Dall’altra parte rispetto a Durban
- di un continente che è il tempio della biodiversità del
pianeta - ci sta un Paese di coste mediterranee e di deserto, di grandi
laghi salati e di steppe.
E di parchi. Aree protette grandi e piccole, sorte perlopiù in
anni recenti, a poche ore di viaggio da Roma o Milano per non dire da
Palermo. È l’Africa dietro l’angolo, tranquilla e accessibile,
che proprio sotto le insegne della conservazione ritrova molti dei suoi
scorci più spettacolari. Un sistema giovane ma già articolato
- almeno sulla carta - che rispetto a quello di casa nostra propone naturalmente
molte differenze ma pure più di una similitudine. Ormai prossimi
alla nuova edizione di Mediterre, la fiera dei parchi del mare nostrum,
Parchi offre ai suoi lettori la prima vera finestra italiana sui parchi
naturali della Tunisia.
Gli orici e gli struzzi all’ombra delle acacie di Bou Hedma. L’involo
contemporaneo, a un segnale che sfugge, di migliaia e migliaia di oche
a Ichkeul. Il maremoto di dune a Jebil, dove il paesaggio minerale dell’Erg
spalanca l’orizzonte essenziale e apparentemente senza confini del
Sahara. Sorprendentemente sconosciuta o quasi in un Paese dove il turismo è in
prevalenza di tipo balneare, la Tunisia dei parchi offre assai più di
un assaggio della natura esotica e superlativa del continente africano.
Da sabbia a sabbia
Affacciato alle coste meridionali del Mediterraneo, tra quelle
di Algeria ad ovest e Libia ad est, il territorio tunisino è per
estensione circa la metà di quello italiano. Misura 164.000 kmq
e, con 750 km di lunghezza e appena 150 km di larghezza, è di gran
lunga il più piccolo del Nord Africa.
A settentrione montagne che raggiungono i 1500 m movimentano
il paesaggio, rendendolo familiare ai nostri occhi. Questi rilievi sono
le propaggini orientali dell’Atlante Sahariano algerino e dei monti
dell’Alto Atlante marocchino. A sud della Dorsale tunisina si estende
una pianura tra i 200 e i 400 m di quota, con numerosi laghi salati (gli
chott), oltre la quale - per due quinti della superficie nazionale complessiva
- c’è il deserto.
Gli ambienti naturali rappresentati sono numerosi. Coste, isole,
montagne, zone umide, steppe, aree desertiche e oasi compongono un quadro
paesistico assortito e di grande interesse, dove le attività umane
ancora stentano a incidere con la profondità da tempo sperimentata
in ambito europeo. In altre parole, al di fuori degli agglomerati urbani
prevalentemente diffusi nel Nord e lungo la costa, la contenuta densità di
popolazione (pari a 58 ab./kmq, che scende a meno di 10 nel Sud) e la
persistente ruralità del Paese si riflettono in paesaggi quasi
integri, poco o affatto manomessi da reti infrastrutturali, colture intensive,
poli industriali e via impattando.
La copertura vegetale interessa il 7% del territorio, comprendendo
per metà pinete e per il resto macchia mediterranea o gariga e
querceti (quelli della Krumiria-Mogod, nel nord-ovest, ricchi di sughere
e dell’endemica quercia africana Quercus canariensis, secondo il
Wwf sono tra i più vetusti e meglio conservati del Mediterraneo).
Numerose anche le zone umide, nonostante l’aridità che interessa
buona parte del Paese e che è misurata da una piovosità media
di 230 mm/anno (100 mm/anno nel Sud), pari circa a un quarto di quella
italiana: sono decine di laghi naturali e artificiali, lagune costiere,
oasi (che da sole interessano 75.000 ettari) costellate di palmeti lussureggianti.
La loro superficie complessiva è assai variabile in funzione delle
precipitazioni: negli anni piovosi può superare il milione di ettari
ma complessivamente è stimata in declino, contando la scomparsa
di oltre un quarto delle zone umide presenti nell’ultimo secolo.
