Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 40 - OTTOBRE 2003


CENTOMILA PARCHI PER IL MONDO

A Durban una grande occasione per le aree protette

La più grande assise delle aree protette ha avuto luogo in Sudafrica nello scorso settembre, e già si profila come un grande successo.
È stato il congresso dell’Africa e del Sud del mondo, della nuova UN List, del protagonismo della dimensione sociale, dei “benefici oltre i confini”. Perennemente in bilico tra minacce epocali - come il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità - e più efficaci strategie di conservazione.
Le grandi questioni affrontate, i progressi della ricerca, il ruolo dell’Europa e dell’Italia nel racconto dei protagonisti.
“ Potevamo aprire il nostro 5° Congresso Mondiale con una celebrazione”.
Così Kenton Miller il 9 settembre 2003, il giorno seguente a quello delle cerimonie e dei discorsi di benvenuto, ad apertura vera della dieci giorni sudafricana.
Da Bali a Durban - ovvero in vent’anni di sforzi per la conservazione - la superficie delle aree protette si è infatti triplicata, un ombrello di leggi oggi a tutela dell’11% delle terre emerse. E invece no, come ha chiarito subito il capo della Wcpa (World commission on protected areas) dell’Iucn: altro che festeggiare. Piuttosto mettersi in discussione, aprire nuovi fronti, rilanciare la sfida a quel 90% di pianeta “beyond the boundaries”, oltre i confini dei parchi. Dopo la regina Noor di Giordania e Thabo Mbeki, presidente del Sudafrica, ha avviato i lavori il suo predecessore Nelson Mandela: “un futuro sostenibile per l’umanità”, ha detto l’anziano leader avvolto dall’ovazione dei congressisti, “dipende da una partnership responsabile con la natura”. E prima di lui, in un testo scritto inviato al congresso e letto dal direttore dell’Unep, Klaus Toepfer, il segretario generale delle Nazioni Unite era andato ben oltre le parole di rito: “cose che spesso diamo per scontate come la fertilità del suolo, il ciclo dell’impollinazione, i nuovi prodotti farmaceutici e genetici che mettono al sicuro scorte e raccolti dipendono dalla diversità della vita”, ha sottolineato Kofi Annan. Che ha aggiunto: “la storia delle aree protette sembrerebbe la storia di un successo, ma il lieto fine non è niente affatto assicurato”. E a correggere nuovamente il tiro, per una conservazione davvero al passo con i progressi della ricerca e con le dinamiche sociali, dalla massima assise di esperti è giunto il “nuovo paradigma”. “Una sinergia tra conservazione, mantenimento dei processi vitali, sviluppo sostenibile: a questo mirano le aree protette e così producono benefici oltre i confini”, è scritto nell’Accordo di Durban, “che siano i loro stessi confini segnati sulle mappe geografiche oppure quelli degli Stati, delle società, dei sessi, delle generazioni”. Tanto vale chiederselo subito: un “rompete le righe” che alla lunga indebolirà lo scopo primario delle aree protette e cioè la protezione della natura ? “No davvero, almeno per i partecipanti al congresso”, dice a Parchi Roger Crofts, responsabile Wpca per l’Europa e a capo del gruppo di lavoro che ha elaborato la bozza di Accordo. “Il nuovo paradigma non comporta la svalutazione delle aree protette o la svendita della loro identità.
Per molti di noi a cominciare da me stesso, con un lungo impegno professionale e personale nelle aree protette, questo è il passo fondamentale per valorizzarle e farne realmente giungere i benefici a tutte le componenti della società.
Dobbiamo guardare avanti”, conclude Crofts, “oltre i bastioni della protezione”. Dice proprio così, beyond the bastions of protections.
Tra altri dieci anni sapremo com’è andata.

