Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 39 - GIUGNO 2003


L’EUROPA E I PARCHI

In un convegno internazionale svoltosi al Castello di Riomagggiore nel parco nazionale delle Cinque Terre

Si gioca soprattutto a Bruxelles l’ultimo, ambizioso fronte aperto sulla politica delle aree protette dalla Federparchi.
Perché i parchi non sono finora riconosciuti dall’Unione europea anche e soprattutto nell’erogazione dei finanziamenti comunitari per l’ambiente, rimasti poi drammaticamente insufficienti?
E come superare quegli ostacoli? Intanto, mentre si discute della nuova bozza di costituzione europea, l’Italia si avvia al congresso mondiale di Durban con un patrimonio invidiabile di esperienze, ma pure con due sonore bocciature targate Ue (e un nuovo Dpr su Natura 2000).

Correva l’anno 1957. Al governo il primo gabinetto Segni, al Quirinale Giuseppe Saragat, in Parlamento la frattura tra Psi e Pci in seguito ai fatti d’Ungheria. In un giorno di primavera i rappresentanti di sei Paesi (Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) firmano solennemente il Trattato di Roma, atto di nascita della Comunità economica europea.
In quell’occasione viene battezzata pure la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom), mentre ha già sei anni la prima organizzazione europea di tipo federale, la Comunità europea del carbone e dell'acciaio (Ceca). Nel preambolo del Trattato, tra i principali obiettivi, gli Stati firmatari s’impegnano a perseguire quello del “miglioramento costante delle condizioni di vita e di lavoro dei loro popoli”. Tiepido e generico - e quasi mezzo secolo dopo l’istituzione dei primi parchi del Vecchio continente - è il primo segno politico d’attenzione all’ambiente da parte dell’Europa nascente. Trentacinque anni dopo, a firmare il Trattato di Maastricht nel 1992 sono in dodici. Coi suoi 347 milioni di abitanti la Cee è il terzo “Paese” più popolato del mondo, dopo Cina e India e ben prima degli Usa.
E messo nero su bianco stavolta c’è l’impegno a incoraggiare “lo sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche nell’insieme dell’Unione” e “una crescita sostenibile, non inflazionistica, e che rispetti l’ambiente”.
Più avanti un intero articolo (il 130R) è dedicato all’ambiente, con l’elencazione degli obiettivi prioritari tra cui: “salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente; protezione della salute umana; utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale”.
Giugno 2003. A un anno dall’ingresso di ulteriori dieci Paesi nell’Ue, viene presentata la bozza della prima Costituzione europea. Cinquantanove articoli, e già il terzo che recita: ”l'Unione si adopera per un'Europa dello sviluppo sostenibile basata su una crescita economica equilibrata, un'economia sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente”.
Sono solo le tappe principali - tralasciandone altre pure di grande rilievo come l’Atto unico (1987) e i Trattati di Amsterdam (1997) e di Nizza (2001) - di una strada ancora lunga e irta di ostacoli, quella dell’affermazione di una reale e incisiva politica ambientale dell’Unione europea. Un percorso che si è avvalso sin qui di sei programmi comunitari d’azione per l’ambiente, e di oltre settecento testi giuridici tra direttive, regolamenti, decisioni di settore. E che per il mondo dei parchi si è concretizzato finora soprattutto in una parola e in un numero, assieme definiti “l’iniziativa più significativa per la tutela della natura nella storia dell’Europa”: Natura 2000.

