Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 38 - FEBBRAIO 2003


UN LIBRO SUL PARCO DELL’ASPROMONTE
Con un paio di questioni da approfondire
Vorrei dire subito perché ritengo questo volume “Tonino Perna; Aspromonte -I parchi nazionali nello sviluppo locale”, meritevole di una riflessione critica e non soltanto di una doverosa segnalazione. Cominciamo dall’autore. Tonino Perna è presidente del Parco nazionale dell’Aspromonte nonché docente di Sociologia economica all’Università di Messina. I professori universitari che scrivono libri sono numerosi, pochi sono invece i presidenti di parco che lo fanno. E questa è già una buona e valida ragione per parlare di questo libro. Naturalmente di libri sui parchi ne sono stati scritti molti (anche se non moltissimi) in questi anni. Ve ne sono alcuni -citati non a caso più volte anche da Perna- divenuti ormai dei veri e propri classici ; uno per tutti, ‘Uomini e parchi’. Altri, più recenti, hanno come oggetto le aree protette magari per attività e temi specifici; turismo, pianificazione etc. Altri ancora hanno assolto ad una funzione sicuramente importante di valorizzazione di talune significative esperienze o ‘modelli’. In questo comparto di matrice prevalentemente ‘ambientalista’ si trovano sia scritti, diciamo pure, nobilmente propagandistici, ma quasi sempre piuttosto acritici, sia di ‘denuncia’ dei ritardi, degli errori soprattutto di chi sembra restio a rifarsi a talune concezioni e, appunto, ‘modelli’ di gestione dei parchi dal marchio garantito.
Il libro di Perna non rientra in nessuna di queste tipologie in quanto si avvale delle competenze di un docente universitario, peraltro fortemente impegnato in attività internazionali di ‘solidarietà’ a cui ha dedicato anche importanti scritti, per riflettere su una esperienza assai speciale in una realtà non meno speciale, in cui è stato coinvolto non senza qualche iniziale mugugno e screzio politico.
La combinazione di questi due importanti e differenti ingredienti rende il libro estremamente interessante perché partendo dal vivo di una concreta e difficile esperienza l’autore, anziché ripiegarsi sulle angustie (sempre numerose) di una gestione sovente avara di riconoscimenti e soddisfazioni, proietta il tutto in una dimensione fin troppo ‘globale’.
Ma lo fa con l’occhio e l’obiettivo di ricondurre quel che succede nel mondo ‘globalizzato’ in una realtà e dimensione locale che può riscattarsi soltanto se non sarà tagliata fuori e definitivamente marginalizzata. Qui Perna si confronta anche con quel dibattito ‘meridionalista’ che è seguito al crollo delle politiche assistenzialiste (peraltro sempre in agguato) e che ha rifiutato di ridurre la questione meridionale a mero ‘distacco’ tra un nord in fuga e un sud che arranca in un inseguimento senza fine e senza futuro.
Nella prima parte l’autore spazia dagli USA al Canada, ai paesi mediterranei per fornirci vari dati di una situazione che presenta rischi seri anche per i parchi forti di una antica tradizione.
Di questa tradizione, sia pure con approccio talvolta inevitabilmente sommario, si ricordano momenti e conquiste fondamentali che oggi però debbono fare i conti con i cambiamenti ‘globali’.
Se questa è la cornice entro cui si muove l’autore (l’estrema e sommaria sintesi gli fa ovviamente torto) bisogna dire che già nel titolo del volume c’è qualcosa che non persuade del tutto. Tanto più che proprio Perna e il suo parco- come il libro non manca di ricordare- negli scorsi mesi promossero una carovana dei parchi che attraversò con risultati innegabilmente positivi buona parte del paese e che anche allora, però, riguardò stranamente soltanto i parchi nazionali.
Il libro ripete questa impostazione e visione già nel titolo la quale trova poi nel testo una sua spiegazione e motivazione che –lo diciamo subito- non è assolutamente convincente. Diciamo,anzi, che essa contraddice proprio con quel giusto obiettivo di costruire un sistema delle aree protette capace -come l’autore non manca più volte di sottolineare- di far leva sul consenso, sul sostegno condiviso delle comunità locali.
