L’origine dello sci
Le notizie più antiche riguardanti la pratica dello sci sono riconducibili
alle incisioni rupestri presso l'isola di Rodoy in Norvegia databili intorno
al 3000 a.C., raffiguranti uomini che hanno ai piedi delle tavolette utilizzate
per spostarsi sulla neve.
Questi ritrovamenti furono confermati successivamente dal rinvenimento,
in una torbiera di Hoting, in Svezia, di un paio di sci in ottime condizioni
di conservazione, databili intorno al 2500 a.C. Alcuni storici fanno risalire
l’invenzione dello sci alla zona della Siberia e della Mongolia,
più precisamente alla regione dell’Altai. Qui si formarono,
prima della fine dell'ultima era glaciale, due correnti migratorie: una
si diresse verso la Manciuria e proseguendo, attraverso lo stretto di
Bering ghiacciato, entrarono nell'Alaska poi in Canada, colonizzando il
continente; l'altra si diresse a ovest e, attraverso la Siberia, sarebbe
pervenuta nei paesi scandinavi sul Baltico. Veri specialisti nella costruzione
degli sci furono però i Lapponi; circa 2000 anni fa calzavano nel
piede destro uno sci lungo e sottile, quasi come quello attuale, mentre
nel sinistro ne calzavano un altro più corto con sotto una pelle
di foca, usato per appoggiarsi e darsi la spinta.
Lo sci venne utilizzato dai nordici anche per scopi militari:
Gustavo Adolfo si serviva di truppe di sciatori per i servizi di informazione;
Carlo XII, un altro monarca nordico, le impiegò per disturbare
gli eserciti avversari bloccati dalle forti nevicate.
Nelle lande del Nord, le battaglie tra finlandesi e russi videro
soldati-fondisti, loro malgrado, scivolare contro il nemico in difesa
della patria.
A partire dal XIX secolo lo sci si diffuse nell’America Settentrionale
(Canada, Nevada e nord della California) e sulle Alpi. Nel continente
americano la pratica era riservata ai cercatori d'oro che utilizzavano
gli sci per muoversi in montagna. L’introduzione della pratica dello
sci nelle regioni alpine d’Europa invece è dovuta ad alcuni
alpinisti francesi e tedeschi che importarono i primi sci dalla Norvegia
e li adattarono ai forti pendii delle nostre montagne creando quello che
poi diventerà lo “sci alpino” o da discesa.
Gli sci nordici vennero accorciati, allargati ed irrobustiti;
due bastoncini gemelli sostituirono l'unico lungo palo usato in Svezia
e Norvegia.
Le stazioni sciistiche
In Italia, la pratica dello sci si diffonde alla fine del XIX
secolo.
Ne consegue la realizzazione delle stazioni per il turismo invernale
caratterizzate da tre tipologie, cronologicamente ben distinte. Le stazioni
della prima generazione, nate nell’arco di qualche decennio, tra
la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, sono solo marginalmente interessate
dalla pratica dello sci.
La tendenza principale sarà quella di soggiornare al cospetto delle
vette più imponenti, meglio se davanti a grandiosi spettacoli della
natura, quali il Monte Bianco, il Cervino, il Monte Rosa, lo Jungfrau,
le Dolomiti, gruppi montuosi che in quell'epoca erano teatro di memorabili
imprese alpinistiche.
La seconda generazione ha inizio a partire dagli anni 1930, con
lo sviluppo della motorizzazione e della rete viaria che favorisce la
ricerca di aree più spaziose, più elevate (anche al di sopra
dei 1200-1300 mt.) e perciò più ricche di neve. Grazie all'intervento
di potenti finanziatori, prendono forma nuove iniziative edilizie, spesso
estranee all'ambiente circostante. Le nuove stazioni, che per la prima
volta nascono dal nulla, hanno come caratteristica di fondo quella di
essere dotate di una eccezionale ricettività alberghiera.
La crisi di questi centri sopraggiunge a partire dagli anni Cinquanta
quando una maggiore disponibilità di denaro a tutti i livelli,
favorita dal boom economico, trasforma il turismo da prerogativa delle
classi più abbienti a vero e proprio bene di consumo delle masse,
determinando la congestione delle stazioni esistenti e spingendo l’industria
turistica a creare nuove aree per la fruizione della montagna.
