Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 40 - OTTOBRE 2003


CI AIUTERÁ LA GLOBALIZZAZIONE

Intervista ad Antonio Cianciullo, l’inviato che da quarant’anni segue i temi ambientali

Guzzini. Intanto la prima questione: ci lavori, ci credi, ti batti, è difficile che tu dica che non è vero, ma insomma per avviare il nostro ragionamento io questa domanda te la devo fare: esiste una “cultura dei parchi”? Ed esiste, soprattutto, una differenza tra uno sviluppo normale e uno sviluppo sostenibile e tarato su quello che si sperimenta nei parchi? C’è tutto questo o ce lo siamo inventato per discorrere tra noi con l’aria saputa di chi ne sa una nuova?

Cianciullo. Tu parti da due sviluppi: uno sostenibile sui parchi e uno...

Guzzini
. Uno sviluppo che alla distanza sarà insostenibile, anche se ti racconta che è politicamente coretto, che tiene, conto, che addirittura media, che addirittura è più brillante e acuto di te, perché tu esageri, tu spari cifre terroristiche, ma in realtà non è così e noi dobbiamo tener conto dello sviluppo vero, perché se chiudiamo tutte le centrali metti la candela, oppure la luce chi te la accende? Questa è la nuova teoria.
Naturalmente, facendo la tara da tutti gli estremismi è chiaro che se uno esagera si può arrivare anche a quello che dice uno sviluppo politicamente corretto, però la domanda è: con lo sviluppo che abbiamo adesso, non c’è bisogno di un forte correttivo, che si chiama ormai sviluppo sostenibile, sperando che la parola abbia ancora un senso? E questo sviluppo sostenibile, è verificabile, è sperimentabile, particolarmente nei nostri parchi regionali e nazionali, nelle aree protette e nelle zone protette del resto del mondo?

Cianciullo.
È una domanda retorica, nel senso che è ovvio che la risposta è sì. Per chiunque abbia una sensibilità media, per il cittadino medio ormai credo che questa risposta sia ovvia. La sottodomanda che mi pongo è questa: perché di fronte a una risposta ovvia che viene data non dagli addetti ai lavori ma dalla società media dell’opinione pubblica, in Italia, nei paesi industrializzati dove ci sono problemi di sopravvivenza - poi potremmo discutere se lì, essendoci un problema di sopravvivenza l’attacco alla natura paga o non paga, ma quello è un discorso a parte - in un paese industrializzato, ricco, in cui il problema principale è riavviare i consumi continuamente perché c’è già tutto, perché la gente ha talmente tante cose che rischia di non comprarle e si cerca di trovare nuovi desideri, il necessario per la base della sopravvivenza, sia fisica che psicologica questa sembra che sia una cosa che “non fa cassa”. Evidentemente c’è una discrepanza logica.
Quindi dobbiamo dare una risposta a questo perché ma non è facile; non è facile capire perché c’è questa rottura della logica che vorrebbe che, visto che c’è bisogno anche di riattivare l’industria dei consumi e il turismo è un pezzo importante del consumo moderno, l’industria turistica sui parchi è fortissima, un segmento in crescita, tutti i numeri portano a pensare questo... Non è facile negarlo, e non è facile tirarsi indietro di fronte alle conseguenze che questi dati comporterebbero ...

Guzzini. Una ipotesi fra le tante: sarà stata raccontata male questa cosa? Li avremo spaventati?

Cianciullo. Spaventati perché?

Guzzini. Per esempio c’è il presidente degli USA, Bush, che dice: come si fa a risolvere il problema degli incendi? “Si tagliano gli alberi, così, almeno, c’è anche tanta occupazione per la legna”. Tu non lo fischi e non lo prendi a sputacchioni perché non ce l’hai sottomano, ma mi pare plausibile opinare che si tratti di una teoria delinquenziale.
In che senso li avremmo spaventati? Se gli hanno raccontato per anni che la cosa migliore è far prendere fuoco a tutte le foreste perché sono tante, tante, tante, poi si producono tanti animaletti nuovi, tante cosette, quindi, in fondo, un bell’incendio naturale è una cosa sana esattamente quanto un bosco sotto una bella pioggia, uno ha qualche elemento in più per fare il ragionamento del presidente degli USA senza perdere consensi in quel curioso gioco che è la democrazia americana.