Scrive Perna; ‘I parchi, soprattutto quelli nazionali che godono di maggiore autonomia, hanno iscritto nel loro DNA il carattere di imprenditore pubblico’. A sostegno di questa asserzione sorprendente, perché storicamente nel DNA dei vecchi parchi nazionali italiani si trova ben altro che una maggiore autonomia, Perna, in una nota aggiunge: “A nostro avviso, i parchi nazionali godono, paradossalmente di una maggiore autonomia di quelli regionali, nonostante le apparenze. Teoricamente, infatti, un parco regionale dovrebbe essere più libero e autonomo dalla burocrazia ministeriale, ma in realtà, soprattutto nel mezzogiorno, i parchi regionali risentono fortemente degli umori e del controllo politico locale ben più asfissiante di quello nazionale”.
Qui per la verità si confondono cose diverse e si ripropongono, purtroppo, vecchissime tesi che a dispetto delle buone intenzioni dell’autore, spingono verso lidi diversi da quelli a cui il libro intenderebbe approdare. Quanto alla interferenza della burocrazia che può manifestarsi in entrambi i tipi di parco, se si guarda all’esperienza concreta, non v’è dubbio che quella ministeriale oggi risulta certamente non meno ‘pesante’ e intrusiva di quella regionale. Sotto questo profilo semmai i parchi regionali (che al sud sono pochi con l’eccezione della Sicilia e che perciò difficilmente possono essere portati come esempio e fare testo) sono oggi di gran lunga più ‘autonomi’ di quelli nazionali, tanto che decidono delle piante organiche, dei direttori e della vigilanza e nella maggior parte dei casi da tempo rilasciano i nulla osta etc.
Ma dove Perna non convince è quando sostiene che si è più autonomi laddove ci si allontana dai ‘condizionamenti della politica locale’. Tanto è vero che una volta imboccata questa strada si arriva a sostenere che l’ideale sarebbe arrivare a costituire dei ‘parchi europei’ tali da ‘non essere messi in discussione dalle alternanze dei governi nazionali, come oggi accade in Italia’. Insomma lo stato è più affidabile della dimensione regionale rispetto alle molteplici spinte locali, ma l’europa è più affidabile dello stato. È una visione che sposta in continuazione la soglia sempre più verso l’alto dove si spera evidentemente di trovare finalmente qualcuno che mette tutti in riga. Ma affidare oggi questo ruolo (illusorio) all’Europa, specie nel momento in cui c’è diffuso scetticismo su un assetto federale comunitario, accredita pericolosamente l’idea che l’Europa allargata sarà una sorta di superstato, il che non è e non deve essere.
Tornando ai ‘condizionamenti politici locali’ non si tratta certo di negarli, sarebbe anzi sorprendente che non ci fossero in un sistema democratico imperniato su una ricca articolazione della rappresentanza elettiva istituzionale.
Stupisce semmai che essi siano considerati più gravi e seri dei ‘condizionamenti’ nazionali. Anche recenti vicende più o meno clamorose che hanno riguardato i parchi regionali dalla Lombardia alla Liguria e poi i parchi nazionali della Toscana e dell’Emilia -Romagna come possono essere ascritte unicamente nel libro nero ‘locale’?
Quando si commissariano i parchi non ‘amici’, quando non si trasferiscono le riserve statali, quando si mantiene la vigilanza dei parchi nazionali accentrata, quando si tagliano le risorse o si ritorna alla carica per la caccia, si ‘condizionano ‘o no i parchi:mettiamo tutto nel conto ‘locale’?
Qui c’è un passaggio cruciale per qualsiasi politica di sistema delle aree protette (e non solo) che non può che basarsi sul rifiuto di classifiche di ‘importanza’ che ha già fatto non pochi danni nel passato e continua a farne. Il libro su questo punto appare invece oscillare per propendere in definitiva verso uno speciale riguardo per i parchi nazionali. Tanto è vero che si ricorda la positiva iniziativa del ministro Ronchi di stabilire un tavolo per i parchi nazionali.
