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La regione Lombardia ha avviato l’esame
di una PDL;‘ Piano generale delle aree protette regionali’,
presentata dall’assessore Cristiani. Si tratta di un testo di
38 articoli che richiederà ovviamente un puntuale esame analitico
ed anche comparativo, riguardando una regione come la Lombardia che
fu tra le prime in assoluto in Italia a legiferare in materia, con molto
anticipo sul legislatore nazionale.
Ma anche questo, per quanto indispensabile non sarà sufficiente.
Qualsiasi legge in gestazione non sfugge, infatti, al clima politico e
culturale del momento di cui risente e in cui ovviamente influisce.
Questa sommaria, e per la verità assai scontata premessa, può risultare
- come vedremo- niente affatto superflua nel nostro caso.
Prima ancora che si mettesse mano concretamente alla stesura
di questo testo, infatti, in Lombardia sono circolate, tra non poche polemiche,
opinioni che è bene ricordare e tenere presenti nel momento in
cui ci accingiamo a esaminare e giudicare la PDL.
La più singolare di tutte, essendo la Lombardia per generale riconoscimento
una regione che vanta un complesso di aree protette regionali tra i più prestigiosi,
costruito sulla base e con il concorso di un largo consenso acquisito
attraverso una intelligente ed efficace iniziativa delle istituzioni regionali
e locali, è che finalmente si starebbe passando dalla fase in cui
i parchi venivano ‘calati’ dall’alto a quella in cui
i parchi nascerebbero dal basso.
Ora, ci vuol poco a capire - per chiunque ricordi quegli anni
dell’impegno regionale (e non soltanto in Lombardia)- che questa
raffigurazione appare goffa e caricaturale, volta a gettare l’ombra
di un improbabile centralismo su un operato ultra ventennale, per ricercare
maldestramente pretestuose motivazioni e giustificazioni per operazioni
e comportamenti di oggi assai discutibili.
In recenti documenti, non privi di una loro ‘ufficialità’,
volti a decantare la nuova era – quella dei parchi che nascerebbero
dal basso, chiudendo così l’ingloriosa stagione centralistica,
si citano - nientemeno- i parchi di interesse sovracomunale ( PLIS).
Se ricordiamo ora queste cose non è certo per pregiudizio o vocazione
polemica, ma più semplicemente perché solo così potremo
capire meglio il contesto in cui si colloca questa proposta altrimenti
di più difficile comprensione.
Già l’art 1; ‘Finalità e oggetto’, al
primo comma lascia interdetti. Per chiunque oggi intenda definire le finalità di
una qualsiasi area protetta prescindere da quelle fissate dalla legge
394 (che attinse non poco proprio dalle leggi regionali) appare alquanto
strano e sospetto. Specie poi se a farlo è una regione come quella
Lombarda la cui normativa è risultata sempre tra le più rigorose
e avanzate.
Riferirsi soltanto all’art 117 della Costituzione e alla direttiva
92/43/CEE che disciplinerebbero ‘ le forme di tutela e valorizzazione
del sistema complessivo delle aree naturali e delle risorse territoriali
ed ambientali’ rappresentate dalle aree protette regionali per perseguire
l’obiettivo di assicurare adeguati livelli di biodiversità,
appare francamente curioso. L’estensore di questo comma è stato
davvero bravo nello slalom per evitare ogni riferimento alla 394 che evidentemente ‘scotta’.
Il secondo comma passa subito – con insolita fretta- ad assegnare
ai parchi regionali (quelli nazionali non saranno mai menzionati) il compito
di integrare lo sviluppo economico e sociale e la conservazione del patrimonio
naturale, attraverso una rete ecologica ed ambientale unitaria e polivalente
in coerenza con gli orientamenti della schema di sviluppo della spazio
europeo.
La rete riguarda solo le aree protette regionali, quasi fosse
possibile entrare in europa baipassando la rete nazionale ed in ogni caso
una rete che non può non includere tutti i parchi di qualunque
tipo e gestione.