Quanto alla linea di costa, si estende lungo 1.200 km (per la metà di
spiagge) dall’Algeria alla Libia ed è fronteggiata da alcune
isole, le principali delle quali sono Djerba e le Kerkennah, entrambi
nel centro-sud.
Gli ambienti steppici, infine, sono presenti tra le pianure e
le colline del Centro, dove sopravvivono residue popolazioni di Acacia
raddiana, e preludono ai grandi spazi solitari del Sahara, qui ad uno
dei suoi margini settentrionali.
Una biodiversità ancora da indagare.
I leoni non ci sono più, l’ultimo è scomparso nel
1927.
E nemmeno i ghepardi, che resistono ancora nelle non lontanissime
aree montuose dell’Algeria e della Libia.
Dopo una lunga scomparsa sono però tornati gli struzzi e l’antilope
Oryx, proprio grazie a un parco. Ed è comunque di grande ricchezza
e importanza il patrimonio nazionale di biodiversità, sulla cui
effettiva consistenza restano però molti punti interrogativi nonostante
gli studi intrapresi negli ultimi anni e promossi anche dal governo tunisino.
Secondo l’ultimo Rapporto nazionale sullo Stato dell’Ambiente
(2001) del ministero dell’Ambiente e della Pianificazione del territorio,
la flora vascolare terrestre conta 2.163 specie cui si aggiungono altre
780 di provenienza esotica. Di queste, l’inventario botanico ne
considera 366 più o meno rare e 137 endemiche, cioè esclusive
del territorio tunisino oppure anche dei circostanti territori algerini
e libici.
Quanto alla fauna sono stati censiti 63 rettili, 8 anfibi, un
numero non precisato di pesci e naturalmente una grande varietà di
invertebrati (solo quelli terrestri contano 758 specie). Tra i mammiferi
- 78 le specie sin qui individuate dagli zoologi - sono considerate a
rischio di estinzione 9 specie: il rinolofo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum),
il fennec (Vulpes zerda), la lontra (Lutra lutra), il caracal (Caracal
caracal), tutte e tre le specie di gazzella presenti (Gazella cuvieri,
G. dorcas e G. leptoceros), la capra berbera (Ammotragus lervia) e il
serval (Leptailurus serval). Quest’ultimo, in realtà - grosso
felide ampiamente presente nell’Africa centrale - è già dato
per assente in Tunisia dall’African Mammals Databank, il poderoso
atlante dei mammiferi africani redatto nel 1999 per conto della Commissione
Europea dall’italiano Istituto di Ecologia Applicata e coordinato
da Luigi Boitani, dell’Università La Sapienza di Roma.
E la Lista Rossa dell’Iucn, nella sua recente versione del 2003,
riguardo alla Tunisia sottolinea in particolare la grave minaccia di estinzione
per altre due specie e cioè l’antilope addax (Addax nasomaculatus)
e la foca monaca (Monachus monachus).
Ai mammiferi si aggiungono 352 specie di uccelli, di cui 56 considerati
a rischio. Un’importanza tutta particolare tra le aree del Paese
ce l’ha la penisola di Capo Bon, nel nord-est, hot-spot tra i più importanti
del Mediterraneo come punto di transito durante i voli migratori dei grandi
veleggiatori, come rapaci e cicogne.
Un campo internazionale di osservazione e protezione è organizzato
ogni primavera dall’associazione Les Amis des Oiseaux, referente
tunisina del network BirdLife, che ha pure avviato una campagna per la
conservazione dell’ubara (Chlamydotis ondulata) e ha censito 46
IBA (important bird areas).
Tra i siti ancora in attesa di protezione figurano nell’elenco numerose
zone umide tra cui la laguna di Korba, il lago di Tunisi, le saline di
Monastir e lo stesso immenso Chott el-Jerid, il grande lago salato subito
a sud di Tozeur. Tra stagni salmastri e pozze temporanee sostano e si
alimentano specie ornitiche di grande bellezza ed importanza, considerate
minacciate a livello planetario, tra cui il gobbo della Giamaica (Oxyura
leucocephala), l’anatra marmorizzata (Marmaronetta angustrirostris)
e il chiurlottello (Numenius tenuirostris). Altre, come il grillaio (Falco
naumanni) e il re di quaglie (Crex crex), frequentano i grandi spazi aperti
delle campagne.
