Il Parco regionale del Matese è un’area
naturale protetta individuata dalla L. R. Campania n. 33 del 1 settembre
1993. Istituito in via definitiva nell’aprile 2002, si estende
per circa 330 Km2 lungo le pendici meridionali del Massiccio del Matese,
al confine tra la Campania e il Molise. Situato dunque in uno dei più importanti
gruppi montuosi dell’Appennino meridionale presenta la conformazione
tipica di un vasto altopiano attraversato longitudinalmente da due dorsali
divise da un solco centrale che, partendo da Pietraroja sul versante
orientale giunge fino al Volturno sul versante occidentale.
Lungo tale solco si sviluppano le suggestive pianure del Lago
Matese e di Letino mentre la dorsale nord-orientale contiene rilievi pronunciati
come La Gallinola (1923 m s.l.m.) e Monte Mutria (1823 m s.l.m.). Il reticolo
idrografico di carattere spiccatamente carsico è responsabile di
numerosi inghiottitoi, risorgenze e profonde forre che contraddistinguono
il paesaggio Matesino. Tra i corsi d’acqua più importanti
figurano il Volturno, il Lete, il torrente Sava e il torrente Torano.
Nel perimetro del parco ricadono i territori di 20 Comuni, appartenenti
alle province di Caserta e Benevento, popolati da circa 50000 residenti.
Faggete del Monte Pastonico
Un cenno su flora e fauna
Da molti studiosi il Matese è indicato come un’area di transizione
tra la regione medio-europea e quella mediterranea sulla base di un’autonomia
floristica molto accentuata dovuta alle rarefazione o assenza di elementi
dominanti nella vegetazione d’alta montagna dell’Appennino
centrale (ad esempio Festuca dimorpha Guss., Carduus chrysacanthus Ten.)
e la presenza di elementi a diffusione nettamente meridionale (ad esempio
Lathyrus digitatus M. Bieb., Helleborus bacconei Ten.). Due sono le vie
essenziali di influenza floristica che lo attraversano: la “sannitica” (complesso
montuoso Miletto-Gallinola-Mutria) e la “mediterraneo-tirrenica” (propaggini
nord-occidentali del Matese).
Nel Parco Regionale del Matese si rinvengono specie vegetali
quali, ad esempio, la valeriana di monte (Valeriana montana L.), svariate
orchidee (gen. Ophrys, Orchis, Cephalantera, ecc.), il bucaneve (Galanthus
nivalis L.), e animali come il lupo (Canis lupus L.), la martora (Martes
martes L.), l’aquila reale (Aquila chrysaetos L.), il falco pellegrino
(Falco peregrinus Tun.) e tante altre ancora, oggetto di attenzione da
parte delle principali convenzioni e direttive internazionali (Convenzione
di Berna, 1979; Convenzione di Washington, 1973; Convenzione di Bonn,
1979; Direttiva 79/409/CEE “Uccelli”; Direttiva 92/43/CEE “Habitat”),
di leggi nazionali (Legge n. 157/1992 “Norme per la protezione della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”) e di leggi
regionali (Legge della Regione Campania n. 40/1994 “Tutela della
flora endemica e rara”).
Il paesaggio forestale si caratterizza, alle quote più elevate,
per la massiccia presenza del faggio (Fagus sylvatica L.), che vegeta
rigoglioso sui versanti esposti a Nord-Est, meno in quelli con esposizione
Sud-Ovest dove spesso si trova associato all’acero montano (Acer
pseudoplatanus L.), al carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.) e all’orniello
(Fraxinus ornus L.). Alle quote più basse si riscontrano principalmente
il leccio (Quercus ilex L.), l’acero montano e le specie tipiche
dell’orizzonte delle latifoglie eliofile, quali roverella (Quercus
pubescens Willd.), cerro (Quercus cerris L.), acero opalo (Acer opalus
Mill.) e carpino nero; sono presenti pure l’ontano napoletano (Alnus
cordata Loisel.) e il salicone (Salix caprea L.). Accanto alle essenze
arboree prevalenti ed alla ricca flora erbacea del sottobosco (Oxalis
acetosella L., Euphorbia amygdaloides L., Asperula odorata L., ecc.),
vanno ricordate le specie arbustive che assumono un ruolo ugualmente importante
nell’ecosistema poiché i loro frutti costituiscono una preziosa
fonte alimentare per la fauna, soprattutto ornitologica. Partendo dalle
basse altitudini, fino ad arrivare ai 1400 m s. l. m., limite oltre il
quale la faggeta diventa pura, si segnalano, tra gli altri, il mirto (Mirtus
communis L.), il corbezzolo (Arbutus unedo L.), i viburni (Viburnum spp.),
l’agrifoglio (Ilex aquifolium L.) e il tasso (Taxus baccata L.).
