Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 38 - FEBBRAIO 2003


CHI VINCE E CHI PERDE?
Tra le istituzioni non ci sono vincitori e sconfitti
In questi mesi non sono mancate le polemiche e le tensioni politiche che hanno in molti casi creato aspri contenziosi in vari parchi e diverse parti del paese.
La situazione sembra ora avviarsi ad una lenta normalizzazione sia pure tra persistenti strascichi che in qualche caso probabilmente lasceranno qualche segno.
Ma per quanto si tratti di vicende talvolta spiacevoli nel complesso o almeno nella maggior parte dei casi - quando non vengano meno cioè regole e procedure precise - vanno considerate fisiologiche.
Su un punto però vale la pena si soffermarci con maggiore attenzione per evitare che si confondano due piani della questione che debbono invece rimanere ben distinti.
Si è sentito affermare ripetutamente in questi mesi anche da parte del ministro che certe decisioni ancorchè spiacevoli erano legittime in base al risultato elettorale. Insomma, ‘abbiamo vinto’, quindi ci prendiamo il premio dovuto.
Ora, qui bisogna stare molto attenti a non confondere appunto due aspetti assolutamente non sovrapponibili.
Alle elezioni effettivamente c’è chi vince e chi perde; una forza o uno schieramento politico a Roma, in una regione, in un comune vince e un altro esce sconfitto. E’ la regola democratica e il premio per chi vince è il governo delle istituzioni.
Ma a vincere o perdere non sono le istituzioni.
Il confronto e la contesa riguarda le forze politiche.
Mentre ci sono forze politiche che vincono e altre che perdono tra le istituzioni non ci sono vincitori e sconfitti. Ecco il punto che specie per i parchi deve risultare estremamente chiaro.
Il parco a differenza di tantissime altri enti, agenzie e quant’altro espressione di una o più istituzioni è, per sua intrinseca e precipua natura, l’espressione di più istituzioni sia orizzontalmente (più Comuni, più Province, più Regioni), sia verticalmente ossia istituzioni di diverso livello e competenza fino allo stato.
Senza la collaborazione (che non a caso deve essere ‘leale’) di questo complesso di istituzioni il parco non può funzionare. D’altra parte le istituzioni senza il parco non possono perseguire le finalità e gli obettivi che la legge gli assegna. Questo deve essere ben chiaro. Nessuna istituzione da ‘sola’ infatti può sostituirsi al parco. Stando così le cose nel parco non possono esserci istituzioni ‘vincenti’ che possono prevalere e decidere per altre ‘sconfitte’.
In altri termini nel parco o nella comunità del parco non possono riprodursi i giochi tra maggioranza e minoranza propri di qualsiasi assemblea elettiva. Quelli che si incontrano nella comunità del parco sono tutti ‘vincenti’ e coloro che vengono scelti per amministrare l’ente parco (nazionale o regionale che sia) non sono l’espressione di una maggioranza e di una minoranza ma di un accordo tra istituzioni con pari dignità a prescindere dalle specifiche maggioranze che al momento le gestiscono. In conclusione, a differenza di altri organismi, chi siede nel consiglio di un parco non rappresenta una maggioranza o una minoranza, ma un insieme di istituzioni che alla pari debbono farsi carico degli oneri di una gestione ‘speciale’ che proprio in quanto tale fa capo alle istituzioni e non agli schieramenti politici. D’altronde i progetti di un parco riguardando un territorio che fa capo a istituzioni diverse per competenze e amministrate da schieramenti differenti destinati a cambiare spesso ad ogni elezione non potrebbero essere realizzati e gestiti adeguatamente se dovessero ogni volta prevalere logiche esclusive di un Comune, di una Provincia, di una Regione o dello stato nessuno dei quali ha il diritto di decidere per conto di altri magari perché considerati ‘sconfitti’. Ma come abbiamo visto su questo piano non ci sono né vincitori né vinti.
O il parco lo si gestisce tutti insieme o tutti insieme si va a casa perché esso non potrebbe fare quello per cui è stato istituito.

Un tavolo istituzionale non basta
Da fin troppo tempo, ossia da quando il Comitato stato-regioni previsto dalla legge 394 è stato abrogato e la Consulta tecnica è stata praticamente liquidata, andiamo chiedendo la istituzione di un organismo, una sede tecnica, un tavolo in cui l’associazione dei parchi possa confrontarsi con stato, regioni ed enti locali prima che siano prese le decisioni che riguardano le aree protette. Sebbene la Bassanini stabilisca espressamente questo finora nulla è stato fatto.