Ma soprattutto, di questo comma, colpisce quell’integrazione con
lo sviluppo economico quasi che compito ‘primario’ e ‘speciale’ di
un parco non fosse quello della protezione dell’ambiente - inteso
in quell’ampia concezione fissata dalla legge quadro e non a caso
mai (o quasi) richiamata dal testo- a cui debbono rifarsi, adattarsi con
coerenza anche i soggetti economico-sociali.
Ciò che il parco deve ‘integrare’ sono infatti tutti
gli interventi in grado -e non solo all’interno dell’area
protetta- di favorire il perseguimento di quell’obiettivo primario.
Soltanto in questo modo le politiche di tutela potranno, in quella visione
della gestione ‘attiva’ ormai acquisita, stimolare, sollecitare
e condizionare anche le scelte in campo economico sociale. Soltanto così esse
risulteranno coerenti e rispettose delle finalità del parco che
costituiscono più che un vincolo una ‘opportunità’ anche
per chi opera nell’economia e nel sociale.
Quando al comma 3 si dice che le aree protette regionali sono
ispirate ai principi di sostenibilità ci si riferisce ad un principio
che deve ispirare tutte le istituzioni e tutte le politiche nazionali
ed oggi anche comunitarie.
I parchi invece hanno il compito, o se si preferisce la ‘missione’ speciale,
che è quello della protezione. Non sembri un gioco di parole. La
sostenibilità è un obiettivo da perseguire sull’intero
territorio nazionale e comunitario. Nel 10 % del territorio protetto la
finalità è quella di una protezione speciale per territori
speciali, che le istituzioni e gli strumenti ordinari non sono in grado
di assicurare adeguatamente.
Il parco interviene appunto per sopperire a questa inadeguatezza
con strumenti, competenze e risorse aggiuntive e straordinarie tanto da
dover predisporre ben due piani.
Per tutto questo è richiesta, anzi è condizione sine qua
non, la ‘leale collaborazione’ istituzionale.
All’art 2, ‘ Piano regionale delle aree protette regionali’ (PRAP)
al punto e) si dice infatti che si fisseranno criteri per la realizzazione
delle reti ecologiche di connessione tra le singole aree protette regionali
quasi che ciò sia possibile ignorando gli altri parchi.
Eppure in Lombardia opera anche un importante (e tormentato)
parco nazionale storico, quello dello Stelvio.
Per la formazione del PRAP la regione-dice la proposta legge-‘ garantisce
adeguate forme di partecipazione degli enti locali e dei rappresentanti
degli enti gestori delle aree protette’, ma non si dice quali saranno
e come funzioneranno.
All’art 3;’Rapporti tra gli strumenti di pianificazione territoriale’,
un punto tra i più delicati e discussi da sempre, noi abbiamo conferma
che il PTC del parco regionale nella nuova legge regionale ha minore forza
rispetto alla regione di quello dei parchi naturali che, come emerge chiaramente
dal testo, nascono e si trovano generalmente all’interno del parco
che deve gestirli.
E qui probabilmente, anzi sicuramente, si tocca una questione
nodale della legge e si capisce perfettamente anche quali sono le vere
ragioni di quell’accurata esclusione di qualsiasi riferimento (se
non per aspetti del tutto marginali) alla legge 394.
Per questo conviene quindi andare direttamente all’art 13; ‘ Classificazione
ed individuazione delle aree protette regionali’, le quali ‘si
distinguono in aree naturali e in risorse territoriali e ambientali’.
Sorvoliamo pure sul fatto che le aree protette così distinte e
separate non sembrerebbero costituire tutte anche una risorsa territoriale
e ambientale.
Le aree naturali, secondo questa nuova classificazione sono ‘formazioni
fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse per
estensione, continuità, bellezza, funzionalità ecologica
hanno riconoscibile e rilevante valore naturalistico e ambientale’.
Sembra mancare, come esplicito riferimento sebbene vagamente rintracciabile
forse nella ‘bellezza’, il paesaggio, poi vi ritroviamo quasi
tutto.
