Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 40 - OTTOBRE 2003


LE EMERGENZE STORICO-CULTURALI

Nell’atlante del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi

La mia borsa di studio aveva come titolo “Per un Atlante delle emergenze storico-culturali nel territorio del Parco”: il lavoro è stato svolto nell’anno 2002 con la responsabilità scientifica dell’Istituto per i Beni culturali dell’Emilia-Romagna.
Ha dunque avuto al centro i beni culturali, un tema di straordinaria attrazione nella società, che ha assunto oggi un significato più vasto rispetto a quando era applicato soltanto ai capolavori architettonici, pittorici e scultorei d’autore.


Il concetto di bene culturale si è infatti arricchito di elementi legati alla vita quotidiana, ai valori e alla storia delle comunità locali, riconoscendo così il valore culturale di categorie di beni che testimoniano le identità culturali del composito panorama culturale italiano: dagli oggetti d’arte ai monumenti, dai siti archeologici ai paesi fino ai sistemi stradali stratificati e, disseminato sul territorio, alle testimonianze demoetnoantropologiche, fino ai dialetti e la musica folkclorica. Tutto questo offre materia alla storia della cultura: come, del resto, un’attività artigianale e un borgo costituiscono la testimonianza di un modo di vivere in rapporto col territorio.
La conservazione del patrimonio culturale diviene così principio attivo per comprendere il bene nel rapporto che lo lega al territorio, il quale ha un’identità che gli è conferita, oltre che dal suo contesto naturale, anche dalla sua storia. Particolare attenzione in questo lavoro è stata adoprata per sottolineare il nesso tra bene culturale e paesaggio all’interno di un territorio come quello del nostro Parco Nazionale: infatti arduo è soltanto pensare a Camaldoli senza la sua foresta o al Santuario della Verna senza la sua rupe.
Conviene sottolineare questo profondo rapporto tra natura e cultura nell’area del parco. Significa infatti che i beni culturali non possono essere intesi e proposti senza il quadro naturale di cui fanno organicamente parte, un aspetto che avevano colto Carlo Beni, Aldo Spallicci e Pietro Zangheri.
Ecco così salire alla ribalta il territorio, bene culturale esso stesso e ambiente necessario al bene culturale: perciò è importantissimo creare una coscienza diffusa che il valore aggiunto del patrimonio culturale nel Parco è proprio nel suo continuo integrare musei, chiese, paesi, borghi, paesaggio e persone; insomma che il contesto è il bene culturale più prezioso. Provatevi, infatti, ad immaginare l’Appennino tosco-romagnolo senza i suoi paesi, e i paesi senza i loro palazzi e le loro chiese. Provatevi ad immaginare Badia Prataglia e San Godenzo senza le loro abbazie, o Premilcuore senza l’Oratorio di San Lorenzo: passa da questi luoghi l’identità del territorio montano.
Per questo motivo, i beni culturali hanno un valore civile e sono il fondamento dell’appartenenza e dell’identità storica di una popolazione. Già le persone: è difficile che un bene culturale possa continuare ad esistere, anche se è stato appena restaurato, se intorno non vi è una comunità che lo sente proprio.
Ed è per questa ragione che la conservazione del patrimonio culturale del parco passa anche attraverso un’azione concreta di sostegno a quanti hanno scelto di vivere nella montagna.
Il lavoro che qui si presenta non vuole essere il catalogo dei beni culturali del parco, un’indagine che richiederebbe, per essere svolta, la presenza di molteplici specialisti. Con questo lavoro si è piuttosto inteso indicare le numerose varianti con le quali è possibile declinare il termine bene culturale e la pluridisciplinarietà dei contesti nei quali si sviluppa.
Lo si è fatto attraverso uno spettro di indagine ampio, evidenziando aspetti – tutti di pari dignità e ricchezza –, ciascuno indicato in un percorso che ne traccia le linee essenziali.
Questa ricerca, articolata in capitoli – comprendenti paragrafi, bibliografia e una proposta di intervento – e schede redatte per avviare la catalogazione di alcuni beni – penso, ad esempio, ai centri e nuclei storici – si offre dunque quale compendio di conoscenze e d’informazioni a carattere non soltanto repertoriale – raccogliendo quanto già stato elaborato –, ma critico, con l’Indice che è già una selezione delle cose notevoli, dei percorsi da continuare e delle nuove strade da intraprendere per una politica culturale nell’area del Parco.
E dunque confidiamo che questa rilevazione possa supportare le scelte degli amministratori e di quanti, attraverso le loro specifiche professionalità, sono chiamati ad intervenire nella gestione del Parco.