È vero alla conferenza di Torino la federparchi ha rinnovato questa richiesta che ha trovato positivo accoglimento da parte dell’assessore della Regione Piemonte, Cavallera e un più vago impegno del sottosegretario on Tortoli mentre un più preciso riferimento vi è nella Mozione approvata alla unanimità dalla Commissione Ambiente della Camera, ma nonostante tutto questo niente finora è stato concretamente fatto.
E pure nelle indagini svolte dalle Commissioni Ambiente di Camera e Senato sui parchi nazionali non vi è traccia di questo problema.
Se dunque non possiamo che rinnovare la nostra pressante richiesta perché finalmente si metta mano alla questione tanto più che anche recenti provvedimenti riguardanti le aree protette marine passati al vaglio della Conferenza stato- regioni ci sembra che ignorino alla grande esigenze più volte e chiaramente poste dalla federparchi, dobbiamo anche porre una questione che riguarda specificamente le regioni ordinarie e speciali.
Il tavolo che è indispensabile a Roma non lo è meno nelle varie regioni. Quando molto tempo fa fu avviato dalle Regioni il lavoro per i nuovi statuti (che non ci sembra abbia fatto per la verità molta strada) ci permettemmo di segnalare questa necessità alla luce di una esperienza ormai consolidata almeno in numerose regioni. Facemmo notare che alcuni organismi regionali previsti in talune regioni pur utili avevano espressamente un carattere ‘tecnico’ e non istituzionale. Mi riferisco alle Consulte tecniche previste, ad esempio, dalla legge regionale toscana ma anche campana o quella prevista nella proposta di legge attualmente in discussione al Consiglio regionale della Calabria. Ma si tratta, appunto, di organismi tecnici di ‘supporto’ al lavoro della Regione. Utili certamente, ma altra cosa da quello strumento istituzionale di cui si avverte ormai l’improrogabile esigenza anche in sede regionale. Se a Roma urge una sede dove si possa discutere del sistema dei parchi la stessa, identica esigenza c’è oggi nelle regioni.
Anche qui, infatti, urge un tavolo dove i parchi, tutti; nazionali, regionali, provinciali e locali, possano confrontarsi con la Regione, le Province, i Comuni e le Comunità montane.
Se gli statuti regionali per qualsiasi ragione più o meno valida tardano va trovata un’altra sede per decidere.
È interesse anche delle Regioni e degli enti locali oltre che dei parchi evitare che ognuno proceda per conto suo.
I coordinamenti regionali della nostra associazione farebbero bene ad occuparsene quanto prima.

Come prima peggio di prima
Ogni qualvolta si preannuncia il provvedimento istitutivo di una nuova area protetta marina incrociamo le dita con la speranza che sia finalmente la volta buona, l’avvio di quel cambiamento che ormai da troppo tempo andiamo proponendo e rivendicando inutilmente.
A rendere questa volta la nostra speranzosa attesa più viva era il fatto che si trattava di importanti aree marine di cui una in particolare, l’isola di Asinara notoriamente contigua con il parco nazionale dell’Asinara e ad esso quindi, per ovvie ragioni, strettamente connessa.
Ma i decreti pubblicati il 5 dicembre sulla G.U. riguardanti le riserve marine di Capo Caccia e Capo Gallo-Isola delle Femmine, e il 20 dicembre quelli riguardanti la riserva dell’Isola Asinara e il Parco nazionale dell’Asinara non erano davvero dei tipo sperato.
Nel caso delle due riserve, entrambe situate in regioni speciali; Sardegna e Sicilia, il decreto prevede l’ente che per Capo Caccia sarà costituito da enti pubblici, istituti scientifici e associazioni ambientaliste anche consorziati, ‘sentita’ la Regione; per quella siciliana saranno invece gli enti locali d’intesa con la Regione.
