Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 39 - GIUGNO 2003


RETE ECOLOGICA E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE

"... L'uomo nello spazio può osservare la terra lontana, un corpo celeste, una sfera che ruota su se stessa. Essa gli appare verde, per la vegetazione della terra e le alghe che rendono verdi gli oceani, un verde frutto celeste. Osservando la terra da più vicino, egli vede delle macchie nere, brune, grige, dalle quali tentacoli dinamici si allungano sull'epidermide verde. In queste macchie egli riconosce le città e le opere dell'uomo, e si chiede se l'uomo non sia altro che una malattia planetaria ..."

(Conferenza di Loren Eiseley nella serie "The house We Live in", WCAU-TV, 1961)

Negli ultimi decenni, mentre da un lato, soprattutto a seguito dell’emanazione della L. 394/91 (legge quadro sulle aree protette), ricevono nuovo impulso le attività di individuazione e istituzione di aree protette, dall’altro prende corpo la crisi di una concezione di tutela e vincolo per isole. Matura la convinzione, dapprima nelle principali scuole di ecologia e successivamente nelle politiche di gestione territoriale, che separare un’area protetta dal resto del territorio, privilegiando azioni prevalentemente difensive contro possibili cause esterne di degrado, non garantisce la tutela e la preservazione del bene naturale di pregio e delle sue feconde relazioni funzionali col territorio circostante.
Le esperienze di pianificazione volte ad introdurre “recinti per la conservazione”, ampiamente collaudate nei parchi francesi, possono innescare pesanti aggressioni sui bordi, causando pericolosi accerchiamenti speculativi (“effetto corona”); in tal caso, la risorsa verrebbe utilizzata come un giacimento e sottratta a quel vitale sistema di relazioni con l’esterno.
Questo processo non è una novità in campo urbanistico e territoriale. Basta infatti guardare agli anni Sessanta e Settanta per vedere una situazione analoga svilupparsi nella città, quando la cultura urbanistica rivolgeva l’attenzione esclusivamente al centro storico lasciando la periferia ad una crescita talmente disordinata da renderne difficile la stessa individuazione dei margini. L’esigenza di andare oltre l'isola di particolare pregio naturale o culturale, di “aprire il recinto” senza distruggerlo è diventata, nell’ultimo decennio, la parola d’ordine per le politiche di gestione territoriale.
Si è riconosciuta, in altri termini, l’opportunità di individuare, valutare e regolamentare non solo il bene naturale (o culturale) in sè, ma anche l’ambito relazionale cui il bene si rapporta.
Le attenzioni verso le interazioni orizzontali preludono alla formazione di una rete di tipo ecologico che, inevitabilmente, si confronta e crea feconde sinergie e complementarietà, o interferenze e conflitti, con le altre reti, di tipo infrastrutturale, funzionale, fruitivo, insediativo, di cooperazione tra soggetti settoriali o territoriali, pubblici o privati. In questa prospettiva, la questione ambientale si affaccia nelle politiche urbane e territoriali e la pianificazione assume un ruolo essenziale.
Il processo di territorializzazione delle politiche ambientali ha compiuto, in questi ultimi anni, vistosi passi in avanti anche a seguito della divulgazione di diversi documenti e trattati internazionali. È opportuno ricordare: Parks for life - The Caracas Action Plan (1992), che invita al superamento del concetto di confine (perimetro esterno) dei parchi, integrando le aree protette nella pianificazione generale di ciascun paese e ricercando il consenso delle popolazioni locali; la Convenzione Europea sul paesaggio (siglata a Firenze nell'ottobre 2000), che riconosce il ruolo sociale e culturale (oltre a quello ecologico) del paesaggio e definisce una politica di gestione (fatta di piani e progetti territoriali) volta a salvaguardare i caratteri identitari, orientare e armonizzare le trasformazioni provocate da processi sociali, economici ed ambientali, guidare forme di valorizzazione, di ripristino e di creazione di nuovi paesaggi; la II Conferenza nazionale aree protette (ottobre 2002), il titolo della cui sessione più rilevante "Soggetti e territorio" è emblematico del valore che assume il rapporto tra i vari soggetti pubblici e privati e il territorio.
Se la pianificazione ha avuto una responsabilità primaria nel favorire un degrado ambientale crescente, non potrà non avere un ruolo essenziale nella ricerca di un nuovo equilibrio ecologico. Nel "sistemare nello spazio attività e funzioni in modo da evitare che si danneggino a vicenda e favorirne le interazioni positive", sarà opportuno prendere in considerazione non solo il valore attuale e futuro dei suoli, ma anche le vocazionalità intrinseche di ciascun'area, evitando concezioni estremamente riduttive, proprie della zonizzazione tradizionale, volte a considerare un uso monofunzionale dei suoli.