Il loro status e quello delle altre rarità del continente verrà illustrato
proprio a Djerba in occasione dell’undicesimo Congresso Ornitologico
Pan-Africano, che avrà luogo dal 21 al 25 novembre prossimi.
Molte delle ricerche più recenti sono state effettuate per la redazione
della Strategia nazionale per la Biodiversità e per il relativo
Piano di Azione finanziati dalla Banca Mondiale, predisposti con l’assistenza
di università, ONG ed enti di ricerca anche di altri Paesi (in
particolare Germania e Svezia) e adottati dal governo nel 1998. Un passo
decisivo, visti anche gli sviluppi successivi, per la crescita di un progetto
di conservazione delle risorse naturali che fino ad allora – e con
molti limiti - si era poggiato quasi esclusivamente sull’esistenza
di alcune aree protette.
Pale in arrivo
Ma quali sono le principali minacce alla biodiversità, in un Paese
dove l’economia è trainata principalmente dal turismo, dal
petrolio (le esportazioni di petrolio, estratto nel Sud, sono un quarto
del totale) e dall’industria mineraria (la Tunisia è il sesto
maggior produttore al mondo di fosfati)? Tra quelle più insidiose è da
annoverare l’erosione dei suoli, che in un Paese africano è un
fenomeno cui prestare particolare attenzione. Pascolo, tagli dei boschi
e colture intensive da foraggio sono fattori di pressione che causano,
tra gli altri, una perdita di suolo calcolata in 11.000 ettari l’anno.
Vi si aggiungono almeno, secondo il già citato Rapporto ministeriale,
la coltivazione intensiva di piante aromatiche a destinazione commerciale,
l’uso di pesticidi in agricoltura, la caccia, il bracconaggio e
gli incendi. L’agricoltura biologica? Per ora è solo una
bella speranza, interessando appena 7.000 ettari sull’intero territorio
nazionale (dati 2000). Un futuro più vicino sembra essere quello
del pieno sviluppo dell’energia eolica, visto il programma avviato
dalle Nazioni Unite assieme all’Agenzia nazionale delle Energie
Rinnovabili (ANER).
Co-finanziato dall’Istituto dell’Energia e dell’ambiente
dei Paesi francofoni (IEPF), si pone l’obiettivo di ridurre significativamente
l’emissione di gas-serra con l’incremento dell’uso di
fonti energetiche rinnovabili. Attualmente la produzione nazionale di
energia, basata su gas naturale o olio combustibile, deve far fronte a
una domanda in crescita del 5% annuo e il potenziale rappresentato dall’energia
eolica, pur se sostanzialmente sconosciuto, si stima considerevole.
Dopo un’accurata fase di ricognizione del territorio il progetto
si propone di individuare i siti più produttivi per l’installazione
di centrali, ma pure di rendere autonome le piccole comunità rurali
(o meglio, parte di esse) con piccoli impianti a basso impatto.
Impatto già evidente è poi quello dell’urbanizzazione
del territorio, pur intrinsecamente contenuto dalla dimensione stessa
della popolazione: in Tunisia vivono nove milioni e mezzo di persone (la
metà ha meno di 15 anni), di cui un milione e mezzo a Tunisi. Da
notare, da qualche anno, nella capitale sono stati istituiti tre parchi
urbani che sono l’Ennahli, El Mourouj e il parco Farhat Hached:
soprattutto a primavera, i tunisini vi amano passeggiare per sfuggire
alla morsa del traffico automobilistico che attanaglia la città al
pari se non più di quelle europee. Lungo la costa centrale, Sfax
e Sousse fanno insieme un altro mezzo milione di residenti ma negli altri
centri - con l’eccezione della sola Kairouan, la città santa
del Paese - non si arriva a toccare quota centomila.
Parchi per legge
In Tunisia non esiste una legge specifica sui parchi naturali.
