Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 38 - FEBBRAIO 2003


AGRICOLTURA, RURALITA’ E POLITICHE INTEGRATE
Anche il ruolo delle aree protette dipende sempre più dalle scelte assunte dalla Unione Europea
Dal libro di Perna emerge come abbiamo visto un ruolo davvero speciale dei parchi. Vorremmo riprendere la riflessione su questo punto partendo da due importanti e recenti contributi su un tema a prima vista molto più settoriale ossia la pianificazione agricola e le politiche rurali. Nel caso di; ‘Il modello di pianificazione agricola nella politica di coesione’, il racconto di Agenda 2000- di Alessandro Hoffmann, si tratta di una riedizione rivista e ampliata di un volume del 1999 recentemente riconosciuto meritevole di ‘menzione speciale’ dalla giuria dei ‘Premi Pasquale Saraceno’ per studi sul Mezzogiorno.
L’altro è un fascicolo speciale della rivista fiorentina Il Ponte (ottobre –novembre 2002) intitolato Terra e dedicato interamente, con una mole davvero notevole di qualificati contributi, al tema della agricoltura e della ruralità viste nelle loro molteplici e meno esplorate connessioni con il territorio e non soltanto con la produzione e il mercato.
Pur nella loro diversità i due volumi mettono entrambi bene in risalto la fonte principale delle politiche in esame ossia l’Unione europea. Fatto questo- forse è bene dirlo subito- che conferma, se ce ne fosse bisogno, che ormai anche il ruolo dei parchi -che come cercheremo di evidenziare è strettamente connesso alla politica agricolo-rurale e alla pianificazione- dipende sempre di più da quel che si decide in sede comunitaria.
Il che giustifica e spiega anche il nostro crescente interesse e impegno su tematiche ed eventi che contrariamente a qualsiasi apparenza sono tutt’altro che ‘lontani’ dal nostro operare quotidiano.
Il libro di Hoffmann ricostruisce l’evoluzione delle politiche e delle misure comunitarie con estrema accuratezza evidenziandone i meriti ma anche le difficoltà, gli errori, evitando ogni semplificazione. Il lettore può coglierne tutto lo spessore e il valore anche culturale e non solo politico e istituzionale. In questi anni, infatti, non si aggiustano, correggono, adeguano soltanto le norme, i programmi, i finanziamenti, ma maturano, prendono corpo nuove visioni e concezioni non più esclusivamente ancorate ai paradigmi economico-finanziari. Cambia l’approccio complessivo e nozioni come ‘coesione’, ‘rete’, ‘concertazione’, ‘partenariato’ etc assumono significati nuovi e precisi.
Da tutto ciò emerge con sempre maggiore chiarezza e pregnanza la nozione- che a noi interessa in maniera particolare- di ‘territorio’, che aveva rischiato di affievolirsi indebolendo e vulnerando così il valore della dimensione locale. ‘Il paradigma della rete –annota Hoffmann- se portato agli estremi e trasformato in eccesso- ha, in sé, un ‘buco nero’ che pone problemi nel rapporto tra il ‘locale’ e il ‘globale’: esso, infatti, ‘salta’, la nozione di territorio, fa perdere a quest’ultimo il ruolo di elemento centrale (che l’economia regionale gli ha dato) e lo indebolisce come soggetto politico economico’.
Ma anche le caratteristiche della dimensione locale cambiano specie quelle agricolo-rurali.
Osservano Becattini e Zorini su “Il Ponte” che ci sono luoghi che producono ‘specialità’ che per ‘la propria sopravvivenza e il proprio sviluppo, debbono mantenere il passo di un’ incessante evoluzione dei bisogni e delle innovazioni tecnologiche che si verificano sul mercato globale, salvaguardando al contempo la propria identità culturale e naturalistica’.
E questa dipende in larga misura dalla loro capacità si usare il proprio sapere locale produttivo. Ma ci sono anche sistemi locali che producono ‘specialità integrate’ dove le cose sono diverse e in qualche modo più complicate.
