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La più grande assise delle aree protette
ha avuto luogo in Sudafrica nello scorso settembre, e già si profila
come un grande successo.
È
stato il congresso dell’Africa e del Sud del mondo, della nuova
UN List, del protagonismo della dimensione sociale, dei “benefici
oltre i confini”. Perennemente in bilico tra minacce epocali - come
il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità - e più efficaci
strategie di conservazione.
Le grandi questioni affrontate, i progressi della ricerca, il
ruolo dell’Europa e dell’Italia nel racconto dei protagonisti.
“
Potevamo aprire il nostro 5° Congresso Mondiale con una celebrazione”.
Così Kenton Miller il 9 settembre 2003, il giorno seguente a quello
delle cerimonie e dei discorsi di benvenuto, ad apertura vera
della dieci giorni sudafricana.
Da Bali a Durban - ovvero in vent’anni di sforzi per la conservazione
- la superficie delle aree protette si è infatti triplicata, un
ombrello di leggi oggi a tutela dell’11% delle terre emerse. E invece
no, come ha chiarito subito il capo della Wcpa (World commission on protected
areas) dell’Iucn: altro che festeggiare. Piuttosto mettersi in discussione,
aprire nuovi fronti, rilanciare la sfida a quel 90% di pianeta “beyond
the boundaries”, oltre i confini dei parchi. Dopo la regina Noor
di Giordania e Thabo Mbeki, presidente del Sudafrica, ha avviato i lavori
il suo predecessore Nelson Mandela: “un futuro sostenibile per l’umanità”,
ha detto l’anziano leader avvolto dall’ovazione dei congressisti, “dipende
da una partnership responsabile con la natura”. E prima di lui,
in un testo scritto inviato al congresso e letto dal direttore dell’Unep,
Klaus Toepfer, il segretario generale delle Nazioni Unite era andato ben
oltre le parole di rito: “cose che spesso diamo per scontate come
la fertilità del suolo, il ciclo dell’impollinazione, i nuovi
prodotti farmaceutici e genetici che mettono al sicuro scorte e raccolti
dipendono dalla diversità della vita”, ha sottolineato Kofi
Annan. Che ha aggiunto: “la storia delle aree protette sembrerebbe
la storia di un successo, ma il lieto fine non è niente affatto
assicurato”. E a correggere nuovamente il tiro, per una conservazione
davvero al passo con i progressi della ricerca e con le dinamiche sociali,
dalla massima assise di esperti è giunto il “nuovo paradigma”. “Una
sinergia tra conservazione, mantenimento dei processi vitali, sviluppo
sostenibile: a questo mirano le aree protette e così producono
benefici oltre i confini”, è scritto nell’Accordo di
Durban, “che siano i loro stessi confini segnati sulle mappe geografiche
oppure quelli degli Stati, delle società, dei sessi, delle generazioni”.
Tanto vale chiederselo subito: un “rompete le righe” che alla
lunga indebolirà lo scopo primario delle aree protette e cioè la
protezione della natura ? “No davvero, almeno per i partecipanti
al congresso”, dice a Parchi Roger Crofts, responsabile Wpca per
l’Europa e a capo del gruppo di lavoro che ha elaborato la bozza
di Accordo. “Il nuovo paradigma non comporta la svalutazione delle
aree protette o la svendita della loro identità.
Per molti di noi a cominciare da me stesso, con un lungo impegno
professionale e personale nelle aree protette, questo è il passo
fondamentale per valorizzarle e farne realmente giungere i benefici a
tutte le componenti della società.
Dobbiamo guardare avanti”, conclude Crofts, “oltre i bastioni
della protezione”. Dice proprio così, beyond the bastions
of protections.
Tra altri dieci anni sapremo com’è andata.