I numeri di un successo

La lista dei partecipanti al congresso (solo su invito, è bene ricordarlo), circa 2500 appartenenti a 154 Paesi, si può consultare su Internet nel ricchissimo sito del congresso (http://www.iucn.org/themes/wcpa/wpc2003/) e a stamparla prende 74 pagine. A Durban c’era quasi tutto il mondo dei parchi, è proprio il caso di dire. Scorrendo tra i nomi delle delegazioni si contano 281 sudafricani, naturalmente (comunque meno numerosi degli statunitensi, circa 300), ma pure 59 cinesi, 26 filippini, ben 114 australiani. Numerose anche le rappresentanze dei paesi europei, come il Regno Unito (78), la Francia (44), la Spagna (42), la Germania (37), l’Italia (31). “Già da solo un numero così alto di esperti e per tanti giorni, ma poi anche il sistema assai efficiente di compartecipazione e discussione”, dice Luigi Boitani, zoologo dell’Università di Roma e membro di varie commissioni Iucn, “possono far parlare di un successo strepitoso”.
Primo ad aver luogo in Africa e primo del nuovo millennio, il congresso non si è risparmiato ambizioni. Gli obiettivi di accendere finalmente i riflettori sul Continente nero protetto e da proteggere, nonché di dettare la linea di parchi & riserve per il 21° secolo, però, si sono poggiati su un’articolazione adeguata ed imponente, ben supportata dal Paese ospitante e orchestrata dagli uomini dell’Iucn. Il programma dei lavori, dal pomeriggio dell’8 settembre a quello del 17, ha compreso oltre alle sessioni plenarie quattro simposi (dedicati alle questioni emergenti: benefici dei parchi, cambiamenti in atto e in particolare quelli climatici, comunità locali, rapporti con resto del territorio) e sette workshop e ha previsto pure corsi formativi e due giornate dedicate ad escursioni guidate.
Al termine della dieci giorni, oltre al già citato Accordo che contiene “il nostro impegno mondiale per l’umanità e le aree protette della Terra” (e il cui testo integrale, nella traduzione italiana, è consultabile sul sito di Federparchi www.parks.it), l’esercito di delegati ha approvato The Durban Action Plan. Quaranta pagine fitte di impegni solenni quanto inderogabili su dieci punti critici, che elenchiamo: ruolo delle a.p. nella conservazione della biodiversità globale, ruolo delle a.p. nello sviluppo sostenibile, collegamenti e reti ecologiche, gestione reale delle a.p., diritti delle comunità locali, ruolo delle nuove generazioni, coinvolgimento di tutti i settori della società, politiche innovative ed efficaci, finanziamenti adeguati, comunicazione e educazione. Ma partendo da una nota di ottimismo.

Il sesto continente

Per esteso si chiama 2003 United Nations List of Protected Areas e dopo sei anni aggiorna l’elenco dei parchi del mondo. La tredicesima prodotta dal 1962, elenca 102.102 aree protette estese su 18,8 milioni di km2 di cui 17,1 a terra (l’11,5% del totale mondiale) e 1,64 a mare (lo 0,5% del totale mondiale). Diciassette milioni di km2 sono più o meno l’estensione dell’intero continente del Sud America. Una superficie immensa, superiore a quella coltivata sulla Terra, sottoposta a forme di tutela diffusesi negli ultimi decenni con una progressione non meno impressionante. Ecco i dati relativi agli anni in cui si sono svolti i cinque congressi mondiali sui parchi:

anno numero di a.p. estensione
1962 9.214 2,4 milioni di km quadrati
1972 6.394 4,1 milioni di km quadrati
1982 27.794 8,8 milioni di km quadrati
1992 48.388 12,3 milioni di km quadrati
2003 102.102 18,8 milioni di km quadrati

