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Nel mese di settembre si è svolto
a Durban il V° Congresso Mondiale dei Parchi.
Un appuntamento di grande rilievo, caratterizzato dalla presenza,
insieme a quasi 3.000 delegati di 140 Paesi, di personalità di
grande statura internazionale come Nelson Mandela, la Regina Noor di Giordania,
Kofi Annan. Salvo che per le due pagine di “La Repubblica” in
Italia i media non ne hanno parlato. Sappiamo tutto della museruola ai
pitbull ma niente di quel che si discute in un grande consesso circa politiche
che investono il 10% della superficie del pianeta.
Un esame a campione della stampa europea dice che la situazione
non è solo italiana. Chi conosce un po’ la situazione dei
parchi europei, sa che l’attenzione dei media per il loro lavoro
non è molto grande e che i parchi stessi non eccellono per capacità comunicative
(per addetti, strumenti, risorse) rivolte al grande pubblico. Un viaggio
tra i siti internet disponibili lo conferma senz’altro. La recente
assemblea di Europarc, tenutasi in Norvegia è stata del tutto trascurata
dalla stampa (persino norvegese). Il provincialismo, lo scarso amore per
i temi della conservazione non sembrano quindi elementi esclusivi di casa
nostra. Questo riferimento ad una situazione internazionale non è destinato
ad occultare il problema italiano. Serve ad inquadrarlo in una difficoltà-criticità generale.
Di cui però in Italia abbiamo consapevolezza e discutiamo sapendo
inserirla in una prospettiva che tiene conto dell’insieme delle
condizioni, a partire da quelle istituzionali.
L’informazione e la comunicazione sono infatti da qualche tempo
considerate parte integrante delle attività istituzionali (da non
confondersi con l’educazione ambientale, attività specifica
indirizzata principalmente al target delle persone in formazione). Gli
organizzatori dell’incontro di Arenzano, nell’introduzione
all’invito, fanno esplicito riferimento all’atteggiamento
dell’Unione Europea, che pretende comunicazione per tutte le attività e
i progetti che finanzia. È giusto. Come è giusto ricordare
che l’Italia dà per acquisito questo aspetto, tanto da aver
introdotto nella legislazione norme che regolano alcuni aspetti dell’attività di
comunicazione istituzionale: le relazioni con il pubblico, la composizione
degli uffici stampa, le pubblicazioni.
Partiamo allora da qui nel valutare la comunicazione delle aree
protette: dalla considerazione che la comunicazione istituzionale è per
tutte le istituzioni un fenomeno recente e in evoluzione e i parchi, che
sono -fra le istituzioni italiane- le più giovani, stanno compiendo
le loro esperienze le quali, come è logico, risultano essere in
alcuni casi più avanzate rispetto a quelle di altri, in altri meno.
A che punto siamo? È una verifica che la Federparchi fa periodicamente,
anche se l’ultimo appuntamento ad essa dedicato è ormai dell’aprile
del 2001, in occasione del Convegno di Portonovo. Avrebbe potuto essercene
un altro - noi lo attendevamo con ansia – esattamente un anno fa,
nell’ambito della Seconda Conferenza nazionale delle Aree Protette
di Torino. Ma là la comunicazione (a parte quella che si poté fare
direttamente nello spazio espositivo) fu trascurata. Non se ne parlò proprio,
con l’eccezione dell’accenno che vi fece il sottosegretario,
nell’intervento conclusivo, per annunciare che la situazione sarebbe
cambiata, che “avrebbe parlato il Ministero”, cioè che
la comunicazione sulle aree protette sarebbe stata appannaggio diretto
della struttura ministeriale e non più soggetta “all’invadenza” delle
associazioni ambientaliste. Venne subito il sospetto che si trattasse
soprattutto di una questione di denaro.
Sospetto confermato dal fatto che all’annuncio è seguito
il silenzio. Ulteriore dimostrazione che la comunicazione non è solo
questione di mezzi: occorre avere qualcosa da dire e bisogna sapere come
dirlo!