Cianciullo. Questa è una questione che, come spesso accade in materia ambientale, se si prende uno spezzone di informazione vera e si mette fuori dal contesto diventa informazione falsa, perché di per sé è vero che l’incendio naturale fa parte del ciclo, basta avere un continente verde, tu mi fai bruciare una regione a turno e diventa tutto sanissimo. Si tratta di avere una estensione di bosco primigenia, e allora va benissimo.

Guzzini. La domanda era naturalmente più capziosa: la ricerca dello scontro. Tu ritieni che negli ultimi dieci anni ci siano state più correnti di pensiero tutte ambientaliste - non qualcuna di finto ambientalista - che si sono confrontate anche pesantemente?

Cianciullo. Diciamo le cose più scomode che ci sono da dire sull’ambientalismo, perché le altre sono scontate. Vediamo di concentrare l’attenzione. Per finire il discorso di prima, l’errore classico è quello del periodo considerato, perché l’economia sostenibile ragiona sul lungo periodo e l’economia di speculazione ragiona sul breve periodo.
È chiaro che se io ho un figlio mi occupo di un investimento sul lungo periodo, mi occupo di dargli un’educazione e quindi ho un ciclo di vent’anni di preparazione.
Se invece io ho da investire un milione di euro e voglio raddoppiarlo nell’arco di pochi mesi o uno o due anni, lo strumento delle operazioni di speculazione mi dà un reddito più rapido, dopodiché butto quel pezzo di territorio e vado da un’altra parte. La differenza è fra una costruzione economica e un’economia di rapina, in maniera classica. Però, forse anche da parte ambientalista qualche errore c’è stato. L’errore, forse sta nel non essere riusciti a far passare il concetto di legame tra le attività umane e l’ambiente naturale. Questo, forse è un elemento che non è stato considerato, anche perché su questo c’è stato un certo dibattito, si è partiti da una posizione più ingessata, che tra l’altro oggi viene contestata.
Proprio questo concetto dell’art. 9 della Costituzione: l’ambiente naturale e lo zoo, sostanzialmente, l’anglozoo degli animali, ci metti i paletti, ci giochi, fai vedere...
Invece l’ambiente in senso moderno è in interrelazione tra gli esseri umani e quella parte di natura che ancora è relativamente intatta nonostante la pressione antropica crescente. Quindi, questo “straccio” di natura che è rimasta ha una sua utilità sotto molti aspetti: simbolico, materiale, anche di tipo culturale-filosofico.
Tutto questo ha un peso. Però come ci si rapporta? Forse la diversità del rapporto con la natura non è emersa con chiarezza, per cui si possono correre dei rischi diversi: da una parte si corre il rischio di non far capire che per l’industria del turismo, per esempio, dal punto di vista produttivo la natura ha un suo beneficio; si rischia di non far capire che la natura comunque svolge una funzione economicamente rilevante, altrimenti dovremmo pagare qualcuno per farla, tipo la depurazione delle acque, dell’aria, tutti gli ecosistemi ecc.
Ma forse c’è, contemporaneamente, anche una debolezza del pensiero ambientale sul fronte della natura come valore in sé.
In realtà, in occidente solo il Papa difende la natura in senso di valore. Ovviamente per il Papa è valore in quanto espressione di altro, cioè Dio. È possibile che un pensiero ambientalista non riesca a dare un valore alla natura in sé e che quindi non sia possibile avere un rapporto di altro tipo con la natura? Tutto il fronte dell’ambientalismo è un fronte che, per esempio, in Italia non ha nessun ascolto, nessuna importanza. Invece io credo che sia una componente - non la più facilmente spendibile per la comunicazione - che fa la crescita di un movimento.

Guzzini. Questo richiamo molto forte che prima non c’era, che Federparchi fa a Valerio Giacomini, che abbiamo anche ristampato, in convegni del Centro Giacomini, quelle quattro cose che scrivemmo sulla rivista: cosa ne pensi di questo lavoro che non è sindacale, è un tentativo di mettere insieme una cultura dei parchi ulteriore? È vero, è falso, è una sciocchezza...?

Cianciullo. È un tentativo non sufficientemente comunicato. Rimane all’interno degli addetti ai lavori. Ti chiederei quanta gente pensi che conosca le cose di cui...

