Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 40 - OTTOBRE 2003


LA LEGGE LOMBARDA SULLE AREE PROTETTE REGIONALI

C’era da aspettarsi molto di più e di meglio

La regione Lombardia ha avviato l’esame di una PDL;‘ Piano generale delle aree protette regionali’, presentata dall’assessore Cristiani. Si tratta di un testo di 38 articoli che richiederà ovviamente un puntuale esame analitico ed anche comparativo, riguardando una regione come la Lombardia che fu tra le prime in assoluto in Italia a legiferare in materia, con molto anticipo sul legislatore nazionale.
Ma anche questo, per quanto indispensabile non sarà sufficiente. Qualsiasi legge in gestazione non sfugge, infatti, al clima politico e culturale del momento di cui risente e in cui ovviamente influisce.
Questa sommaria, e per la verità assai scontata premessa, può risultare - come vedremo- niente affatto superflua nel nostro caso.
Prima ancora che si mettesse mano concretamente alla stesura di questo testo, infatti, in Lombardia sono circolate, tra non poche polemiche, opinioni che è bene ricordare e tenere presenti nel momento in cui ci accingiamo a esaminare e giudicare la PDL.
La più singolare di tutte, essendo la Lombardia per generale riconoscimento una regione che vanta un complesso di aree protette regionali tra i più prestigiosi, costruito sulla base e con il concorso di un largo consenso acquisito attraverso una intelligente ed efficace iniziativa delle istituzioni regionali e locali, è che finalmente si starebbe passando dalla fase in cui i parchi venivano ‘calati’ dall’alto a quella in cui i parchi nascerebbero dal basso.
Ora, ci vuol poco a capire - per chiunque ricordi quegli anni dell’impegno regionale (e non soltanto in Lombardia)- che questa raffigurazione appare goffa e caricaturale, volta a gettare l’ombra di un improbabile centralismo su un operato ultra ventennale, per ricercare maldestramente pretestuose motivazioni e giustificazioni per operazioni e comportamenti di oggi assai discutibili.
In recenti documenti, non privi di una loro ‘ufficialità’, volti a decantare la nuova era – quella dei parchi che nascerebbero dal basso, chiudendo così l’ingloriosa stagione centralistica, si citano - nientemeno- i parchi di interesse sovracomunale ( PLIS).
Se ricordiamo ora queste cose non è certo per pregiudizio o vocazione polemica, ma più semplicemente perché solo così potremo capire meglio il contesto in cui si colloca questa proposta altrimenti di più difficile comprensione.
Già l’art 1; ‘Finalità e oggetto’, al primo comma lascia interdetti. Per chiunque oggi intenda definire le finalità di una qualsiasi area protetta prescindere da quelle fissate dalla legge 394 (che attinse non poco proprio dalle leggi regionali) appare alquanto strano e sospetto. Specie poi se a farlo è una regione come quella Lombarda la cui normativa è risultata sempre tra le più rigorose e avanzate.
Riferirsi soltanto all’art 117 della Costituzione e alla direttiva 92/43/CEE che disciplinerebbero ‘ le forme di tutela e valorizzazione del sistema complessivo delle aree naturali e delle risorse territoriali ed ambientali’ rappresentate dalle aree protette regionali per perseguire l’obiettivo di assicurare adeguati livelli di biodiversità, appare francamente curioso. L’estensore di questo comma è stato davvero bravo nello slalom per evitare ogni riferimento alla 394 che evidentemente ‘scotta’.
Il secondo comma passa subito – con insolita fretta- ad assegnare ai parchi regionali (quelli nazionali non saranno mai menzionati) il compito di integrare lo sviluppo economico e sociale e la conservazione del patrimonio naturale, attraverso una rete ecologica ed ambientale unitaria e polivalente in coerenza con gli orientamenti della schema di sviluppo della spazio europeo.
La rete riguarda solo le aree protette regionali, quasi fosse possibile entrare in europa baipassando la rete nazionale ed in ogni caso una rete che non può non includere tutti i parchi di qualunque tipo e gestione.
Ma soprattutto, di questo comma, colpisce quell’integrazione con lo sviluppo economico quasi che compito ‘primario’ e ‘speciale’ di un parco non fosse quello della protezione dell’ambiente - inteso in quell’ampia concezione fissata dalla legge quadro e non a caso mai (o quasi) richiamata dal testo- a cui debbono rifarsi, adattarsi con coerenza anche i soggetti economico-sociali.
Ciò che il parco deve ‘integrare’ sono infatti tutti gli interventi in grado -e non solo all’interno dell’area protetta- di favorire il perseguimento di quell’obiettivo primario. Soltanto in questo modo le politiche di tutela potranno, in quella visione della gestione ‘attiva’ ormai acquisita, stimolare, sollecitare e condizionare anche le scelte in campo economico sociale. Soltanto così esse risulteranno coerenti e rispettose delle finalità del parco che costituiscono più che un vincolo una ‘opportunità’ anche per chi opera nell’economia e nel sociale.