Ma torniamo a noi. Il fatto che questi appuntamenti di riflessione
siano periodici, con molti interlocutori che potremmo definire “fissi”,
mi consente di lasciare sullo sfondo, come acquisite, considerazioni generali
o teoriche - riguardanti ad esempio il rapporto tra informazione e comunicazione,
lo stato dell’informazione in Italia (tema che in questo periodo
dominato dal conflitto d’interessi ci porterebbe molto lontano),
il tasso di lettura dei nostri concittadini, il livello e le capacità degli
operatori e così via – per venire immediatamente al sodo
dei processi in corso nel nostro mondo e fornire un quadro alla nostra
discussione odierna e alle esperienze che verranno presentate. Chi volesse
però recuperare questi elementi così come sono stati affrontati
nell’ultimo incontro (“Parchi stampati e non solo…”)
di Portonovo, potrà farlo consultando gli atti pubblicati sul sito
www.parks.it
Concentrerò l’attenzione su quattro aspetti, che furono segnalati
come i principali elementi critici della situazione della comunicazione
delle aree protette in tutte le nostre precedenti discussioni: il cattivo
rapporto con la stampa “generalista”, l’insufficiente
formazione degli operatori, la lacunosa integrazione di sistema, l’assenza
di un’editoria dedicata alle aree protette.
Erano, questi, elementi ancora insoddisfacenti di un insieme
che pure si caratterizzava per dinamismo e crescita continua, espressi
da una rivista (“Parchi”) ormai anziana e molto utile, da
un numero considerevole di giornali dei parchi o dei sistemi regionali
(con punte di vera eccellenza come “Piemonte Parchi”), da
un sito internet affermato e che viaggiava oltre il milione e mezzo di
visitatori l’anno, da una newsletter di Federparchi con più di
2.000 abbonati. Erano elementi considerati critici per una possibilità di
sviluppo adeguato alle necessità di conoscenza e considerazione
del nostro mondo, alla ricchezza dell’esperienza che si andava accumulando,
al bisogno di consenso e partecipazione da parte dell’opinione pubblica.
Per quel che riguarda il rapporto con la stampa generalista si era messa
a fuoco la schizofrenia tipica della comunicazione di quei media – secondo
cui “il parco” è un buon soggetto solo in occasione
di disastri ambientali o come luogo favoloso e dalle immagini patinate
-, schiavi dei luoghi comuni ma sostanzialmente caratterizzati da disinteresse
o superficialità.
Ma si era anche concluso che una parte della responsabilità era
da ricercarsi proprio nel mondo dei parchi: nell’assenza di una
strategia comunicativa (cioè della diffusa sottovalutazione del
problema), di strumenti adeguati (in primo luogo di strutture come gli
uffici stampa), di professionalità specifiche (tra gli incaricati
a svolgere attività di comunicazione). In particolare si sottolineò che
questi due ultimi aspetti erano propri tanto dei singoli parchi che della
loro associazione.
Riguardo all’aspetto della formazione si era notato che troppo poco
si stava facendo per portare a consapevolezza i responsabili e gli operatori
della comunicazione dei parchi della necessità e della possibilità,
con opportuni strumenti, di evitare gli eterni ostacoli all’appetibilità delle
loro produzioni: l’eccessivo “tecnicismo naturalistico” che
allontana il pubblico dei non addetti ai lavori; il linguaggio “burocratese” che
allontana gli stessi addetti ai lavori; la pura propaganda, che non assolve
se non in modo assai parziale al bisogno di informazione e divulgazione.
In riferimento all’integrazione sistemica tra i diversi strumenti
a disposizione, si prese nota dello scarso travaso di contributi dal livello
locale a quello nazionale e viceversa, con due conseguenze entrambe nocive.
La prima è che spesso le singole attività di comunicazione
si trovano ad agire in una sorta di vuoto o, meglio, come se dovessero
sostenere da sole il peso derivante dalla necessità di comunicare
l’intera “rete”, conquistandosi lo spazio oltre l’indifferenza
e i luoghi comuni. La seconda è che ciascuna azione rischia di
compiere le stesse esperienze e dunque anche gli stessi errori commessi
già da molti altri, perdendo tempo e sprecando energie e risorse.
Infine, con l’assenza di un’editoria specializzata sui temi
delle aree protette, si lamentava la limitata disponibilità di
stimoli alla riflessione, alla promozione di un dibattito esteso, al collegamento
con altri rami della produzione culturale e scientifica. In altre parole:
si metteva in luce la marginalità della questione “aree protette” rispetto
alla crescita e dunque all’identità culturale del Paese.
Ciò che ora dobbiamo esaminare è cosa sia cambiato in questi
due anni e se sia cambiato in meglio o in peggio. Io mi avventuro a dire
che qualcosa è certamente cambiato e in meglio anche se, come vedremo,
molto rimane da fare e può essere fatto.
Seguirò lo stesso schema utilizzato fin qui e partirò dunque
dall’esame dei rapporti con i principali mezzi di comunicazione.