A compilare la lista è il World Conservation Monitoring Centre di Cambridge (che fa capo all’Unep, il braccio ambientale dell’Onu) in collaborazione con la Wcpa dell’Iucn.
Le informazioni sono fornite dalle diverse autorità nazionali e dai secretariati dei programmi e delle convenzioni internazionali, e dall’anno scorso provengono anche da un Database mondiale realizzato da un Consorzio (Wdpa Consortium) cui partecipano prestigiose istituzioni scientifiche tra cui l’American Museum of Natural History, BirdLife International, il Conservation Biology Institute, la NGO Conservation International, Wwf International e molti altri. Per realizzare la lista 2003, già nel maggio 2002 l’Unep e l’Iucn hanno scritto ai ministeri dell’Ambiente chiedendo le più recenti versioni delle liste nazionali. La richiesta è stata replicata a fine anno, e ha prodotto il risultato sperato in 86 casi (il 47% del totale). Per i Paesi europei, comunque, la lista ha potuto attingere al database dell’Agenzia ambientale europea (ora disponibile all’interno del nuovo sistema informativo Eunis – European Nature Information System dell’Eea consultabile su Internet all’indirizzo web http://eunis.eea.eu.int/eunis/index.jsp), aggiornato a fine 2002. Difatti per l’Italia i siti inseriti sono 752, in base all’ultimo aggiornamento allora disponibile (il quarto) dell’Elenco ufficiale. Il massiccio aumento di siti censiti a livello globale non è frutto solo delle nuove istituzioni, ma anche di nuovi criteri di inclusione.
Questa volta è stato deciso di contare anche le aree (ben 34.036) senza attribuzione di una delle sei categorie Iucn di classificazione. Inoltre, questa versione dell’elenco comprende anche quei siti in precedenza esclusi perché di estensione minima, inferiore ai 1000 ettari o ai 100 ettari nel caso di isole.
Nella lista sono presenti inoltre 172 siti della World Heritage List dell’Unesco, 436 riserve della biosfera, 1305 siti Ramsar, 1496 Zps designate nell’ambito della Rete europea Natura 2000.
Cosa è protetto e dove ? In termini numerici a guidare la classifica mondiale è l’Europa con oltre 43.000 a.p., seguita dal nord-Eurasia (soprattutto Russia: 18.000), Nord America (13.000), Australia e Nuova Zelanda (9.000), Africa orientale e meridionale (4.390), Africa occidentale e centrale (2.600) e area del Pacifico (320).
Quanto agli ambienti tutelati, tra i 14 biomi individuati l’obiettivo della soglia minima del 10% lanciato nel precedente congresso di Caracas è stato raggiunto da 9: per gli altri 5 che sono i sistemi lacuali, le praterie temperate, i deserti freddi come il Gobi, le foreste temperate di latifoglie e quelle di conifere, il livello di protezione raggiunto risulta ancora assai circoscritto.
Ma la maggior lacuna su cui la lista dell’Onu punta l’indice è quella che interessa mari ed oceani. Appena lo 0,5% in termini di superficie è inclusa in aree protette, che anche laddove sono più numerose (come in Europa, al primo posto tra i continenti con 800 aree censite) rivelano estensioni ridotte e livelli di protezione limitati.

Oltre i parchi

Il congresso dell’Africa e degli africani, dei parchi a quota centomila, del protagonismo della dimensione sociale: ma pure e soprattutto il congresso dei benefici oltre i confini. E perciò delle reti, dei corridoi ecologici, dei linkages, dei progetti di sistema, di tutto ciò che sta fuori dei parchi e a cui i parchi – centotrent’anni dopo Yellowstone - vogliono adesso aprirsi. “A Caracas nel ’92 si era parlato di parchi come oggetti da esportare solo in un piccolo seminario dedicato ai network”, nota Bernardino Romano, docente di Pianificazione territoriale all’Università dell’Aquila, intervenuto assieme a Roberto Gambino del Politecnico di Torino in un workshop precongressuale sulle aree protette montane: “a Durban i collegamenti tra aree protette e paesaggio erano invece già nei titoli dei workshops, per non dire dello slogan stesso del congresso. Comunque il dibattito scientifico è già andato avanti, anche in Italia”, aggiunge Romano, “pur se all’estero la nostra produzione, forse perché più pubblicata in monografie e poco in lingua inglese nelle riviste specialistiche, è poco nota”.
E allora il congresso è stata anche la più opportuna delle platee per un’esperienza innovativa che il nostro Paese, una volta tanto, ha potuto presentare. Stiamo parlando del progetto Ape, Appennino Parco d’Europa, che Legambiente nelle persone di Fabio Renzi e Antonio Morabito ha illustrato nel corso di un workshop e di cui già Gambino e Romano avevano avuto modo di evindenziare le linee guida nel corso del loro intervento. L’interesse suscitato si è concretizzato, fra l’altro, nella messa in cantiere di una iniziativa congiunta tra Legambiente e Federparchi e il Centro per la cooperazione mediterranea dell’Iucn. E a promuovere il progetto in ambito mediterraneo, dopo i lavori dell’ancora recente conferenza italo-bosniaca di Sarajevo (nel luglio scorso), sarà anche una rete di associazioni non governative.