Guzzini. Che abbia questa idea curiosa...
È verissimo sono poche anche all’interno del mondo piccino e spesso rimescolato da elezioni, nomine e quant’altro, dei cosiddetti addetti ai lavori. Tutti noi - io e spero molti altri - ti riconosciamo un merito assoluto: che quando succede una cosa negativa, o anche una cosa positiva nel mondo dei parchi, noi apriamo Repubblica, c’è la tua firma e il fatto viene registrato e abbiamo una ragionevole certezza che se non ci fosse la tua firma, probabilmente non verrebbe registrato.
E questo è il problema.
Tu giustamente nemmeno rispondi al quesito sul rilancio del pensiero di Valerio Giacomini, perché vuoi sapere tra quanti sia stato “rilanciato”.
Ma io seguendo quella pista, ti chiedo la ragione vera del muro di nebbia che circonda i temi ambientalisti.
Perché una notizia che tu giudichi tale, e la pubblichi su Repubblica, non la ritroviamo sugli altri giornali. È una notizia o uno sfizio di Cianciullo?
Le questioni sono molte, le ho poste anche a Ottone, ma Ottone le risolve in maniera molto gerarchica, lui dice: fai una riunione di direttori, ponila a loro, altrimenti non ci cavi le gambe.
Ed è molto probabile che Ottone sia nel giusto. Sono io a non avere la forza politica di confrontarmi con direttori ed editori. Come si fa ad allargare la cultura dello sviluppo sostenibile e dei parchi sulla stampa quotidiana, senza seguire necessariamente il “lodo Ottone”?
Io vedo poco la stampa estera, perché non sono un grande globetrotter, però in giro per il mondo c’è anche chi fa la scelta, per esempio, quando si fa la riunione mattutina, di metterci quello che si occupa di ambiente.
Io sono stato a El Periodico, un giornale da far innamorare, con quell’arredo misticheggiante: i giornalisti come noi sono sotto, poi sopra c’è la cabina che comanda. Dentro quella cabina che comanda tutte le mattine mi dicono ci vada anche il Cianciullo di Barcellona, anche se è ovvio che non è questo il nodo di tutti i nodi.
A Lisbona esce Publico, che ha un settore ambiente fisso come le vignette e come gli editoriali - lo trovi anche su Internet, il settore ambiente di “Publico” - che ogni tanto butta fuori una notizia, ma che ti aggiorna: addirittura ci sono tutti gli anniversari, tutte le giornate mondiali di questo e di quell’altro...
C’è un giornale di Barcellona che ha deciso di fare parte integrante della sua politica editoriale quotidiana questa materia… Da noi, no.
Ho l’impressione che un giornale bellissimo - Dio ce lo conservi - come Repubblica non segua queste cose, abbia bisogno di una spinta, addirittura, per avvicinarsi a questi modelli, e in generale la stampa italiana questo non lo fa.

Cianciullo. Innanzitutto ti ringrazio della sottolineatura del mio ruolo...

Guzzini. Ce l’hai...

Cianciullo. Sì ce l’ho, ma ce l’ho anche grazie alla sensibilità del giornale.
Devo sottolineare il fatto che comunque è una scelta del giornale che ha ritenuto di dare questo spazio.
Io ho fatto anche il sindacato della Federazione nazionale della stampa, abbiamo fondato un’associazione che è l’Associazione giornalisti ambientalisti e abbiamo resistito per un certo numero di anni; abbiamo fatto questa associazione difendendo questa linea politico-professionale che è basata sulla difesa della specializzazione in campo ambientale. Esistono nostri colleghi che sono specializzati in campo finanziario, esistono colleghi che sono specializzati nello sport, non si vede perché non debba esistere una specializzazione in campo ambientale.
Purtroppo questa linea è stata battuta, perché dobbiamo registrare la realtà, e il numero complessivo dei colleghi specializzati in campo ambientale all’interno dei grandi organi di informazione, in particolare del giornali, è diminuito, contrariamente alla logica, contrariamente alle attese, contrariamente all’andamento complessivo della società, e questo è un segnale negativo, perché mancando la persona specializzata il settore ambientale ha una capacità di lettura più legata al singolo accadimento della cronaca, più legata, di volta in volta, alla bella scrittura, alla trovata d’effetto che alla conoscenza dei problemi.
Il che non significa che il giornalista ambientalista debba essere un signore noioso che fa dei trattati, perché innanzitutto è un giornalista, ma un giornalista che “maneggia” la materia, così come chi si occupa di finanza non è uno che è semplicemente uscito dalla scuola di economia e sa solo quello. È uno che sa fare il giornalismo, ma conosce la finanza. Quando si parla della differenza fra l’effetto serra antropico e quello naturale, non è utile avere una persona che conosca la materia? Evidentemente sì. Purtroppo, di questo avviso non è la maggioranza dei direttori che ha fatto delle scelte diverse.