I rapporti con i mass media.
In questo campo ci sono da registrare alcuni passi avanti.
È
aumentato senz’altro il numero dei parchi con strutture “dedicate”,
spesso con veri e propri uffici stampa. Non posso fornire numeri certi,
ma a giudicare dai comunicati che si ricevono e dai contatti che si determinano
credo di poter dire che sono più di una trentina gli addetti stampa
in servizio.
La stessa Federparchi può ora contare, anche se in forme non continuative
e limitatamente agli eventi più rilevanti, su di un addetto stampa
professionista.
È
raddoppiato (da uno a due) il numero delle agenzie stampa specializzate
sui temi ambientali e dei parchi: alla Dire si è ora affiancata
Il Velino.
La newsletter di Federparchi si è diversamente strutturata ed è di
fatto divenuta un servizio quotidiano di agenzia che indirizza le comunicazioni
dei gestori di aree protette oltre che ad un pubblico generico di interessati
che lo richiedono – e che è giunto a sfiorare le 5.000 unità – ad
una platea di alcune centinaia di giornalisti. L’attenzione delle
reti televisive e radiofoniche è aumentata e si è anche
un pò qualificata, grazie ai contatti stabiliti con le redazioni,
contatti possibili per la realizzazione di iniziative di carattere nazionale
(la “Giornata” europea, Mediterre ecc.) o per i contributi
a trasmissioni finalmente non solo estemporanee ma anche inserite in cicli
in grado di rappresentarci al di là del singolo episodio.
La formazione.
Sul piano della formazione si è iniziato a lavorare, con un primo
seminario di una giornata tenutosi a Roma e rivolto agli addetti in servizio
presso i parchi e con alcuni brevi stages (richiesti per ora solo da operatori
piemontesi) dedicati all’uso del sito internet. C’è a
questo riguardo da sottolineare che altri si stanno muovendo e stanno
investendo nel settore: alcune Facoltà universitarie hanno istituito
corsi specifici, alcune associazioni promuovono attività formative
anche di notevole livello, come il corso intitolato a Laura Conti che
Legambiente organizza ormai da tre anni in collaborazione con il Parco
nazionale dell’Aspromonte.
Strumenti in rete
Sulla strada di una maggiore e migliore integrazione tra tutti
gli strumenti in campo voglio ricordare che la rivista “Parchi” ha
da tempo avviato e poi irrobustito la rubrica Tam Tam, che rilancia gli
articoli locali più significativi sul piano nazionale; che alcuni
giornali locali (pochi, purtroppo, e solo in occasioni delle iniziative
nazionali che ho ricordato) hanno iniziato a diffondere notizie dalla “rete”;
che il lavoro di agenzia di cui ho parlato prima si è anche diversificato
e, attingendo alle comunicazioni dei singoli parchi, è riuscito
a sviluppare flussi settimanali di notizie riguardanti pubblici definiti
interessati all’escursionismo, ai concorsi o agli appalti, alle
attività di volontariato.
E infine che è stata introdotta, dal gestore tecnico del sito,
un servizio di “numero verde” per il pubblico (attivabile
naturalmente solo per gli enti che si fanno carico dei costi) che rappresenta
a mio avviso un formidabile strumento di comunicazione a disposizione
di tutti.
L’editoria dedicata alle aree protette.
L’editoria specializzata ha visto l’avvio, grazie a Federparchi,
della collana degli “E-Quaderni” scaricabili dal sito.
Cinque titoli, per ora, di cui quattro della stessa Federparchi
e uno della Federazione Pro Natura, ma con risultati sorprendenti e certo
difficilmente raggiungibili con edizioni cartacee (che, intendiamoci,
sono sempre le benvenute, se di qualità) se si considera che il
primo titolo è stato ad oggi scaricato da quasi 5.000 lettori.
E vorrei parlare di un altro avvenimento editoriale che si segnala
per la sua novità: la pubblicazione della “Guida alle Aree
protette dell’Emilia Romagna” da parte del Touring Club Italiano
e della stessa Regione. Si tratta di un lavoro che segna un vero e proprio
salto in avanti per quel che riguarda l’integrazione delle aree
protette nella comunicazione attraverso i canali più potenti e
conosciuti e ai più alti livelli di qualità editoriale.
Per riassumere: passi in avanti ce ne sono stati, anche nei settori
più critici.
E tutto ciò mentre l’esistente – che già giudicavamo
positivo - si ampliava e mentre si rafforzavano altri importanti servizi.