Verdi speranze

“Sotto i nostri occhi sfilano i volti dei dirigenti mondiali e comunitari, così gravati dalle domande sociali da non potersi occupare dei sistemi che sostengono la vita sulla Terra”.
Le parole dell’Accordo di Durban misurano una centralità delle tematiche legate alla povertà e ai bisogni primari dei popoli inedita per l’assise mondiale dei parchi.
E sottolineata pure dalla relazione introduttiva al primo simposio del congresso (“Protected areas and poverty: what is the linkage, what are the benefits ?”) tenuta da Ian Johnson, vicepresidente della Banca Mondiale.
Le esperienze anche tecnicamente assai avanzate delle aree protette africane e sudamericane hanno tenuto banco durante i lavori, sorprendendo molti ed evitando al congresso una impostazione occidental-centrica.
“ In molti di quei Paesi la democrazia è arrivata proprio solo negli ultimi dieci anni”, annota Fabio Renzi, “e tra gli effetti vi è stato un aumento della sensibilità ai temi ambientali”.
Il Wwf Internazionale (presente con un piccolo esercito di oltre 120 delegati) ha consegnato un premio speciale ai rappresentanti di Mozambico, Madagascar e Senegal per l’impegno a istituire vaste aree protette nei propri territori nazionali, ricchissimi di biodiversità.
“ La grande novità del congresso sono i segnali importanti che arrivano dai popoli africani”, ha dichiarato Antonio Canu del Wwf Italia, “e che altri continenti dovranno seguire”.
Inoltre, durante i lavori è giunta la notizia dell’istituzione in Amazzonia (Brasile) di 6 nuovi parchi e riserve nonché di un’area protetta (Amapà Biodiversity Corridor) estesa per ben 10 milioni di ettari, più del Portogallo.
Più in generale, come previsto, quello della partecipazione delle popolazioni locali alla nascita e alla gestione di parchi e riserve è stato tra i temi dominanti a Durban.
Gli interventi al relativo simposio hanno spaziato tra contesti assai diversi, dall’Europa all’Amazzonia, all’Australia, sempre però ponendo l’accento sul ruolo delle comunità residenti e di tutti gli attori locali – non escluse le compagnie private di sfruttamento delle risorse naturali, dal legname al comparto minerario.
“ Occorre sempre arricchire e mai limitare le opportunità delle comunità locali”, ha detto Grazia Borrini-Feyerabend, vice-chair della Ceespn (la commissione per le politiche socio-economiche dell’Iucn) e della Wcpa per il programma Equity and People, “di essere gli amministratori e i custodi dei loro stessi ambienti naturali”.