Le ‘risorse territoriali e ambientali’ sono invece aree e
contesti idonei a svolgere, tramite azioni di tutela e valorizzazione,
funzioni di equilibrio ecologico complessivo del territorio, in attuazione
del principio dello sviluppo sostenibile. A tal fine, dette aree devono
comunque esprimere, nell’interazione tra ambiente e comunità insediate,
un’identità specifica e riconoscibile’.
Prima di passare all’esame di questo tipo di classificazione delle
aree naturali, vale la pena di soffermarsi un momento su questa prima
distinzione. Senza aggiungere nulla a quanto abbiamo già detto
riguardo lo sviluppo sostenibile, richiamato qui ancora una volta come
principio ispiratore delle ‘risorse territoriali e ambientali’,
colpisce il riferimento all’interazione tra ambiente e comunità insediate
e all’identità specifica riconoscibile che ormai è connotato
e caratteristica di tutti i parchi e non solo in Italia. In questa ipotesi
classificatoria, invece, si avverte chiaramente un ‘ritorno’ a
distinzioni che faticosamente sono state superate in questi anni anche
con il contributo determinante della regione lombardia.
Questo articolo ripropone in sostanza con le ‘aree naturali’ una
generica tipologia di area protetta in cui l’interazione ambiente
e comunità insediate non sarebbero rilevanti, come non lo sarebbe
un’identità specifica e riconoscibile. Insomma, nei primi
c’è la natura in questa sua ampia e complessa configurazione,
nel resto ci sono tutte le rogne dovute ad una presenza delle comunità con
cui ovviamente si devono fare i conti, entrare in rapporto etc .
Stiamo esagerando? Vediamo allora cosa dice al punto 3 l’articolo
in esame; ‘Le aree naturali si classificano in parchi naturali regionali,
riserve naturali regionali e monumenti naturali. Le risorse territoriali
ed ambientali si distinguono in parchi regionali e parchi locali di interesse
sovracomunale.’(I PLIS a cui abbiamo già fatto riferimento).
Forse non sarà male ricordare che con l’accezione ‘parchi
naturali' si sono intesi generalmente e per lungo tempo, i parchi regionali.
Qui, invece, come abbiamo visto, si opera una precisa distinzione; per
naturali si intendono parchi, riserve e monumenti non a caso raggruppati.
Dove il naturale sparisce l’area protetta assume quei caratteri
e connotati più generali, più disomogenei.
Se vi fossero dei dubbi si veda il comma 4 dell’articolo; ‘I
parchi naturali regionali sono identificati all’interno dei parchi
regionali’.
Insomma stanno al parco regionale come una riserva naturale sia
regionale che nazionale è sempre stata al suo parco. Tanto è vero
che alla sua gestione provvede l’ente gestore del parco. Dove sta
allora la differenza rispetto al rapporto parco - riserva che sempre ha
caratterizzato la gestione sia dei parchi regionali che nazionali? La
differenza sostanziale la si coglie in tutta la sua portata al primo comma
dell’art 13; ‘Definizione, istituzione e gestione dei parchi
naturali regionali’.
Dice infatti questo comma; ‘ I parchi naturali regionali sono costituiti
dalle zone di cui all’art 2, comma 2, della legge 6 dicembre 1991,
n. 394, caratterizzate da un elevato grado di naturalità e comunque
destinate a funzioni prevalentemente di conservazione e ripristino dei
caratteri naturali. A tali aree si applica la disciplina prevista dal
titolo III della legge 394/91’. Sfrondata da tutti i rimandi e come è detto
chiaramente al secondo comma dello stesso articolo, è ‘solo’ a
questa tipo di riserva (più che di parco) che si applica l’art
22 della legge quadro sui parchi regionali. In soldoni, quei compiti prevalenti
di conservazione che da sempre sono una peculiare finalità sia
dei parchi regionali che di quelli nazionali, con questa legge riguarderanno
unicamente i parchi naturali perché i parchi regionali non più naturali
cambiano categoria.