I numeri
di un successo
La lista dei partecipanti al congresso (solo su invito, è bene
ricordarlo), circa 2500 appartenenti a 154 Paesi, si può consultare
su Internet nel ricchissimo sito del congresso (http://www.iucn.org/themes/wcpa/wpc2003/)
e a stamparla prende 74 pagine. A Durban c’era quasi tutto il mondo
dei parchi, è proprio il caso di dire. Scorrendo tra i nomi delle
delegazioni si contano 281 sudafricani, naturalmente (comunque
meno numerosi degli statunitensi, circa 300), ma pure 59 cinesi, 26 filippini,
ben 114
australiani. Numerose anche le rappresentanze dei paesi europei,
come il Regno Unito (78), la Francia (44), la Spagna (42), la Germania
(37),
l’Italia (31). “Già da solo un numero così alto
di esperti e per tanti giorni, ma poi anche il sistema assai
efficiente di compartecipazione e discussione”, dice Luigi Boitani,
zoologo dell’Università di Roma e membro di varie commissioni
Iucn, “possono
far parlare di un successo strepitoso”.
Primo ad aver luogo in Africa e primo del nuovo millennio, il
congresso non si è risparmiato ambizioni. Gli obiettivi di accendere
finalmente i riflettori sul Continente nero protetto e da proteggere,
nonché di dettare la linea di parchi & riserve per il 21° secolo,
però, si sono poggiati su un’articolazione adeguata ed imponente,
ben supportata dal Paese ospitante e orchestrata dagli uomini dell’Iucn.
Il programma dei lavori, dal pomeriggio dell’8 settembre a quello
del 17, ha compreso oltre alle sessioni plenarie quattro simposi (dedicati
alle questioni emergenti: benefici dei parchi, cambiamenti in atto e in
particolare quelli climatici, comunità locali, rapporti con resto
del territorio) e sette workshop e ha previsto pure corsi formativi
e due giornate dedicate ad escursioni guidate.
Al termine della dieci giorni, oltre al già citato Accordo che
contiene “il nostro impegno mondiale per l’umanità e
le aree protette della Terra” (e il cui testo integrale, nella traduzione
italiana, è consultabile sul sito di Federparchi www.parks.it),
l’esercito di delegati ha approvato The Durban Action Plan. Quaranta
pagine fitte di impegni solenni quanto inderogabili su dieci punti critici,
che elenchiamo: ruolo delle a.p. nella conservazione della biodiversità globale,
ruolo delle a.p. nello sviluppo sostenibile, collegamenti e reti ecologiche,
gestione reale delle a.p., diritti delle comunità locali, ruolo
delle nuove generazioni, coinvolgimento di tutti i settori della società,
politiche innovative ed efficaci, finanziamenti adeguati, comunicazione
e educazione. Ma partendo da una nota di ottimismo.
Il sesto continente
Per esteso si chiama 2003 United Nations List of
Protected Areas e dopo sei anni aggiorna l’elenco dei parchi del
mondo. La tredicesima prodotta dal 1962, elenca 102.102 aree protette
estese su 18,8 milioni
di km2 di cui 17,1 a terra (l’11,5% del totale mondiale) e 1,64
a mare (lo 0,5% del totale mondiale). Diciassette milioni di
km2 sono più o meno l’estensione dell’intero continente
del Sud America. Una superficie immensa, superiore a quella coltivata
sulla Terra, sottoposta a forme di tutela diffusesi negli ultimi
decenni con
una progressione non meno impressionante. Ecco i dati relativi
agli anni in cui si sono svolti i cinque congressi mondiali sui
parchi:
anno |
numero di a.p. |
estensione |
1962 |
9.214 |
2,4 milioni di km quadrati |
1972 |
6.394 |
4,1 milioni di km quadrati |
1982 |
27.794 |
8,8 milioni di km quadrati |
1992 |
48.388 |
12,3 milioni di km quadrati |
2003 |
102.102 |
18,8 milioni di km quadrati |
A compilare la lista è il World Conservation Monitoring Centre
di Cambridge (che fa capo all’Unep, il braccio ambientale dell’Onu)
in collaborazione con la Wcpa dell’Iucn.
