|
Qual è oggi il rapporto tra le aree
protette di ogni fattezza e fattura (quelle studiate e classificate
da Gambino di recente anche su incarico del ministero) per citare un
evento memorabile di casa nostra, con la direzione ambiente della Commissione
europea? Come è noto, bisogna essere precisi per non offendere
la verità. La domanda contiene un termine preciso, che, volendo,
potrebbe articolarsi in altri (parchi nazionali o no, riserve marine
e terrestri, e poco di più).
Se vogliamo fare davvero l’Europa, rispettandone le specificità ma
dandoci anche qualche regoletta, non dovremmo fingere che nell’immenso
contenitore delle aree protette potrebbe trovare albergo ogni praticello
ed ogni stagno, vi si eserciti o no la caccia, si tratti o no di giardini
o di manufatti turistici e per il tempo libero. Il contenzioso con la
Commissione europea, del resto, non lascia spazio a buonismi. Ce lo siamo
detti nel convegno internazionale che questa estate abbiamo tenuto in
quanto Federparchi alle Cinque Terre, dove – grazie anche ad impegnati
e smitizzanti interventi di due parlamentari europei – abbiamo considerato
tutti quanti che esiste una politica di attenzione dell’Unione europea
verso l’Ambiente che è innegabile, e che ci rende forti nel
mondo. Ma abbiamo anche posto con nettezza il tema della classificazione,
dello sminuzzamento esageratamente ideologico degli interventi (siti di
importanza comunitaria; zone di pregio, uccelli, habitat) come se all’interno
di una politica in difesa dell’ambiente, grandi questioni come il
dramma delle coste, la difesa della biodiversità e del paesaggio,
oppure le questioni dei rifiuti, o il ripensamento della politica del
turismo, o alcune parti forti delle politiche agricole, potessero essere
dettagli, fisime di alcuni guastatori, pericoli alla purezza degli interventi,
cavalli di troia per devastatori impuniti, o – comunque – “altro” rispetto
al da farsi quotidiano, alla rete ecologica, alle cinture verdi, a qualche
altro piccolo intervento di settore.
Perciò al nostro convegno sotto il sole battente sul parco nazionale
Cinque Terre e sui suoi stupendi panorami, noi di Federparchi abbiamo
deciso di costruire un “libro verde”, da consegnare in pompa
magna nelle sedi del potere politico e amministrativo della nuova Europa
che sta nascendo, confrontandolo con le associazioni europee che la pensano
più o meno come noi su temi tanto delicati (Uicm, Europarc, associazioni
francesi, Fedenatur, Wwf, Faderparchi, ecc) e che non a caso erano alle
Cinque Terre assieme a noi e costruivano con noi un percorso dove ciascuno
assume iniziative anche proprie, ma nel quadro generale che interessa
tutti.
Ciò premesso, va apprezzato molto il lavoro che l’organizzazione
Fedenatur sta portando avanti da tempo per sensibilizzare la Direzione
generale ambiente della Commissione europea su questi stessi temi. Fedenatur
non è tra le sigle più note al mondo degli addetti alle
aree protette (ma ha un sito web che spiega chiaramente di che si tratta:
www.fedenatur.org e che il lettore ignaro farebbe bene a cliccare sulla
tastiera del suo inseparabile stramaledetto computer). Fedenatur, assieme
ai due parchi (Nord e Agricolo) della provincia di Milano, rappresentata
dal coordinatore dei lavori della mattinata, Ignazio Bonacina, hanno fornito
una generosa e funzionale ospitalità il 18 ottobre scorso al centro
congressi della Provincia di Milano di via Corridoni dove si è svolto
un seminario di Fedenatur specificamente ed esplicitamente mirato ad esercitare
in quanto Fedenatur una sorta di “azione di sfondamento” sulla
Direzione generale ambiente della Commissione Europea attraverso una quindicina
di pagine molto dense di contenuto che alla data odierna rappresenterebbero
il risultato del lavoro delle aree protette che illustrano in un questionario
rivolto alla commissione europea di che cosa si occupano, e perché il
loro lavoro ha molto a che fare con le strutture che amministrano l’Unione
Europea. Si definiscono “funzioni al servizio della collettività” e
si avanzano ipotesi molto precise e concrete sul posto degli spazi naturali
periurbani all’interno delle politiche comunitarie.
L’idea di chi ha immaginato il seminario di Milano era di organizzare
il dibattito milanese in quattro parti: come caratterizzare il ruolo di
questi spazi; quali problemi conoscono questi spazi, gli spazi naturali
periurbani, sono o non sono aree protette come le altre? Quali assi di
lavoro per migliorare il ruolo degli spazi naturali periurbani possono
essere suggeriti in diverse scale (nelle aree protette stesse; nelle città adiacenti
o facenti parte; a livello europeo).
Prima di addentrarmi in quella che mi è sembrata l’inevitabile
conclusione dell’incontro, voglio ricordare due cose.
Nel sito web è scritto chiaramente che oggi i parchi europei che costituiscono
Fedenatur sono sedici (cinque dei quali italiani, altri spagnoli, francesi, portoghesi,
ecc).
Non si tratta di un pacchetto di mischia che si basa sulla forza, insomma, ma
che si misura con l’importanza della specificità che intende sottolineare
e che a me sembrava essere la vicinanza con importanti aree metropolitane che
creavano problemi ed opportunità assolutamente specifiche rispetto ad
una qualsiasi altra area naturale protetta collocata e gestita in territori poco
antropizzati, a volte spopolati, in cerca di un loro giusto recupero anche economico,
di una loro rinascita. Ritenevo che Fedenatur non si occupasse di questo genere
di parchi o di riserve naturali, ma di una differente tipologia, mescolata all’uomo,
all’industria, all’urbanizzazione, ma pur sempre ed a maggior ragione
da gestire con tecnici, consigli di amministrazione e quant’altro occorra
per il regolare funzionamento di strutture che sono parenti strette di tutte
le altre aree protette, e non intendono recidere questo essenziale vincolo.