Tanto è vero che il piano del parco regionale, a differenza di
quello più circoscritto del parco naturale (che pure è all’interno
del primo) potrà essere cambiato dalla regione con una discrezionalità maggiore
con particolare riferimento- certo non casuale dopo le note vicende della
Malpensa- alle infrastrutture.
Ciò è esplicitato all’art 15 comma 4 in cui è detto
che il solo piano che ha l’ efficacia stabilita dalla legge quadro
all’art 25 (e cioè anche di piano paesistico e di piano urbanistico
che sostituisce i piani paesistici e i piani territoriali o urbanistici
di qualsiasi livello) è quello del parco naturale. E non si dica
che così negheremmo il valore di certi territori che anche all’interno
di un parchi richiedono una tutela maggiore e più incisiva.
Il piano del parco aveva ed ha infatti proprio questo scopo di
individuare all’interno del suo perimetro in relazione anche al
suo esterno, le diverse esigenze di un territorio generalmente non omogeneo,
anzi spesso estremamente complesso e differenziato tanto da richiedere
ormai il superamento anche di quelle visioni e concezioni della pianificazione
volte a ripartire e ricondurre tutto in zone e aree rigide( A, B, etc).
Una ulteriore conferma di questa ‘confusa’ impostazione (ma
poi non tanto riguardo gli scopi veri) la si ha all’art 16; ‘ Procedure
per l’approvazione dei piani dei parchi naturali regionali’.
Tra le ragioni di cui può valersi la Commissione consiliare regionale
per apportare modifiche al piano e relative varianti vi sono quelle ‘alle
osservazioni di interesse sovracomunale’. Ora, se c’è un
punto talmente acquisito che doverlo ricordare persino imbarazza, è che
un parco di qualsiasi dimensione ha un interesse, un’orbita, una
proiezione ‘sovracomunale’; si pensi a quei parchi addirittura
nazionali formati da un solo comune (La Maddalena e l’Asinara).
Da tutto questo emerge –lo si voglia o no- un pesante ridimensionamento – o
meglio una ‘retrocessione’- dei parchi regionali lombardi
rispetto al passato.
E l’obiezione che dopo tanti anni una riclassificazione si imponeva
comunque, non regge a fronte del ‘pasticcio’ di questo testo.
La regione aveva già proceduto –se non ricordiamo male- a
fissare tipologie ‘nuove’ in base a determinate caratteristiche;
agricole, montane etc.
Sia allora sia con questa legge che non fa mai riferimento a
quella articolazione confermandone così la evidente strumentalità,
quel che si elude è proprio quella esigenza di nuova classificazione
che emerge dalla ricerca del prof Gambino effettuata per conto del ministero
dell’ambiente.
Che una regione come la Lombardia, nel momento in cui affronta
questo delicato profilo che ad oltre un decennio dalla entrata in vigore
della legge quadro riguarda tutti i livelli istituzionali impegnati nella
gestione del sistema delle aree protette, ignori questa ricerca è sconcertante,
e non ne attenua la responsabilità il fatto che finora il ministero,
a cominciare dalla conferenza di Torino, non abbia fatto nulla perché la
ricerca non finisse dimenticata in qualche polveroso scaffale.
Che poca fosse la volontà di misurarsi con le nuove sfide del sistema
delle aree protette regionale e nazionale lo testimoniano articoli come
il 17; ‘Definizione e classificazione delle riserve naturali regionali’,
dove si ripropone una ormai antica tipologia; integrale, orientata, parziale
e unica e, curiosa aggiunta. (così almeno ci sembra) di ‘protezione’ il
cui scopo è quello di ‘proteggere’ risorse naturali
specifiche con particolare riferimento alle risorse idriche’.
Curiosa, perché trattandosi indiscutibilmente di una preziosa risorsa
ambientale non poteva e non può non ricadere comunque tra quelle
meritevoli di protezione.