Le informazioni sono fornite dalle diverse autorità nazionali e
dai secretariati dei programmi e delle convenzioni internazionali, e dall’anno
scorso provengono anche da un Database mondiale realizzato da un Consorzio
(Wdpa Consortium) cui partecipano prestigiose istituzioni scientifiche
tra cui l’American Museum of Natural History, BirdLife International,
il Conservation Biology Institute, la NGO Conservation International,
Wwf International e molti altri. Per realizzare la lista 2003, già nel
maggio 2002 l’Unep e l’Iucn hanno scritto ai ministeri dell’Ambiente
chiedendo le più recenti versioni delle liste nazionali. La richiesta è stata
replicata a fine anno, e ha prodotto il risultato sperato in 86 casi (il
47% del totale). Per i Paesi europei, comunque, la lista ha potuto attingere
al database dell’Agenzia ambientale europea (ora disponibile all’interno
del nuovo sistema informativo Eunis – European Nature Information
System dell’Eea consultabile su Internet all’indirizzo web
http://eunis.eea.eu.int/eunis/index.jsp), aggiornato a fine 2002. Difatti
per l’Italia i siti inseriti sono 752, in base all’ultimo
aggiornamento allora disponibile (il quarto) dell’Elenco ufficiale.
Il massiccio aumento di siti censiti a livello globale non è frutto
solo delle nuove istituzioni, ma anche di nuovi criteri di inclusione.
Questa volta è stato deciso di contare anche le aree (ben 34.036)
senza attribuzione di una delle sei categorie Iucn di classificazione.
Inoltre, questa versione dell’elenco comprende anche quei siti in
precedenza esclusi perché di estensione minima, inferiore ai 1000
ettari o ai 100 ettari nel caso di isole.
Nella lista sono presenti inoltre 172 siti della World Heritage
List dell’Unesco, 436 riserve della biosfera, 1305 siti Ramsar,
1496 Zps designate nell’ambito della Rete europea Natura 2000.
Cosa è protetto e dove ? In termini numerici a guidare la classifica
mondiale è l’Europa con oltre 43.000 a.p., seguita dal nord-Eurasia
(soprattutto Russia: 18.000), Nord America (13.000), Australia
e Nuova Zelanda (9.000), Africa orientale e meridionale (4.390),
Africa occidentale
e centrale (2.600) e area del Pacifico (320).
Quanto agli ambienti tutelati, tra i 14 biomi individuati l’obiettivo
della soglia minima del 10% lanciato nel precedente congresso di Caracas è stato
raggiunto da 9: per gli altri 5 che sono i sistemi lacuali, le
praterie temperate, i deserti freddi come il Gobi, le foreste
temperate di latifoglie
e quelle di conifere, il livello di protezione raggiunto risulta
ancora assai circoscritto.
Ma la maggior lacuna su cui la lista dell’Onu punta l’indice è quella
che interessa mari ed oceani. Appena lo 0,5% in termini di superficie è inclusa
in aree protette, che anche laddove sono più numerose (come in
Europa, al primo posto tra i continenti con 800 aree censite)
rivelano estensioni ridotte e livelli di protezione limitati. Oltre i parchi
Il congresso dell’Africa e degli africani, dei
parchi a quota centomila, del protagonismo della dimensione sociale:
ma pure e soprattutto il congresso
dei benefici oltre i confini. E perciò delle reti, dei corridoi
ecologici, dei linkages, dei progetti di sistema, di tutto ciò che
sta fuori dei parchi e a cui i parchi – centotrent’anni dopo
Yellowstone - vogliono adesso aprirsi. “A Caracas nel ’92
si era parlato di parchi come oggetti da esportare solo in un
piccolo seminario dedicato ai network”, nota Bernardino Romano,
docente di Pianificazione territoriale all’Università dell’Aquila,
intervenuto assieme a Roberto Gambino del Politecnico di Torino
in un workshop precongressuale sulle aree protette montane: “a Durban
i collegamenti tra aree protette e paesaggio erano invece già nei
titoli dei workshops, per non dire dello slogan stesso del congresso.
Comunque il dibattito scientifico è già andato avanti, anche
in Italia”, aggiunge Romano, “pur se all’estero la nostra
produzione, forse perché più pubblicata in monografie e
poco in lingua inglese nelle riviste specialistiche, è poco nota”.