Interessante e caratteristica si presenta la fauna.
Nel Matese vivono, tra gli altri, mammiferi quali il tasso (Meles
meles L.), il gatto selvatico (Felis silvestris Schr.), la lepre (Lepus
europeaus L.) e il ghiro (Glis glis L.); uccelli tipici come l’astore
(Astor gentilis L.) e altri nidificanti quali la moretta tabaccata (Aythya
nyroca G.) e il corvo imperiale (Corvus corax L.). Svernano nel Parco
l’airone bianco maggiore (Egretta alba L.), l’airone cenerino
(Ardea ardea L.), il cormorano (Phalacrocorax carbo L.), circa 2000 folaghe
(Fulica atra L.) e diverse specie di anatre. Tra gli uccelli migranti
si ricordano la cicogna bianca (Ciconia ciconia L.) e la cicogna nera
(Ciconia nigra L.).
I temi dello studio
Sin dall’inizio delle attività, l’ente parco regionale
del Matese, attualmente guidato dal commissario regionale prof. Maurizio
Fraissinet, ha dimostrato una notevole sensibilità verso le problematiche
relative alla salvaguardia di un territorio così interessante dal
punto di vista naturalistico emanando, tra l’altro, una serie di
provvedimenti finalizzati a garantirne l’adeguata protezione. In
particolare, tra quelli coinvolgenti il settore forestale, si ricordano
il regolamento che disciplina le procedure d’autorizzazione al taglio
boschivo (Provvedimento n. 2 del 4 febbraio 2003) e il regolamento per
l’utilizzo dei prodotti del sottobosco (Provvedimento n. 23 del
17 giugno 2003 e successive modifiche).
A testimonianza del costante interesse rivolto alla tutela e
alla valorizzazione delle risorse forestali, lo stesso ente ha promosso
e fortemente sostenuto uno studio, realizzato dagli scriventi, avente
per oggetto “l’individuazione di habitat forestali di rilevante
valore ambientale ricadenti nel territorio del Parco e l’identificazione
di una linea guida per un uso sostenibile del patrimonio boschivo locale”.
Lo scopo è quello di impostare e promuovere la gestione dei beni
silvani sui principi di sostenibilità ritenuti ormai indispensabili
a livello internazionale. È così che il Parco Regionale
del Matese offre ai propri residenti e ai suoi visitatori elementi di
affidabilità, dimostrando di voler puntare concretamente al miglioramento
della qualità ambientale dell’intero territorio boscato di
competenza.
Gli habitat forestali di elevato pregio ambientale
Il lavoro, effettuato nell’estate del 2003, si è interamente
ispirato ai contenuti della Direttiva (92/43/CEE) “Habitat”,
data l’enorme valenza che essa assume nell’ambito dei Paesi
membri, ed è stato implementato avendo come principale riferimento
i biotopi forestali segnalati dalla Direttiva stessa.
Come è noto, la Direttiva “Habitat” è stata
emessa dalla Commissione Europea al fine di garantire il mantenimento
di uno stato di conservazione soddisfacente di numerosi habitat e di particolari
specie vegetali e animali, nonché di creare una estesa rete di
ambienti caratteristici delle più varie realtà presenti
in Europa: la “Rete Natura 2000”.
Gli habitat e le specie possono rivestire un interesse comunitario
generico o addirittura un interesse prioritario.
Ogni Paese membro ha individuato nel proprio territorio una serie
di Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e di Zone Speciali di Conservazione
(ZPS) di cui ha proposto all’Unione Europea l’inclusione nella
Rete Natura 2000.