Guzzini. E si torna al “lodo Ottone”.
C’è poi questa piccola aggiunta da fare: tu facevi riferimento, molto giustamente, al giornalista economico.
Parliamo della stampa generalista: nella stampa generalista la teoria generale è che il giornalista non deve essere specializzato, deve essere pronto a seguire qualunque cosa, altrimenti non è più generalista.
Io non sono molto convinto di questa teoria, perché un generalista così è talmente generico che rischia di banalizzare anche cose importantissime e se le banalizza non è vero che la gente capisce di più, la gente capisce che si trova di fronte a un mondo banale.

Cianciullo. Ci sono vari ruoli, varie specializzazioni, vari modi di fare il giornalismo ed è giusto che sia così, è fondamentale.
Per cui, un grande problema di tipo ambientale è trattato contemporaneamente da più persone. C’è un grande fatto, ci saranno tre-cinque articoli.
Quindi ci sarà il giornalista, ci sarà quello che fa un fondo, ci sarà l’intervista, ci sarà quello che offre una spiegazione più tecnica.
In discussione non è il ruolo del generalista ma il fatto che, a fronte di una materia complessa che richiede un bagaglio di conoscenze tecniche e che richiede una storia personale che si accumula, utilizzare di preferenza un collega bravissimo, stimabilissimo e abilissimo, che tuttavia arriva sull’argomento senza un pregresso, senza una conoscenza di base, vuol dire avere un certo tipo di articolo, ottimo, per alcuni versi, non altrettanto per la conoscenza del problema.
Siccome, in questa materia molto si gioca sulle sfumature, molto si gioca sui falsi allarmi, sulla guerra tra scienziati che hanno anche interessi contrapposti, in molti casi, il discorso del generalista dovrebbe andare anche per chi si occupa dell’elezione del Papa. Perché quando c’è un conclave non ci si affida al generalista? Tanto c’è un elemento che è sempre uguale, quindi si potrebbe anche eliminare il vaticanista.

Guzzini. Quindi la chiusura dell’Associazione giornalisti ambientalisti, è dovuta più ai direttori, che ai giornalisti...?

Cianciullo. È dovuta a una scelta che è stata fatta da editori e direttori. Editori nel senso che poi alcune pagine sono state chiuse, un’impostazione più moderna di pagine ambientaliste non è stata presa, alcune pagine, alcuni inserti sono stati chiusi, quindi non ci sono state iniziative editoriali. Essenzialmente un fatto di direttori, perché poi sono i direttori che fanno i giornali. Quindi, in primo luogo i direttori, ma anche gli editori che, comunque, evidentemente non appoggiano questa...

Guzzini. Ha ragione Ottone: “va dai direttori, altrimenti non ci cavi le gambe”.
Quel giornale portoghese, mi sono ricordato, si chiama “Publico” ed è molto legato anche a voi, cioè pubblica gli stessi libri, lì in portoghese, da noi in italiano, quindi in qualche misura c’è un rapporto editoriale o commerciale.
Se ti capita, vai sul pezzo “ambiente”. Io ho cominciato a guardarlo quando è affondata la petroliera, ma anche prima c’era una attenzione che secondo me è maggiore di quella che abbiamo in Italia, non so perché.
Cianciullo Su questo vorrei dire che in Italia c’è una maniera di interpretare la politica che è assolutamente legata agli equilibri di palazzo e in questa accezione a mio parere riduttiva e deleteria, siamo tra i primi. In particolare il mondo aglosassone è molto più ancorato, nella maniera anche di fare la battaglia politica, ai temi concreti, ma comunque anche in altri paesi latini mi sembra che, tutto sommato, anche a guardare lo spazio che i giornali danno a materie come l’ambiente c’è un’attenzione superiore a quella che c’è in Italia. Noi siamo veramente fra gli ultimi.