A dettare le regole è tuttora il Codice forestale, approvato nel
1988, che tra le altre cose si occupa della definizione delle diverse
categorie di area protetta. Per parco nazionale si intende un territorio
relativamente esteso che presenta uno o più ecosistemi perlopiù poco
o per niente trasformati dalle attività umane dove le specie animali
e vegetali, i siti geomorfologici e gli habitat rivestono un interesse
speciale dal punto di vista scientifico, educativo e ricreativo o nei
quali esistono paesaggi naturali di grande valore estetico (art.218).
Per riserva naturale si intende, invece, un sito poco esteso istituito
allo scopo di proteggere singole specie animali o vegetali o gruppi di
esse come pure il loro habitat, oppure specie di fauna migratoria d’importanza
nazionale o internazionale (sempre art.218 del Codice forestale).
Finora i parchi nazionali istituiti sono otto: Zembra e Zembretta
(1977), Bou Hedma, Ichkeul e Chambi (tutti e tre varati nel 1980), Boukornine
(1987), El Felja (1990), Jebil (1994) e Sidi Toui (istituzione in corso).
Il primo, quello di Zembra e Zembretta, è un parco marino poiché comprende
il territorio di un piccolo arcipelago nel golfo di Tunisi.
A quel che si apprende, il governo vorrebbe creare presto altre
aree protette a partire dall’arcipelago delle Kerkennah, da La Galite
e da Kuriat. Una quindicina sono invece le riserve naturali.
Ecco una breve presentazione dei parchi nazionali esistenti.
Zembra e Zembretta
Situata nella parte orientale del golfo di Tunisi, a occidente
di Capo Bon, l’isola di Zembra con la più piccola Zembretta
dista circa 15 km dalla città costiera di El Haouaria.
È
un’isola montuosa dove i rilievi raggiungono i 435 metri di quota
e non sono altro che la continuazione a mare della Dorsale tunisina. La
vegetazione è caratterizzata dalla macchia mediterranea, e vi è stata
riscontrata la presenza di 230 specie di piante, tra cui le dominanti
sono ulivo, lentisco, corbezzolo ed erica multiflora. Ma la vera sorpresa
del parco, esteso su 391 ettari, sta nella sua fauna. Zembra ospita infatti
una delle più importanti colonie nidificanti di berta maggiore
(Calonectris diomedea), con 20.000-25.000 coppie. Un record pure quello
riguardante il falco pellegrino (Falco peregrinus), presente con una decina
di coppie, distribuite lungo appena 7 km di falesia costiera: secondo
alcuni autori si tratterebbe della più elevata densità riproduttiva
al mondo. Presenti pure il muflone corso (Ovis aries), il coniglio selvatico
(Oryctolagus cuniculus), il gabbiano corso (Larus adonii) e il cormorano
dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis).
Bou Hedma
A circa un centinaio di km a sud della città di Sidi Bouzid, rappresenta
un ecosistema unico in tutta la Tunisia, istituito nel 1980 ed esteso
su 16.488 ettari. È un ambiente steppico di grande bellezza, caratterizzato
dalla presenza numerosa di Acacia raddiana, in associazione con Periploca
levigata (una liana) e Rhus tripartitum. Il principale rilievo del parco,
Djebel Bouhedma, raggiunge gli 840 metri e ospita una vegetazione di tipo
mediterraneo.
Questa è una delle due IBA tunisine dov’è presente
un’autentica rarità e cioè l’allodola beccogrosso
(Ramphocoris clotbey).
Nidificanti, inoltre, aquila reale (Aquila chrysaetos) e lanario
(Falco biarmicus erlangeri). Certamente più facili da osservare
sono tre specie reintrodotte nel parco negli anni Ottanta e Novanta e
cioè lo struzzo (Struthio camelus), la faraona di Numidia (Numidia
meleagris) nonché lo splendido orice dalle corna a sciabola (Oryx
dammah), altrimenti presente solo in Ciad e Niger. Presenti anche le antilopi
dalle corna a lira (Addax nasomaculatus) e la gazzella Mhorr (Gazella
dama mhorr).