Sono previsti anche i ‘monumenti naturali’ (art. 21) ma anche
qui di nuovo non c’è nulla. Non c’è nulla cioè di
quella esigenza di ripensare, rimettere a fuoco gli ‘scopi’,
la missione delle varie aree protette alla luce di quanto è accaduto
in tutti questi anni. Scopi che non possono prescindere, specialmente
in certi casi, ad esempio, dalla ‘dimensione’.
Se non c’è sfuggito questo aspetto non compare mai nel testo.
Eppure proprio i parchi regionali (ma anche per quelli nazionali la questione
non è meno importante) questo è spesso un vero e proprio
tallone d’Achille come è ben documentato nella relazione
del prof Gambino.
Se fin qui sono prevalsi nell’esame del testo delusione e preoccupazione
perchè diversamente da leggi regionali precedenti non ci sembra
davvero destinato a costituire un valido esempio anche per altre regioni,
se passiamo alle forme di gestione previste il quadro purtroppo non cambia.
L’art 22; ‘Definizione, istituzione e gestione dei parchi
regionali’ stabilisce al comma 3 che ‘i parchi regionali sono
gestiti da enti locali territorialmente interessati ovvero da consorzi
fra enti locali’ a cui possono partecipare anche altro soggetti;
consorzi di bonifica, consorzi forestali, agenzie statali o regionali
o altri organismi pubblici, fondazioni, associazioni riconosciute, comunioni
familiari montane.
Colpisce innanzitutto che diversamente da quanto previsto dall’art
22 della legge quadro e soprattutto da una ormai consolidata e importante
esperienza di molte regioni, la legge lombarda non prenda in considerazione
oltre al consorzio l’ente di gestione.
Eppure dal Piemonte alla Toscana gli enti hanno dato buona prova
in molti casi assolutamente migliore di quella consortile. Perché lo
si è ignorato? Possibile che sfugga al legislatore lombardo che
generalmente gli enti risultano più efficaci nel superare quei ‘localismi’ e ‘municipalismi’ che
non facilitano certo la gestione e il funzionamento dei parchi?
Ma anche la ’composizione’ appare singolare. Quello di allargare
la presenza non alle sole rappresentanze istituzionali è stata
peraltro una delle ragioni che ha fatto propendere in molte regioni per
l’opzione a favore dell’ente. Si pensi oltre alle associazioni
ambientaliste previste dalla legge 394 agli agricoltori, ai pescatori
etc. Ma perché prevedere i consorzi di bonifica etc che già come
dice il nome sono soggetti derivati e settoriali ai quali semmai compete
di tenere conto degli indirizzi generali dell’area protetta piuttosto
che ‘condizionarla’ – diciamo così- dall’interno.
Tutto quell’elenco di agenzie etc non ha nulla a che fare con la ‘rappresentanza’ sociale
di interessi presenti sul territorio, ma solo con l’amministrazione
e la gestione settoriale che è bene non si intrometta in quella
dei parchi.
I 38 articoli riguardano naturalmente anche altri aspetti dove
si trovano anche singolari ‘perle’ o silenzi non meno inspiegabili.
Tra questi ultimi i SIC e gli ZPS che a proposito di rete e raccordi
costituiscono indubbiamente un aspetto delicato come abbiamo visto anche
al seminario di Riomaggiore dello scorso giugno.
Tra le perle annovererei senz’altro le ‘Reti ecologiche ed
escursionistiche’ dell’art 6.
Che la Carta della Natura lombarada sia alla base della rete
ecologica va bene, ma cosa c’entra quella escursionistica?
E perché allora non quella gastronomica e via degustando.
Che l’escursionismo debba tenere conto della natura, delle sue bellezze
e così via è persino banale dirlo, ma quante altre cose
debbono farlo senza che qui le si ricordi.
In conclusione dalla regione Lombardia i parchi e le istituzioni
e non solo quelle lombarde c’era da aspettarsi molto di più e
di meglio.
di Renzo Moschini |