Ma è proprio questo che non va bene perché di tavoli c’è certamente bisogno ma per tutti i parchi e quindi per tutte le istituzioni come Federparchi d’altronde richiede da tampo ed ha ribadito anche alla conferenza di Torino. Quando si ricorda che la Sicilia ha la più ampia superfice protetta da parchi regionali ma si aggiunge subito dopo che essa ha la colpa, a differenza della Sardegna di avere scelto ‘la strada di non avere parchi nazionali in nome di una, a mio avviso, mal compresa autonomia’, se da un lato gli si contrappone un esempio davvero poco felice e probante (si vedano le vicende del Gennargentu, della legge regionale e quant’altro), dall’altro si ‘ignora’ che la Sicilia non ha scelto di ‘rinunciare’ ai parchi nazionali ma ha ‘semplicemente’ deciso molti anni prima che lo stato facesse qualcosa, di istituire i ‘suoi’ parchi regionali e le sue numerose riserve i cui risultati non sono certamente inferiori a quelli di tanti parchi nazionali. Caso peraltro pressochè unico nel sud. È pur vero che alcuni parchi regionali siciliani ed in particolare quello dell’Etna più volte hanno figurato nell’elenco dei papabili per una ‘promozione’ nazionale, ma erano in compagnia di tanti altri parchi regionali (e non di regioni speciali) come la Maremma e Migliarino S.Rossore, Massaciuccoli che sono rimasti però giustamente regionali.
Ho voluto soffermarmi in particolare su questa parte del libro che spesso rimanda peraltro a queste questioni più nelle note che nel testo, non certo perché essa sia l’oggetto prevalente di un volume che- come ho detto- ha il merito di spaziare su una gamma di questioni e problemi davvero ampia e stimolante.
La ragione di queste osservazioni critiche è dovuta non soltanto all’importanza che la questione ha in ordine proprio agli obiettivi condivisibili dell’autore, ma anche ad una fatto più specifico e contingente. Anche alla recente Conferenza nazionale di Torino si è accennato (ma solo accennato) allo studio del Politecnico di Torino sulla classificazione. Ebbene l’importanza e il valore di quello studio sta essenzialmente nell’avere disancorato la classificazione delle aree protette dalla matrice istituzionale per ricondurla alle ‘finalità’ proprie di ciascuna area protetta. Riproporre, nel momento in cui le istituzioni tutte dovrebbero finalmente sedersi ad un tavolo per dare ordine al sistema nazionale delle aree protette, una ‘gerarchia’ sia pure attenuata da molti giudizi positivi che nel libro si dà all’operato di tanti parchi regionali, tra parchi è sbagliato e pericoloso. Ed anche i riferimenti istituzionali nel libro risentono di questa impostazione fortemente ambigua.
La carovana a cui ho fatto cenno all’inizio ha teso a coinvolgere i sindaci. Giusto. Meno giusto che ci si sia rivolti unicamente a quelli dei parchi nazionali. Ma meno giusto ancora è che non si parli dei ‘coinvolgimento’ delle Province e delle Regioni.