Guzzini. Che speranza hai? Possiamo sperare in un’evoluzione nel mondo dell’informazione quotidiana su queste materie?

Cianciullo. Si parla molto di globalizzazione. Sostanzialmente, in Italia è un’anomalia. Io penso che alla lunga ci dovrebbe aiutare questa globalizzazione.

Zandri
. Questo è il titolo dell’intervista: “Ci aiuterà la globalizzazione?”.

Zandri. C’è da interrogarsi su come fare per sfondare qualche porta, soprattutto a livello locale? Perché c’è un numero crescente di riviste dei parchi (sono ormai parecchie decine e arrivano direttamente alle comunità locali): in ogni parco ci sono solitamente tre,quattro o più comuni, e una grossa diffusione degli stessi argomenti, che poi in alcuni casi sono anche utilizzati dalla stampa locale.
Mentre in alcune occasioni fortunate si riesce ad agire, a intervenire sull’opinione pubblica attraverso i media locali, in altre situazioni, invece, si ha l’impressione di lavorare a vuoto e se si riesce a ottenere uno spazio sul giornale, sulla testata televisiva locale, ciò è possibile solamente in situazioni drammatiche, cementificazioni, polemiche tra le forze politiche ecc.
La notizia cosiddetta “buona” - il nostro direttore se ne è occupato molto in questi seminari - la notizia di lavori che vengono fatti, esempi di sviluppo sostenibile che stanno già dando dei frutti, di occupazione giovanile, di rapporti con le università che fanno i loro laboratori dentro i parchi... su questo si fa una fatica terribile a riuscire a comunicare qualcosa.
Farli arrivare alla gente, al lettore questi esempi positivi di produttività.
Naturalmente mi riferivo più alle realtà locali, però mettendosi lei nei panni del lettore, che cosa ha capito dei parchi, fino adesso? Adesso che siamo alla seconda generazione dei parchi? Il parco non è più di prima generazione, quando il parco veniva spiegato, proposto, istituito e ci sono state le relative battaglie. Adesso, questa fase dovrebbe essere superata. Cosa ha digerito di questo il lettore, il fruitore, il telespettatore? Cosa ha capito? Poco, tanto, è disorientato?

Cianciullo. Secondo me ha cominciato a intuire la questione, che non è più per addetti ai lavori ma si è allargato il campo della comunicazione sulla natura e sui parchi.
Però mi pare che dal punto di vista concreto e materiale sia ancora abbastanza lontano. C’è anche da dire che noi abbiamo una cultura che non aiuta la vicinanza alla natura e questo spiega forse, in parte, l’atteggiamento dei giornali. La reazione media di un anglosassone, ma anche di un francese...
I francesi vanno di più in natura, hanno un tipo di organizzazione capestre, anche agreste, che offre mille spunti.
In Italia è l’uovo e la gallina: è perché manca l’offerta o perché manca la domanda?
Questa è, come sempre, una sinergia tra i due aspetti, però in sostanza, in Italia l’offerta è centrata su tutto ciò che si può fare rimanendo con il sedere piazzato sulla macchina, oppure spostandosi per pochi minuti a piedi, per potersi sedere da un’altra parte. Questo è il percorso tipico dell’offerta che si fa.
L’unico momento in cui si sta in piedi è se c’è un museo, perché di fronte all’autorità massima di qualcuno che viene riconosciuto... Naturalmente tutto questo esiste, ha valore e l’Italia ne ha una quantità eccezionalmente alta, per cui c’è una specificità italiana, però non ci sono nemmeno seri ostacoli perché uno ogni tanto, invece di passare una giornata in città... Per esempi l’altro giorno stavo facendo una “biciclettata” sul lungotevere, di domenica mattina, con un mio amico che sta a Roma da tempo ma che è americano e lui mi diceva “Questa giornata è una cosa meravigliosa”.
Non c’era mai stato sulla pista ciclabile del lungotevere che parte dal quartiere Magliana e diceva “questo è un posto incredibile, è bellissimo: ma non c’è nessuno”. Continuava a guardarsi intorno e diceva “perché non c’è nessuno su questa pista che è bellissima? Se fossimo stati in un’altra città sarebbe stata invasa dai ciclisti”.
Quindi c’è anche, forse, una resistenza di tipo culturale.