Per l’Italia una doppia condanna

Cosa sia Natura 2000 i lettori di Parchi lo sanno bene. I suoi numeri in costante aggiornamento parlano oggi (dati DG Ambiente, marzo 2003) di 3.042 Zps designate ai sensi della direttiva Uccelli e di 15.453 pSic ai sensi della direttiva Habitat. Solo un anno fa le Zps erano 2.827 ma nel corso del 2002 si sono aggiunte numerose aree, in particolare in Spagna (81), Germania, Italia, Austria. I Sic erano 14.901, in seguito aumentati grazie alle nuove segnalazioni soprattutto da Finlandia (290), Germania (183), Francia (65).
Solo l’area interessata dai Sic, in parte sovrapposti alle Zps, nel vecchio continente si estende ora su oltre 450.000 kmq, una superficie pari a una volta e mezza quella dell’Italia.
Nel nostro Paese più della metà (il 53%) delle superfici di pSic e Zps sono esterne alle aree protette, come documentato dalla ricerca del CED-PPN del Politecnico di Torino (si veda il precedente numero di Parchi).
Dopo una lunga e non ancora conclusa fase di individuazione dei siti, Natura 2000 è avviata ora a divenire una rete realmente funzionante. E qui naturalmente le cose cambiano, anche con l’emersione di rilievi e critiche a lungo messe in ombra dall’adesione generalizzata al progetto comunitario. Il gruppo dei Verdi al Parlamento europeo, ad esempio, nei mesi scorsi ha realizzato uno studio sull’attuazione di Natura 2000 basato su questionari inviati a organizzazioni, enti e onlus in tutt’Europa: ne è emerso un ampio gradimento condizionato però da lacune riscontrate in particolare su finanziamenti, dialogo tra gli attori coinvolti, informazione, trasparenza delle decisioni. Sulla necessità di passare dalle parole ai fatti sono state ancora più dirette le recenti critiche da parte della Francia, avanzate dalla delegazione d’oltralpe al Consiglio d’Europa. In una nota ufficiale diramata in giugno è stata richiamata l’esigenza che Natura 2000 assuma “una forma concreta” dando la priorità alla gestione effettiva dei siti, proponendo altresì una valutazione intermedia dei risultati sin qui ottenuti.
E chi va anche oltre è la federazione Europarc, che per bocca del suo presidente Michael Starret individua “il limite più forte di Natura 2000”, che sta nel suo “approccio esclusivamente specialistico, senza cercare il coinvolgimento delle popolazioni locali”. E l’Italia? Proprio nel nostro Paese questo 2003 sta portando significative novità. Intanto a marzo, partita dalla Corte di giustizia europea, è scattata una doppia condanna: per non aver classificato inmisura sufficiente come Zps i territori più idonei alla conservazione dell’avifauna e, ugualmente, per lacune e omissioni nel recepimento della direttiva Habitat.
Il provvedimento relativo alla direttiva Uccelli è l’ennesima puntata di un tira e molla iniziato già nel 1994, con un primo richiamo della Commissione al nostro Paese per l’individuazione di Zps ritenuta insufficiente per numero e superfici. Nonostante il progressivo aumento delle nostre Zps, passate “magicamente” in dodici anni da 73 a circa 350, a Bruxelles l’insoddisfazione è rimasta e per il Bel Paese è scattato il cartellino rosso. Parametro utilizzato dalla Commissione per misurare l’inefficacia delle misure sin qui intraprese è stato l’Inventario delle Iba (important bird areas, aree importanti per l’avifauna) redatto da BirdLife International, network di associazioni di protezione degli uccelli rappresentato in Italia dalla Lipu. In base a quel censimento le Iba nostrane interessano un’area complessiva di 3,6 milioni di ettari, mentre le Zps individuate al momento del ricorso non arrivavano a coprirne la metà. Senza considerare poi la revisione dell’inventario, ultimata nel 2000, che riporta per il nostro Paese la presenza di 192 aree per una superficie totale di 4.657.947 ettari.
Quindi la Lipu - come previsto da un’apposita convenzione - ha consegnato al ministero dell’Ambiente una seconda revisione dell’inventario, che dopo accorpamenti e revisioni dei perimetri ha portato all’individuazione e alla mappatura di 172 siti per una superficie totale di 4.874.179 ettari.
“La consegna è avvenuta nel febbraio dell’anno scorso”, precisa Ariel Brunner, responsabile progetto Iba e Natura 2000 dell’associazione, “ma nonostante il ministero abbia girato subito il documento alle Regioni ci risulta che finora l’unica a varare un ampliamento della propria rete Zps sia stata il Veneto”. “Infatti da noi il lavoro è partito già nel successivo marzo”, dice Cesare Lasen, ex presidente del parco nazionale delle Dolomiti bellunesi, botanico, tra i consulenti incaricati dalla Regione per la revisione delle Zps, “e si è concluso entro l’anno, per giungere nel febbraio scorso alla delibera di giunta che ha registrato l’ampliamento”. Si è passati così da 17 Zps estese su 77.351 ettari (il 4% del territorio regionale) a 70, per ben 304.260 ettari di territorio coinvolto (il 16,5% del totale). “Alcune Regioni come l’Emilia Romagna e la Toscana stanno per raggiungere lo stesso traguardo”, continua Brunner, “mentre tra le più inadempienti ci sono Sardegna, Calabria, Friuli e la Lombardia che ha individuato come Zps solo le garzaie”.
Ancora alla Lipu hanno ultimato uno studio sull’adeguamento dei piani di sviluppo rurale alla gestione dei siti Natura 2000, mentre in via di stesura - la consegna al ministero dell’Ambiente avverrà entro l’anno - sono le Linee guida per la gestione dei siti.
Quanto alla condanna su Habitat, il governo aveva provato a evitarla predisponendo uno schema di Dpr correttivo del precedente regolamento di attuazione della direttiva 92/43/CEE, giunto però in ritardo al varo definitivo.
E solo il 30 maggio scorso il provvedimento è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Le modifiche introdotte rispetto al precedente decreto, il Dpr 357/97, sono volte a superare i rilievi della Commissione e cioè schematicamente:

