Sono statati pubblicati alla grande due volumi,
(il primo dedicato alla conferenza vera e propria, l’altro alle
sessioni tematiche) con cofanetto, illustrazioni e tutto il resto, destinati
ad abbellire la biblioteca di ogni area protetta (quando c’è,
si capisce, ma quale migliore occasione per fondarne una, basata sul
libro di Valerio Giacomini, gli atti del Vittoriano e – ci si
consenta – la rivista “Parchi”? e tutto il materiale
che ci sforziamo di segnalare nelle rubriche “libri” dei
nostri giornali cartacei o telematici?
L’occasione c’è. Vedremo se si materializzerà.
Nella circostanza non è escluso che i libri esposti e catalogati
si possano non dico solo leggere che (essendo un inguaribile ottimista)
operazione che ritengo scontata, ma li si può presentare, commentare,
esaltare, contestare. È arrivato finalmente il momento di dire – carte
alla mano – se la conferenza di Torino sia stata davvero una schifosa
schifezza, o se al contrario ci abbia fornito, magari involontariamente,
molte “dritte” per lavorare meglio nei parchi, e per impostare,
perseguire e portare a termine progetti di area vasta nazionali ed internazionali.
Immaginiamo un Cip che faccia passi avanti dopo che il coordinamento
marchigiano abbia letto la relativa comunicazione e l’intera sessione
di Torino. Immaginiamo rapporti tra le organizzazioni europee dei parchi
(anche quelle apparentemente più modeste Fednatur, o alcune italiana)
ed incominciamo a lavorarci sopra senza mollare la presa. Senza consentire
nessun disincanto.
Diciamoci anche qualche modesta verità, di poco conto, ma incoraggiante.
Il centro destra ha meno paura del centro sinistra nello spendere per
libri esteticamente belli.
La sinistra si porta dietro una tradizione pauperista che la
porta a considerare il volantino l’oggetto più elegante nella
lotta politica. Approfittiamo della differenza di punto di vista? Pubblichiamo
con il ministero qualcosa che coinvolga tutti quanti i parchi, anche quelli
regionali, e diamo davvero sostanza ad un progetto di comunicazione uscendo
dai campi e dalle officine?
Io non so quanto gli amici di Federparchi avranno voglia di sopportarmi
ancora alla direzione di questa nostra rivista, con le mie lagne, i mie
quadri d’insieme, la mia voglia di confronti veri, europei, che
producano in tempi molto rapidi una Europa sostenibile.
E non so nemmeno quanto avrò voglia io, di battere la testa contro
dolorosissimi muri di gomma (dolori morali, certo, ma non mi dilungo perché tutti
li conosciamo bene).
L’Europa sostenibile.
Questo numero esce sotto elezioni europee. Dopo che tutte le “sibilas” del
governo spagnolo hanno fatto il loro dovere (anche quando avevano registrato
che gli spagnoli sono contro la guerra) ma i politici hanno fatto confusione.
Federparchi si unisce, si aggrega, si qualifica, ma soprattutto – con
il suo solito fiatone parlo per me... – vuole che la prossima Europa
si occupi esplicitamente di parchi, detti norme concordate, finanzi, ci
consideri il modo migliore per essere quella “potenza differente” della
quale tutti sono consapevoli che c’è bisogno, guardando però all’avvenire
e non – per favore – al passato dei tavoli dei direttori,
delle conferenze e di tutto quello che da brividi di noia ai nostri figli.
La nuova Europa nasce con problemi sfiziosi.
Se ne andranno gli Spagnoli se l’Onu non prenderà il timone
che oggi è in mano agli Stati Uniti.
Vogliamo dire che la cosa non ci interessa? Anche fosse così, non
lo diremmo. Ma quello che ci interessa è dove punta quella barra
di timone.
Siamo stati a Sarajevo, per mettere in piedi tra gli altri un
progetto che si chiama “agricoltura e sminamento”.
Noi vorremmo, con le pochissime forze intellettuali e morali
che ci portiamo dietro, che tutto questo discorrere di terrorismo che
mi è costato cifre astronomiche di forbicine negli aeroporti, preveda
un mondo dove le bombe non scoppino più, ma dove speculare sul
petrolio non sia la stessa cosa di una rete ecologica, dei progetti europei
di area vasta, e di un mondo dove non solo gli Emiri stiano sereni ma
anche le balene possano cantare le loro canzoni percorrendo le loro abituali
autostrade.
Occorre stare saldi
con i piedi in terra.
Le stagioni sono quelle
(o quasi) e da quelle
dipende l’avvenire,
più che dalle elezioni
o dai trattati.
Ma i piedi saldi in terra
ci dicono già ora che
le calotte dei poli si
sbriciolano, e che le balene
cambiano le loro strade perchè cambia la
temperatura dell’acqua
del mare, e c’è il solito
rapporto che ci ricorda
che se l’acqua sale
città come Venezia
semplicemente
scompariranno. di
Mariano Guzzini
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