che si pongono quanti con percorsi diversi sono arrivati ad occuparsi della tutela dellambiente e dellavvio di uno sviluppo eco-sostenibile in maniera professionale ed a tempo pieno.
La nostra impressione in breve è che nei parchi si fa un po di tutto, che esista moltissimo moto in luogo. il più delle volte più che giustificato, ma che tanta attività non produca un conseguente moto a luogo, cioè un lavoro verso un obbiettivo più ampio e generale da tutti riconosciuto nazionalmente e da tutti perseguito. Cè come una attesa, una sospensione del giudizio finché le cose non saranno più chiare, e cè, a nostro avviso, una presa di distanza da parte di molte autorità culturali e morali che un tempo erano co-protagoniste delle principali battaglie per la conservazione della natura, vinte grazie anche a loro.
Perciò, discutendone in varie riunioni di redazione, abbiamo voluto mettere nero su bianco le nostre comuni preoccupazioni e le nostre riflessioni, trasformandole in un vero e proprio appello, per battere un colpo, aprire una discussione, e dare il nostro contributo affinché si superi la fase attesista avviando una nuova fase di impegno comune.
Queste righe erano firmate la redazione ma ne riconosco tranquillamente la paternità per un paio di vezzi linguistici assolutamente personali (la storia del moto in luogo, per esempio).
Sono passati otto anni dalla pubblicazione di quel fascicolo. E che anni!
In quel remoto settembre 1995 era in carica un governo Dini, dopo le dimissioni di Berlusconi, con un ministro della Giustizia, Filippo Mancuso, che nel maggio avvia una inchiesta disciplinare sulla Procura di Milano, ma in ottobre è costretto a rassegnare le dimissioni.
Il 26 ottobre il Parlamento respinge la mozione di sfiducia contro il governo Dini presentata dal centro destra. Lotto giugno Romano Prodi aveva fondato il movimento politico denominato LUlivo. Gli anni seguenti li ricordiamo meglio, affollatissimi di fatti e di sterzate della Storia.
Ma la questione che ponemmo allora, nel settembre 1995, non è stata sostanzialmente sbloccata, e non ha avuto da tre governi di centro sinistra e da un successivo governo di centro destra nuovo e diverso ossigeno per respirare meglio.
Anzi, il fievolissimo dibattitino che è seguito allimpegno serio che alcuni di noi hanno assunto nel ripubblicare Uomini e parchi, la complicata interpretazione dellevento pubblico istituzionale che abbiamo contribuito a mettere in scena al Lingotto di Torino or non è guari, ed alcuni altri segnali mi convincono che la serie di interviste che sono venuto facendo e che trovano il punto di sintesi in quella con Roberto Gambino che viene pubblicata in questo stesso numero, risollevano oggi, a otto anni di distanza, in termini molto simili, la questione che ponemmo allora.
Sicché, dopo aver citato esplicitamente gli altri segnali ai quali mi riferisco, tenterò con spirito di servizio ed assoluta modestia - di offrire la mia conclusione.
In Parlamento accadono molte cose, in questa fase. E cè dibattito sulle priorità. Molto indietro rispetto alle priorità fissate dallagenda politica, si posizionano atti che ci riguardano molto da vicino. In ottava commissione il 30 0ttobre 2002 è stata approvata una risoluzione presentata da Bandoli, Vigni e Raffaella Mariani nella quale è scritto tra laltro: premesso che i rappresentanti delle regioni e delle province intervenuti durante i lavori della seconda Conferenza nazionale sulle aree protette hanno sottolineato lesigenza che tra lo Stato centrale, le regioni, ed il sistema delle autonomie locali venga rapidamente ripristinato un rapporto di piena e leale collaborazione istituzionale che deve innanzitutto riguardare lintesa per le nomine dei presidenti degli enti parco nazionali, la costruzione del sistema nazionale delle aree protette, lavvio dei progetti di sviluppo sostenibile dei grandi ambiti territoriali dellAppennino, delle Alpi, delle coste protette, dei corsi dacqua del bacino del Po, delle piccole isole e delle aree marine protette, il finanziamento di programmi triennali per la conservazione e la valorizzazione delle aree protette regionali e locali;
premesso che la Federazione italiana dei parchi e delle riserve naturali ha presentato nel corso della Conferenza un insieme organico di proposte e di richieste al Governo nazionale che sono lespressione delle esigenze manifestate unitariamente dallintero sistema delle aree protette, sia nazionali che regionali, per poter garantire lulteriore crescita qualitativa delle azioni di conservazione e di valorizzazione del patrimonio naturale dellItalia;
premesso molto altro ancora, impegna il Governo:
a completare entro il 2003, con il coinvolgimento delle regioni, del sistema delle autonomie locali e delle aree protette, la predisposizione della Carta della natura e del Piano nazionale della biodiversità;
a provvedere al trasferimento, a favore dei parchi nazionali e delle regioni, della gestione delle riserve naturali dello Stato comprese al loro interno, compatibilmente con la legislazione vigente;
ad istituire, ai sensi del decreto legislativo n.281 del 1997, un comitato tecnico, nellambito della conferenza stato-regioni, con il compito di istruttoria delle problematiche e dei provvedimenti inerenti la conservazione della natura di competenza della conferenza stessa;
a rispettare il dettato della legge n. 394/1991 relativamente allintesa, prevista dal comma 3 dellarticolo 9, tra il ministero dellambiente e le regioni per la nomina del presidente degli enti parco nazionali;
a fornire alla commissione i bilanci consuntivi degli ultimi tre anni degli enti di gestione delle aree protette di interesse nazionale (parchi nazionali ed aree marine protette);
a promuovere intese e/o accordi di programma tra gli enti parco nazionali, le regioni e gli enti locali territorialmente interessati per la realizzazione di azioni e progetti concordati volti allutilizzo dei residui passivi ancora giacenti presso alcuni parchi nazionali e finalizzati al raggiungimento degli scopi istitutivi ed alla valorizzazione ecosostenibile del territorio.