Let biodiversity speak

Il congresso ha anche offerto l’occasione per la presentazione di numerosi studi e pubblicazioni. Tra le novità di carattere scientifico, grande interesse ha suscitato la ricerca “Global Gap Analysis: towards a representative network of protected areas” (disponibile su www.conservation.org), firmata da Conservation International (CI), associazione no-profit statunitense a forte connotazione scientifica e attualmente sulla cresta dell’onda. Ventuno ricercatori sparsi per il mondo hanno incrociato per la prima volta le informazioni di quattro database: quello delle aree protette appena aggiornato, cioè, con quelli forniti da BirdLife International e Iucn sulla distribuzione di uccelli minacciati (1183 specie), mammiferi (4734 specie) e anfibi (5254 specie). Sovrapposte le relative mappe grazie alla tecnologia Gis, è stato possibile stabilire come ciascuna specie sia rappresentata all’interno delle aree protette. L’individuazione delle lacune (gaps) della rete di aree protette, quindi, è stata effettuata mediante informazioni sull’insostituibilità (irreplaceability) e sul grado di minaccia di ogni area. L’insostituibilità – alla base dell’analisi introdotta da ricercatori australiani negli anni Novanta - è una misura strettamente connessa all’importanza di un’area per la conservazione delle risorse naturali. Infatti, se un’area non ha sostituti all’interno di un piano di conservazione o ne possiede solo un numero limitato, allora è caratterizzata da elevati valori di insostituibilità.
Il grado di minaccia, invece, è valutato in base al numero di specie minacciate presenti nel sito e al loro rischio di estinzione. Chiaramente, i siti ad eccezionale livello di insostituibilità e minaccia sono identificati tra le priorità di conservazione.
L’analisi ha fatto emergere l’esistenza di almeno 1310 specie (831 a rischio di estinzione) non protette in alcun settore dei propri areali di distribuzione.
Tra gli ambienti, invece, quelli più ricchi di biodiversità e però meno tutelati sono le foreste tropicali, le isole e gli ecosistemi acquatici tanto marini che d’acqua dolce. L’Asia, tra i continenti, è quello a priorità più elevata per un’espansione della rete mondiale di aree protette.
Ma ciò che lo studio opportunamente sottolinea è che l’espansione della rete globale di aree protette non può basarsi su obiettivi quantitativi (il 10% di un Paese, di un bioma, etc.) ma, piuttosto, deve poggiare sulla distribuzione della biodiversità che non è affatto uniforme sulla superficie del pianeta. “Ciò significa, semplicemente”, è scritto dello studio di CI, “che alcune regioni richiedono un’estensione delle aree protette maggiore di altre”.
Tra le aree risultate a priorità non particolarmente elevata è il bacino del Mediterraneo, che invece figurava tra i 25 hotspots (le aree del pianeta maggiormente ricche di endemismi vegetali e con habitat a forte rischio) individuati in un’altra fortunata indagine di CI alla fine degli anni Novanta. L’incongruenza è dovuta all’origine differente dei dati – sulle piante per gli hotspots, sui vertebrati nel caso della global gap analysis – e però rivela, secondo lo stesso studio, l’inadeguatezza di quest’ultima a indirizzare gli sforzi di conservazione per i taxa non analizzati. “È stato un lavoro bellissimo ma così com’è quasi inutile, perché si basa su dati parziali e in alcuni casi discutibili”, commenta Luigi Boitani, unico italiano co-firmatario dello studio: “però abbiamo avviato un processo che si spera vada avanti”.
Boitani a Durban ha portato pure la prima applicazione di questo metodo alle aree protette italiane, quale prosecuzione del lavoro sulla rete ecologica commissionato dalla direzione Protezione della Natura del ministero dell’Ambiente.
L’analisi di insostituibilità, questa volta resa attendibile dalla presenza di dati più dettagliati – in particolare sulle aree idonee delle diverse specie e non sui soli areali di distribuzione, e comunque sulla base di un reticolo con maglie di 5 km per lato – ha confermato l’esistenza di molte aree importanti non interessate da parchi né dalla rete Natura 2000. “Il sistema andrebbe revisionato”, conclude la ricerca, “per alcune aree come le Alpi orientali o parte della Sardegna”.
“ A parte questa e altre pochissime eccezioni la nostra ricerca scientifica a Durban non c’era”, dice Fabio Renzi, “e a questo punto va detto chiaramente che non è un caso: in Italia essa è stata finora parassitaria del mondo dei parchi, senza dare grandi contributi ma piuttosto prendendoli”. “Da noi le università considerano i parchi solo se incrociano i propri programmi”, aggiunge Giuliano Tallone, direttore dell’Agenzia regionale parchi del Lazio nonché neo-presidente della Lipu, “senza chiedersi cosa serve davvero ai parchi.
E si crea così un vuoto di conoscenze che si trasmette e anzi si amplifica a livello politico, lasciando il mondo delle aree protette senza una lettura degli aspetti tecnici della conservazione della biodiversità e, in definitiva, senza progetti strategici. Anche le nostre associazioni ambientaliste”, conclude Tallone, “dovrebbero decidersi a lavorare su questo”.