Quando al comma 3 si dice che le aree protette regionali sono ispirate ai principi di sostenibilità ci si riferisce ad un principio che deve ispirare tutte le istituzioni e tutte le politiche nazionali ed oggi anche comunitarie.
I parchi invece hanno il compito, o se si preferisce la ‘missione’ speciale, che è quello della protezione. Non sembri un gioco di parole. La sostenibilità è un obiettivo da perseguire sull’intero territorio nazionale e comunitario. Nel 10 % del territorio protetto la finalità è quella di una protezione speciale per territori speciali, che le istituzioni e gli strumenti ordinari non sono in grado di assicurare adeguatamente.
Il parco interviene appunto per sopperire a questa inadeguatezza con strumenti, competenze e risorse aggiuntive e straordinarie tanto da dover predisporre ben due piani.
Per tutto questo è richiesta, anzi è condizione sine qua non, la ‘leale collaborazione’ istituzionale.
All’art 2, ‘ Piano regionale delle aree protette regionali’ (PRAP) al punto e) si dice infatti che si fisseranno criteri per la realizzazione delle reti ecologiche di connessione tra le singole aree protette regionali quasi che ciò sia possibile ignorando gli altri parchi.
Eppure in Lombardia opera anche un importante (e tormentato) parco nazionale storico, quello dello Stelvio.
Per la formazione del PRAP la regione-dice la proposta legge-‘ garantisce adeguate forme di partecipazione degli enti locali e dei rappresentanti degli enti gestori delle aree protette’, ma non si dice quali saranno e come funzioneranno.
All’art 3;’Rapporti tra gli strumenti di pianificazione territoriale’, un punto tra i più delicati e discussi da sempre, noi abbiamo conferma che il PTC del parco regionale nella nuova legge regionale ha minore forza rispetto alla regione di quello dei parchi naturali che, come emerge chiaramente dal testo, nascono e si trovano generalmente all’interno del parco che deve gestirli.
E qui probabilmente, anzi sicuramente, si tocca una questione nodale della legge e si capisce perfettamente anche quali sono le vere ragioni di quell’accurata esclusione di qualsiasi riferimento (se non per aspetti del tutto marginali) alla legge 394.
Per questo conviene quindi andare direttamente all’art 13; ‘ Classificazione ed individuazione delle aree protette regionali’, le quali ‘si distinguono in aree naturali e in risorse territoriali e ambientali’. Sorvoliamo pure sul fatto che le aree protette così distinte e separate non sembrerebbero costituire tutte anche una risorsa territoriale e ambientale.
Le aree naturali, secondo questa nuova classificazione sono ‘formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse per estensione, continuità, bellezza, funzionalità ecologica hanno riconoscibile e rilevante valore naturalistico e ambientale’. Sembra mancare, come esplicito riferimento sebbene vagamente rintracciabile forse nella ‘bellezza’, il paesaggio, poi vi ritroviamo quasi tutto.
Le ‘risorse territoriali e ambientali’ sono invece aree e contesti idonei a svolgere, tramite azioni di tutela e valorizzazione, funzioni di equilibrio ecologico complessivo del territorio, in attuazione del principio dello sviluppo sostenibile. A tal fine, dette aree devono comunque esprimere, nell’interazione tra ambiente e comunità insediate, un’identità specifica e riconoscibile’.
Prima di passare all’esame di questo tipo di classificazione delle aree naturali, vale la pena di soffermarsi un momento su questa prima distinzione. Senza aggiungere nulla a quanto abbiamo già detto riguardo lo sviluppo sostenibile, richiamato qui ancora una volta come principio ispiratore delle ‘risorse territoriali e ambientali’, colpisce il riferimento all’interazione tra ambiente e comunità insediate e all’identità specifica riconoscibile che ormai è connotato e caratteristica di tutti i parchi e non solo in Italia. In questa ipotesi classificatoria, invece, si avverte chiaramente un ‘ritorno’ a distinzioni che faticosamente sono state superate in questi anni anche con il contributo determinante della regione lombardia.
Questo articolo ripropone in sostanza con le ‘aree naturali’ una generica tipologia di area protetta in cui l’interazione ambiente e comunità insediate non sarebbero rilevanti, come non lo sarebbe un’identità specifica e riconoscibile. Insomma, nei primi c’è la natura in questa sua ampia e complessa configurazione, nel resto ci sono tutte le rogne dovute ad una presenza delle comunità con cui ovviamente si devono fare i conti, entrare in rapporto etc .