Guzzini. C’è sicuramente una differenza di culture. Io ho avuto la “fortunissima” di fare un incontro con il gruppo dirigente del National Park Service americano, che ha di fatto la filosofia per rilanciare il modo di rapportare i parchi con i visitatori degli stessi.
Tu dicevi “noi abbiamo musei”.
Loro hanno la storia che hanno, tuttavia pongono questa questione: un gruppo di visitatori di un parco deve sapere non solo che vegetazione si trova in quel parco, ma se si è svolta una scaramuccia, una battaglietta, o anche un episodio della guerra di secessione, quali erano le posizioni, le culture che c’erano dietro, se lì c’è la casa di un letterato chi era quel letterato e che accidente ha scritto. Cioè, mettere insieme quella che da noi è la cultura classica, in modo che i parchi svolgano questa funzione negli Stati Uniti.
La globalizzazione ci aiuterà. Perché loro dicevano “questo lo abbiamo imparato da voi, perché noi avevamo tutta un’altra filosofia: nei parchi meno gente viene e meglio è”.

Cianciullo. Anche lì ci sono varie zone, perché ogni tipo di approccio alla natura deve avere un suo spazio, non è che sia sbagliato avere alcune zone a basso impatto antropico.

Guzzini. Ci mancherebbe... ogni parco ha una sua realtà.
Però questo discorso generale, per loro è un passo avanti che rimandano a noi. In parte è anche vero, perché questa cosa di uomini e parchi - Giacomini ecc. - è nostra.
Noi potremmo aggiungerci quello che ci mettono loro, cioè io non sono certissimo che le scolaresche in visita con la maestrina in testa, parlino dentro il parco toscano, di alcuni episodi storici che sono avvenuti due metri più in là e magari anche di Puccini, di vattelapesca chi.
Questo tipo di ricomposizione dal versante del naturalismo, della cultura nel nostro paese, pensi che possa essere una cosa che accadrà?
O addirittura pensi che sia utile?

Cianciullo. Io penso che sia utile.
Tra l’altro mi vengono in mente le indicazioni sul paesaggio confinante.
In Francia vai su una strada in macchina ed è pieno di indicazioni, di cartelli, che dicono “questo è il paesaggio dipinto da Cezanne, questo è il paesaggio...”.
È pieno di rimandi culturali. Per noi la cultura è divisa, questo è il problema. La cultura è la cultura, non si può sporcare le mani con la natura. C’è una spocchia di fondo che deriva da un grande primato, però i primati, se non sono rinsanguati sono degli imperi: possono crollare clamorosamente.
Però si può essere positivi, avendo questa possibilità di contaminazione culturale in cui noi diamo qualcosa e ne riceviamo altro in cambio. La grande contaminazione culturale cominci con gli approcci europei: cementando i legami dell’Europa tra noi avremmo molto da guadagnare.

Guzzini. È che la vediamo come speranza.

Cianciullo. Sì, perché l’evoluzione c’è, nel senso che, purtroppo, la portata dei danni ambientali è tale che è un’educazione forzata. È però una guerra contro il tempo, perché da una parte cresce l’educazione, dall’altra crescono i danni. Chi fa prima?

Guzzini. I danni sono più veloci.
L’ultima mia domanda nasce da quello che stavi dicendo in questo momento. I quotidiani nazionali e i giornali locali sono molto diversi fra loro, non c’è bisogno di dircelo: abbiamo una regolare presenza di denuncie di guai, ci si incaglia la Nicole e per tre giorni la cosa viene denunciata.
Ancora la Nicole sta lì peraltro, e nessuno l’ha spostata, però per tre giorni se ne parla. Perfino se un parco è bello se ne parla.
La lenticchia di Castelluccio di Norcia comincia a essere nota anche grazie al parco. Mai, neanche per sbaglio, né su quelli nazionali né su quelli locali tu hai confronti fra progettualità, né campagne, cioè giorni e giorni di articoli che spingono a supporto di strutture che impostino politiche di lungo periodo.
Ti faccio un esempio solo: s’ha da fare o non s’ha da fare la Carta della natura? Ci facciamo sopra campagne? A seconda delle questioni, su una persona locale potrebbe essere: abbiamo un tavolo con l’assessore, abbiamo ottenuto che tutti insieme rivediamo tutta la legislazione sui parchi e il rapporto tra la rete ecologica e il sistema dei parchi regionale sarà un argomento? Fregasse a qualcuno... Questa è una roba fra tre persone e l’assessore, sui giornali locali. E anche la Nicole.
Giornali nazionali. Sono anni che si deve fare la Carta della natura, il piano delle coste...
La grande progettualità non interessa.