In questo caso ciò che si deve preservare e riprodurre è l’immagine ‘ non di un grappolo di beni, ma di un intero stile di vita, cioè un complesso interrelato di beni, attività, valori e istituzioni’. I due casi sono accomunati dall’esprimere entrambi la genuina essenza degli scambi di beni, anche di quelli più commerciali, come servizi forniti da un gruppo di persone ad un altro.
E lo sono in particolare sotto un ben preciso e importante profilo ossia quello della ‘integrazione’ delle politiche settoriali che più e meglio di ogni altro connotato dovrebbero qualificare al massimo la ‘specialità’ dei parchi. In questo senso, anche se nel complesso dei due contributi non si parla molto o non si parla affatto di aree protette, al lettore minimamente avvertito non può sfuggire che esse sono o almeno possono e debbono essere protagoniste non marginali di queste complesse vicende.
Il libro di Hoffmann da questo punto di vista offre anche qualche concreto e significativo esempio di un impegno attivato da mesi dai parchi siciliani ed in particolare dal parco dei Nebrodi.
Una cosa che forse merita di essere detta subito in via del tutto preliminare, è che la lettura dei due volumi riserva più di una sorpresa o se preferiamo qualche notevole e preziosa illuminazione anche a chi si era convinto negli ultimi tempi che quando si parla oggi di agricoltura non ci si riferisce, come in passato, ad una vicenda esclusivamente economico-produttiva.
L‘accoppiata agricoltura- ruralità ha spostato innegabilmente l’attenzione anche da parte delle aree protette verso un comparto di cui sempre più sono venuti emergendo le implicazioni e il valore non puramente o semplicemente economico ma anche ambientale.
Ma si tratta di una agricoltura da ripensare che può avere un ruolo più o meno preponderante in un territorio specifico, ma soltanto in casi relativamente eccezionali (come quello di un distretto agro-alimentare) potrà ambire ad essere il ‘motore’ dello sviluppo rurale.
Questo ruolo è svolto invece da un insieme diversificato di attività, di cui l’agricoltura è soltanto uno dei componenti’.
Purtroppo le politiche agricole non sono state né pensate né applicate come un pacchetto integrato di misure, ma ‘più come un ‘contenitore di misure’ che come una visione politica.
Le politiche rurali rispondono ancora a una logica che le vede come un accompagnamento della politica dei mercati.
Da questo punto di vista spazio rurale e settore d’attività continuano ad essere percepiti come la stessa cosa’. Difficile non condividere queste annotazioni critiche di Elena Saraceno nel suo bel saggio su ‘Europa agricola ed europa rurale’ (Il Ponte).
Da questo punto di vista, infatti, si è più volte e da più parti rilevato che a questo importantissimo riconoscimento comunitario prima ancora che nazionale, non segue ancora la dovuta ‘correzione' nella politica agricola dell’unione che assorbe il 90% delle risorse riservandone soltanto la decima parte alla ‘ruralità’ e di questa solo piccolissima parte (l’1%) ad aspetti non ‘produttivi’, intesi cioè come servizi etc.
Forse anche per questa perdurante penalizzazione ha finito per prevalere, o c’è comunque il rischio che prevalga, una rassegnata presa d’atto che - anche per non rinunciare a quel che passa il convento sebbene sia poca cosa- dobbiamo in qualche modo accontentarci di mettere a frutto spazi limitati i quali costituiscono pur sempre qualcosa di positivo anche per la presenza del parco.
Mi riferisco a quelle attività cosiddette di ‘nicchia’, prodotti biologici etc. Anche i prodotti tipici oggi giustamente tanto in auge rischiano (o possono rischiare) in questo ambito di assumere un rilievo ‘spropositato’ e parzialmente compensativo di quella svolta annunciata che tarda a decollare. D’altronde, tutto ciò non può sorprendere perché- e i due volumi sotto questo profilo risultano davvero illuminanti- ciò che talvolta secondo determinate e diffuse opinioni sembra pacifico e scontato, non lo è affatto.
Che tra agricoltura e ruralità ci sia qualche parentela è fuori discussione e nessuno ne dubiterà. Ma cosa siano oggi agricoltura e ruralità non è sempre facile stabilirlo. Più agevole, ad esempio, è dire cosa non è ruralità che darne un definizione certa.