E allora il congresso è stata anche la più opportuna delle
platee per un’esperienza innovativa che il nostro Paese, una volta
tanto, ha potuto presentare. Stiamo parlando del progetto Ape, Appennino
Parco d’Europa, che Legambiente nelle persone di Fabio Renzi e Antonio
Morabito ha illustrato nel corso di un workshop e di cui già Gambino
e Romano avevano avuto modo di evindenziare le linee guida nel corso del
loro intervento. L’interesse suscitato si è concretizzato,
fra l’altro, nella messa in cantiere di una iniziativa congiunta
tra Legambiente e Federparchi e il Centro per la cooperazione mediterranea
dell’Iucn. E a promuovere il progetto in ambito mediterraneo, dopo
i lavori dell’ancora recente conferenza italo-bosniaca di Sarajevo
(nel luglio scorso), sarà anche una rete di associazioni non governative.
Verdi speranze
“Sotto i nostri occhi sfilano i volti dei dirigenti mondiali
e comunitari, così gravati dalle domande sociali da non potersi
occupare dei sistemi che sostengono la vita sulla Terra”.
Le parole dell’Accordo di Durban misurano una centralità delle
tematiche legate alla povertà e ai bisogni primari dei popoli inedita
per l’assise mondiale dei parchi.
E sottolineata pure dalla relazione introduttiva al primo simposio
del congresso (“Protected areas and poverty: what is the linkage,
what are the benefits ?”) tenuta da Ian Johnson, vicepresidente
della Banca Mondiale.
Le esperienze anche tecnicamente assai avanzate delle aree
protette africane e sudamericane hanno tenuto banco durante
i lavori, sorprendendo molti ed evitando al congresso una impostazione
occidental-centrica.
“
In molti di quei Paesi la democrazia è arrivata proprio solo negli
ultimi dieci anni”, annota Fabio Renzi, “e tra gli effetti
vi è stato un aumento della sensibilità ai temi ambientali”.
Il Wwf Internazionale (presente con un piccolo esercito di
oltre 120 delegati) ha consegnato un premio speciale ai rappresentanti
di Mozambico, Madagascar e Senegal per l’impegno a istituire vaste aree protette
nei propri territori nazionali, ricchissimi di biodiversità.
“
La grande novità del congresso sono i segnali importanti che arrivano
dai popoli africani”, ha dichiarato Antonio Canu del Wwf Italia, “e
che altri continenti dovranno seguire”.
Inoltre, durante i lavori è giunta la notizia dell’istituzione
in Amazzonia (Brasile) di 6 nuovi parchi e riserve nonché di un’area
protetta (Amapà Biodiversity Corridor) estesa per ben 10 milioni
di ettari, più del Portogallo.
Più in generale, come previsto, quello della partecipazione delle
popolazioni locali alla nascita e alla gestione di parchi e riserve è stato
tra i temi dominanti a Durban.
Gli interventi al relativo simposio hanno spaziato tra contesti
assai diversi, dall’Europa all’Amazzonia, all’Australia,
sempre però ponendo l’accento sul ruolo delle comunità residenti
e di tutti gli attori locali – non escluse le compagnie private
di sfruttamento delle risorse naturali, dal legname al comparto
minerario.
“
Occorre sempre arricchire e mai limitare le opportunità delle
comunità locali”,
ha detto Grazia Borrini-Feyerabend, vice-chair della Ceespn
(la commissione per le politiche socio-economiche dell’Iucn) e
della Wcpa per il programma Equity and People, “di essere gli
amministratori e i custodi dei loro stessi ambienti naturali”.
Let
biodiversity speak
Il congresso ha anche offerto l’occasione per
la presentazione di numerosi studi e pubblicazioni. Tra le novità di
carattere scientifico, grande interesse ha suscitato la ricerca “Global
Gap Analysis: towards a representative network of protected areas” (disponibile
su www.conservation.org), firmata da Conservation International (CI),
associazione no-profit statunitense
a forte connotazione scientifica e attualmente sulla cresta
dell’onda.
