Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 42 - GIUGNO 2004

 



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PARCHI SENZA FRONTIERE

Importanti novità presentate a Riomaggiore

L’avvio dell’Osservatorio sulle politiche europee e la proposta per una nuova federazione delle aree protette del Mediterraneo: Federparchi ha presentato l’uno e l’altra al convegno di Riomaggiore (parco delle Cinque Terre) di fine maggio. Preparandosi così al confronto internazionale del congresso mondiale Iucn di Bangkok a novembre, nell’anno dell’allargamento dell’Ue e del completamento della rete Natura 2000.

Messier Jean Luc Chiappini, vicepresidente della Federazione dei parchi regionali francesi e a capo di un parco straordinario grande quanto Pollino e Cilento messi insieme (quello della Corsica, esteso su 350 mila ettari), di dubbi ne ha pochi. Finora il rapporto con l’Unione Europea è stato solo di natura finanziaria. Ora si deve cambiare, devono essere le aree protette a proporre indirizzi e a indicare politiche coerenti, per questo sosteniamo l’iniziativa di Federparchi. E l’iniziativa, la notizia, è la nascita dell’Osservatorio sulle politiche europee dei parchi, presentato lo scorso 24 maggio a Riomaggiore nel Parco delle Cinque Terre. Un anno dopo il convegno su “Europa e parchi e davanti allo stesso incantevole scenario terra/mare, in piena campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo (ma nessuno dei candidati era presente), l’attività internazionale di Federparchi inizia a raccogliere i suoi frutti.
L’Osservatorio ha sede presso il parco nazionale ligure - il direttivo ha approvato un’apposita delibera - ma sarà di tutta l’Associazione, con cui verrà firmato un protocollo d’intesa.” In pratica la sua attività potrebbe essere articolata in una serie di gruppi di lavoro, propone il presidente Franco Bonanini, “sui temi di comune interesse come la legislazione comunitaria piuttosto che il turismo, per arrivare a produrre delle linee-guida da presentare a Bruxelles come proposte del sistema dei parchi.” L’Osservatorio è frutto di una concezione moderna dei parchi così come quella proposta dal congresso mondiale di Durban, aggiunge Antonio Canu del Wwf.
E gli fa eco Fabio Renzi di Legambiente: “tra le istituzioni comunitarie deve fare ingresso in maniera stabile l’esperienza dei parchi, che altrimenti resta solo come tradizione orale. Le aree protette europee avranno un loro ufficio a Bruxelles? Sarebbe utile e persino naturale. Ce l’ha da tempo l’Anci, l’ha appena inaugurato anche l’Upi. Più che convinti della sua necessità gli ospiti stranieri invitati al convegno di Riomaggiore: dal già citato francese Jean Luc Chiappini ai rappresentanti della Bosnia-Herzegovina, alla direttrice generale per la biodiversità del ministero dell’Ambiente della Slovenia Gordana Beltram, agli spagnoli Ramòn Luque (direttore generale dell’Ambiente in Catalogna), Fernando Molina (direttore servizio Parchi in Andalusia), Francesc Martos (assessore all’Ambiente della Provincia di Barcellona).
Tutti Paesi del Mediterraneo, e non a caso.