Cianciullo. La grande progettualità interessa in sede di cultura, se si fa un ragionamento di cultura. non è certo un articolo che può andare in cronaca, no è un articolo che va in politica, non ha una sede acconcia, non ha un taglio che entra dentro la gabbia con cui sono fatti i giornali, tranne quello della cultura. Ma anche per le ragioni che dicevamo prima la cultura tende a viaggiare più su dei sistemi tradizionali che a misurarsi con questo tipo di novità.

Guzzini. Hai una speranza, o per la globalizzazione, o perché qui siete bravi, che un giorno la foliazione dei giornali venga modificata in modo che ci possa entrare questa roba?

Cianciullo. Io non direi che non è nemmeno una priorità di avere uno spazio a parte, l’importante è che entri dentro.
Ci può anche essere una doppia soluzione del problema, può esserci uno spazio dedicato ma può anche esserci un allargamento dei settori che già adesso ci stanno e che includano questo tema. È quello che poi sta succedendo, cioè l’ambiente sta dentro le cronache. L’ambiente è trasversale, è contemporaneamente cronaca, politica, economia e cultura, quindi è difficile dare conto di questo intreccio di temi.

Guzzini. Noi parliamo dei parchi che è una sottocosa dell’ambiente, che a volte viene schiacciata dal tema ambiente.
Diecimila volte si parla di discariche, una di ambiente.

Cianciullo.
È così. Secondo me l’allargamento anche dei confini di quelle singole sezioni sarebbe una maniera per risolvere il problema.

Guzzini. Far diventare sezione i parchi in quanto luogo di sperimentazione di tutto il resto. Quelli che ci lavorano sono certi di questo ed Arban, quando dice “ricchezza oltre i confini”...
Per la prima volta il convegno decennale dell’UICN, è dedicato ai parchi - non si è mai occupato dei parchi - e loro dicono “ricchezza oltre i confini”.
Che altro vuol dire? Vuol dire che tu dentro i parchi sperimenti una cosa che porta ricchezza anche fuori.
Questa cosa qui, in un quotidiano, perché non c’è?

Zandri. È la missione del parco stesso.

Guzzini. La missione è questa.

Cianciullo. C’è una questione di principio, però: là non si occupano di dichiarazioni di principio, tendono ad occuparsi di fatti, quindi ci vorrebbero numeri, esempi divertenti, strumenti per fare un pezzo. Non si può pretendere nemmeno che i giornali facciano dei saggi.

Guzzini. Poi, non solo dichiarazioni di principio ma dichiarazioni di ideologia, che è una parolaccia terribile.
Però è un pezzo qualificato dell’economia, un pezzo qualificato dell’ambiente.
Quindi bisognerebbe trovare una pagina che si chiami “econopark”...

Cianciullo. Per risolvere il problema bisogna che entrambe le parti si attivino: da una parte i giornali potranno allargare a quello che abbiamo detto prima, la globalizzazione ecc., specificamente per quello che riguarda l’Italia, una maggiore sensibilità alle tematiche ambientali, perché sarebbe un riequilibrio rispetto alla media europea, però anche il Comune che ha i parchi non può pensare di trovare comunque della militanza nel giornalismo.
Il giornalista innanzitutto deve fare un prodotto che soddisfi un lettore che in maggioranza...
In questo caso, per i parchi in maggioranza ha una certa simpatia probabilmente, ma se gli si dice “vedi...”, quello cambia pagina.
Gli devi dare nel singolo articolo un “attento perché può succedere questo”, o un “attento perché puoi avere questo beneficio”, cioè bisogna illustrare un danno o un beneficio, non una teoria.

Guzzini. Ti ringrazio moltissimo, ho imparato un po’ di cose, come sempre.
È naturale imparare qualche cosa, quando si conversa. Speriamo che anche per i nostri lettori la faccenda funzioni così.

di Mariano Guzzini