Stiamo esagerando? Vediamo allora cosa dice al punto 3 l’articolo in esame; ‘Le aree naturali si classificano in parchi naturali regionali, riserve naturali regionali e monumenti naturali. Le risorse territoriali ed ambientali si distinguono in parchi regionali e parchi locali di interesse sovracomunale.’(I PLIS a cui abbiamo già fatto riferimento). Forse non sarà male ricordare che con l’accezione ‘parchi naturali' si sono intesi generalmente e per lungo tempo, i parchi regionali. Qui, invece, come abbiamo visto, si opera una precisa distinzione; per naturali si intendono parchi, riserve e monumenti non a caso raggruppati. Dove il naturale sparisce l’area protetta assume quei caratteri e connotati più generali, più disomogenei.
Se vi fossero dei dubbi si veda il comma 4 dell’articolo; ‘I parchi naturali regionali sono identificati all’interno dei parchi regionali’.
Insomma stanno al parco regionale come una riserva naturale sia regionale che nazionale è sempre stata al suo parco. Tanto è vero che alla sua gestione provvede l’ente gestore del parco. Dove sta allora la differenza rispetto al rapporto parco - riserva che sempre ha caratterizzato la gestione sia dei parchi regionali che nazionali? La differenza sostanziale la si coglie in tutta la sua portata al primo comma dell’art 13; ‘Definizione, istituzione e gestione dei parchi naturali regionali’.
Dice infatti questo comma; ‘ I parchi naturali regionali sono costituiti dalle zone di cui all’art 2, comma 2, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, caratterizzate da un elevato grado di naturalità e comunque destinate a funzioni prevalentemente di conservazione e ripristino dei caratteri naturali. A tali aree si applica la disciplina prevista dal titolo III della legge 394/91’. Sfrondata da tutti i rimandi e come è detto chiaramente al secondo comma dello stesso articolo, è ‘solo’ a questa tipo di riserva (più che di parco) che si applica l’art 22 della legge quadro sui parchi regionali. In soldoni, quei compiti prevalenti di conservazione che da sempre sono una peculiare finalità sia dei parchi regionali che di quelli nazionali, con questa legge riguarderanno unicamente i parchi naturali perché i parchi regionali non più naturali cambiano categoria.
Tanto è vero che il piano del parco regionale, a differenza di quello più circoscritto del parco naturale (che pure è all’interno del primo) potrà essere cambiato dalla regione con una discrezionalità maggiore con particolare riferimento- certo non casuale dopo le note vicende della Malpensa- alle infrastrutture.
Ciò è esplicitato all’art 15 comma 4 in cui è detto che il solo piano che ha l’ efficacia stabilita dalla legge quadro all’art 25 (e cioè anche di piano paesistico e di piano urbanistico che sostituisce i piani paesistici e i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello) è quello del parco naturale. E non si dica che così negheremmo il valore di certi territori che anche all’interno di un parchi richiedono una tutela maggiore e più incisiva.
Il piano del parco aveva ed ha infatti proprio questo scopo di individuare all’interno del suo perimetro in relazione anche al suo esterno, le diverse esigenze di un territorio generalmente non omogeneo, anzi spesso estremamente complesso e differenziato tanto da richiedere ormai il superamento anche di quelle visioni e concezioni della pianificazione volte a ripartire e ricondurre tutto in zone e aree rigide( A, B, etc). Una ulteriore conferma di questa ‘confusa’ impostazione (ma poi non tanto riguardo gli scopi veri) la si ha all’art 16; ‘ Procedure per l’approvazione dei piani dei parchi naturali regionali’. Tra le ragioni di cui può valersi la Commissione consiliare regionale per apportare modifiche al piano e relative varianti vi sono quelle ‘alle osservazioni di interesse sovracomunale’. Ora, se c’è un punto talmente acquisito che doverlo ricordare persino imbarazza, è che un parco di qualsiasi dimensione ha un interesse, un’orbita, una proiezione ‘sovracomunale’; si pensi a quei parchi addirittura nazionali formati da un solo comune (La Maddalena e l’Asinara).
Da tutto questo emerge –lo si voglia o no- un pesante ridimensionamento – o meglio una ‘retrocessione’- dei parchi regionali lombardi rispetto al passato.
E l’obiezione che dopo tanti anni una riclassificazione si imponeva comunque, non regge a fronte del ‘pasticcio’ di questo testo. La regione aveva già proceduto –se non ricordiamo male- a fissare tipologie ‘nuove’ in base a determinate caratteristiche; agricole, montane etc.
Sia allora sia con questa legge che non fa mai riferimento a quella articolazione confermandone così la evidente strumentalità, quel che si elude è proprio quella esigenza di nuova classificazione che emerge dalla ricerca del prof Gambino effettuata per conto del ministero dell’ambiente.