Ad essi l’Unione Europea dà ampia importanza e i Paesi membri
devono tenerne conto nell’attuazione delle proprie politiche nazionali
al punto che tutti gli interventi antropici che possono incidere sulla
qualità di tali Siti devono essere necessariamente sottoposti a “valutazione
d’incidenza”.
Nel Parco regionale del Matese ricadono tre SIC:
•
Matese Casertano (Codice Sito: IT8010013);
•
Pendici Meridionali del Monte Mutria (Codice Sito: IT8020009);
•
Alta Valle del Fiume Titerno (Codice Sito: IT8020002).
Il Matese Casertano contiene habitat forestali di interesse comunitario
così distribuiti:
1. Faggeti degli Appennini di Taxus e di Ilex (Codice habitat:
9210) - Foresta termofila di Faggio, molto frammentata, con elementi arborei
endemici di Tasso e di Agrifoglio.
2. Foreste di Quercus ilex (Codice habitat: 9340) - Foresta dominata
da Leccio e dalla quercia a foglie tonde (Quercus rotundifolia L.) spesso,
ma non necessariamente, localizzata su substrati calcarei.
3. Castagneti (Codice habitat: 9260) - Foreste supra-mediterranee
o sub-mediterranee dominate da Castagno (Castanea sativa Mill.) e vecchie
piantagioni con rinnovazione seminaturale.
Sulle Pendici Meridionali del Monte Mutria e nell’Alta Valle del
Fiume Titerno si ritrovano i Faggeti appenninici con esemplari di Tasso
e di Agrifoglio (Codice habitat: 9210), precedentemente elencati.
Tali habitat, è bene ricordare, sono indicati addirittura come “prioritari” poiché rischiano
di scomparire dal territorio europeo degli Stati membri e per la cui conservazione
la Comunità ha una responsabilità particolare.
Una prima fase di ricerca ha consentito di localizzare e cartografare
i boschi richiamati dalla Direttiva 92/43/CEE e definiti “habitat
di interesse comunitario”, e di segnalare inoltre altri biotopi
esterni ai SIC, come il già noto “Bosco degli Zappini”,
una cipresseta sita in Fontegreca (CE) e alcuni castagneti, per la loro
particolare valenza biologica. Durante i sopralluoghi effettuati nel territorio,
infatti, è stata rilevata la presenza di nuclei misti a netta prevalenza
di castagno, in cui tale essenza si manifesta frequentemente con piante
secolari e mostra una abbondante e diffusa rinnovazione naturale: si ritiene
che simili formazioni possano essere del tutto ascrivibili alla tipologia
dei “Castagneti” (Codice habitat: 9260) citati dalla direttiva
dell’Unione Europea. Allo stesso modo, anche se non riportato ufficialmente
tra gli habitat naturali di interesse comunitario caratterizzanti il Sito “Matese
Casertano”, la cipresseta ubicata sul versante occidentale del Massiccio
del Matese nel comune di Fontegreca, costituita prevalentemente da esemplari
di cipresso comune (Cupressus sempervirens L.), per le particolarità che
la contraddistinguono può essere ricondotta alle “Foreste
di Cipresso” (Codice Sito: 9290), ovvero “Foreste montane
del bacino mediterraneo dominate da Cupressus sempervirens, Cupressus
atlantica Gauss o Cupressus dupreziana Camus” menzionate sempre
dalla Direttiva 92/43/CEE ”Habitat”.
Notevole interesse hanno destato, infine, certe forre (Rava di
Raviscavina, Vallone dell’Inferno, ecc.) in cui, dal punto di vista
strettamente forestale è stata rinvenuta una ricchissima diversità floristica
determinata anche dall’incontro degli elementi tipici della faggeta
(tasso e agrifoglio) con il leccio.
Le aree rilevate ammontano complessivamente a circa 6333 ettari,
cioè al 19% della superficie totale del Parco, e risultano ripartite
come indicato nella seguente tabella.
Suddivisione ed estensione degli habitat individuati.
