La maggior parte delle aree protette italiane
ricade in zona montana (89%), solo il 3% in zona collinare ed il rimanente
8% in prossimità delle coste. Il trend economico di queste aree
marginali di montagna (interessate dai parchi), un tempo saldamente
ancorato alle produzioni agro-silvo-pastorali, è in fase di generale
e inarrestabile declino; l’obiettivo di riorientare l’imprenditoria
locale verso lo sviluppo turistico è spesso diventato un concreto
programma di azioni in campi d’intervento diversi.
Parlare di turismo nelle aree protette ha quasi sempre sottinteso,
soprattutto negli anni più recenti, un’attenzione verso forme
di fruizione leggere, volte a valorizzare la natura e le culture locali
ed a favorire la diffusione di strutture e spazi in cui le finalità didattiche
si frappongono a quelle ricreative. Nel contempo, non si può trascurare
che in molte aree di montagna, dove sono stati istituiti (soprattutto
nell’ultimo ventennio) parchi nazionali e regionali, erano già preesistenti
bacini sciistici con attrezzature (funivie, seggiovie, cabinovie e sciovie)
soggette a continua manutenzione e ad interventi di potenziamento, e che
eventi speciali (es.: le Olimpiadi Invernali del 2006 a Torino o i Campionati
del Mondo del 2005 in Valtellina) molto spesso prefigurano scenari di “miglioramento” o
formazione di nuove località sciistiche in aree di alto pregio
ambientale e comunque ad alta sensibilità.
Nella seconda metà dell'Ottocento, le stazioni turistiche di montagna
non si configuravano come località sciistiche, si sviluppavano
per lo più attorno alla pratica delle cure termali ed alla contemplazione
delle alte vette, e l'arco alpino era la meta preferita di pittori, scrittori
e naturalisti e poi di alpinisti, scalatori ed esploratori. Questi primi
centri (Madonna di Campiglio, Cortina d'Ampezzo, Courmayeur...) venivano
sfruttati, sia nella stagione estiva che in quella invernale, con insediamenti
turistico-alberghieri lussuosi ma concentrati nel cuore del nucleo abitato.
Anche quando venne ad introdursi la pratica dello sci alpino come un'evoluzione
dello sci nordico (in Italia, per la prima volta nel 1897, da un gruppo
di torinesi che si cimentarono sulle montagne di Bardonecchia, e poi in
modo più diffuso con la prima guerra mondiale), lo scarso apporto
di mezzi motorizzati per la risalita ne fece un'attività i cui
effetti sull'ambiente naturale erano relativamente modesti e trascurabili.
Successivamente (nella metà del XX secolo), con gli sviluppi della
motorizzazione, la nascita delle prime forme di impianti per la risalita
e la diffusione dell'edilizia turistico-residenziale (alberghi e seconde
case) a supporto di una pratica sportiva ormai divenuta di massa, gli
impatti diventano più consistenti.
Si delineano almeno due differenti tipologie di strutturazione
dei bacini sciistici: quella alpina (caratterizzata da insediamenti per
la ricettività alberghiera ed extralberghiera nel fondovalle ed
impianti di arroccamento per il raggiungimento delle piste) e quella appenninica
(con insediamenti in prossimità delle piste, raggiungibili attraverso
strade carrabili). Le due modalità di organizzazione delle stazioni
per gli sport invernali si riscontrano anche in numerose aree protette
e interferiscono diversamente con l'ambiente naturale circostante. In
generale, possono essere svolte alcune considerazioni riguardo l’orientamento
e il controllo degli effetti diretti e indiretti originati da bacini sciistici
(impianti di risalita ed attrezzature per la ricettività) ubicati
in aree particolarmente sensibili:
1. le emanazioni legislative vigenti, relative alla formazione
di stazioni sciistiche, riguardano esclusivamente l’esercizio (D.M.
n. 1533 del 05/06/1533) e le tecniche, competenze e modalità di
costruzione degli impianti di risalita veri e propri, quali funicolari
aeree (D.P.R. n. 1367 del 18/10/1957) e sciovie (D.M. 15/03/1982). Alcune
regioni hanno disciplinato l’esercizio e l’uso delle piste
da sci: il Trentino Alto Adige (L.R. n. 13 del 13/07/1970), il Veneto
(L.R. n. 11 del 28/01/1975) e la Lombardia (L.R. n. 81 del 12/06/1975);
recentemente è stata varata dal Parlamento Italiano la Legge n.
363 del 24/12/2003 che detta “norme in materia di sicurezza nella
pratica degli sport invernali da discesa e da fondo”. Si è di
fronte, dunque, ad un quadro normativo non sufficientemente orientato
a gestire la complessità del problema in oggetto, anche in considerazione
del fatto che nel “Protocollo di attuazione della Convenzione delle
Alpi del 1991 nell’ambito del turismo”, definendo le procedure
nazionali di autorizzazione degli impianti di risalita (art.12), si ravvisa
l’opportunità di rispondere non solo ad esigenze economiche
e di sicurezza ma anche a quelle ecologiche e paesaggistiche;
2. i riverberi generati dalla realizzazione di infrastrutture
per la pratica di sport invernali non riguardano solo le località in
cui fisicamente si realizzano gli impianti e le attrezzature di supporto,
bensì territori assai più vasti. Si rende opportuno allargare
l'ambito della riflessione, spostando la valutazione dall’area in
cui s’interviene direttamente all'intero bacino ed al contesto territoriale
cui si relaziona, delineando un percorso di confronto con una molteplicità di
variabili e risorse afferenti a campi d'intervento diversi;
3. per il raggiungimento di un livello accettabile di sostenibilità è necessario
considerare le problematiche ambientali sin dalle prime fasi di discussione
ed elaborazione di piani e programmi di settore anche al fine di costruire
un quadro sintetico di riferimento, in continua evoluzione, che funge
da supporto per definire accordi stabili e vantaggiosi per tutti gli attori
pubblici e privati coinvolti. In tal senso, è da tempo in discussione
(e sperimentazione) la direttiva comunitaria che introduce l'obbligo della
Valutazione ambientale strategica (VAS) preventiva (ex ante) degli impatti
di determinati piani, programmi e progetti (la proposta di direttiva europea
relativa alla VAS è la 96/0304, adottata definitivamente con la
2001/42/CE).