  • 1) l’obbligo della valutazione d’incidenza non solo per le nuove opere soggette alla Via ma per tutte quelle capaci di incidere sui pSic;
  • 2) l’adozione obbligatoria delle misure di tutela non solo riguardo ai pSic ma pure alle Zps;
  • 3) la procedura di concertazione con la Commissione europea per sanare eventuali carenze rilevate nell’elenco nazionale dei pSic. Altre modifiche, non richieste dalla Ce ma giustificate secondo il ministero dalle nuove attribuzioni assegnate dalla riforma del titolo V della Costituzione, hanno poi incontrato il parere negativo della Conferenza Stato Regioni (seduta del 25/7/2002).

Riguardano in particolare le misure di gestione da adottare nei siti, predisposte sì dalle Regioni ma ora sulla base di linee guida definite centralmente con decreto ministeriale. Nonostante la bocciatura il ministero è ugualmente andato dritto sulla sua strada, confortato pure da un parere richiesto al Consiglio di Stato. Di tempo da perdere a questo punto non ce n’è molto, vista la condanna in sede Ue che già si concretizza - oltre al pagamento delle spese processuali - in un richiamo di forte significato politico, e che se non trovasse risposta (il contrasto con le Regioni per la Commissione europea è ovviamente una questione interna e non giustifica ulteriori ritardi) aprirebbe la strada a una seconda condanna per lo Stato italiano, a quel punto con il pagamento di una salatissima sanzione.
Il Life non basta
Nella complessa partita del reale decollo di Natura 2000 un ruolo di tutto rilievo è ovviamente rivestito dai finanziamenti.
Come noto, lo strumento finanziario per l’ambiente a Bruxelles è il Life, che tra il 1992 e il 2001 ha consentito la realizzazione di qualcosa come 2060 progetti (700 Life Natura). La dotazione di Life è in crescita. Nella prima fase, periodo 1992-95, lo stanziamento è stato infatti di 400 milioni di euro. Nella seconda, periodo 1996-99, si è passati a circa 450 milioni di euro. Nella fase in corso (2000-2004), Life III dispone di un budget complessivo di 640 milioni di euro, di cui circa 300 per Life Natura.
Quest’anno a disposizione ci sono in tutto 160 milioni, e i termini di presentazione dei progetti al ministero scadono il prossimo 30 settembre. Ma sono numeri in grado di soddisfare le attese? Nei mesi scorsi un gruppo di lavoro insediato dalla Commissione europea ha consegnato uno studio sui fondi necessari alla gestione della rete da parte degli Stati membri (consultabile su Internet nella sua versione integrale all’indirizzo http://europa.eu.int/comm/environment/nature/final_report_it.pdf ). E la somma è compresa tra 3,4 e 5,7 miliardi di euro all’anno, superiore quindi di 20/35 volte a quella complessivamente assegnata attualmente al Life. “Vi sono molti motivi per ritenere che si tratti di stime molto prudenti”, annota il rapporto. Che precisa pure che, seppur significative, “le esigenze finanziarie della rete Natura 2000 risultano in realtà modeste se comparate ai 75 miliardi di euro di cofinanziamento disponibili nel 2002 nel quadro dell’attuale bilancio agricolo dell’Ue, dei Fondi strutturali, del Fondo di coesione e dello strumento Life-Natura”.
I parchi ignorati
Seppure largamente beneficiarie dei fondi Life, le aree protette in realtà non ne sono propriamente i destinatari.