Minacce globali, strategie locali

Molti i temi più generali che hanno attraversato il congresso, in alcuni casi anzi facendo da sfondo tanto alle prospettive politiche quanto alle analisi scientifiche.
Uno su tutti: il cambiamento climatico.
La relazione di apertura del secondo simposio a cura di Claude Martin, direttore del Wwf Internazionale, ha introdotto uno scenario sempre più quotidiano ripreso poi continuamente nei lavori e, soprattutto, nelle conclusioni. “Pur senza la citazione diretta del Protocollo di Kyoto”, annota ancora Renzi di Legambiente, “il fatto che nel testo dell’Accordo sia ricordata la minaccia climatica, nonostante la forte presenza e influenza Usa in seno all’Iucn, non è un dato trascurabile”.
E ancora. Il deficit di finanziamenti alle aree protette, quantificato in 25 miliardi di dollari Usa senza contare le risorse aggiuntive necessarie a creare nuove riserve.
Gli accordi internazionali: a Durban ne sono stati firmati di nuovi, tra cui la Convenzione sulle specie migratorie (CMS) e un rilancio della collaborazione tra Iucn e Ramsar Convention Bureau per la salvaguardia degli ecosistemi umidi.
La classificazione: Adrian Phillips dell’Iucn ha dichiarato il proposito della Wcpa di giungere a una revisione delle sei categorie attuali nel 2004. I parchi per la pace, autentici portatori di stabilità e sviluppo sostenibile in aree a rischio: Tallone ha presentato per il gruppo Siachen Peace Park il progetto di realizzare un parco transfrontaliero tra India e Pakistan, sul massiccio montuoso del Karakorum.
Tra i progetti a scala continentale, ben pochi in verità, l’Europa ha potuto rappresentare l’esperienza della sua Rete Natura 2000. Una storia di successo, non senza lacune ormai ampiamente riconosciute. Roger Crofts nel suo intervento ha evidenziato quelle relative all’ambiente marino e ai geositi, ad alcuni habitat naturali come i fiordi scandinavi e i paesaggi coltivati, all’assenza di strumenti di valutazione indipendenti fatta eccezione per l’elenco Iba (Important Bird Areas) relativo all’avifauna redatto da BirdLife International e l’analogo progetto Ipa (Important Plant Areas) a cura di Planta Europa.
“ C’è l’esigenza di una struttura geografica coerente”, sostiene il responsabile della Wcpa-Europa, e “idealmente dovrebbe essere guidata dal Consiglio d’Europa”.
Alla guida di quel che c’è siede invece Nicholas Hanley, capo del settore Natura e Biodiversità alla DG Ambiente della Commissione Europea. Che elencando i numeri e i successi di Natura 2000 non ha mancato di ricordare i costi per la gestione del network stimati tra i 3,7 e i 5,7 miliardi di euro (vedi “L’Europa e i parchi” in Parchi n.39), e pure il prossimo ingresso nell’Ue di 10 Paesi che con i propri siti porteranno Natura 2000, già più estesa della Germania, a diventare il più grande “Stato Membro”! Di un ambizioso progetto nato in Germania e recentemente sponsorizzato con decisione anche dall’ex leader sovietico Mikhail Gorbaciov ha poi parlato Hartmut Vogtmann, presidente dell’Agenzia federale tedesca per la Conservazione della Natura.
Si tratta della Green Belt, l’idea di un grande corridoio ecologico nella lunghissima estensione di territorio un tempo occupata dalle trincee e dai fili spinati dell’ex cortina di ferro che divideva le due Germanie: quella fascia di 3000 km oggi in buona parte ancora integra e non antropizzata, ha detto Vogtmann, “potrebbe diventare un simbolo per lo sviluppo sostenibile dell’Europa verde”.
Che anche ad Est cresce a ritmi talora sorprendenti, come nella Polonia che– stando ai dati comunicati a Durban da Janusz Radziejowski, dell’Institute of Spatial Economics and Housing – conta qualcosa come 23 parchi nazionali, circa 1200 riserve e 120 paesaggi protetti per il 32% di superficie nazionale sotto tutela.
Quanto ai Paesi del Mediterraneo, invece, a Durban la parte del leone l’ha fatta la Spagna con uno stand imponente dove il governo centrale e le autonomie regionali hanno promosso, grazie anche a un nutrito programma di eventi, il sistema nazionale di parchi e riserve. Nel corso di un seminario sul Mediterraneo è stato illustrato anche l’ampio lavoro preparatorio al congresso realizzato dal Centro per la cooperazione mediterranea dell’Iucn, anch’esso con sede in Spagna (a Malaga): quattro workshop più la conferenza conclusiva di Murcia, nel marzo scorso.
“ Ma il vostro è un Paese chiave per stringere sinergie nel Mediterraneo”, ci dice il direttore del Centro, Jamie Skinner, “in virtù dell’esperienza maturata negli ultimi dieci anni. Non a caso siamo in contatto con Aldo Cosentino, direttore generale del vostro ministero dell’Ambiente, per organizzare un meeting dei membri mediterranei dell’Iucn da svolgersi in Italia nel prossimo anno”.