Ventuno ricercatori sparsi per il mondo hanno incrociato per
la prima volta le informazioni di quattro database: quello delle aree
protette
appena aggiornato, cioè, con quelli forniti da BirdLife International
e Iucn sulla distribuzione di uccelli minacciati (1183 specie),
mammiferi (4734 specie) e anfibi (5254 specie). Sovrapposte le relative
mappe grazie
alla tecnologia Gis, è stato possibile stabilire come ciascuna
specie sia rappresentata all’interno delle aree protette. L’individuazione
delle lacune (gaps) della rete di aree protette, quindi, è stata
effettuata mediante informazioni sull’insostituibilità (irreplaceability)
e sul grado di minaccia di ogni area. L’insostituibilità – alla
base dell’analisi introdotta da ricercatori australiani negli
anni Novanta - è una misura strettamente connessa all’importanza
di un’area per la conservazione delle risorse naturali. Infatti,
se un’area non ha sostituti all’interno di un piano di conservazione
o ne possiede solo un numero limitato, allora è caratterizzata
da elevati valori di insostituibilità.
Il grado di minaccia, invece, è valutato in base al numero di specie
minacciate presenti nel sito e al loro rischio di estinzione. Chiaramente,
i siti ad eccezionale livello di insostituibilità e minaccia sono
identificati tra le priorità di conservazione.
L’analisi ha fatto emergere l’esistenza di almeno 1310 specie
(831 a rischio di estinzione) non protette in alcun settore dei
propri areali di distribuzione.
Tra gli ambienti, invece, quelli più ricchi di biodiversità e
però meno tutelati sono le foreste tropicali, le isole e gli ecosistemi
acquatici tanto marini che d’acqua dolce. L’Asia, tra i continenti, è quello
a priorità più elevata per un’espansione della rete
mondiale di aree protette.
Ma ciò che lo studio opportunamente sottolinea è che l’espansione
della rete globale di aree protette non può basarsi su obiettivi
quantitativi (il 10% di un Paese, di un bioma, etc.) ma, piuttosto, deve
poggiare sulla distribuzione della biodiversità che non è affatto
uniforme sulla superficie del pianeta. “Ciò significa, semplicemente”, è scritto
dello studio di CI, “che alcune regioni richiedono un’estensione
delle aree protette maggiore di altre”.
Tra le aree risultate a priorità non particolarmente elevata è il
bacino del Mediterraneo, che invece figurava tra i 25 hotspots (le aree
del pianeta maggiormente ricche di endemismi vegetali e con habitat a
forte rischio) individuati in un’altra fortunata indagine di CI
alla fine degli anni Novanta. L’incongruenza è dovuta all’origine
differente dei dati – sulle piante per gli hotspots, sui vertebrati
nel caso della global gap analysis – e però rivela, secondo
lo stesso studio, l’inadeguatezza di quest’ultima a indirizzare
gli sforzi di conservazione per i taxa non analizzati. “È stato
un lavoro bellissimo ma così com’è quasi inutile,
perché si basa su dati parziali e in alcuni casi discutibili”,
commenta Luigi Boitani, unico italiano co-firmatario dello studio: “però abbiamo
avviato un processo che si spera vada avanti”.
Boitani a Durban ha portato pure la prima applicazione di questo
metodo alle aree protette italiane, quale prosecuzione del
lavoro sulla rete ecologica commissionato dalla direzione Protezione
della Natura del
ministero dell’Ambiente.
L’analisi di insostituibilità, questa volta resa attendibile
dalla presenza di dati più dettagliati – in particolare sulle
aree idonee delle diverse specie e non sui soli areali di distribuzione,
e comunque sulla base di un reticolo con maglie di 5 km per lato – ha
confermato l’esistenza di molte aree importanti non interessate
da parchi né dalla rete Natura 2000. “Il sistema andrebbe
revisionato”, conclude la ricerca, “per alcune aree come le
Alpi orientali o parte della Sardegna”.
“
A parte questa e altre pochissime eccezioni la nostra ricerca
scientifica a Durban non c’era”, dice Fabio Renzi, “e
a questo punto va detto chiaramente che non è un caso: in Italia
essa è stata finora parassitaria del mondo dei parchi, senza dare
grandi contributi ma piuttosto prendendoli”. “Da noi le università considerano
i parchi solo se incrociano i propri programmi”, aggiunge Giuliano
Tallone, direttore dell’Agenzia regionale parchi del Lazio nonché neo-presidente
della Lipu, “senza chiedersi cosa serve davvero ai parchi.