Una data storica
Chiunque viaggi per paradisi naturali lo sa. La geografia delle aree protette europee segue un gradiente latitudinale nelle sue diverse articolazioni, disegnata com’è da un fattore chiave: quello della densità di popolazione. Tanto abbondano a Nord i parchi nazionali selvaggi e spopolati, infatti, quanto a Sud s’incontrano con maggior frequenza parchi ricchi di residenti e di Comuni, spesso d’istituzione regionale, dove le istanze della conservazione si misurano con gli interessi delle comunità locali e dei proprietari dei terreni. È questo il diverso terreno di azione (dovuto naturalmente anche ad altri fattori, comunque non del tutto estranei al primo, a cominciare dai diversi assetti istituzionali nazionali) su cui si muovono oggi i parchi d’Europa. Un duplice scenario che si trova riflesso in molti parametri. Per esempio nel numero stesso dei parchi regionali: che solo nei Paesi meridionali tocca percentuali assai elevate del totale di aree protette (il 91% in Spagna, l’88% in Portogallo, l’85% in Italia, l’81% in Francia[1], con l’eccezione della Germania motivata dal suo ben noto assetto federale. Oppure, nelle diverse categorie Iucn attribuite ai sistemi nazionali di parchi: la II nella stragrande maggioranza in Olanda, Germania, Austria, Finlandia, Norvegia etc. e invece una realtà ben più assortita nei Paesi meridionali.
Anche per colmare un ritardo accumulato, sul fronte dei parchi europei negli ultimi due decenni le novità maggiori si sono avute soprattutto dal Sud, Italia e Spagna in testa (la Francia era partita prima). Qui si sono avviate pure quelle rinnovate concezioni del parco inteso come soggetto aperto, attore della conservazione e insieme della promozione sociale, che a Durban hanno trovato la definitiva consacrazione. Dunque, il pendolo negli ultimi tempi si è spostato verso il Mediterraneo. Ma qualcosa è cambiato.
Se Federparchi cerca casa a Bruxelles, infatti, dal primo maggio scorso l’hanno già trovata i dieci Paesi nuovi membri dell’Unione. Tornati alla casa comune europea dopo una lunga parentesi, Slovenia, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Lettonia, Malta, Cipro hanno portato in dote 738 mila km” (quasi la metà appartengono alla Polonia), 75 milioni di persone e pure una cinquantina di parchi nazionali, alcuni dei quali (come Sumava, Hortobagy, Bialowieza, Triglav) proteggono ambienti assoluti protagonisti della natura d’Europa. Con il loro arrivo tornano sotto i riflettori le aree protette selvagge e spopolate dell’Europa centrale e orientale. “C’è la possibilità che trovi meno spazio e ascolto, ha detto a Riomaggiore il presidente di Federparchi Matteo Fusilli, anche il nostro modo di intendere la funzione e la gestione delle aree protette.
Quale modello di parco avrà più possibilità di successo tra le mille pieghe della politica comunitaria?” La mia impressione è che già prima dell’allargamento le aree protette europee erano profondamente differenziate, risponde Roberto Gambino, docente di urbanistica al Politecnico di Torino, “e certo adesso quella caratteristica si è accentuata”.
Il problema attuale è allora costruire un sistema coeso a partire da questa consapevolezza e non piuttosto negandola, centrando la nostra attenzione non tanto e non solo sui parchi ma sulle forme di protezione esterna e di gestione più complessiva del territorio.
Sull’ingresso dei dieci nuovi Paesi relazioni e comunicati si sono susseguiti, riportando la soddisfazione per il significato storico dell’operazione ma senza nascondersene i rischi.
A suscitare i timori maggiori è la modernizzazione dell’agricoltura, generalmente ancora arretrata nei Paesi dell’ex blocco sovietico, con l’utilizzo di pochi fertilizzanti e fitofarmaci, bassa produttività e grande varietà di specie vegetali e animali.