L’Italia, gli italiani

“Fa enormemente piacere constatare che l’esperienza italiana, assente al Congresso di dieci anni fa, sia pienamente inserita, e con posizioni di eccellenza derivanti dalla sua grande ricchezza, in questo processo”. Aldilà della generosa dichiarazione a Durban del presidente di Federparchi Matteo Fusilli, infine, la presenza del nostro Paese al Congresso mondiale non ha mancato in realtà di suscitare polemiche.
A Durban erano presenti, fra gli altri, Francesco Mezzatesta dei Verdi, il cetologo Giuseppe Notarbartolo di Sciara, ricercatori di Agriconsulting e dell’Istituto Pangea, Silvio Vetrano della direzione Protezione della Natura del ministero dell’Ambiente. Per Federparchi, oltre a Fusilli, c’erano anche il direttore Giuseppe Rossi e il vicepresidente Walter Zago. Il direttore di Federparchi, intervenendo in uno dei workshop, ha illustrato l’esperienza ormai pluriennale dell’associazione articolata nelle attività di coordinamento, comunicazione, informazione e partecipazione, non prima di aver presentato il sistema italiano delle aree protette (“altrimenti non lo faceva nessuno”, aggiunge Rossi).
Agli atti del congresso è stata pure inserita la relazione inviata da Walter Mazzitti, presidente del parco nazionale del Gran Sasso-Laga, sulla Carta per la tutela e la valorizzazione delle acque dolci nelle aree protette” presentata da Federparchi nel convegno a L’Aquila nello scorso giugno.
Tra le Regioni era presente il solo Lazio con l’Agenzia regionale parchi, RomaNatura e il parco dell’Appia Antica, per cui è stata portata avanti l’istanza di inserimento nella World Heritage List dell'Unesco.
Quanto al ministero dell’Ambiente, ha allestito uno stand dove quattro funzionari fornivano informazioni e distribuivano materiale sul nostro sistema delle aree protette (tra gli altri materiali diffusi, la versione in inglese degli opuscoli sulla Rete ecologica-distribuzione dei vertebrati e su Ape). Nessun intervento ufficiale ai lavori del congresso, nessun dirigente volato in Sudafrica: una presenza sottotono che non ha mancato di suscitare rilievi negativi praticamente fra tutti i delegati italiani e – ha riferito qualcuno – che ha sorpreso gli stessi funzionari dell’Iucn.
E ciò soprattutto a fronte di un finanziamento considerevole del ministero guidato da Matteoli all’organizzazione stessa del congresso Iucn, pari a 340.000 euro (il costo complessivo dell’assise di Durban è stato pari a 10 milioni di dollari). “Davvero un peccato che l’Italia dopo essersi fatta onore con la sua generosità”, dice per tutti Luigi Boitani, “non abbia sfruttato l’occasione per mettere in mostra i suoi considerevoli recenti progressi in materia di parchi”.
“ Il nostro Paese è stato presente con una delegazione ministeriale”, risponde Aldo Cosentino, “che nel presentare alcuni articolati studi sulla biodiversità, in vista del Piano nazionale sulla biodiversità, ha fornito copiosa documentazione su specifici argomenti e su diverse peculiarità territoriali in particolar modo all’interno del sistema delle aree protette nazionali. C’è stato inoltre un costante collegamento fra i funzionari del ministero presenti e l’autorità scientifica sulle proposte ed iniziative per la stesura dell’Action Plan”. “Ma io avrei voluto il direttore Cosentino in sessione plenaria”, si accalora Fabio Renzi, “a parlare della vera conservazione che si fa in Italia, dei nostri progetti di sistema che non hanno paragoni in Europa, degli studi di Boitani sulla rete ecologica e di Gambino sulla classificazione oltre a tutto utili per il lavoro di revisione avviato dalla stessa Iucn. In quel 10% di natura protetta in Europa e nel pianeta ci sta pure l’Italia, ma la nostra esperienza per quanto straordinaria non è stata rappresentata. Un’occasione perduta”, conclude Renzi, “speriamo almeno di rifarci l’anno prossimo a Bangkok in Thailandia”. Dove si terrà, dal 17 al 25 novembre, il terzo congresso mondiale dell’Iucn dal titolo People and Nature: Making the Difference.
Come ci arriver à l’Italia dei parchi?