Tutto questo è stato approvato dalla Commissione parlamentare, ed impegna il Governo.
Si vedrà quanto il Governo farà, e quanto si riterrà davvero impegnato, ma allo stato degli atti le cose stanno così.
Anche sullaltro fronte, nel polo delle libertà, cè movimento. Il 24 settembre 2002 oltre novanta parlamentari hanno apposto la loro firma ad una proposta di legge il cui primo firmatario è lavvocato Francesco Onnis, di Cagliari, eletto nelle liste di Alleanza Nazionale, e che porta il titolo di Modifiche alla legge 394 in materia di aree protette. Gli altri firmatari appartengono a tutti i gruppi del polo delle libertà (An, Fi, Lega Nord, Ccd Cdu, più due componenti del gruppo della Margherita Dl-lUlivo (Salvatore Ladu, di Olzai, provincia di Nuoro e Santino Adamo Loddo di Orotelli, provincia di Nuoro).
La relazione introduttiva rappresenta la linea del polo nei confronti delle aree protette.
Si parte dalla premessa di un forte e convinto consenso alla istituzione ed alla fruizione, in Italia, di una congrua, organizzata e ben distribuita rete di aree protette, frutto di un consenso informato delle popolazioni interessate, e si sottolinea che queste aree protette dovranno avere come punto di riferimento il modello di parco sostenibile e possibile che non deve espellere luomo, tantomeno il cittadino residente, ma che deve essere disegnato con luomo al centro di un teatro naturale non ingessato e chiuso, ma aperto ad un utilizzo regolato, modulato in termini tali da assicurare la conservazione e, se possibile, larricchimento del patrimonio naturale e ambientale.
A seguire la relazione fa alcune affermazioni sulla 394 che potrebbero essere argomento di un interessante dibattito. La legge quadro sarebbe nata frettolosamente allo scadere della X legislatura e non avrebbe dato buoni frutti. I pochi parchi istituiti e vigenti sono frenati, inceppati, limitati nel loro sviluppo e nel loro appeal anche perché condizionati dalle inattuali, punitive e superate previsioni della legge n. 394.
Quali? Dal testo non risulta.
Risulta invece che lo stesso legislatore del lontano 1991
avvertì quasi coralmente il deficit di democrazia della legge quadro, arroccata su moduli centralistici retrivi e antistorici, di stampo quasi sovietico.
Oggi la 394 rappresenta un monumento ad un centralismo esasperato e anacronistico, capace di soffocare, sul delicato versante delle aree protette, ogni respiro sociale delle popolazioni, delle comunità e delle rappresentanze istituzionali, negando ogni spazio di effettivo intervento nei meccanismi, nei procedimenti e negli organismi attraverso i quali si costituisce o si gestisce un parco.
Insomma, cè un deficit di partecipazione che va colmato. Si tratta, scrive la relazione, di realizzare una effettiva integrazione tra uomo e ambiente, una sorta di sinallagma esistenziale, sociale, economico, morale ed anche religioso tra luomo e la natura, un vero e proprio scambio di valori e di vantaggi restituendo alluomo quel ruolo di insostituibile centralità nellambiente naturale che la legge n. 394 non aveva saputo o voluto dettare e realizzare.
Quindi si preparano tempi di sinallagma esistenziale, sociale, economico, morale e religioso. Non è poco. Diamoci una mossa, e prepariamoci a riappropriarci di quel ruolo di insostituibile centralità che è il pilastro del sinallagma.