Sull’ultimo notiziario del Rofe, l’Ufficio regionale per l’Europa dell’Iucn, si esprime così Hartmut Vogtmann, presidente dell’Agenzia tedesca per la conservazione della natura: “l’Ue è un enigma per quelli cui sta a cuore l’ambiente. Può vantare alcune delle legislazioni ambientali più progredite al mondo, tuttavia le sue politiche protezioniste su agricoltura e commercio - e segnatamente la Pac, Politica agricola comunitaria - hanno causato danni sostanziali all’ambiente europeo e globale.”
Se la Pac fosse applicata nelle aree rurali del Centro Europa senza una considerazione speciale alla sua ricca biodiversità, aggiunge, “le conseguenze sarebbero disastrose”.
E valutazioni analoghe sono contenute in uno dei più recenti rapporti dell’Eea, l’Agenzia europea dell’ambiente, dal titolo Agricoltura e ambiente nei paesi in via di adesione all’Ue.
Sull’allargamento visto dall’ottica delle aree protette il dossier più completo, documentato e aggiornato l’ha forse prodotto il Wwf internazionale nel giugno scorso.
È centrato in particolare su Natura 2000 e su come i nuovi arrivati stanno adeguandosi alle direttive comunitarie sottese alla costruzione della Rete.
Aldilà dei singoli rapporti nazionali, ricchi di dati e punti d’interesse, colpiscono i commenti di sintesi su due temi-chiave come l’integrazione nelle politiche settoriali e i percorsi di selezione dei siti.
Su quest’ultimo aspetto, i problemi incontrati nell’Unione allargata ricalcano quasi fedelmente le difficoltà riscontrate nei Paesi “vecchi”.
Illuminanti gli esempi citati nel rapporto.
A Cipro la lista iniziale dei siti, identificata grazie a un apposito Life e che interessava il 26% del territorio isolano, si è ridotta al 14% dopo l’intervento di vari ministri.
In Polonia, la lista pubblicata appena nel maggio 2003 comprendeva circa il 18% del territorio nazionale: oggi è stata dimezzata per non allentare, tra l’altro, il controllo dei corsi d’acqua da parte delle autorità di bacino.
E a restare fuori sono stati tre dei cinque siti dove sopravvive il rarissimo bisonte europeo, per fare un esempio, o dove resistono le principali popolazioni nazionali di lupo e orso. Ancora, in Estonia, il ministero dell’Ambiente ha deciso di designare siti solo con il consenso dei proprietari dei terreni. Quanto alla mancata integrazione della rete con gli interventi programmati sul territorio, gli allarmi del Wwf non sono meno circostanziati e urgenti e riguardano innanzitutto, tanto per cambiare, i trasporti.
Si va da un’autostrada progettata tra le magiche paludi polacche del parco nazionale del fiume Biebrza al ponte che in Estonia dovrebbe collegare, tagliando un’area costiera prediletta dall’avifauna artica e dalle foche, la terraferma all’isola di Saaremaa.
Ma il dato più preoccupante è che molti di questi progetti, dall’impatto ambientale devastante, attendono di ricevere significativi finanziamenti dai fondi strutturali e di coesione targati Ue oppure dalla Banca europea per gli investimenti.
Contraddizioni che ricordano noti casi di casa nostra.
Uno per tutti, quello delle steppe pedegarganiche: un insieme di interventi tra cui allargamenti di strade e costruzione di capannoni in piena Zps (e pure in un parco nazionale), previsto dal contratto d’area di Manfredonia e parzialmente finanziato con fondi comunitari. Solo nel marzo scorso, la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione: gli anni trascorsi dalla denuncia (della Lipu) sono però tre e molti interventi sono già attuati. Ancora Durban, raccomandazione 1.2: “integrare la pianificazione regionale e settoriale con quella delle aree protette”.
Ma a Bruxelles occorre che la mano destra sappia cosa fa la mano sinistra: ecco un primo e preciso terreno d’azione per il neonato Osservatorio di Federparchi, da affiancare alla stesura - quanto mai opportuna, per raccogliere documentazioni e divulgare esperienze - di un Libro Verde sulle aree protette europee.