 

I PARCHI A CONGRESSO

1962 – Seattle (Usa)
La prima “Conferenza mondiale sui parchi nazionali”, dal 30 giugno al 7 luglio 1962. Lo scopo è rafforzare l’immagine internazionale dei parchi e incoraggiare lo sviluppo dei primi movimenti ambientalisti a loro supporto.
1972 – Yellowstone (Usa)
Titolo: “Un patrimonio per un mondo migliore”. La seconda assise mondiale dei parchi ha luogo nel decano dei parchi nazionali del pianeta, e oltretutto coincide col suo centesimo anniversario. Tra parchi nazionali e riserve analoghe, si contano 1200 aree.
1982 – Bali (Indonesia)
Il congresso è centrato sul ruolo delle aree protette in una società indirizzata verso lo sviluppo sostenibile (motto del congresso è “Parchi per lo sviluppo”), sulle capacità di gestione, sull’ampliamento delle superfici protette.
1992 – Caracas (Venezuela)
Lo slogan, bellissimo, è Parks for Life. Si moltiplicano i partecipanti, circa 2500 (a Bali erano 350).
Si prepara il passaggio dalle “isole” alle “reti”, si mette a fuoco il ruolo delle popolazioni locali e viene lanciato l’obiettivo di proteggere almeno il 10% di ogni bioma entro il 2000.

 

I DIECI GIGANTI
1) Parco nazionale della
Groenlandia (Danimarca)
97,2 milioni di ettari
2) Wildlife management area di
Ar-Rub-Khali (Arabia Saudita)
64 milioni di ettari
3) Parco marino della Great
Barrier Reef (Australia)
34,5 milioni di ettari
4) Ecosystem reserve del
Northwestern Hawaiian
Islans’ coral reef (Usa)
34 milioni di ettari
5) Riserva forestale
dell ’Amazzonia (Colombia)
32 milioni di ettari
6) Riserva naturale di Qiang
Tang (Cina)
25 milioni di ettari
7) Wildlife management
area di Cape Churchill (Canada)
14 milioni di ettari
8) Northern wildlife
management area
(Arabia Saudita)
10 milioni di ettari
9) Riserva della biosfera
dell’Alto Orinoco-Casiquiare
(Venezuela-Bolivia)
8 milioni di ettari
10) Indigenous area di Valo do
Javari (Brasile)
8 milioni di ettari

di Giulio Ielardi