Ha poco senso parlare di rete ecologica, di rete tra i vari parchi (tutti) senza far leva contemporaneamente, sul sistema raccordato delle istituzioni non a caso rappresentate unitariamente nella comunità del parco. Per carità, a nessuno sfugge il ruolo decisivo dei comuni e specialmente dei più piccoli che in Italia sono la stragrande maggioranza, ma la loro risposta alle legittime aspettative dei vari parchi sarà tanto più adeguata quanto più essa risulterà l’espressione ‘congiunta’ di comuni, province e regioni e non qualcosa di separato dal resto. Non si ripeta insomma l’errore in cui persevera tuttora il ministero dell’Ambiente nella gestione delle aree protette marine affidate di norma soltanto ai comuni e separate dai parchi terrestri. In ciò non c’è assolutamente un riconoscimento più limpido, un premio per i comuni (come si vorrebbe dare ad intendere) ma soltanto un loro maggiore ‘isolamento’ che li rende più deboli e disarmati e non più forti nei confronti di quel potere centrale che non è certamente meno condizionante di quello locale. A fronte della complessità di questi problemi stride pertanto nel libro, qualsiasi sia la questione trattata (incendi etc) l’insistito ed esclusivo (o quasi) riferimento non ai parchi ma ai parchi nazionali, quasi si trattasse di una ‘specie’ a sè. Ma devo dire anche che mi ha colpito anche, scorrendo i numerosi e diversissimi rimandi bibliografici, che l’autore non faccia mai riferimento ai dibattiti e ai contributi che su questi problemi ha dato la rivista ‘Parchi’ ed altre pubblicazioni e iniziative provenienti dal mondo dei parchi.
Eppure, da anni, di queste delicate e controverse problematiche sulla rivista (ma anche in sedi qualificate come Gargnano etc) si discute con passione e approfondimenti seri e competenti che avrebbero dovuto stimolare un autore sensibile e attento come Perna che invece non sembra tenerne conto. Perché non interloquire e confrontarsi con quelle posizioni, quelle elaborazioni che sono indiscutibilmente l’espressione culturale più avanzata nel campo della protezione, maturate per la prima volta all’interno del mondo complessivo delle aree protette di cui fecero da battistrada - non lo si dimentichi- proprio i parchi regionali e il loro primo primo coordinamento nazionale.
Queste annotazioni critiche che ho ritenuto di dover fare per l’autorevolezza dell’autore del libro mi rendo conto che rischiano di sbilanciare un giudizio su un testo che ha molti e innegabili meriti e pregi. In primo luogo quello di delineare chiaramente, sulla base di una esperienza concreta sofferta ma densa di risultati, un ruolo del parco che a tutti gli effetti e con pienezza di titoli, va considerato un nuovo importante, autorevole e qualificato protagonista della realtà istituzionale del nostro paese.
Il parco quale emerge dalla appassionata ricostruzione dell’esperienza dell’Aspromonte non è un ente che si aggiunge alla moltitudine di organismi aziendali e non, in cui si articola ormai la pubblica amministrazione. La gran parte di essi per settori più o meno significativi ‘attua’ e gestisce infatti funzioni spesso antiche e tradizionali delle assemblee elettive. Il parco è chiamato a inaugurare, esplorare, ricercare invece un nuovo tipo di ‘governo’ del territorio partendo da una esigenza non settoriale ma complessiva e non di questa o quella istituzione, ma dell’insieme delle varie istituzioni, chiamate non a caso a collaborare ‘lealmente’. Anche le resistenze che spesso denunciamo - e lo fa efficacemente e in maniera documentata anche Perna- alla istituzione e al decollo dei parchi va letta in questa chiave.
Si dice che la nascita di un nuovo comune o di una nuova provincia e spesso richiesta con forza e comunque non è accolta certo da ostilità. E’ vero. Ma è vero anche che in quel caso si tratta di continuare fare quello che comuni e province fanno da sempre. Nel caso del parco non è così. Il parco nasce proprio per introdurre una importante e difficile svolta e novità nel governo del territorio. I nuovi Comuni e le nuove Province alle spalle hanno una tradizione antica o comunque consolidata. Non è così per i parchi che rispetto anche alla loro tradizione peraltro non diffusissima fino a tempi recenti anche nel nostro paese, sono chiamati oggi a svolgere funzioni assolutamente nuove e estremamente più impegnative e complesse nell’affollato panorama istituzionale. Sotto questo profilo il libro di Perna ha l’indubbio merito di porre una questione nuova sulla quale forse, anzi sicuramente, fino ad ora si è riflettuto troppo poco. Se esso contribuirà, come ci auguriamo, ad ulteriori approfondimenti Perna non avrà lavorato invano.

R.M.