Ed anche quando si parla di distretti rurali sulla falsariga di quelli industriali (Becattini docet) le questioni aperte restano numerose e non semplici. La ruralità non è semplicemente una ancella dell’agricoltura e quest’ultima da sola non connota sempre e spesso neppure principalmente, il distretto rurale come le singole industrie da sole non qualificano quello industriale.
In entrambi i casi è il territorio a diventare qualificante, nel senso che le contiguità ed eterogeneità più che la settorialità o l’azienda singola, diventano decisive.
Altro punto giustamente passato al vaglio di una critica puntuale su ‘Il Ponte’ in diversi scritti è che la ruralità oltre che schiacciata sulla agricoltura è spesso e tuttora ambiguamente, negli stessi documenti comunitari, associata alla ‘marginalità’, alle aree bisognose di aiuto e ‘assistenza’. Insomma ‘mentre nel passato gli aggettivi agricolo e rurale erano pressochè sinonimi, oggi quando nella maggior parte dei territori europei l’agricoltura e le attività connesse a essa hanno una limitata importanza sia in termini economici che occupazionali, ciò non è più vero e il passaggio dall’urbano al rurale non avviene drasticamente ‘bensì- come annota Senni- si sviluppa gradualmente lungo un continuum nel quale è oltremodo difficile individuare nitide linee di demarcazione tra i due estremi’.
Al superamento di questa visione così fortemente condizionata da retaggi del passato, mira esplicitamente l’esperienza avviata in Sicilia e di cui riferisce Hoffmann nel suo volume.
Un ‘caso di studio’ come lo definisce l’autore è quello del PIT Nebrodi. Il disegno deve ruotare attorno ad una ‘idea forza’ che, nel nostro caso, è la messa a punto in un area che è anche un parco naturale, ha cioè una dimensione istituzionale e funzionale su una precisa base territoriale- di un Distretto Turistico Rurale: obiettivo è quello di legare assieme agricoltura, artigianato e servizi in modo da creare relazioni forti che assicurino la valorizzazione anche economica, delle risorse naturalistiche, ambientali, culturali ed archeologiche presenti in abbondanza nel territorio.
L’insieme delle risorse, strutturate ad incastro, avrà come effetto la creazione di una ‘massa critica’ in grado di attrarre turismo e, con esso, di realizzare un circuito di occupazione produttiva. Filo conduttore del percorso che il piano intende mettere a punto è la ruralità (e, al suo interno, il recupero ragionato dell’agricoltura) che, nel Progetto, dovrà assumere un ruolo guida e rafforzato nel perseguimento dell’obiettivo della valorizzazione del ‘repertorio’ territoriale e sociale.
Quindi, riscoperta delle risorse locali e mantenimento di una imprenditoria agricola che consenta di ridurre i costo sociali della ‘desertificazione’; questa imprenditoria farà capo ad una agricoltura multifunzionale in grado di generare esternalità positive e di integrarsi con gli altri settori.’
Queste parole dal libro più e meglio di qualsiasi nostro commento danno una idea precisa di cosa i parchi possono rappresentare e quale ruolo essi possono giocare in realtà come quella siciliana e in quella catena che in Sicilia corre parallela alla costa e che non è mai stata ‘oggetto’ di una reale programmazione delle proprie risorse di tipo integrato. Ma in questa importante esperienza c’è un messaggio chiarissimo anche per i parchi non siciliani, come un insegnamento c’è nella esperienza dell’Aspromonte di cui ci ha parlato Perna nel suo libro.
Un messaggio o meglio una chiara indicazione che, ne siamo certi, le aree protette sapranno cogliere in vista delle impegnative partite che ci attendono. L’indicazione principale è che oggi il parco non si definisce o si connota in base ad una qualche banale ‘concreta’ e indistinta presenza ora qua ora là a cui si fa demagogico appello, ma nella capacità di esprimere al più alto livello la ‘multifunzionalità’, la ‘integrazione’ tra i diversi settori di attività che ritroviamo in un determinato e ben definito territorio.
Il parco sotto questo profilo è il ‘garante’ principale perché le dimensioni locali non siano irreversibilmente marginalizzate.

R.M