Ian L. Mc Harg, nella sua famosa opera ("Design with nature", 1969), coglie l'esempio della complessa coesistenza nella foresta delle varie specie a diversa dominanza e dei molti ruoli cooperativi per introdurre, nella gestione delle risorse naturali, una valutazione dei differenti gradi di compatibilità dei diversi usi (da quelli dominanti e codominanti a quelli subordinati ma compatibili). In tal senso, Mc Harg dimostra che una singola area di foresta può essere gestita per ricavare legname o pasta di legno e, simultaneamente, per il controllo delle acque, delle inondazioni, della siccità, dell'erosione del suolo; oppure per la fauna ed il tempo libero.
Si tratta quindi di determinare gli usi singoli ottimali ed il relativo grado di compatibilità con gli altri usi del suolo (ad es.: un'area con un alto potenziale per la selvicoltura sarebbe compatibile anche con il tempo libero, oppure con una limitata attività agricola; un'area con una funzione prevalentemente agricola potrebbe essere usata per il tempo libero e tollerare un po’ di urbanizzazione e un limitato sfruttamento minerario).
Se da un lato, in questo nuovo ruolo della pianificazione, la questione ambientale assume valore dirimente, dall'altro sembra improbabile che l'opzione conservativa possa ridurre la sua azione ad un’aprioristica contrapposizione nei confronti di qualsiasi scelta trasformativa. L'appello alla mera conservazione che negli anni Sessanta e Settanta ha svolto un ruolo di efficace contrasto di espansioni irrazionali e forme di sviluppo "poco intelligenti" deve tradursi in una crescente attenzione per la modulazione delle scelte di cambiamento, previa articolazione dei diversi livelli di compatibilità. L'obiettivo non può essere quello di salvare il salvabile, limitando i danni, bensì quello d'intervenire a monte, nelle grandi strategie territoriali e quindi nelle scelte tecnico-operative di gestione locale. In tal senso, la formazione della rete ecologica non è una corsa contro il tempo per difendere, passivamente, brandelli di territorio che s'immagina di poter sottrarre dai processi evolutivi; al contrario, la rete è tutta dentro l'intreccio delle dinamiche trasformative dei sistemi ambientale, insediativo ed infrastrutturale ed andrà a costituire la struttura di riferimento di tutti i processi pianificatori e del controllo razionale dell'evoluzione del paesaggio.
Formare una rete significa, quindi, passare dalla considerazione di una somma di elementi separati all'interrelazione tra di essi, all'espressione della variazione di ognuno in funzione degli altri e alla loro integrazione in insiemi dinamici; significa introdurre il concetto di sistema e, conseguentemente, la fase sintetica della conoscenza e della programmazione del territorio; significa abbandonare il livello cognitivo di tipo classificativo per andare a cogliere i legami fra le diverse discipline, esplorare i fenomeni nella loro reciproca influenza ed evidenziare la continuità ininterrotta della conoscenza.
Essere rete aperta e partecipe dei diversi fenomeni che coinvolgono sia l'ambiente naturale che quello strettamente umano induce una valutazione dei rapporti tra i vari elementi (condizioni, attività, flussi energetici e i loro percorsi) di un contesto territoriale che pone al centro dell'attenzione le interpretazioni delle diverse interrelazioni. Appaiono destinati al fallimento tanti ingenui tentativi di considerare la rete come un sistema chiuso, asfitticamente circoscritto a problematiche proprie della mera conservazione delle risorse naturali, privo di fecondi interscambi e mutue interferenze con eventi e dinamiche insediative, infrastrutturali e socio-economiche. Ancora una volta, dunque, si pone l’esigenza di accantonare scorciatoie e banali semplificazioni per accettare la sfida della complessità, cogliendo le differenze e le specificità in una concezione solidale e cooperativa dell’azione progettuale, favorendo rapporti di sussidiarietà tra i diversi livelli di governo, dando vita ad un grande sistema di azioni complementari, differenti, sinergicamente interagenti. In questo senso, una rete ecologica va considerata come un'unità biologica felicemente (o criticamente) incastonata in un sistema di reti in cui la sopravvivenza della componente naturale è strettamente dipendente da tutte le altre componenti.
È infatti impensabile ipotizzare azioni per la conservazione delle biodiversità senza valutare le reti infrastrutturali e dei servizi, gli interventi necessari per l’efficace prevenzione dei rischi idrogeologici ed inquinologici, la riduzione degli sprechi di suolo o di risorse idriche, ecc.