Come noto, i documenti su carta intestata Ue - che siano direttive, regolamenti o bandi - parlano di Sic&Zps ma NON di parchi e riserve. È una ritrosia istituzionale che dà origine anche a curiosi eufemismi, come nell’ultimo e terzo Rapporto sullo stato dell’ambiente in Europa presentato a maggio dall’Eea, l’Agenzia europea per l’ambiente. Vi si parla infatti di aree protette come designated areas, quantificandole in ben 65.000 e chiarendo che comprendono “circa 600 differenti tipologie di designazione”. Di parchi non s’è parlato all’ultima conferenza ministeriale di Kiev in Ucraina, sempre a maggio. Né, tantomeno, i parchi sono citati nel sesto Programma d’azione per l’ambiente dell’Ue.
“Il problema è che il parco è un ente che gestisce il territorio”, chiarisce Gianfranco Tamburelli, ricercatore all’Istituto di studi giuridici internazionali del Cnr, “e questo aspetto l’Unione europea non è arrivata a normarlo perché alla luce dei trattati vigenti si andrebbe ad incidere sulle sovranità nazionali”.
“Negli ultimi anni c’è stata però una tendenza all’allargamento delle competenze, per esempio sull’inquinamento acustico, e dunque non è escluso che si giunga a futuri interventi che prendano in considerazione anche i parchi”. Magari per prevedere, ad esempio, una corsia preferenziale nell’assegnazione dei Life? “Sì, anche se in questo e in altri casi”, continua Tamburelli, “un eventuale intervento della Commissione dovrebbe superare l’ostacolo dell’attuale grande varietà tipologica di parchi esistente in Europa. Sarebbe dunque interesse delle aree protette stesse e delle loro associazioni come Federparchi ed Europarc, magari già nella prossima assemblea annuale di quest’ultima (in Norvegia dal 27 al 31 agosto, ndr), iniziare a lavorare all’obiettivo di una più omogenea classificazione a livello europeo”.
L’eterogeneità dei quadri legislativi nazionali nel vecchio continente, dove si chiamano allo stesso modo - “parco nazionale” - Abisko e Cinque Terre, wilderness e terrazzamenti, è una realtà subito chiara a qualunque turista in visita all’Europa dei parchi. Meno evidente la causa sottesa a quelle diffeenze di classificazione, vale a dire - con le parole di Roberto Gambino - “più che gli elementi geografici, la differente maturazione del processo di cambiamento delle diverse politiche nazionali delle aree protette”. Quel cambiamento del concetto e della funzione del parco da istituzione meramente protezionistica a modello di sviluppo sostenibile del territorio fondato su valori naturali di prim’ordine - e condiviso e promosso da ogni livello istituzionale - in Italia è un processo avanzato come probabilmente in nessun altro Paese europeo (con alcune similitudini, ma solo alcune, con l’esperienza ormai pioniera dei parchi regionali francesi).
Altrove i parchi, in particolare i parchi nazionali, sono rimasti solo “santuari della natura” spesso confinati alle quote più alte e spopolate delle montagne (accade per esempio ai Pirenei francesi e ancor più sul versante spagnolo ad Ordesa, all’Engadina in Svizzera, in tutti i parchi scandinavi, al Vikos-Aoos in Grecia). Da noi, l’esperienza collettiva che in questi anni stanno sperimentando 2675 consigli comunali, piuttosto che 283 Comunità montane, in Europa non ha eguali. Ma l’Europa lo sa? E quanto di questa innovativa e partecipata identità dei parchi italiani è arrivata alle orecchie di Margot Wallstrom, commissaria Ue all’Ambiente, che ai convegni va ripetendo “we must start at local level”, noi dobbiamo partire dal livello locale?