Ichkeul
Di gran lunga il più noto tra i parchi del Paese, tutela per complessivi
12.600 ettari un piccolo monte affacciato su un lago che – con i
prati allagati circostanti – rappresenta una delle zone umide più importanti
del Mediterraneo. È considerato un paradiso per il birdwatching,
ospitando migliaia di uccelli migratori e svernanti, provenienti dal Paleartico
settentrionale, e numerose specie nidificanti. In passato gli inverni
del parco erano animati da almeno 200.000 uccelli, incluse specie globalmente
minacciate di estinzione quali la moretta tabaccata (Aythya nyroca). Impressionanti
i numeri di oche selvatiche (Anser anser), anatre e limicoli. Presenti
la lontra (Lutra lutra), il pollo sultano (Porphyrio porphyrio), il fenicottero
(Phoenicopterus ruber), l’albanella pallida (Circus macrourus),
diverse specie di aironi e, nidificanti sul monte, la poiana codabianca
(Buteo rufinus), il capovaccaio (Neophron percnopterus), l’aquila
del Bonelli (Hieraaetus fasciatus).
Ma Ichkeul oggi è anche il parco tunisino maggiormente in pericolo.
Non sono infatti bastati gli status prestigiosi di area protetta nazionale,
riserva della biosfera, World Heritage Site e sito Ramsar. A parte le
vistose cave che hanno rosicchiato un versante del monte, l’ecologia
del lago è stata negli ultimi anni assai compromessa dalla riduzione
dell’apporto di acque dolci, conseguenza della costruzione di alcune
dighe sui corsi d’acqua immissari. Il risultato è stato l’aumento
della salinità (un canale collega il lago al mare), a sua volta
causa della scomparsa di parte della vegetazione acquatica che costituiva
cibo e rifugio per l’avifauna. Per citare un dato, il numero di
oche svernanti passò nel 1999/2000 dalle usuali ventimila unità a
poche centinaia.
Nonostante gli allarmi lanciati a livello internazionale, altre
tre dighe sono state progettate e più che concrete misure da parte
delle autorità di gestione la situazione si è temporaneamente
ripresa grazie all’elevata piovosità delle due ultime annate.
L’ultimo report dell’IUCN, dell’aprile scorso, ha documentato
alcune iniziative positive tra cui l’avvio di un più approfondito
monitoraggio idrologico e meteorologico e l’avvio di un sostanzioso
programma di assistenza scientifica, tecnica e finanziaria da parte della
Banca Mondiale per questo e altri due parchi nazionali del Paese (ne parliamo
più avanti).
Chaambi
Su una superficie di 6.723 ettari, in una regione semiarida ad
occidente di Kairouan, il parco tutela un territorio comprendente la più alta
montagna del Paese e cioè il Djebel Chaambi (1544 m).
Cresce qui la più ampia e meglio conservata foresta di conifere
della Dorsale tunisina, perlopiù formata da pino d’Aleppo
(Pinus halepensis) e, alle quote maggiori, da ginepri (Juniperus phoenicea
e J. oxycedrus). Tra le specie ornitiche presenti spiccano il picchio
verde di Levaillant (Picus vaillantii) e, tra i rapaci, il biancone (Circaetus
gallicus) il capovaccaio (Neophron percnopterus), l’aquila minore
(Hieraaetus pennatus).
Per quanto riguarda i mammiferi spiccano invece la capra berbera
(Ammotragus lervia) e la gazzella di montagna (Gazella gazella), sul filo
dell’estinzione nei decenni passati e ora presente con alcune centinaia
di esemplari.
Boukornine
I monti del parco rappresentano gli ultimi rilievi settentrionali
della Dorsale tunisina, culminanti dei 576 metri del Djebel Boukornine.
Sono costituiti di affioramenti di calcare giurassico, ricchi di faglie
e pieghe, con più teneri strati di marne cretaciche. La fauna comprende
la pernice sarda (Alectoris barbara), il corvo imperiale (Corvus corax),
l’aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus), l’aquila reale
(Aquila chrysaetos), e poi cinghiale (Sus scrofa), la zorilla (Ictonyx
libyca, piccolo mustelide distribuito in tutto il Maghreb), la genetta
(Genetta genetta). Riguardo alla flora va citata la tuja di Berberia (Tetraclinis
articolata, un arbusto resinoso presente pure in Sicilia), il ciclamino
di Persia (Cyclamen persicum) e numerose orchidee.