Oltre i confini di Natura 2000
La Dg Ambiente a Bruxelles l’ha scritto a chiare lettere: “il 2004 si preannuncia come l’anno fondamentale per Natura 2000”.
Lo sarà per l’adozione degli elenchi di Sic di tutte le regioni biogeografiche, per il completamento di quelle già adottate ma ritenute insoddisfacenti, per il nuovo regolamento del Life: e, in termini più strettamente politici, per il rinnovo del Parlamento europeo e della Commissione con l’insediamento a novembre del successore di Margot Wallstrom.
Ma il 2004 è anche l’anno, forse, in cui appare evidente quanto vada stretta alla conservazione delle risorse ambientali d’Europa la sola Natura 2000. Sintetizza con efficacia Fusilli: “c’è una troppo grande contraddizione tra l’altezza degli obiettivi proclamati e la rinuncia ad utilizzare strumenti già pronti, come i parchi”.
Gli elenchi. In buon ritardo, nel dicembre scorso è giunta all’approvazione finale la prima lista dei Sic riguardante l’Italia e cioè quella relativa alla regione biogeografica alpina.
Dei 959 siti individuati, più della metà e cioè 452 sono nel nostro Paese dove - non tutti lo sanno - vi rientrano pure le aree appenniniche. Ma per la Commissione non è una lista definitiva, mancando all’appello numerosi siti sui quali ha richiamato i relativi Paesi.
Da noi gli habitat da coprire meglio, tra quelli indicati dalla direttiva 92/43/CEE, sono le "boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron hirsutum (Mugo-Rhodoretum hirsuti)" e le "torbiere di transizione e instabili". Quanto agli altri due elenchi relativi alle regioni continentale e mediterranea, qualche dubbio sul rispetto dei tempi in verità viene. Riguardo alla regione continentale, già a settembre dell’anno scorso la Commissione ha ricevuto l’elenco provvisorio di 537 siti. Quanto a quella mediterranea, a dicembre è stato predisposto un elenco provvisorio di 1290 siti che attende il vaglio definitivo. Scriviamo che è giugno ma non è ancora accaduto nulla, e dall’agenda dell’European Topic Centre - il centro di ricerca dell’Eea che lavora alle liste per conto della Commissione - saltano fuori solo due incontri bilaterali per discutere di Sic mediterranei, tra giugno e luglio, rispettivamente con Spagna e Francia.
Intanto a gennaio, dopo dodici anni, la Commissione ha prodotto la sua prima relazione sull’attuazione della direttiva Habitat. Sono una trentina di pagine dov’è inutile cercare quel che ci si attenderebbe e cioè “un quadro generale dei progressi complessivi verso l’attuazione della direttiva”.
Lo si apprende dalla relazione stessa: non c’è.
Non c’è per la procedura di presentazione dei dati, che prevede relazioni nazionali preliminari (purtroppo non comprese nel documento) assai eterogenee tra loro o addirittura informazioni sui singoli siti, senza quadri d’insieme. Ma non c’è anche perché, almeno in parte, non ci potrebbe essere. Quel po’ di bilancio tracciato nel rapporto parla di “notevoli progressi verso l’adempimento degli obblighi della direttiva, dal 1994 ad oggi, riguardo alla selezione dei siti seppure senza rispettare il calendario previsto. Quanto al resto e cioè sorveglianza, monitoraggio sullo stato di conservazione, adozione di piani di gestione, i progressi” sono stati estremamente scarsi. Le cose vanno un po’ meglio per i soli siti inclusi in aree protette già esistenti (che in Italia sono un po’ meno della metà). “Ad oltre un decennio dall’entrata in vigore della direttiva, commenta Renzo Moschini, coordinatore del gruppo di lavoro sull’Europa di Federparchi,” la Commissione insomma riconosce che nei parchi «ci si sta meglio». Aldilà delle battute, ciò conferma la bontà della nostra iniziativa per vedere riconosciuti alle aree protette riferimenti sempre più espliciti e diretti nelle politiche comunitarie.
L’attuazione di Natura 2000 è rallentata poi anche sul fronte, apparentemente meno accidentato, delle Zps.
“La rete è indietro anche perché abbiamo avuto paura a istituire Zps e Sic” l’ha detto al convegno di Riomaggiore il direttore del ministero, Aldo Cosentino. Eccome se è indietro. Nella maggioranza delle regioni italiane la superficie ancora da designare come Zps supera quella già designata - secondo l’elenco Iba redatto da BirdLife, lo ricordiamo - e in un caso la percentuale di Zps sul totale previsto è a una cifra: il 2%, e riguarda la Sardegna. Tra le poche Regioni che da febbraio a oggi si sono messe in regole ci sono il Veneto e l’Emilia-Romagna. “Noi abbiamo anche approvato una legge che assegna alla Regione il compito di emanare direttive e indirizzi di gestione di Sic e Zps, dice il responsabile parchi dell’Emilia-Romagna Enzo Valbonesi”. Inevitabile, da Bruxelles, è arrivata all’Italia la richiesta di istituire altre Zps pena una nuova denuncia entro la fine dell’anno di fronte alla Corte di giustizia europea.