Una nuova strategia europea

Torino sarebbe già passato remoto, se non fosse per l’approvazione del documento conclusivo della seconda Conferenza nazionale (11-13 ottobre 2002) avvenuta solo nello scorso giugno.
In quella sede fu il padrone di casa, l’assessore piemontese all’Ambiente Ugo Cavallera - ora coordinatore per l’ambiente in sede di Conferenza Stato-Regioni, al posto dell’Abruzzo - a far presente fin dal suo intervento introduttivo ai lavori della Conferenza l’esigenza di “chiedere all’Unione europea una maggiore attenzione alla politica dei parchi”.
Ma una nuova pista si è aperta davvero solo con la predisposizione da parte di Federparchi di un documento intitolato “L’Europa e i parchi”, con le idee e le prime proposte per una politica dell’Unione in materia di aree protette.
Cuore del documento è la richiesta alle istituzioni di Bruxelles di un riconoscimento del ruolo e delle finalità dei parchi nelle politiche ambientali: una “promozione” finora riservata solo ai Sic e alle Zps, uniche aree finalizzate alla conservazione della natura dirette destinatarie dei fondi comunitari.
Un gruppo di lavoro coordinato da Renzo Moschini e composto tra gli altri anche da Federica Thomasset, Giulio Caresio, Carlo Desideri, oltre alla redazione del documento (a lungo in tutta evidenza sul sito web www.parks.it, dove tuttora è consultabile), ha curato i contatti con le associazioni di numerosi Paesi europei e ha organizzato il convegno del 13 giugno a Riomaggiore, nel parco nazionale delle Cinque Terre, intitolato appunto “L’europa e i parchi”.
Nella stupenda cornice ambientale del parco ligure, grazie alla efficiente e cordiale ospitalità del presidente del parco nazionale Franco Bonanini e dell’assessore provinciale - nonché coordinatore regionale di Federparchi - Massimo Caleo, hanno testimoniato dell’interesse all’iniziativa di Federparchi tra gli altri Nuno Lecoq, dell’Istituto portoghese per la conservazione della natura (“vi sono molti punti interessanti, però sarà anche difficile armonizzare le diversità”), Marià Martì di Fedenatur che è l’associazione dei parchi metropolitani e periurbani, Xavier Mateu di Europarc Espana, Gérard Moulinas della Federazione dei parchi regionali francesi, lo stesso Michael Starret, presidente di Europarc. Intervenuti a Riomaggiore anche l’assessore ligure Franco Orsi, il presidente della Provincia della Spezia Giuseppe Ricciardi, Franco Benaglia della Direzione protezione natura del ministero, il responsabile della sezione italiana di Europarc Fabio Lopez (“non siamo riusciti a fare una Federparchi europea”, ha detto quasi scusandosi a una platea numerosissima e provata dal caldo torrido, “per via degli approcci troppo diversi”).
L’iniziativa ha colto nel segno, a detta di molti cogliendo un’esigenza avvertita da tempo ma mai raccolta con il necessario impegno e spirito propositivo. Ulteriore interesse è stato aggiunto dal contemporaneo dibattito internazionale avviato dalla presentazione della bozza di carta costituzionale dell’Unione, proprio negli stessi giorni, da parte della Convenzione europea guidata da Valéry Giscard d’Estaing, Giuliano Amato e Jean-Luc Dehaene. “La nuova identità dell’Europa non può ignorare una delle sue caratteristiche più significative e cioè la natura umanizzata”, ha sottolineato a Riomaggiore Roberto Gambino, sostenuto da Ermete Realacci che ha collocato proprio le politiche ambientali tra le idee forti del vecchio continente assieme alla coesione sociale e al senso di responsabilità verso le aree di sottosviluppo del pianeta.