E già qui, pur trattandosi di regioni speciali, si noterà una differenza; ‘sentita’ in un caso ‘d’intesa’ nell’altro. Ma diversi sono anche gli enti, accomunati però dal fatto che nessuno dei due prevede la Provincia. È vero che, generalmente, nella letteratura amministrativa con enti locali si intende Comuni e Province, ma nel caso in questione è evidente che non sarà così. Insomma quella ‘leale collaborazione’ che è costituzionalmente alla base della gestione di tutte le aree protette come dice la legge quadro ed ha più volte confermato e ribadito la Corte costituzionale, non vale per le aree marine. D’altronde già la legge 426 le aveva sottratte del tutto all’intesa stato-regioni con l’eccezione però di quelle speciali che però nel nostro caso- come abbiamo visto- sono state trattate diversamente. Misteri poco gaudiosi di una gestione centralistica che continua ad agire caso per caso ma sempre all’insegna di una visione e concezione burocratica e pasticciata. Tanto che accanto all’ente di gestione ci sarà ‘vigile’ una commissione di riserva ed eventualmente un comitato scientifico che, come sappiamo, non è previsto per nessun parco nazionale.
Insomma un ballo sul mattone per tre ballerini che, come l’esperienza di questi anni insegna, non potranno che pestarsi i piedi.
Ma dove il ministero ha veramente superato se stesso è con il decreto sull’Isola Asinara.
Qui non si indica alcun ente di gestione ma solo i compagni di viaggio; commissione di riserva ed eventuale comitato scientifico.
È evidente l'imbarazzo del governo dal momento che il buon senso, anche per il meno esperto di queste cose, consiglierebbe l’affidamento al parco terrestre. Come potrà essere separata la natura terrestre da quella marina in un isola? A Roma pensano ragionevolmente che lo si possa fare? La cosa veramente grottesca dinanzi a queste reiterate bufale è che poi si pretende di fare la romanzina ai parchi sulla loro burocrazia e inefficenza.
Va detto però che le stesse Regioni le quali attraverso il parere della conferenza stato- regioni mettono la firma su questi pasticci non ci fanno una bella figura.

L’indagine sui residui passivi
Sui residui passivi si è svolta anche una indagine da parte della Commissione ambiente della Camera. Una indagine singolare, bisogna dire. Nel momento in cui il parlamento veniva infatti in un certo senso messo in ‘sonno’ per 24 mesi, passando l’intera materia ambientale – aree protette incluse- al vaglio di una commissione di esperti esterni alle istituzioni, incaricata di scrivere o riscrivere 7 Testi Unici, la commissione, ascoltando anche soggetti ‘estranei’ al tema oggetto dell’indagine (vedi CFS) si imbarcava in una ricognizione che per molti, troppi versi risultava una brutta copia di quelle della Corte dei Conti svolta però con minore ‘professionalità’.
Questo credo debba essere detto senza con ciò mancare di rispetto a nessuno. La lettura degli stenografici delle diverse audizioni (che andranno ovviamente più analiticamente vagliati) risulta sotto questo profilo persino imbarazzante. Sorprendente è, ad esempio, la scarsa (ma è un eufemismo) dimestichezza del presidente e di troppi membri della commissione con la materia. Se da un lato emerge un fastidioso e insistito atteggiamento politico censorio con conseguente auspicio di ricorrere a rapidi ‘commissariamenti’ che – lo si dovrebbe pur sapere- non competono certo al parlamento, dall’altro cascano le braccia quando a 11 anni dalla approvazione della legge quadro si sono sentite rivolgere domande le cui risposte sono ‘scritte’ in testi che evidentemente anche in sedi tanto autorevoli sono praticati di rado.
E se gli esaminatori candidamente chiedono chiarimenti su cose che le leggi e l’esperienza hanno precisato da tempo, non meno sorprendente è che persino qualcuno degli esaminati (magari un assessore regionale a cui viene chiesto chi approva i piani dei parchi) balbettando sbaglia la risposta, sebbene anch’essa sia scritta a chiare lettere nella legge quadro.
Un tema dunque che poteva fornire una interessante chiave di lettura della realtà di molti parchi nazionali e soprattutto di cosa significa e deve significare oggi, in concreto, ‘leale collaborazione’ istituzionale, è stato usato in larga misura e confusamente per ‘dimostrare’ la scarsa affidabilità di molti parchi e del loro rapporto con le comunità locali.
Quando semmai ciò che emergeva, e lo si dovrebbe sapere anche senza accurate indagini, è che quel che ancora non funziona a dovere è il ‘rapporto’ dei parchi, specie nazionali, con il complesso del sistema istituzionale, ministero compreso.