El Feija
Il parco rappresenta l’area di foresta mediterranea di
sclerofille più integra della Krumiria, nel nord del Paese.
La vegetazione è dominata dai querceti, in particolare
a sughera (Quercus suber) e Q. canariensis, con abbondanza di
arbusti della macchia mediterranea. La flora è ricca,
contando più di 700 specie censite dai botanici. Numerosi
i corsi d’acqua in tutto il territorio dell’area
protetta, che misura 2.632 ettari di estensione. Quanto alla
fauna, tra gli uccelli sono nidificanti l’aquila minore
(Hieraaetus pennatus), il biancone (Circaetus gallicus), il lodolaio
(Falco subbuteo).
Jebil
Con ben 150.000 ettari di estensione è di gran lunga il
più grande tra i parchi nazionali tunisini.
Situato nel Sud, ai margini del Grande Erg Orientale – una
delle immense regioni sabbiose del Sahara – comprende spettacolari
paesaggi desertici con dune alte fino a 200 metri.
A parte una vegetazione chiaramente poco sviluppata ma con specie
di grande interesse, la fauna comprende autentiche rarità quali
l’ubara (Chlamydotis ondulata), l’allodola beccogrosso
(Ramphocoris clotbey), la grandule del Senegal (Pterocles senegallus),
il succiacapre isabellino (Caprimulgus aegyptius), la passera
del deserto (Passer simplex).
Non da meno i mammiferi, che qui annoverano – minacciate
dal bracconaggio - presenze quali la gazzella delle dune (Gazella
leptoceros), il fennec (Fennecus zerda) e lo sciacallo (Canis
aures).
Sidi Toui
Ancora in via di istituzione, il parco si estende su 6.315 ettari
nel Sud-Est del Paese e include un modesto rilievo, lo Djebel
Sidi Toui (172 metri), assieme alla circostante pianura composta
da piccole dune, letti fluviali asciutti, zone semi-aride.
Le difficili condizioni ambientali, anche qui, consentono la
presenza di una biodiversità circoscritta a poche specie
ma di grande importanza. Tra le altre, si segnalano gazzelle
(Gazella sp.) e fennec (Fennecus zerda), ubara (Chlamydotis ondulata),
allodola del deserto (Ammomanes deserti) e allodola beccocurvo
(Alaemon alaudipes).
Le carte in regola
L’esordio della legislazione ambientale risale almeno al
1884. In quell’anno, il primo dopo l’arrivo dei francesi
alla guida del Paese (la Tunisia è stata un protettorato
della Francia a partire dal 1883 e fino al 20 marzo 1956, data
della dichiarazione d’indipendenza: dopo una breve monarchia,
dal 1959 dispone di una Costituzione repubblicana), venne infatti
promulgata un’ordinanza statale per regolamentare la caccia.
In seguito, il Servizio Forestale dell’amministrazione
francese mise in piedi un insieme di norme a tutela dell’ambiente
come una legge sulla difesa delle piante (1932) e un’ordinanza
sui parchi nazionali (1936). Nello stesso ’36 venne inoltre
istituito il primo parco nazionale, quello di Bou Hedma, ma quel
provvedimento assieme agli altri venne lasciato cadere dopo l’indipendenza
e dovette attendere molti anni prima di venire riattivato dal
ministero repubblicano dell’Agricoltura. Negli ultimi decenni
la legislazione nazionale si è avviata con decisione a
recepire anche la nuova sensibilità sui temi ambientali
maturata in ambito internazionale.
Così, sono arrivate nel 1975 la ratifica della Convenzione
dell’Unesco sul Patrimonio culturale e naturale e nel 1976
quella della Convenzione africana per la conservazione della
natura. Quattro riserve della biosfera sono state accolte nel
1977 all’interno del programma Unesco MAB.
La Tunisia ha aderito alla Convenzione di Barcellona e al Protocollo
relativo alle SPA (Specially Protected Areas), come pure alle
convenzioni di Washington e di Bonn.