Al nocciolo del problema ha riportato Renzo Moschini, chiedendo che “i parchi possano finalmente accedere ai fondi comunitari senza fare l’autostop” e avanzando due proposte operative per avviare un percorso che si annuncia da subito lungo e irto di difficoltà: la stesura di un Libro verde sui parchi naturali europei e l’istituzione di un Forum, come luogo permanente di dibattito e ricerca sul tema.
Qualche riserva sull’opportunità di modificare l’attuale legislazione ambientale l’ha espressa Monica Frassoni, presidente del gruppo verde al Parlamento europeo, che teme passi indietro e chiede invece maggiori fondi per Natura 2000 e una maggiore chiarezza sulle sue finalità (i Verdi europei hanno recentemente proposto la costituzione di un Help Desk indipendente su Natura 2000, con l’obiettivo di monitorare i progressi della rete, sviluppare lo scambio di esperienze locali e assicurare assistenza legale agli attori coinvolti).
Analoghi timori sono stati espressi anche da Gaetano Benedetto del Wwf, che ha preferito poi sottolineare i rischi tutti nazionali della riforma ambientale in atto con la proposta di legge delega. “Incontreremo enormi difficoltà ad ottenere il superamento di ostacoli giuridici presenti nell’attuale trattato”, ha dichiarato tornando al tema il vicepresidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo Guido Sacconi, “ma certi limiti si possono forzare e vanno lanciati alla Commissione europea stimoli e segnali”. “Sic e Zps non ci bastano più”, ha aggiunto Fabio Renzi, “e se in questa legislatura non c’è più tempo vorrà dire che nella prossima campagna elettorale chiederemo ai candidati al Parlamento europeo di sottoscrivere le nostre proposte”. “Non dobbiamo spaventarci per il lungo cammino europeo che abbiamo intrapreso oggi”, ha concluso a Riomaggiore il presidente di Federparchi Matteo Fusilli, “basterà pensare al lungo percorso della legge 394”.
Fusilli ha pure annunciato l’obiettivo di giungere all’istituzione di una Federazione europea dei parchi. Come prevedibile, il nuovo indirizzo di maggior impegno sul fronte dei rapporti internazionali è stato ribadito da Fusilli anche nella sede dell’Assemblea congressuale dell’associazione, tenutasi il giorno seguente (14 giugno) ad Ameglia nel parco ligure di Montemarcello-Magra. Decisamente più inaspettata, invece, la nuova e importante occasione per ribadire il concetto offerta dall’incontro al ministero dell’Ambiente del 18 giugno a Roma. In quella sede non solo si è finalmente costituito l’agognato tavolo Ministero-Regioni-Enti locali-Federparchi per indirizzare la futura politica delle aree protette - ed anche il lavoro dell’ormai famosa commissione dei 24 prevista dalla legge delega -ma si è pure approvato, a otto mesi di distanza, il già citato documento conclusivo della seconda Conferenza nazionale di Torino.
E tra gli impegni sottoscritti al primo punto c’è proprio l’impegno internazionale verso l’Europa e il Mediterraneo, con un’azione decisa affinché l’Unione europea “estenda indirizzi e programmi di conservazione della natura al complesso delle aree protette e da proteggere”, riconoscendone quindi il ruolo “nel quadro dei progetti e dei finanziamenti comunitari”. Sempre a Roma, sempre a giugno, stavolta alla sede centrale di Federparchi una lettera a firma di Margot Wallstrom assicurava a Fusilli l’apprezzamento per l’iniziativa di Riomaggiore e per “le idee interessanti” del documento presentato - inviato nelle settimane precedenti alla commissaria Ue - definito “una buona base di partenza per una discussione sulla dimensione europea dei parchi naturali”. Se son rose…

di Giulio Ielardi