Se in più occasioni ed in diversi modi è stato argomentato che la delimitazione di un'area protetta è poco più di una convenzione giuridico-amministrativa, a maggior ragione sosterremo la labilità del concetto di confine per una rete ecologica e l'esigenza di estendere, graduando, parametri programmatori e pianificatori appropriati alle diverse sedi di intersezioni sistemiche. In queste aree di confine concepite come fasce variabili nel tempo, in cui si localizzano forze di tensione soggette a continua trasformazione (anche a prescindere dall'azione dell'uomo), si colloca il divenire incessante del territorio, in un susseguirsi di antagonismi e di stimoli costruttivi. L’idea della formazione di una rete ecologica, a scala nazionale ed europea, pervade diverse iniziative di pianificazione e programmazione ordinaria e speciale; alcune di esse non superano la fase dell’idea primigenia, altre si consolidano in concreti percorsi progettuali.
In quasi tutte le esperienze s’intravede il tentativo di configurare la cornice per una maglia gestionale fatta di interventi di tutela e valorizzazione degli ambienti locali (politiche di nodo) opportunamente ancorati a progetti sovralocali (politiche di rete).
A livello europeo, in coerenza con i principali documenti di politica comunitaria (VI Programma di azione per l’ambiente, Piano d’Azione per la natura e la biodiversità, Quadro Comunitario di sostegno 2000-2006), la costituzione di reti ecologiche è strettamente rapportata alle rispettive politiche di pianificazione territoriale.
In Germania, Belgio, Polonia Spagna, Portogallo, Olanda, Danimarca, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia e Lituania, diverse tipologie connettive coinvolgono tutte le estensioni ancora suscettibili di un ruolo biologico, come aree protette a vario titolo, acque superficiali, siti diversi soggetti a norme di non trasformabilità (boschi, incolti, alcuni coltivi). Anche alcune esperienze progettuali, orientate a ricreare connessioni tra le varie forme di verde urbano hanno riscosso significativi successi in diverse città europee (es.: Budapest, Londra, Barcellona, Berlino, ...).
Si sono rilevati, inoltre, casi interessanti di integrazione tra estese ecoconnessioni a livello territoriale e circoscritti spazi verdi urbani.
In Italia, la necessità d’integrare l’insieme delle misure di conservazione di risorse naturali con la pianificazione ai diversi livelli di governo del territorio (internazionale, nazionale e locale) e di considerare la biodiversità come parte integrante dello sviluppo economico e sociale delle diverse comunità, è ribadita dalle Linee Guida per la realizzazione della Rete Natura 2000, emanate dal Servizio Conservazione della Natura del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio (in coerenza con la “Guida all’interpretazione dell’art. 6 della direttiva Habitat”, redatta dalla Commissione Europea).
Con riferimento al progetto nazionale, è stato introdotto, nelle nuove leggi urbanistiche regionali, già formate o in corso di formazione (Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Umbria), il concetto di rete ecologica, intesa come infrastruttura ambientale per la salvaguardia della bio-permeabilità dei diversi habitat, da attuarsi attraverso azioni di consolidamento dei livelli di qualità ambientale esistenti e di deframmentazione e mitigazione delle pressioni antropiche sulle diverse componenti naturali, in una logica di riequilibrio ecologico e di riqualificazione paesistico-ambientale.
La Rete Natura 2000 presenta i suoi nodi più significativi nelle ZPS (Zone a protezione speciale), istituite con la Direttiva “Uccelli” n.109/79 e nei SIC (Siti d'importanza comunitaria), istituiti con la Direttiva “Habitat” n.43/92, che attendono di essere confermati e/o integrati dall’UE e designati come ZSC (Zone a speciale conservazione) e nelle aree protette di cui alla L.394/91.
Queste ultime sono oggetto di pianificazione speciale come previsto dall'art.12 della legge quadro sulle aree protette [vedi FIG. 1].
Da alcuni dati, emanati dal Centro Europeo di Documentazione sulla pianificazione dei parchi naturali (CED - PPN) del Politecnico di Torino, emerge che i piani sono in vigore nel 46% dei parchi (quota inferiore alla media europea), i Regolamenti adottati nel 20% e solo il 3% ha approvato il Piano pluriennale economico e sociale. I parchi istituiti tra gli anni 70 e 80 hanno una percentuale più elevata di piani in vigore (intorno al 70%) rispetto a quelli di antica formazione. La gestazione dei piani sembra avere, quasi sempre, tempi molto più lunghi di quelli previsti dalla legge quadro.