Che una regione come la Lombardia, nel momento in cui affronta questo delicato profilo che ad oltre un decennio dalla entrata in vigore della legge quadro riguarda tutti i livelli istituzionali impegnati nella gestione del sistema delle aree protette, ignori questa ricerca è sconcertante, e non ne attenua la responsabilità il fatto che finora il ministero, a cominciare dalla conferenza di Torino, non abbia fatto nulla perché la ricerca non finisse dimenticata in qualche polveroso scaffale.
Che poca fosse la volontà di misurarsi con le nuove sfide del sistema delle aree protette regionale e nazionale lo testimoniano articoli come il 17; ‘Definizione e classificazione delle riserve naturali regionali’, dove si ripropone una ormai antica tipologia; integrale, orientata, parziale e unica e, curiosa aggiunta. (così almeno ci sembra) di ‘protezione’ il cui scopo è quello di ‘proteggere’ risorse naturali specifiche con particolare riferimento alle risorse idriche’.
Curiosa, perché trattandosi indiscutibilmente di una preziosa risorsa ambientale non poteva e non può non ricadere comunque tra quelle meritevoli di protezione.
Sono previsti anche i ‘monumenti naturali’ (art. 21) ma anche qui di nuovo non c’è nulla. Non c’è nulla cioè di quella esigenza di ripensare, rimettere a fuoco gli ‘scopi’, la missione delle varie aree protette alla luce di quanto è accaduto in tutti questi anni. Scopi che non possono prescindere, specialmente in certi casi, ad esempio, dalla ‘dimensione’.
Se non c’è sfuggito questo aspetto non compare mai nel testo. Eppure proprio i parchi regionali (ma anche per quelli nazionali la questione non è meno importante) questo è spesso un vero e proprio tallone d’Achille come è ben documentato nella relazione del prof Gambino.
Se fin qui sono prevalsi nell’esame del testo delusione e preoccupazione perchè diversamente da leggi regionali precedenti non ci sembra davvero destinato a costituire un valido esempio anche per altre regioni, se passiamo alle forme di gestione previste il quadro purtroppo non cambia.
L’art 22; ‘Definizione, istituzione e gestione dei parchi regionali’ stabilisce al comma 3 che ‘i parchi regionali sono gestiti da enti locali territorialmente interessati ovvero da consorzi fra enti locali’ a cui possono partecipare anche altro soggetti; consorzi di bonifica, consorzi forestali, agenzie statali o regionali o altri organismi pubblici, fondazioni, associazioni riconosciute, comunioni familiari montane.
Colpisce innanzitutto che diversamente da quanto previsto dall’art 22 della legge quadro e soprattutto da una ormai consolidata e importante esperienza di molte regioni, la legge lombarda non prenda in considerazione oltre al consorzio l’ente di gestione.
Eppure dal Piemonte alla Toscana gli enti hanno dato buona prova in molti casi assolutamente migliore di quella consortile. Perché lo si è ignorato? Possibile che sfugga al legislatore lombardo che generalmente gli enti risultano più efficaci nel superare quei ‘localismi’ e ‘municipalismi’ che non facilitano certo la gestione e il funzionamento dei parchi?
Ma anche la ’composizione’ appare singolare. Quello di allargare la presenza non alle sole rappresentanze istituzionali è stata peraltro una delle ragioni che ha fatto propendere in molte regioni per l’opzione a favore dell’ente. Si pensi oltre alle associazioni ambientaliste previste dalla legge 394 agli agricoltori, ai pescatori etc. Ma perché prevedere i consorzi di bonifica etc che già come dice il nome sono soggetti derivati e settoriali ai quali semmai compete di tenere conto degli indirizzi generali dell’area protetta piuttosto che ‘condizionarla’ – diciamo così- dall’interno.
Tutto quell’elenco di agenzie etc non ha nulla a che fare con la ‘rappresentanza’ sociale di interessi presenti sul territorio, ma solo con l’amministrazione e la gestione settoriale che è bene non si intrometta in quella dei parchi.
I 38 articoli riguardano naturalmente anche altri aspetti dove si trovano anche singolari ‘perle’ o silenzi non meno inspiegabili.
Tra questi ultimi i SIC e gli ZPS che a proposito di rete e raccordi costituiscono indubbiamente un aspetto delicato come abbiamo visto anche al seminario di Riomaggiore dello scorso giugno.
Tra le perle annovererei senz’altro le ‘Reti ecologiche ed escursionistiche’ dell’art 6.
Che la Carta della Natura lombarada sia alla base della rete ecologica va bene, ma cosa c’entra quella escursionistica?
E perché allora non quella gastronomica e via degustando.
Che l’escursionismo debba tenere conto della natura, delle sue bellezze e così via è persino banale dirlo, ma quante altre cose debbono farlo senza che qui le si ricordi.
In conclusione dalla regione Lombardia i parchi e le istituzioni e non solo quelle lombarde c’era da aspettarsi molto di più e di meglio.

di Renzo Moschini