Allora compaiono, spesso in zone assolutamente vergini per il
turismo, le stazioni della terza generazione, sorte dal nulla, con un'organizzazione
promozionale e sportiva di altissimo livello, in cui in un unico blocco
architettonico sono concentrati tutti i servizi commerciali, amministrativi,
turistici e di svago.
Nelle stazioni invernali della terza generazione, che contrariamente
alla seconda valorizza l’organizzazione tipo residence a scapito
di quella alberghiera, viene offerta al turista la formula di vacanza
nota col nome di ‘ski total’.
Sono rilevabili due tipologie organizzative dei bacini sciistici:
il modello alpino e il modello appenninico.
Nel primo, che raccoglie la grande maggioranza delle stazioni
sciistiche alpine, si prevede la presenza di una serie di impianti di
risalita sopraelevati (funivie, cabinovie) o a terra (trenini a cremagliera)
che collegano il centro abitato del fondovalle con gli altri impianti
di risalita posti in quota. Tale sistema ha impedito il proliferare di
costruzioni in alto, favorendo la realizzazione di strutture e di attività legate
al doposci nel fondovalle.
Il modello appenninico ha avuto uno sviluppo più complesso. Con
la diffusione delle discipline invernali, si è pensato di fornire
un servizio migliore realizzando strade che arrivavano direttamente in
quota, ai piedi della stazione.
È
nata così una serie di infrastrutture di contorno alle stazioni
con la realizzazione di parcheggi, urbanizzazione di lotti di terreni,
abitazioni, negozi e locali vari per lo svago e la ricreazione. Il risultato
finale di questa attività è stata la nascita di nuovi centri
montani di tipo residenziale, posti spesso a pochi chilometri di distanza
dai paesi del fondovalle stabilmente abitati.
Il modello ha avuto una larga diffusione sulle località sciistiche
dell’Appennino, anche se non mancano casi del genere sulle Alpi.
Oltre al maggiore impatto paesaggistico, il modello appenninico è risultato
essere meno vantaggioso anche sotto il profilo socioeconomico, per il
carattere di stagionalità che hanno assunto queste stazioni: ciò non
ha favorito la diffusione di esercizi commerciali o di altre attività di
contorno.
Contrariamente a ciò, le attività avviate nelle stazioni
tipo alpino hanno avuto maggiori possibilità di successo, con ovvii
benefici per le comunità locali.
La generale proliferazione di impianti, piste e strutture di
contorno, non esclude le aree protette. Numerose sono le stazioni sciistiche
cresciute all’interno di parchi.
Solo a titolo di esempio:
- nell’arco alpino, i lavori di adeguamento delle stazioni di Santa
Caterina Valfurva e di Passo dello Stelvio, in vista dei Mondiali di Sci
Alpino del 2005, minacciano il Parco Nazionale dello Stelvio; gli impianti
di Val Senales, interessano il Parco Naturale del Gruppo di Tessa, dove è possibile
praticare anche lo sci estivo; le stazioni di San Martino di Castrozza
e Passo Rolle ricadono nel Parco Provinciale di Paneveggio - Pale di San
Martino;
- nell’Appennino centro-meridionale, il Parco Nazionale d’Abruzzo,
Lazio e Molise è minacciato dal progetto di sbancamenti, tagli
di migliaia di faggi secolari e apertura di strade di servizio per realizzare
decine di chilometri di nuovi impianti per collegare le stazioni sciistiche
di Pescasseroli, Scanno e Roccaraso; il Parco Nazionale dei Monti Sibillini è interessato
da ben quattro stazioni sciistiche: Frontignano di Ussita, Castelsantangelo
sul Nera, Bolognola e Forca Canapine; all’interno del parco Nazionale
della Majella ricadono le stazioni di Passolanciano e Campo di Giove;
nel Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, quelle di Campo
Imperatore e Prati di Tivo; nel Parco Regionale dei Monti Simbruini, Campo
Staffi e Monte Livata; nel Parco Faunistico del Monte Amiata, la stazione
sciistica omonima; nel parco Regionale del Sirente Velino, la stazione
di Ovindoli;
- nell’Appennino meridionale troviamo le stazioni di Linguaglossa
e Nicolosi nel Parco dell’Etna, Gambarie nel Parco Nazionale dell’Aspromonte
e Villaggio Palumbo nel Parco Nazionale della Sila.
di Sandro Venanzi
I materiali presentati sono parte
del lavoro della tesi di specializzazione in“ Gestione delle aree protette”discussa presso l’Università di
Camerino
A.A. 2001/2002. |