Non esistono nella tradizione italiana quei piani schematici o d'indirizzo generale, prevalentemente strutturati per indirizzi, con limitate determinazioni prescrittive; sono anche limitati i piani a prevalente indirizzo naturalistico.
Gran parte dei piani tende ad applicare i dispositivi della legge 394/91, orientandosi a recepire i contenuti richiesti e suddividere il territorio nelle 4 categorie di zonizzazione previste (con eventuali sub-articolazioni): a) riserve integrali; b) riserve generali orientate, c) aree di protezione; d) aree di promozione economica e sociale.
Se la Rete Natura 2000 non si configura come un semplice assemblaggio di siti, è evidente che la struttura integrata territoriale-ambientale dei piani per i parchi può concorrere alla sua formazione. Ma quale tipo d’interazione si profila tra parchi e rete?

Pur non esistendo una risposta preconfezionata al quesito posto, alcune considerazioni possono essere avanzate:

  • 1. in fase di formazione del piano per il parco, potrebbe essere percorsa sino in fondo la facoltà di prevedere (di concerto con enti di governo locale e sovralocale) aree contigue in cui definire “piani e programmi e le eventuali misure di disciplina della caccia, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela dell’ambiente, …ove occorra intervenire per assicurare la conservazione dei valori delle aree protette stesse”.
    Se invece di concepire l’area contigua come un buffer, di larghezza omogenea, attorno all'area protetta (come spesso si preferisce disegnare), si valutasse l'opportunità di delinearla come una fascia a dimensione variabile in grado di estendersi in direzione di quegli spazi, oltre il parco, ritenuti ecologicamente essenziali per consolidare o ripristinare bioconnettività, si potrebbero riscontrare sufficienti titolarità alla regolamentazione di ambiti di connessione tra parco ed altre aree di pregio ambientale (ivi comprese zone SIC e ZPS), sopperendo così all’attuale mancanza di specifici strumenti tecnico-normativi per la gestione di porzioni di territorio (attualmente non soggette ad alcuna forma di tutela istituzionale) che rivestono un rilevante ruolo ecologico-relazionale nella rete in formazione;
  • 2. l’avvio, col piano per il parco, di un rapporto virtuoso con la pianificazione ordinaria e specialistica che governa l’intero contesto territoriale potrebbe facilitare il controllo, o almeno la partecipazione al coordinamento, di politiche locali di gestione del territorio. L’obiettivo dovrebbe essere quello di incidere su tutti quei processi decisionali che possono compromettere la continuità ambientale di fondo e cioè: dimensionamento del piano e relative politiche riguardo il patrimonio edilizio e gli spazi interclusi, localizzazione e morfologia delle aree di nuova urbanizzazione, concentrazione e diffusione insediativa, localizzazione dei grandi impianti tecnologici, trattamento delle aree libere e verdi con valenza naturalistica, interventi per la protezione del suolo e delle acque, smaltimento dei rifiuti e realizzazione di infrastrutture, disciplina per l'agriturismo e le attività venatorie;
  • 3. numerosi piani di parco affrontano, in modo diffuso ed esaustivo, tematiche di tipo territoriale inerenti l’organizzazione generale della fruizione dell’area, i servizi per la popolazione ed il controllo delle diverse attività consentite, attraverso forme di disciplina per ambiti relazionali (che si sovrappongono a quelle previste dalla legge quadro nazionale) cui sono associati indirizzi e prescrizioni particolari. È il caso di quei piani che individuano le unità di paesaggio, o le fasce fluviali, o ancora i macrosistemi (es.: Monti Sibillini, Alpi Apuane, Sasso Simone Simoncello, Monte San Bartolo, Montagna di Torricchio) per meglio regolamentare relazioni o elementi che sfuggono alla semplice disciplina d’uso e di accesso al territorio, propria della zonizzazione ex legge 394/91. In tal senso, si creano i presupposti per regolamentare il potenziamento della matrice ambientale e il ripristino della bioconnettività per le varie specie, previa valutazione degli home range e dei corridoi ecologici interspecifici. È però necessario tener presente che, mentre la gestione minuta degli interventi tecnico-operativi (come, ad es., quelli per ridurre la frammentazione) avviene alla scala locale, le configurazioni strategiche dell’ecocontinuità sono visibili e rilevabili solo alla scala dell’area vasta;
  • 4. i progetti di “strade verdi”, o “greenways”, come comunemente vengono chiamate queste vie da percorrere a piedi, in bicicletta o a cavallo, a ritmo lento, corredano gran parte dei progetti attuativi dei piani dei parchi e spesso esondano i perimetri delle aree protette stesse per andare a formare una trama più ampia, diffusa nell’intera penisola, dal Friuli alla Sicilia. Realizzate, quasi sempre, recuperando vecchi percorsi (come strade interpoderali, strade vicinali, strade arginali, tratturi, vecchie ferrovie, alzaie di navigli o canali) senza intaccare le forme del paesaggio tradizionale, anzi spesso riqualificando aree urbane e ricostituendo connessioni tra spazi urbani e campagna circostante, tra aree insediate di recente impianto e agroecosistemi, con la finalità di accentuare la gradevolezza di una camminata nel verde, diventano anche infrastrutture ambientali efficaci nel ridurre la frammentazione degli ambienti naturali.