Gli habitat in questione si manifestano nel territorio in maniera
quanto mai frammentata: cinque distinti nuclei, due dei quali superiori
ai 1000 ettari, contribuiscono a definire l’estensione totale dei
Faggeti, mentre la Foresta di Leccio e quella di Castagno sono rappresentate
da quattro formazioni ciascuna, in ogni caso tutte disgiunte l’una
dall’altra.
È
evidente l’importanza che avrebbe la costituzione di corridoi ecologici
per garantire la sopravvivenza degli habitat frammentati.
Alcune considerazioni sulle foreste censite
La successiva analisi ha reso possibile una descrizione dell’associazione
forestale entro cui possono essere inquadrati i boschi censiti e la redazione
di una scheda riassuntiva dei principali parametri stazionali e vegetazionali.
L’esame dei soprassuoli ha permesso, inoltre, di evidenziare criticità soprattutto
relative allo stato di conservazione di qualche faggeta e di predisporre
indirizzi gestionali più attenti alla salvaguardia della biodiversità e
al loro significato ecologico complessivo.
Dall’indagine eseguita è stata riscontrata una notevole riduzione
del numero di individui di tasso e di agrifoglio in popolamenti dove apparivano
evidenti azioni di disturbo antropico che hanno determinato senz’altro
un impoverimento della biodiversità di questi ecosistemi.
L’Ente Parco, a tal proposito, si è prontamente attivato
mediante una nota informativa, agli altri enti interessati, che, di fatto,
tutela gli esemplari di tasso e di agrifoglio, in qualsiasi stadio di
sviluppo essi si trovino, durante l’esecuzione di qualunque pratica
selvicolturale (sfolli, ripuliture, diradamenti, tagli per la rinnovazione
del soprassuolo).
Esemplare di tasso in faggeta
Per le faggete in oggetto si presenta valida ed interessante
la possibilità di considerare anche altre “opzioni gestionali” orientate
verso trattamenti, come il taglio saltuario o i tagli successivi per piccoli
gruppi (inferiori a 0.5 ha), che implicano una struttura disetanea del
bosco con mescolanza di specie diverse.
Tale struttura si ritiene ecologicamente più adatta alla vita degli
animali ed in grado di esaltare meglio altre funzioni delle faggete, soprattutto
quella protettiva (difesa del suolo e di regolazione delle acque), senza
oltremodo trascurare la produzione di legname (il bosco disetaneo permette
di ottenere alberi di diametri elevati, molto apprezzati se di ottima
qualità che non è possibile ricavare dai boschi coetanei).
Con la consapevolezza che il bosco non è costituito solo dall’insieme
degli esemplari arborei, ma da tutta la comunità vegetale e da
quella animale, quando in esso sono presenti specie diverse e di tutte
le età è garantita una maggiore complessità delle
catene alimentari ed una maggiore stabilità dell’ecosistema.
Nelle foreste di leccio è emersa la necessità di contrastare
le azioni antropiche (ripetute ceduazioni e disboscamenti) che hanno determinato
una contrazione numerica della specie a vantaggio del carpino nero, ed
in misura minore del cerro (Quercus cerris L.) e roverella (Quercus pubescens
Willd.).
In tema di gestione forestale sostenibile il governo a ceduo
di questa formazione rappresenta una tradizione secolare ampiamente diffusa
nella comunità locale, e perciò caratterizza soprassuoli
di particolare valore storico-culturale; essa si propone come l’unico
sistema selvicolturale che possa offrire un’interessante produzione
commerciale. Questa forma di governo inoltre ha il vantaggio di conservare
una maggiore biodiversità vegetale e di offrire alimento e riparo
a un maggior numero di specie animali.
A differenza dei turni fissati in passato (10-12 anni), quando
le utilizzazioni avvenivano con maggiore frequenza e contribuivano, evidentemente,
all’impoverimento dell’ecosistema, si suggeriscono turni di
30-40 anni considerata l’elevata e duratura facoltà pollonifera
del leccio.
I castagneti, rinvenuti principalmente su suoli decalcificati
e in buone condizioni fitosanitarie, rilevano una distribuzione non riferibile
ad uno specifico fattore oppure ad una combinazione di fattori ecologici,
ma all’azione dell’uomo che ha favorito la coltura del castagno
nelle stazioni più fertili per scopi prevalentemente produttivi;
anche le manifestazioni di aspetto selvatico sono, pertanto, ritenute
naturalizzazioni derivanti da colture passate.