Come si procederà?
La proposta di legge lo spiega.
Prima di istituire unarea protetta ci vuole un referendum tra i futuri residenti.
Se il parco non passa al referendum, niente sinallagma.
Se invece il parco si fa, nellorganismo dirigente vanno inseriti obbligatoriamente i parlamentari ed i consiglieri regionali eletti nel territorio interessato.
Un successivo articolo prevede divieti meno drastici e tassativi e spazi ridottissimi per lattività venatoria, in zone e tempi limitati, per i soli residenti e, quanto alla fauna migratoria, a pagamento, per i residenti nella regione e nellambito di territori costituiti in aziende venatorie assegnate in gestione a cooperative giovanili formate da soci residenti nei comuni compresi nellarea protetta. In altra parte dellarticolato viene introdotta anche per i parchi regionali la previsione della possibilità di un limitato esercizio dellattività venatoria.
Per quanto riguarda il piano del parco, il piano pluriennale economico e sociale ed il nulla osta si introduce un meccanismo di maggiore coinvolgimento di regioni e comuni, anche per i parchi nazionali.
Per listituzione di aree protette marine si introduce il concerto o lintesa della regione. Per quanto riguarda il corpo forestale dello stato, si prevede che il corpo forestale regionale, ove esistente gestisca la sorveglianza sui territori delle aree protette.
Così come ho fatto con la mozione della Bandoli, anche per la relazione di Francesco Onnis mi tocca tagliare parti anche importanti, facilmente rintracciabili da chi volesse completare il quadro.
Come si collegano la mozione della Bandoli e la proposta di Onnis con la mia curiosità di capire cosa è cambiato nelle tematiche che ponevamo nel 1995? Si tratta di due segnali forti, vistosi. Alla seconda conferenza nazionale sulle aree protette di Torino la federazione dei parchi ha presentato un elenco preciso di undici questioni che aveva il pregio di essere state considerate tali e prioritarie da una affollata assemblea che si tenne in Palazzo Lascaris, ed alla quale presero parti amministratori di aree protette di ogni colore politico.
Dopo di che le priorità e le piste si dividono? Le cose non stanno nemmeno così, per fortuna o purtroppo.
Cè la questione che continuo a pormi del rapporto con i grandi costruttori di opinioni di massa.
Quelli che nel nostro gergo segreto chiamiamo grandi firme, e che un tempo erano alcuni grandi intellettuali.
Con le mie interviste ho raccolto il parere di alcuni di loro, ed ho messo in vetrina qualche ipotesi di spiegazione del silenzio dei grandi costruttori di opinioni che oggi incombe sul nostro lavoro come una sorta di grandioso macchinario destrutturatore (e/o sgangheratore) di ambizioni, progetti e speranze.
Lassenza di un insieme di teorie adulte, periodicamente confrontate e sostanzialmente metabolizzate sui circuiti della comunicazione di massa generalista, legittimate dallautorità degli autorevoli del momento, si trattasse pure di Adriano Celentano, aiuta il sonno della ragione, e favorisce la crescita dei relativi mostri. Noi siamo troppo di nicchia, troppo autoreferenziali, troppo personalmente interessati, per coprire davvero quel vuoto di informazione che favorisce il sonno della azione amministrativa progettata e programmata.
Non basta ristampare Uomini e parchi. Non basta costruire gli undici punti di Torino. Perché il potere vero non ci vede nemmeno, e ci avverte come un mondo gelatinoso e stravagante, al quale fare riferimento con finto ossequio ma con sostanziale indifferenza.
Non è certo che in commissione parlamentare nessuno si rendesse conto di che cosa votasse, ma è più che probabile che tutti avessero la consapevolezza che niente di quanto votavano avrebbe mai interessato il Governo. Non è certo che nessuno degli oltre novanta parlamentari che hanno controfirmato la proposta di legge di Francesco Onnis ed altri sia interessato alla costruzione del nuovo sinallagma, ma è certo che non esista alcun nesso tra le lunghe discussioni, gli interventi, i saggi, i libri che abbiamo messo in piedi nel decennale della 394 per parlarne bene, ma anche per capirne i limiti e per capire cosa andrebbe cambiato, e lassoluta verginità dei cervelli che hanno concepito la proposta Onnis e la questione geniale del sinallagma.