    Nella stessa prospettiva potrebbero porsi anche altri interventi per la realizzazione di infrastrutture di comunicazione e tecnologiche, se predisposti a subire la contaminazione dei luoghi di pregio naturale attraversati;
  • 5. in diverse esperienze di piani per il parco si stanno sperimentando modalità d’interazione con i piani di gestione delle aree SIC e ZPS, da considerarsi come piani da redigere “all’occorrenza”, cioè quando non siano presenti, nella disciplina vigente, misure atte a salvaguardare la risorsa segnalata dalla direttiva. Questi ultimi strumenti di gestione, hanno come finalità il mantenimento e/o il ripristino di habitat e di specie peculiari del continente europeo particolarmente minacciati di frammentazione ed estinzione. Nelle aree protette, garantire la preservazione di biodiversità segnalate da aree SIC e ZPS potrebbe significare, quando necessario, integrare il vigente apparato normativo del piano per il parco o degli altri strumenti della pianificazione ordinaria locale introducendo direttive e sollecitazioni per la conservazione dell'emergenza naturalistica, la cui presenza ha motivato l’istituzione del sito. Non si esclude l’ipotesi di piani di gestione di SIC e ZPS che possano divenire strumenti di attuazione del Piano per il Parco. Ma quello che più c’interessa rilevare è che l’intero sistema dei piani di gestione delle aree, a vario titolo tutelate (parchi, riserve naturali e aree SIC e ZPS), opportunamente coordinato, potrebbe contribuire in modo determinante alla formazione della Rete Natura 2000 [vedi FIG. 2].
    Nel tentativo di definire principi e criteri generali per facilitare raccordi gestionali tra la pianificazione dei parchi e quella dei siti comunitari emerge la mancanza di una sostanziale comune metodica d’individuazione dei siti, nelle diverse regioni italiane. Nell’intero territorio nazionale, si profilano almeno tre diversi casi d’intersezione tra parchi ed aree SIC e ZPS: 1) i siti ricadono, preminentemente, all'interno dell'area protetta - es. Monti Sibillini; Cilento e Vallo di Diano; Alpi Apuane- [vedi FIGG. 3,4,5]; 2) i siti interessano anche l'area contigua dell'area protetta - es.: Sasso Simone Simoncello; Abbadia di Fiastra- [vedi FIGG. 6,7]; 3) i siti si estendono oltre l'area protetta, interessando l'area contigua in modo marginale - es.: Monte San Bartolo- [vedi FIG.8].
    In una recente ricerca che l’autore ha condotto con Paolo Perna (Helix Associati) si rileva che, in generale, nel territorio della Regione Marche, le aree ZPS sono molto ampie e tendono ad includere le diverse aree SIC che invece si presentano più frantumate e disperse. Nella parte meridionale, le aree SIC e ZPS sembrano coincidere con l’entroterra montano, mentre nella parte settentrionale le aree SIC e ZPS interessano aree collinari e costiere anche quando profondamente trasformate dai processi d’urbanizzazione [vedi FIG. 2];
  • 6. infine, occorre segnalare che, in gran parte dei piani di parchi che hanno completato il loro percorso di formazione, con diverse intensità e modalità di attuazione, sono state introdotte azioni strategiche specifiche volte a promuovere la formazione della rete. In particolare esse riguardano: il consolidamento della struttura della continuità con riferimento ai sistemi e sottosistemi ambientali, alle connotazioni ecologico-vegetazionali e faunistiche; il controllo delle forme dell'insediamento, delle barriere insediative, produttive ed infrastrutturali; la riconversione di aree ecoconnettive strategiche; le modalità di gestione dei rapporti tra sistema della continuità ambientale, rete ecologica e reti multisettoriali (culturale, turistica, produttiva).

Massimo Sargolini*
*Università di Camerino