E si crea così un vuoto di conoscenze che si trasmette e anzi si
amplifica a livello politico, lasciando il mondo delle aree protette senza
una lettura degli aspetti tecnici della conservazione della biodiversità e,
in definitiva, senza progetti strategici. Anche le nostre associazioni
ambientaliste”, conclude Tallone, “dovrebbero decidersi a
lavorare su questo”.
Minacce globali, strategie locali
Molti i temi più generali
che hanno attraversato il congresso, in alcuni casi anzi facendo da
sfondo tanto alle prospettive
politiche quanto alle analisi scientifiche.
Uno su tutti: il cambiamento climatico.
La relazione di apertura del secondo simposio a cura di Claude
Martin, direttore del Wwf Internazionale, ha introdotto uno
scenario sempre più quotidiano ripreso poi continuamente nei lavori e, soprattutto,
nelle conclusioni. “Pur senza la citazione diretta del Protocollo
di Kyoto”, annota ancora Renzi di Legambiente, “il fatto che
nel testo dell’Accordo sia ricordata la minaccia climatica, nonostante
la forte presenza e influenza Usa in seno all’Iucn, non è un
dato trascurabile”.
E ancora. Il deficit di finanziamenti alle aree protette, quantificato
in 25 miliardi di dollari Usa senza contare le risorse aggiuntive
necessarie a creare nuove riserve.
Gli accordi internazionali: a Durban ne sono stati firmati
di nuovi, tra cui la Convenzione sulle specie migratorie (CMS)
e un rilancio della collaborazione tra Iucn e Ramsar Convention
Bureau per la salvaguardia
degli ecosistemi umidi.
La classificazione: Adrian Phillips dell’Iucn ha dichiarato il proposito
della Wcpa di giungere a una revisione delle sei categorie attuali nel
2004. I parchi per la pace, autentici portatori di stabilità e
sviluppo sostenibile in aree a rischio: Tallone ha presentato
per il gruppo Siachen Peace Park il progetto di realizzare un
parco transfrontaliero tra India e Pakistan, sul massiccio montuoso del
Karakorum.
Tra i progetti a scala continentale, ben pochi in verità, l’Europa
ha potuto rappresentare l’esperienza della sua Rete Natura 2000.
Una storia di successo, non senza lacune ormai ampiamente riconosciute.
Roger Crofts nel suo intervento ha evidenziato quelle relative all’ambiente
marino e ai geositi, ad alcuni habitat naturali come i fiordi scandinavi
e i paesaggi coltivati, all’assenza di strumenti di valutazione
indipendenti fatta eccezione per l’elenco Iba (Important Bird Areas)
relativo all’avifauna redatto da BirdLife International e l’analogo
progetto Ipa (Important Plant Areas) a cura di Planta Europa.
“
C’è l’esigenza di una struttura geografica coerente”,
sostiene il responsabile della Wcpa-Europa, e “idealmente dovrebbe
essere guidata dal Consiglio d’Europa”.
Alla guida di quel che c’è siede invece Nicholas Hanley,
capo del settore Natura e Biodiversità alla DG Ambiente della Commissione
Europea. Che elencando i numeri e i successi di Natura 2000 non ha mancato
di ricordare i costi per la gestione del network stimati tra i 3,7 e i
5,7 miliardi di euro (vedi “L’Europa e i parchi” in
Parchi n.39), e pure il prossimo ingresso nell’Ue di 10 Paesi che
con i propri siti porteranno Natura 2000, già più estesa
della Germania, a diventare il più grande “Stato Membro”!
Di un ambizioso progetto nato in Germania e recentemente sponsorizzato
con decisione anche dall’ex leader sovietico Mikhail Gorbaciov ha
poi parlato Hartmut Vogtmann, presidente dell’Agenzia federale tedesca
per la Conservazione della Natura.
Si tratta della Green Belt, l’idea di un grande corridoio ecologico
nella lunghissima estensione di territorio un tempo occupata dalle trincee
e dai fili spinati dell’ex cortina di ferro che divideva le due
Germanie: quella fascia di 3000 km oggi in buona parte ancora integra
e non antropizzata, ha detto Vogtmann, “potrebbe diventare un simbolo
per lo sviluppo sostenibile dell’Europa verde”.