In occasione della programmazione delle infrastrutture per le
Olimpiadi Invernali del 2006 a Torino, la Giunta Regionale del Piemonte,
d'intesa con il Ministero dell'Ambiente e sentiti gli enti locali interessati,
ha portato ad approvazione una pionieristica applicazione della VAS sulla
base di uno Studio di compatibilità ambientale svolto dal Politecnico
di Torino;
4. l'effettivo beneficio socio-economico che il bacino sciistico
in formazione (o potenziamento) può rappresentare per le comunità locali
va considerato nelle sue diverse sfaccettature. Talvolta, l'acritica prosecuzione
di politiche di sviluppo per la montagna (precedentemente incentrate esclusivamente
sulla pratica dello sci alpino) non tiene conto che, negli ultimi decenni,
l'offerta di stazioni sciistiche è notevolmente aumentata, e che
invece la nuova domanda si rivolge, sempre più diffusamente, verso
forme di fruizione leggere che vanno dallo sci nordico, in periodo invernale,
alle attività didattiche ed escursionistiche, nell'intero arco
dell'anno;
5. per ottenere la partecipazione dell'imprenditoria locale ai
processi d'investimento necessari per avviare la formazione della stazione
turistica, si rende opportuno il coinvolgimento degli attori pubblici
e privati nelle attività di verifica delle strategie e degli effetti
cumulativi dei singoli interventi, ed in particolare nei processi decisionali
connessi alla formazione delle infrastrutture di supporto all'attività di
fruizione;
6. la realizzazione ex novo (o la sostituzione, con relativo
potenziamento) di impianti di risalita e di attrezzature per l'innevamento
programmato provocano impatti specifici sull’ecosistema interessato.
Gli effetti sono da ricercarsi in forme di degrado dell’area naturale
(o seminaturale) oggetto d’intervento che vanno dalla perdita di
porzioni di manto forestale e relativo suolo all'accresciuto rischio idrogeologico
cui le aree verranno a sottoporsi; dall'alto consumo di acqua ed energia,
spesso in situazioni già di grave penuria, all'inquinamento prodotto
dall'uso di additivi per realizzare neve artificiale; dalla distruzione
di alcuni habitat faunistici propri delle aree pascolive e boschive, al
disturbo temporaneo per alcune specie animali (solo a titolo di esempio:
la forte compattazione del manto nevoso che si ottiene a seguito di specifiche
preparazioni e battiture di piste da discesa impedisce la respirazione
delle specie erbacee ed ostruisce i piccoli roditori nell'opera di scavare
tunnel);
7. il propagarsi (in prossimità delle piste) delle espansioni turistico-residenziali
di supporto al bacino sciistico, soprattutto nel modello "appenninico",
favorisce l’abbandono ed il degrado del centro abitato storico di
fondovalle, segna la diffusione (in quota) di trame edilizie proprie delle
aree urbane o periurbane, dando vita, in aree sensibili, a nuove forme
di urbanizzazione ad alta criticità ed onerose sia in fase di realizzazione
che in quella di manutenzione;
8. l'innescarsi di un pendolarismo fuori misura, ad opera dei
frequentatori della stazione sciistica, con conseguente pesante incremento
del traffico veicolare e quindi inquinamento da rumore e da emissioni
di gas per autotrazione, presenta talora punte da collasso (in alcuni
centri turistici montani, in ore particolari della giornata, si sono registrate
forme di inquinamento atmosferico almeno pari a quelle dei maggiori centri
metropolitani europei). Il potenziamento delle infrastrutture viarie di
afflusso e deflusso, nonchè delle opere accessorie (parcheggi,
aree di sosta,...), diventa purtroppo la soluzione più praticata
per migliorare l'accesso all'area, senza neppure tentare di programmare
servizi navetta o altre forme di trasporto pubblico. In conclusione, il
confronto tra lo sviluppo di bacini per la pratica degli sport invernali
e la programmazione di una fruizione alternativa, leggera ed attenta alla
sensibilità ed alla fragilità delle aree di pregio naturale
e culturale è una partita ancora completamente aperta, rispetto
alla quale non esistono ricette e soluzioni preconfezionate. Se da un
lato è improponibile la generica limitazione di realizzazioni infrastrutturali
(strade, impianti, manufatti per la ricettività) di supporto alla
pratica dello sci alpino in aree protette (con conseguente penalizzazione
delle attività commerciali connesse a questo sport), dall'altro
non è più possibile procedere alla progettazione ex novo
o al potenziamento delle attrezzature esistenti con uno sguardo strettamente
tecnicistico, senza tener conto degli effetti sistemici e cumulativi che
vanno ad interessare uno spettro ampio e variegato di problematiche ecologiche,
paesistico-ambientali e territoriali.
di Massimo Sargolini
Docente di Pianificazione delle aree protette.
Scuola di specializzazione in Gestione delle aree protette. Università di
Camerino. |