Non a caso, alla seconda conferenza nazionale del parchi italiani, svoltasi al
Lingotto di Torino, dedicammo una mezza giornata molto costruita (presidenti,
relatori, documento finale, relazione nella sessione plenaria) affinché fosse
chiaro agli addetti ai lavori vari che si svolgono in una area protetta, e che
vanno dal mio essere giornalista, all’essere architetto di altri, e poi
forestali, biologi, educatori ambientali, ma anche amministratori puri e semplici,
vale a dire ragionieri, ma poi consiglieri di amministrazione, revisori dei conti,
componenti di consigli di amministrazione, direttori, presidenti e molto altro
ancora. L’incontro di Milano di Fedenatur, è iniziato al mattino
con grandi aspetti positivi: finalmente un incontro internazionale così importante
si svolgeva in Italia, si potevano avere i testo degli incontri tecnici svolti
a Lisbona il 7 giugno dell’anno passato (“La sicurezza nelle aree
protette perturbane. Mali e rimedi”). Ed il fascicolo con gli atti e con
il bilancio tecnico della giornata del 18 ottobre svoltasi a Le Mans (“L’educazione
all’ambiente, elemento essenziale per i parchi naturali periurbani”),
dove con grande fierezza abbiamo ritrovato i nostri contributi italiani.
Prima delle pausa di colazione, sono anche intervenuto a nome della rivista “Parchi” e
della associazione Federparchi. Ho portato il saluto del presidente Fusilli.
Ho ricordato il “libro verde” deciso alla Cenque Terre e sottolineato
con soddisfazione le molte parti del documento conclusivo di Durban dal quale
risulta evidente che non abbiamo lavorato per niente, in questi ultimi anni,
e che oggi risulta possibile quello che qualche anno fa ci sembrava più complicato:
partire dal lavoro che si svolge all’interno delle aree protette per puntare
ad uno sviluppo sostenibile generalizzato, al di fuori degli stessi confini di
parchi.
Tutto questo mi sembra una grande conquista dell’ambientalismo internazionale,
e mi sono industriato a trovare le parole adatte per suggerire l’idea,
non certo cervellotica, di allineare sempre più strettamente la specificità rappresentata
da Fedenatur con il flusso maggiore dell’innovazione, che in queste ore
passa dal dopo Durban, vale a dire da quanto riusciremo a fare trasformando in
bandiera di lotta e in piani di lavoro quel documento finale.
Purtroppo però, la discussione pomeridiana milanese, coordinata da Jean
Louis Michelot, ha preso una piega meno trionfalistica.
Forse è bene che i seminari di lavoro chiariscano anche gli equivoci,
per non immaginarci componenti di associazioni che sono altro da quello che immaginavamo
fossero nel momento nel quale ci siamo iscritti.
Un intervento di Walter Novelli di Roma Natura aveva già messo l’assemblea
sull’avviso: se la importante iniziativa che da molto tempo Fedenatur ha
impostato deve servire a far riconoscere i parchi che hanno a che fare con sistemi
urbani molto antropizzati, siamo tutti d’accordo e allora ha senso anche
l’appello che facevo a mettere in sinergia il “libro verde” con
queste altre azioni politiche.
Se invece si sta tentando di posizionare un nuovo concetto di soggetto chiamato “spazio
perturbano”, che – insistendo – potrà chiamarsi “spazio
naturale perturbano” il quale poi, successivamente, dovrà trovarsi
un suo nesso con quello che in francese si chiama ENPU, vale a dire lo spazio
naturale protetto urbano, che si pone come agente di una gestione urbana durevole,
intrecciando le solite agende 21, le buone pratiche, l’Emas, ma parlando
poco o niente del sistema nazionale ed europeo dei parchi e delle aree protette,
si rischia, magari non volendo, di fare qualcosa di diverso da quanto ci sembrava
si stesse facendo. Se poi tra le funzioni di questa nuova cosa che si cerca di
definire si pongono esplicitamente come dato di fatto, come rilevazione da questionari,
cose come la caccia, la produzione elettrica, le cave, senza una esplicita posizione
contraria, allora comincia a configurarsi una questione, che certamente sarà sciolta
nelle prossime riunioni, ma che per il momento ha lasciato un poco di amaro in
bocca.
Intervenendo su questo punto, ho suggerito di “lavare il nostro documento” nella
ricerca di Gambino e di Boitani sulla classificazione dei parchi europei. Forse
non sarà impossibile una proposta complessiva di classificazione dei parchi
europei che comprenda anche i parchi a ridosso delle metropoli e dei sistemi
metropolitani in formazione (quello nostro, adriatico; quello genovese che arriva
fino a Portofino) evitando di fornire pretesti a chi intende fare per l’ambiente
di tutto meno che parchi. E chiarendo da subito che alcune attività (per
esempio la caccia) devono trovare posto altrove.
Le conclusioni della giornata di lavoro, ricca anche di altri importanti contributi
su temi diversi, come – ad esempio – uno studio prodotto dal parco
Miribel-Jonage da Didier Martinet e Alexandre Merlin, sulla pulizia nei parchi
e sull’inutilità di quello che invece appare indispensabile nelle
città, (i cestini raccogli rifiuti, ad esempio), sono state tratte con
la sperimentata diplomazia da Marià Marti e da Andrè Grange.
di
Mariano Guzzini
|