Che anche ad Est cresce a ritmi talora sorprendenti, come nella
Polonia che– stando ai dati comunicati a Durban da Janusz Radziejowski,
dell’Institute of Spatial Economics and Housing – conta qualcosa
come 23 parchi nazionali, circa 1200 riserve e 120 paesaggi protetti
per il 32% di superficie nazionale sotto tutela.
Quanto ai Paesi del Mediterraneo, invece, a Durban la parte
del leone l’ha fatta la Spagna con uno stand imponente dove il governo
centrale e le autonomie regionali hanno promosso, grazie anche a un nutrito
programma di eventi, il sistema nazionale di parchi e riserve. Nel corso
di un seminario sul Mediterraneo è stato illustrato anche l’ampio
lavoro preparatorio al congresso realizzato dal Centro per la cooperazione
mediterranea dell’Iucn, anch’esso con sede in Spagna (a Malaga):
quattro workshop più la conferenza conclusiva di Murcia, nel marzo
scorso.
“
Ma il vostro è un Paese chiave per stringere sinergie nel Mediterraneo”,
ci dice il direttore del Centro, Jamie Skinner, “in virtù dell’esperienza
maturata negli ultimi dieci anni. Non a caso siamo in contatto
con Aldo Cosentino, direttore generale del vostro ministero dell’Ambiente,
per organizzare un meeting dei membri mediterranei dell’Iucn da
svolgersi in Italia nel prossimo anno”.
L’Italia, gli italiani
“Fa enormemente piacere constatare che l’esperienza italiana, assente
al Congresso di dieci anni fa, sia pienamente inserita, e con posizioni
di eccellenza derivanti dalla sua grande ricchezza, in questo processo”.
Aldilà della generosa dichiarazione a Durban del presidente di
Federparchi Matteo Fusilli, infine, la presenza del nostro Paese al Congresso
mondiale non ha mancato in realtà di suscitare polemiche.
A Durban erano presenti, fra gli altri, Francesco Mezzatesta
dei Verdi, il cetologo Giuseppe Notarbartolo di Sciara, ricercatori
di Agriconsulting e dell’Istituto Pangea, Silvio Vetrano della direzione
Protezione della Natura del ministero dell’Ambiente. Per Federparchi,
oltre a Fusilli, c’erano anche il direttore Giuseppe Rossi e il
vicepresidente Walter Zago. Il direttore di Federparchi, intervenendo
in uno dei workshop, ha illustrato l’esperienza ormai pluriennale
dell’associazione articolata nelle attività di coordinamento,
comunicazione, informazione e partecipazione, non prima di aver presentato
il sistema italiano delle aree protette (“altrimenti non lo faceva
nessuno”, aggiunge Rossi).
Agli atti del congresso è stata pure inserita la relazione inviata
da Walter Mazzitti, presidente del parco nazionale del Gran Sasso-Laga,
sulla Carta per la tutela e la valorizzazione delle acque dolci nelle
aree protette” presentata da Federparchi nel convegno a L’Aquila
nello scorso giugno.
Tra le Regioni era presente il solo Lazio con l’Agenzia regionale
parchi, RomaNatura e il parco dell’Appia Antica, per cui è stata
portata avanti l’istanza di inserimento nella World Heritage List
dell'Unesco.
Quanto al ministero dell’Ambiente, ha allestito uno stand dove quattro
funzionari fornivano informazioni e distribuivano materiale sul nostro
sistema delle aree protette (tra gli altri materiali diffusi, la versione
in inglese degli opuscoli sulla Rete ecologica-distribuzione dei vertebrati
e su Ape). Nessun intervento ufficiale ai lavori del congresso, nessun
dirigente volato in Sudafrica: una presenza sottotono che non ha mancato
di suscitare rilievi negativi praticamente fra tutti i delegati italiani
e – ha riferito qualcuno – che ha sorpreso gli stessi funzionari
dell’Iucn.
E ciò soprattutto a fronte di un finanziamento considerevole del
ministero guidato da Matteoli all’organizzazione stessa del congresso
Iucn, pari a 340.000 euro (il costo complessivo dell’assise di Durban è stato
pari a 10 milioni di dollari). “Davvero un peccato che l’Italia
dopo essersi fatta onore con la sua generosità”, dice per
tutti Luigi Boitani, “non abbia sfruttato l’occasione per
mettere in mostra i suoi considerevoli recenti progressi in materia di
parchi”.