Tale ricognizione del sedimento culturale del territorio del Parco, è stata svolta nella consapevolezza che la riflessione sulla nozione di bene culturale rimanda ad una meditazione sull’idea stessa di cultura, in quanto, ciò che chiamiamo patrimonio culturale non ha un senso definitivo e la sua funzione va commisurata a una realtà antropologica che muta; che cosa vogliamo ancora ricordare e vedere? È questo l’interrogativo al quale tenta di rispondere questa ricerca, mai dimenticando che i beni culturali appartengono ad un genere particolare di beni: il bene pubblico; sarà bene rammentarlo ora che un tema all’apparenza innuocuo come quello dei beni culturali tocca le zone sensibili della politica.
Vorrei ora estrapolare almeno due riflessioni; la prima la traggo dal capitolo Splendore nei borghi, dedicato al patrimonio architettonico nel parco, legato al progetto, già da tempo avviato, di recupero, ripristino e restauro del patrimonio insediativo storico. In proposito, mi permetto di ricordare l’importanza della manutenzione di un bene, che evita l’urgenza del restauro.
E poi, ancora: in quali borghi concentrare le azioni? E con quali prospettive? È opportuno concentrare le azioni dove è cospicua la popolazione residente: ne deriverebbe un’azione di sostegno alla popolazione; se a ciò si aggiunge che numerosi tra i luoghi menzionati nelle schede sono di interesse storico, ne deriva che all’esigenza sostenuta dal parco di tutela degli insediamenti umani – intesi nell’eccezione più ampia di luoghi abitati e sedi di attività (agricoltura, allevamento agriturismo) legate al territorio –, si coniuga quella della valorizzazione di luoghi d’interesse storico, che è un altro parametro per tarare gli interventi.
Sostegno alla popolazione residente e conservazione delle aree storiche: sembrano dunque questi i due criteri ai quali ispirare le azioni di recupero e restauro dei borghi del Parco.
Occorre però aggiungere un’ulteriore riflessione, scaturita da un mutato contesto sociale. La tutela e la conservazione dei paesaggi tradizionali dove sono compresi anche i borghi, deve, in alcuni casi, affrontare il problema di non avere più come referenti gli abitanti. Il problema può essere riassunto nella domanda: cosa accade quando vengono meno quelle genti che hanno costruito il loro paesaggio? Che cosa accade, ad esempio, a un luogo di notevole bellezza e significativo dal punto di vista storico come Siregiolo (Chiusi della Verna) ancora nella sua quasi totalità da recuperare, privo di popolazione residente e soltanto meta di un soggiorno estivo da parte di famiglie che conservano legami affettivi con questa località, tra l’altro raggiungibile soltanto attraverso una strada non asfaltata? Varie sono le risposte e, quanto suggerito poco fa – d’intervenire nei luoghi dove è concentrata la popolazione –, rimane un criterio al quale ispirarsi; a patto però di non far seguire a situazioni differenti risposte uguali.
Una risposta al nostro quesito è che il bel paesaggio, inteso come costruzione cosciente di società che abitano il territorio, deve essere conservato, né più né meno come si conserva un’opera d’arte o un centro storico. È, del resto, questa la scommessa che il parco ha lanciato con la ristrutturazione del Mulino delle Cortine nella Valle di Pietrapazza. Si è giustamente deciso di tenere vivo un luogo lì dov’è, perché questa area assieme alla chiesa, al cimitero e alle maestà, rappresenta la storia di una comunità.
La seconda riflessione vorrei dedicarla alle strade. La viabilità ottocentesca – in molti luoghi d’Italia oggi semifrantumata –, fattore di primaria importanza per la comprensione degli assetti territoriali, nel territorio del parco nazionale è ancora bene conservata. L’accesso al parco avviene attraverso tre storiche strade (la strada del Muraglione, della Calla e dei Mandrioli) di valore paesaggistico.
Queste tre importanti rotabili ancora oggi percorse e al centro del sistema viario del Parco, e che coronano quasi un sogno, durato secoli, di un più facile collegamento tra Toscana e Romagna, devono essere considerate molto di più che semplici strade di attraversamento. Avendo uno spiccato valore paesaggistico – come bene esprimono le testimonianze letterarie dei viaggiatori che le hanno attraversate – e dunque anche turistico, è auspicabile diventino delle parkways nelle quali intervenire depotenziando ulteriormente il traffico pesante, e salvaguardando, con cura particolare, le fontane e le maestà.

di Alfredo Bellandi

Relazione letta al Convegno Ricerca e Conservazione
nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi,
Monte Falterona e Campigna
3 febbraio 2003
Sede della Provincia di Forlì, Cesena