Che potrebbe portare a una condanna e a una conseguente multa, ipotizza la Commissione, dell’ordine di almeno 100.000 euro al giorno e da attuarsi mediante tagli ai finanziamenti comunitari.”
In riferimento a ciò, precisa una circolare ministeriale dello scorso febbraio, “alle Regioni inadempienti potrà essere applicato il principio di sussidiarietà.” Proprio alla rete delle Zps e ai venticinque anni della direttiva Uccelli - di fatto, il primo strumento giuridico a livello dell’Unione europea nel campo della conservazione della natura - ha dedicato un convegno la Lipu, nello scorso maggio. “Quasi 28 milioni di ettari, più dell’8% del territorio dell’Ue, ha relazionato Joaquim Capitão della Dg Ambiente,” sono stati designati come Zps. Che al convegno di Parma ha pure sottolineato il progresso recente forse più importante sul fronte comunitario e cioè la riforma della politica agricola: “con la tendenza a separare le sovvenzioni agricole dalla produzione, ridurrà gli incentivi all’intensificazione ed avrà dunque un impatto positivo sullo stato di conservazione degli uccelli che utilizzano i terreni agricoli, ossia quelli che hanno più sofferto l’impatto delle attività umane negli ultimi decenni.
E le risorse finanziarie destinate all’agricoltura, è bene ricordarlo, rivestono oltre il 50% del totale comunitario.
Il paragone con le somme a disposizione del principale strumento finanziario di Natura 2000, cioè il Life, naturalmente non si pone. Non solo riguardo agli ultimi stanziamenti: quelli a disposizione di Life Natura III, tra il 2000 e il 2004, sono stati pari a 300 milioni di euro.
0Ma neppure in confronto ai finanziamenti necessari alla gestione della rete per il prossimo decennio, stimati dalla Commissione miliardi di euro.
La ricetta futura per la Ce si chiama allora cofinanziamento, da parte degli Stati e da parte di altri fondi Ue. Riguardo alle fonti nazionali si spazia dai ben 10 milioni di euro a Natura 2000 erogati nel solo 2001 dalla Regione Vallona (Belgio) ai bilanci ben più striminziti (600 mila euro annui) assegnati alla conservazione della natura in Regioni come l’Estremadura e l’Andalusia, in Spagna, tra l’altro tra le più ricche di biodiversità nel continente.
In alcuni Stati come la Finlandia, la Francia, la Germania, la Grecia, sono stati effettuati studi preliminari sul costo delle reti nazionali di siti, che è difficile pensare non avrà conseguenze sui finanziamenti complessivi destinati alle aree protette.
Quanto agli altri fondi europei, gli Stati hanno fatto ricorso a diverse fonti di finanziamento, come il Feoga (Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia), l’Interreg, il Leader. “È importante notare, sottolinea la Commissione nel suo già citato rapporto,” che la recente riforma della politica agricola comune ha notevolmente rafforzato il ruolo del Feoga nel finanziamento di Natura 2000, facendo specifico riferimento all’articolo 16 (&Mac183;) nonché menzionando espressamente la compatibilità reciproca con le direttive Habitat e Uccelli.
Nel novembre scorso, la Commissione guidata da Romano Prodi ha presentato al Parlamento una proposta di nuovo regolamento del Life, che sostanzialmente ne proroga la scadenza dal 31 gennaio 2004 fino al 31 dicembre 2006 e cioè alla fine del corrente ciclo finanziario.
In prima lettura la commissione Ambiente ha approvato la proposta a marzo, con alcuni emendamenti, e l’ha trasmessa al Consiglio e alla Commissione per l’approvazione definitiva. Tra Strasburgo e Bruxelles, se ne occuperanno i nuovi inquilini.

LE AREE PROTETTE DEI PAESI DEL MEDITERRANEO

Paese


Gibilterra
Spagna
Francia
Principato di Monaco
Italia
Malta
Slovenia
Croazia
Bosnia-Herzegovina
Serbia-Montenegro
Albania
Grecia
Turchia
Cipro
Marocco
Algeria
Tunisia
Libia
Egitto
Palestina
Israele
Libano
Siria
parchi
(nazionali+regionali)


-
13+125
7+44
-
23+105
-
1+3
8+10
2+2
10+15
12
12
27+8
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5
10
8
4
3
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70*
2
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Fonte: aggiornamento da United Nations List of Protected Areas, Wcm-Iucn, 2003
* I parchi nazionali in Israele, quasi tutti di ridottissima estensione, sono di categoria Iucn III &Mac246; Monumenti naturali

di Giulio Ielardi