“
Il nostro Paese è stato presente con una delegazione ministeriale”,
risponde Aldo Cosentino, “che nel presentare alcuni articolati studi
sulla biodiversità, in vista del Piano nazionale sulla biodiversità,
ha fornito copiosa documentazione su specifici argomenti e su diverse
peculiarità territoriali in particolar modo all’interno del
sistema delle aree protette nazionali. C’è stato inoltre
un costante collegamento fra i funzionari del ministero presenti e l’autorità scientifica
sulle proposte ed iniziative per la stesura dell’Action Plan”. “Ma
io avrei voluto il direttore Cosentino in sessione plenaria”, si
accalora Fabio Renzi, “a parlare della vera conservazione che si
fa in Italia, dei nostri progetti di sistema che non hanno paragoni in
Europa, degli studi di Boitani sulla rete ecologica e di Gambino sulla
classificazione oltre a tutto utili per il lavoro di revisione avviato
dalla stessa Iucn. In quel 10% di natura protetta in Europa e nel pianeta
ci sta pure l’Italia, ma la nostra esperienza per quanto straordinaria
non è stata rappresentata. Un’occasione perduta”, conclude
Renzi, “speriamo almeno di rifarci l’anno prossimo a Bangkok
in Thailandia”. Dove si terrà, dal 17 al 25 novembre, il
terzo congresso mondiale dell’Iucn dal titolo People and Nature:
Making the Difference.
Come ci arriver à l’Italia dei parchi?
I PARCHI A CONGRESSO
1962 – Seattle
(Usa)
La prima “Conferenza mondiale sui parchi nazionali”, dal
30 giugno al 7 luglio 1962. Lo scopo è rafforzare l’immagine
internazionale dei parchi e incoraggiare lo sviluppo dei primi
movimenti ambientalisti a loro supporto.
1972 – Yellowstone (Usa)
Titolo: “Un patrimonio per un mondo migliore”. La seconda
assise mondiale dei parchi ha luogo nel decano dei parchi nazionali
del pianeta, e oltretutto coincide col suo centesimo anniversario.
Tra parchi nazionali e riserve analoghe, si contano 1200 aree.
1982 – Bali (Indonesia)
Il congresso è centrato sul ruolo delle aree protette in una
società indirizzata verso lo sviluppo sostenibile (motto del
congresso è “Parchi per lo sviluppo”), sulle capacità di
gestione, sull’ampliamento delle superfici protette.
1992 – Caracas (Venezuela)
Lo slogan, bellissimo, è Parks for Life. Si moltiplicano i partecipanti,
circa 2500 (a Bali erano 350).
Si prepara il passaggio dalle “isole” alle “reti”,
si mette a fuoco il ruolo delle popolazioni locali e viene lanciato
l’obiettivo di proteggere almeno il 10% di ogni bioma entro il
2000.
I DIECI GIGANTI
1) |
Parco nazionale della Groenlandia (Danimarca) |
97,2 milioni di ettari |
2) |
Wildlife management area di Ar-Rub-Khali (Arabia Saudita) |
64 milioni di ettari |
3) |
Parco marino della Great Barrier Reef (Australia) |
34,5 milioni di ettari |
4) | Ecosystem reserve del Northwestern Hawaiian Islans’ coral
reef (Usa) |
34 milioni di ettari |
5) |
Riserva forestale dell ’Amazzonia (Colombia) |
32 milioni di ettari |
6) |
Riserva naturale di Qiang Tang (Cina) |
25 milioni di ettari |
7) |
Wildlife management area di Cape Churchill (Canada) |
14 milioni di ettari |
8) |
Northern wildlife management area (Arabia Saudita) |
10 milioni di ettari |
9) |
Riserva della biosfera dell’Alto Orinoco-Casiquiare (Venezuela-Bolivia) |
8 milioni di ettari |
10) |
Indigenous area di Valo do Javari (Brasile) |
8 milioni di ettari |
di Giulio Ielardi |