I nuovi giornali dei parchi, la rivista telematica, il sito Parks
e la rassegna stampa.
Ci sono stati in questi due anni dei nuovi nati tra i giornali “locali” o
regionali.
Ve ne sono stati di telematici (“L’informafiume” del
Po Alessandrino, “Un Po di notizie” di quello Cuneese, per
esempio, ma molte sono anche le newsletter elettroniche) e di cartacei.
Tra questi ultimi voglio ricordare Toscanaparchi, Panorami del Parco del
Gran Sasso, la nuovissima “Parks” della Provincia di Bolzano
e Blu Mare, originale iniziativa di La Nuova Ecologia e delle Riserve
marine. C’è poi stata la nascita della rivista on line “Il
giornale dei parchi”, sforzo editoriale importante, che riafferma
una peculiarità e un primato della nostra associazione nell’uso
delle risorse informatiche. Il giornale presenta dati di lettura (172.000
visite, 32.000 ripetitive, 2.100 lettori abituali) che è naturalmente
difficile giudicare in mancanza di raffronti e di esperienze precedenti.
È
continuata costante e ininterrotta la crescita del sito che,
arricchitosi come ho detto di nuovi servizi e di sempre aggiornata documentazione, è giunto
a toccare ormai la media di circa 300.000 visitatori al mese e viaggia
verso i 20 milioni di pagine consultate all’anno. Abbiamo già altre
volte sottolineato il significato di numeri simili ai fini di una comunicazione “di
sistema” per stare a indugiarvi oltre. Basterà dire solo
che i parchi, attraverso il loro sito, hanno conquistato uno share superiore
all’1% del pubblico italiano di internet.
Abbiamo infine implementato le nostre attività con una iniziativa
che è insieme servizio e strumento di comunicazione: la rassegna
degli articoli dedicati alle aree protette dalla stampa quotidiana, che
rendiamo disponibile a cadenza settimanale su pagine speciali de “Il
giornale dei parchi”.
Si tratta di un ricchissimo patrimonio di informazioni a disposizione
di tutti ma si tratta anche di una fonte utilissima dalla quale ricavare
elementi di giudizio sulla situazione complessiva del mondo dei parchi
e della loro percezione da parte del mondo dell’informazione stampata “generalista”.
E una considerazione è già possibile: sono lontani i giorni
in cui lamentavamo che gli articoli dei quotidiani dedicati ai parchi
si potessero contare, in un anno, sulle dita di una mano. Oggi ci vogliono,
ogni giorno, più delle due mani per contare i “pezzi” riservati
alle aree protette.
Conclusioni.
Ecco comunque descritti i passi avanti compiuti in due anni.
A mio parere si può per essi parlare in generale di una realtà in
espansione, di un quadro di complessivo successo, per quanto lontano dall’esprimere
tutte le possibilità.
Possibilità alle quali voglio ora riferirmi, per vedere cosa ancora
possiamo fare, e contribuire a fare, per crescere ulteriormente.
Un criterio, banale quanto si vuole ma sacrosanto, occorre seguire
per determinare alcune possibili azioni per il futuro della comunicazione
delle aree protette: si cresce tutti se si cresce insieme. Ecco perché il
primo elemento al quale lavorare al più presto è un “piano
nazionale” per la comunicazione dei parchi. Certamente esso dovrebbe
essere un tassello di un più ampio e indispensabile “piano
nazionale per le aree protette” che la Federparchi rivendica da
sempre.
È
il caso di insistere sull’idea di un piano per la comunicazione,
che costituisca riferimento e sintesi per la conoscenza e l’immagine
che si trasmette ai nostri cittadini.
Noi abbiamo avanzato proposte in questo senso al Ministero, con
contenuti adeguati alla realizzazione di materiali uniformi, di una rete
tra i centri visita, di merchandising utile allo scopo, di pubblicazioni
mirate a definire il “sistema”. Non è ovviamente detto
che le nostre proposte siano le migliori, e nemmeno che siano necessariamente
buone, ma un piano ci vuole e sarebbe bello che le istituzioni collaborassero
per produrlo in fretta. Occorre ancora insistere sulla formazione degli
operatori, moltiplicando i momenti di incontro, realizzandoli in modo
decentrato e, soprattutto, indirizzandoli anche agli amministratori che
sono i primi responsabili da cui discendono le scelte di comunicazione
e che devono essere convinti e preparati alla loro importante missione.