Nella Dichiarazione di Tunisi sull’Ambiente dell’aprile
1991, a conclusione della Conferenza dei ministri dell’Ambiente
dei Paesi di lingua francese, gli Stati si sono solennemente
impegnati a destinare almeno il 5% dei loro territori alla conservazione
della natura. Nel 1993, inoltre, il Paese ha ratificato la Convenzione
sulla Biodiversità. Ancora sul piano internazionale, iniziative
di cooperazione transfrontaliera sono in corso sin dagli anni
Ottanta con l’Algeria per una gestione programmata dei
confinanti parchi nazionali di El Kala (Algeria) e di Tabarka
(proposto in Tunisia), ma ancora senza esito per gli altalenanti
rapporti diplomatici.
E poi con l’Italia.
Da alcuni anni, infatti, è in corso una collaborazione
tra il parco di El Feija e la riserva del WWF di Monte Arcosu,
in Sardegna. L’obiettivo sono le misure di protezione del
cervo berbero (Cervus elaphus barbarus), una sottospecie un tempo
diffusa in tutte le foreste del Nord Africa e oggi relegata in
un settore dell’Algeria e nei boschi tunisini della Krumiria-Mogod.
Sulla scorta della ripresa della residua popolazione di cervo
sardo, di cui la riserva sarda è stata negli ultimi anni
protagonista, i programmi di gestione tentano di allontanare
dal rischio di estinzione un animale ridotto ormai a El Feija
sulla soglia dei cento esemplari.
I dissidi istituzionali
Dopo la promulgazione del già ricordato Codice Forestale
nel 1988, gli anni Novanta hanno visto il varo di numerose leggi
in campo ambientale. Così, nel ’91 è arrivata
la legge sulla valutazione d’impatto ambientale, assieme
alla nascita del ministero dell’Ambiente e della Gestione
del Territorio; nel ’94 quella sull’urbanistica e
la gestione del territorio con le norme sulla protezione dell’ambiente
nel contesto urbano e, nello stesso anno, la legge a tutela del
patrimonio archeologico, storico e culturale; nel ’95,
quella sulla tutela dei litorali (con la creazione, sulla scorta
del francese Conservatoire du littoral, dell’Agenzia per
la protezione e la gestione del litorale).
Con la istituzione del ministero dell’Ambiente, appunto
agli inizi degli anni Novanta, la politica tunisina delle aree
protette ha conosciuto un secondo protagonista che si andava
aggiungendo al preesistente ministero dell’Agricoltura.
E a lungo le competenze sulle aree protette sono state così ripartite:
l’indirizzo politico e la programmazione facevano capo
al ministero dell’Ambiente, mentre a quello dell’Agricoltura
e al suo Direttorato generale delle Foreste era assegnata la
responsabilità della gestione e della sorveglianza.
“
Non c’è sostanziale sovrapposizione tra i relativi
compiti”, annotava appena nel 2001 in un documento ufficiale
la Banca Mondiale, “ma il coordinamento tra i due ministeri è debole
e sono necessari migliori meccanismi d’integrazione (riguardo
anche la ripartizione delle risorse e la gestione dei dati)”.
Una riforma governativa ha di recente aggirato il problema – non
sappiamo se lo ha anche risolto – accorpando l’Ambiente
all’Agricoltura, la cui denominazione completa è ora
ministero dell’Agricoltura, dell’Ambiente e delle
Risorse idriche.
La gestione delle aree protette è stata confermata al
Direttorato delle Foreste, che la esercita tramite i Distretti
forestali presenti a livello regionale; alla Direzione della
Conservazione della natura e dell’Ambiente rurale è lasciata
invece, ma sempre assieme ai forestali, la gestione dei progetti
di conservazione della biodiversità all’interno
dei parchi nazionali. Pure allo stesso ministero fa capo l’Anpe,
l’Agenzia nazionale di protezione ambientale.
Per rafforzare la capacità di proteggere e gestire il
locale patrimonio di biodiversità, rispettando gli obblighi
internazionali assunti con il recepimento della Convenzione sulla
Biodiversità, la Banca Mondiale ha elaborato un progetto
di supporto al governo tunisino centrato sulla gestione delle
aree protette, il più importante avviato fino ad ora nello
Stato nordafricano.