I riferimenti fitosociologici per questo tipo di boschi variano
a seconda delle situazioni locali.
Nel territorio del Parco sono state individuate due tipologie
diverse, una tipicamente collinare, l’altra prevalentemente montana.
Quella montana, con presenze di faggio, ontano napoletano e acero di monte,
si rinviene in due differenti località: Arito e Monte il Palombaro;
quella collinare, con elementi di carpinella (Carpinus orientalis Mill.)
e leccio, nei comuni di S. Angelo d’Alife e Piedimonte Matese.
In ogni caso per esse si consigliano interventi selvicolturali
tendenti a favorire la rinnovazione naturale del castagno e, nel contempo,
ad agevolare l’ingresso di altre specie in sintonia con il tipo
forestale.
Le caratteristiche forestali e ambientali del “Bosco degli Zappini”,
già oggetto di numerosi studi, conferiscono a tale biotopo uno
straordinario valore ecologico ed impongono la redazione di uno specifico
programma di gestione volto al mantenimento ed al miglioramento degli
elementi di naturalità che lo contraddistinguono.
La cipresseta, in parte mista e in parte pura, trova in un microclima
favorevole le migliori condizioni di vegetazione e si riproduce esclusivamente
per via gamica, diffondendosi su entrambi i versanti della particolare
della cipresseta gola attraversata dal torrente Sava.
Accanto ad alcuni esemplari di notevoli dimensioni, con diametri
di cm 50 e altezze superiori ai 30 m, si rivela molto spettacolare la
presenza del cipresso con portamento arbustivo, insediato su roccia viva
a pareti verticali.
Aspetto di assoluta rilevanza è, infine, l’ottimo stato vegetazionale
con cui si presenta il bosco; in particolare spicca la totale assenza
di sintomi da cancro corticale (Coryneum cardinale Wag.).
Linee guida
In relazione al concetto di sostenibilità degli ecosistemi forestali,
che sottintende, in definitiva, una gestione improntata sulla conservazione
dei beni naturali, sull’efficienza economica e sul rispetto delle
esigenze sociali, è stata dunque proposta una linea guida al fine
di orientare l’attività gestionale verso i principi e criteri
della “gestione forestale sostenibile” specificati con modalità diverse
nelle principali azioni intergovernative (Conferenze Interministeriali
di Helsinki e di Lisbona, Processo di Montreal, ecc.) e nelle varie iniziative
avviate da organizzazioni non governative (World Wide Fund for Nature,
WWF; Forest Stewardship Council, FSC; ecc.).
Con essa si è voluto porre in risalto l’esigenza di esaminare
più approfonditamente il legame esistente tra la gestione delle
foreste e il mantenimento di habitat e specie di interesse comunitario
o tutelate da accordi internazionali o da leggi nazionali, di considerare
il valore economico complessivo dei soprassuoli come fonte di legname
e prodotti non legnosi, di sottolineare l’importanza delle attività turistico-ricreative,
didattiche e sportive, che possono giovarsi della presenza dei boschi
come attrattiva e come bene da utilizzare.
Ulteriore riguardo si è voluto rivolgere alle opportunità d’impiego
della manodopera locale in termini di promozione di prodotti ad alto valore
aggiunto, alle esigenze formative per gli operatori del settore e ad un
controllo più serrato delle conseguenze degli impatti ambientali
provocati dagli interventi di gestione.
In tutto sessantacinque indicazioni di massima attinenti ad aspetti
fondamentali dei sistemi boschivi (estensione, stato sanitario, biodiversità,
produzione, difesa ambientale, funzione sociale, legislazione), che il “neonato” Ente
Parco Regionale del Matese utilizzerà come strumento di base per
intraprendere una corretta pianificazione del complesso delle risorse
forestali a garanzia di interessanti prospettive future rivolte ad una
sempre maggiore valorizzazione del proprio patrimonio boschivo.
di Pio Ciliberti, Nicola Lanni
Dottori forestali, liberi professionisti
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