Panta rei. E poi cè lentropia. E poi cè la noia. Ma se fosse vero quello che a volte ci ripetiamo negli spogliatoi, prima di scendere in campo, sulla crescente maturità della gente, e sulla nuova centralità delle questioni ambientali, se fosse vero un niente per cento delle cose che ci diciamo sulloggettiva necessità di politiche di conservazione e di valorizzazione del paesaggio e della natura, perché non possiamo continuare a fare danni, e perché la nuova agricoltura non potrà che essere eco sostenibile, come pure il turismo, come pure loccupazione e la stessa industria. Se fosse vero che nelle aree protette si conserva e si tutela quello che non può più essere distrutto, né cacciato, e insieme si sperimenta lunico sviluppo possibile, allora dovremmo prendere in considerazione una ipotesi strana, apparentemente maniacale e molto ridicola, ma che pure ha un suo oggettivo fondamento.
Dovremmo deciderci a prendere in considerazione lipotesi che non possiamo aspettarci nessun aiuto dallesterno.
Che non ci sarà un signore pieno di lampi, tuoni e folgori che in cima ad un monte si metterà a declamare a reti unificate i nostri undici punti di Torino.
Che non cè modo di semplificare una realtà complessa, che ha suoi percorsi nella determinazione degli assetti dei poteri (accademici, giornalistici, parlamentari, regionali) e nella formazione dellagenda dei protagonisti di quei poteri, sicché occorre prendere atto del dato di fatto che le scelte generali non si compiono sulla base di un lavoro che parte dalle mille esperienze in atto, e che le riconduce a sistema, a progetto e quindi a politica, ma da meccanismi noti, messi in atto per conservare consensi, oppure nella speranza di ampliarli, e per agevolare proprie clientele ovvero per ostacolare le altrui.
E che quindi dovremo rassegnarci a considerarci noi le grandi firme (o le piccole, ma insomma le sole che passa il convento), noi i costruttori di opinione, (poco di massa, certo, più che altro di nicchia, ma questa oggi è la situazione). Facendo più e meglio il nostro ingrato lavoro di grilli parlanti, in una società globale che avrebbe bisogno delle nostre competenze, ma ritiene, bontà sua, di poterne fare allegramente a meno, salvo stupirsi periodicamente e ritualmente delle catastrofi e delle ricadute delle politiche che sono state rinviate o che sono state azzerate.
Comunque non considero fatica sprecata il breve viaggio che mi sono regalato in giro per lItalia in cerca di nuovi interlocutori. Intanto perché ho avuto risposte incoraggianti.
Tutti i miei interlocutori hanno riconosciuto lesistenza del problema che ponevo loro, e della necessità di fronteggiarlo. Secondariamente non ho ragioni per escludere la possibilità di fare ancora ricorso ai miei interlocutori, per dibattiti, seminari e firme di documenti, in appoggio alle nostre esigenze di sperimentatori di tutela attiva.
Il poco entusiasmo con il quale sviluppo queste considerazioni è figlio di una pretesa che oggi riconosco fuori misura: quella di incontrare personaggi che si sarebbero immediatamente mobilitati, scrivendo libri e articoli, e sfondando tutti gli schermi televisivi con le nostre problematiche, capovolgendo lattuale nostra condizione di semi clandestinità.
Ma lacquisizione di questo dato, a pensarci bene, è un ulteriore frutto di questo giro di interviste.
Oggi infatti so meglio, con prove raccolte da me medesimo, che gli intellettuali maggiori (così come i minori), e le grandi firme (così come quelle più piccine) vivono soprattutto allinterno di meccanismi e di labirinti già costruiti che li fanno essere divi e vati nel loro mondo e nei confini di quel mondo. Quando il treno della nostra Storia (o storia?) sarà arrivato al capolinea, e avrà superato tutte le stazioni di tutte le crisi, quando anche lantipolitica sarà arrivata al suo capolinea, scopriremo se ci sarà un parcheggio scambiatore e qualche altro mezzo che ci porterà più lontano, essendo poco probabile che ci fermeremo tutti lì.
Nellattesa di incontrarci tutti lì, in un nuovo sinallagma culturale, a chi ha la nostra formazione e la nostra esperienza resta il compito di tenere vivo il ricordo di Valerio Giacomini e dei suoi scritti, di ritrovarci in dibattiti e convegni, in seminari, tesi di laurea e relative bibliografie, sempre un po troppo autoreferenziali ma sempre anche un po aperti verso il resto del mondo, mescolati in una voglia di sinallagma e di sinergia sempre più forte, così come accade ad ogni segmento di realtà e ad ogni corporazione in evoluzione.
Quello che conta sopra ogni altra cosa è la capacità di mantenere il senso delle proporzioni, la capacità di considerarci sempre parte di un elenco di priorità molto più vasto, ma contemporaneamente anche la capacità di non abbandonare la fierezza della nostra identità, e la convinzione che i grandi temi e le priorità maggiori sarebbero meno grandi e meno maggiori senza lapporto delle nostre esperienze e delle nostre azioni.
m.g. |