Della durata di cinque anni, dal settembre 2002 all’agosto
2007, il progetto ha come primo interlocutore il Direttorato
delle Foreste del ministero dell’Agricoltura ed è considerato
tra le prime azioni concrete per l’attuazione della Strategia
nazionale sulla Biodiversità. Il suo finanziamento totale è di
9,71 milioni di dollari, di cui 5,38 provenienti dal programma
GEF (Global Environment Facility) della Banca Mondiale e i restanti
dal governo tunisino, tranne una piccola quota a carico dei privati
beneficiari diretti.
Per due terzi i finanziamenti, che interessano tre degli otto
parchi nazionali esistenti, vanno a interventi di restauro ambientale,
sviluppo dell’ecoturismo e in particolare alla redazione
di piani di sviluppo sostenibile.
Altro punto importante è poi il supporto tecnico e scientifico
alle attività gestionali, con la realizzazione di nuovi
studi che confluiranno in un database nazionale e con attività di
formazione rivolte tanto ai funzionari di livello ministeriale
o locale che al personale dei parchi.
Ma nel cuore delle politiche di conservazione delle risorse naturali
si colloca un’altra, decisiva azione prevista dal piano,
destinata a colmare una lacuna endemica della passata politica
di tutela ambientale in Tunisia: l’assenza di un approccio
partecipativo alla gestione delle aree protette.
Uomini e parchi
Visti come santuari intoccabili della natura, recintati, istituiti
a partire dagli anni Settanta in aree poco densamente abitate,
finora ad ispirare l’azione dei parchi tunisini è stata
una concezione sostanzialmente datata, sconfessata almeno a partire
da quello storico Summit della Terra di Rio de Janeiro (1992),
dove a chiare lettere veniva indicata la via della territorializzazione
delle politiche ambientali. Quel processo culturale non si è poi
fermato e ha trovato l’ultima autorevole conferma internazionale
nello scorso congresso IUCN dei parchi a Durban, in Sudafrica
(dove l’unico delegato tunisino presente era il rappresentante
dell’associazione ornitologica Les Amis des Oiseaux).
All’interno e nei pressi dei loro confini, le popolazioni
residenti sono al contrario sostanzialmente tagliate fuori dalla
vita dei parchi tunisini e ne ignorano il ruolo e l’importanza,
anche a causa dell’assenza di adeguate campagne di informazione
e sensibilizzazione. Non esistono sedi di discussione e concertazione
delle scelte gestionali, né tantomeno politiche di compensazione
e/o di indirizzo dei processi economici locali. Di più.
In alcuni casi, come nel parco nazionale di Bou Hedma, una parte
consistente della popolazione locale contesta l’istituzione
stessa del parco che ne definisce la residenza in loco come temporanea,
favorendone l’allontanamento con l’elargizione di
modesti contributi risarcitori. Simile situazione vivono le tribù nomadi
del parco nazionale di Jebil, il più esteso del Paese,
dove le piccole comunità berbere già alle prese
col difficilissimo ambiente sahariano si sono visti sottratti
ampi spazi di pascolo senza poter avere voce in capitolo nella
regolamentazione di diritti essenziali, tanto per l’identità culturale
che per la stessa sopravvivenza.
Nei tre parchi nazionali coinvolti – e cioè Ichkeul,
Bou Hedma e Jebil – il già citato progetto della
Banca Mondiale punterà così ad affrontare risolutamente
questo deficit delle politiche di conservazione.
I piani di gestione da predisporre conterranno precise indicazioni
per contenere l’uso non sostenibile delle risorse naturali,
però concertate per quanto possibile con tutti gli attori
locali e le categorie sociali interessate.
Si punterà molto sull’ecoturismo, per dimostrare
il legame diretto tra conservazione e benefici economici per
i residenti.
E una parte non secondaria degli interventi riguarderà anche
l’educazione, con il coinvolgimento delle scuole, delle
agenzie di viaggio, dei media. Un programma ambizioso, insomma,
ma necessario per integrare sempre più le locali politiche
di conservazione nel quadro internazionale.
A Mediterre si parlerà anche di questo.
di Giulio Ielardi |