Anche per la formazione sono però necessari strumenti nuovi e in
questo senso ha grande importanza un progetto di e-learning – insegnamento
a distanza -, il cui contenuto dovrebbe essere lo sfruttamento di tutte
le potenzialità del nostro sito, al quale stiamo lavorando con
i colleghi francesi e che vorremmo finanziato da un recente bando dell’Unione
Europea. E poi bisogna continuare sugli strumenti dell’integrazione,
che è la funzione primaria della nostra associazione. Accrescere
l’impegno per legare i giornali e i loro autori, per unirli in una
ideale grande redazione, che trovi sbocco soprattutto nella rivista, ma
che sia utilizzabile anche nel sito.
A proposito della rivista “Parchi” devo informare che il sodalizio
con l’editore Maggioli, durato alcuni anni e dal quale attendevamo
risultati migliori per quanto riguarda la diffusione e le risorse a disposizione,
si scioglierà a partire dal prossimo anno. Pensiamo che una gestione
diretta, più legata alla vita dell’associazione – ad
esempio con forme di collaborazione con i parchi predefinite e con collegamenti
degli abbonamenti alle quote di adesione – potrà far sentire
tutti più vicini alla pubblicazione, con risultati positivi tanto
nei contenuti che nella distribuzione.
Infine è necessario lavorare allo sfruttamento di tutte le potenzialità che
il sito ci offre e che a mio avviso siamo lontani dall’utilizzare
pienamente. L’esempio che voglio fare è quello del numero
verde al quale ho già accennato come ad una novità di questo
ultimo periodo, oggi utilizzata solo da qualche amministrazione. Un unico
numero verde nazionale, che fornisce informazioni (e che mole di informazioni:
tutte quelle contenute nelle diecimila pagine del sito!) sull’intero
universo delle aree protette, rappresenterebbe un potentissimo mezzo di
comunicazione, l’immagine più diretta e immediata dell’esistenza
del sistema, un unicum nel panorama mondiale. Un risultato ottenibile
con costi quasi irrilevanti, se raffrontati alla portata della realizzazione.
L’attivazione del numero verde risponderebbe sarebbe tra l’altro
un cospicuo contributo al funzionamento dei parchi, che verrebbero alleggeriti
del peso dell’attività di informazione che devono garantire
ad un pubblico sempre più numeroso ed esigente.
Per concludere: mi sembra che stiamo avanzando verso un sistema
adulto anche sul piano della comunicazione. Una realtà che si sta
creando il proprio spazio, facendo pesare la propria consistenza e scegliendo
iniziative e attività promozionali di notevole rilievo.
Ma soprattutto operando con sempre maggiore capacità nell’attuazione
delle proprie finalità istituzionali. Dei parchi si parla anche
per la vita che fanno e per i risultati che ottengono, non più solo
per i disastri ambientali che li minacciano.
Un esempio? Quello degli incendi, estesissimi e numerosissimi,
dell’estate. Ebbene, dei parchi si è parlato sui media meglio
e più a ragion veduta rispetto alle analoghe crisi degli anni precedenti.
Si è cominciato a distinguere tra situazione e situazione, a dare
cifre – evidentemente provenienti da fonti finalmente informate
e attive – sulla portata reale dei danni. Qualcuno ha cominciato
a dire che là dove opera un parco c’è un servizio
migliore e un danno più limitato. Altri hanno persino indicato
utili modelli operativi, come quello del Parco dell’Aspromonte,
e responsabilità più precise di quelle generiche solitamente
utilizzate. Voglio aggiungere un altro elemento.
Ho fatto prima riferimento agli articoli della rassegna stampa
quotidiana.
Qualche amico, commentandone il contenuto alcuni giorni fa, sottolineava
come spesso siano articoli che danno conto di battaglie politiche di non
grande spessore: rivolte alla rivendicazione di qualche presidenza o alla
denuncia di qualche sgarro istituzionale. Gli ho fatto notare, scherzando
solo a metà, che anche questo fa parte della vita delle istituzioni
e che anche questo è dunque un segnale dell’integrazione
dei parchi nella ordinaria vita istituzionale del Paese.
Della loro uscita dall’infanzia mediatica.
Oggi, grazie anche al nostro lavoro, al lavoro di tanti, si dà maggiormente
e meglio conto della realtà dei parchi. E questo in fondo è il
nostro compito di comunicatori: “dare conto” della realtà per
quella che è e fornire qualche strumento per la sua interpretazione.
di Luigi Bertone |