Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 42 - GIUGNO 2004

 



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AREE MARINE: BASTA CON LA GESTIONE SEPARATA

La Federazione dei parchi avvia un dibattito

La Federparchi promuoverà una iniziativa nazionale sulle aree protette marine. È una buona notizia ed è anche importante. È la prima volta, infatti, che l’associazione dei parchi alla quale aderiscono ora anche le aree marine si misurerà direttamente e - diciamo così - in ‘proprio’ con questa realtà. Non si parte naturalmente da zero perché con CIP (coste italiane protette) la Federparchi, il parco del Conero e il Coordinamento marchigiano d’intesa con la Regione Marche da alcuni anni si occupano della gestione integrata delle coste e del ruolo che possono e debbono giocare le aree protette marino-costiere.
Si è trattato di una lavoro importante coerente con gli indirizzi della Unione Europea volti a promuovere una gestione integrata delle politiche costiere da parte dei paesi comunitari come hanno confermato anche recenti e importanti documenti. L’impegno di CIP ha avuto significativi riconoscimenti anche in sedi ufficiali sebbene agli attestati non abbia corrisposto finora purtroppo alcun riscontro concreto.
E tuttavia quel che negli anni è stato realizzato - e mi riferisco in particolare ad alcuni contributi specialmente di carattere istituzionale sulla gestione delle aree marine - non potranno non costituire un valido punto di partenza per il lavoro avviato in vista di un appuntamento che segnerà - ne siamo certi - un momento di grande spessore nella iniziativa e nella elaborazione della federparchi.
Va detto subito che la situazione estremamente critica - di vero impasse - del sistema delle aree protette marine conferma e dà ragione alle analisi che in questi anni hanno fatto da filo conduttore dell’impegno di CIP e cioè che la gestione di fatto ‘separata’ di questo comparto gli ha impedito di decollare e di consolidarsi come è avvenuto invece a terra.
E ciò nonostante che le aree marine protette - è bene ricordarlo sempre - avessero alle spalle una legge nazionale approvata ben 9 anni prima della legge 394. Ecco perché è da qui che bisogna finalmente e una buona volta partire se non vogliamo girare intorno al lume alla ricerca di spiegazioni assolutamente incongrue e chiaramente pretestuose.
È innegabile infatti che le aree marine protette presentino delle specificità che possono rendere per taluni versi la istituzione e gestione di un parco marino più complessa se non altro per quella atavica separatezza con cui lo stato a gestito il mare.
E tuttavia proprio dinanzi alla ostinata volontà di tenere separate le aree marine dalle altre come ribadì anche una legge assai recente; la 426, avvalendosi assurdamente di norme chiaramente superate in materia quali quelle della legge sul mare ed in particolare le Commissioni di riserva che operano anche quando l’area marina è affidata ad un parco è indispensabile finalmente tagliare i ponti con il passato.
E per poterlo fare e non per finta bisogna innanzitutto fare chiarezza sul significato di una formula vaga e onnicomprensiva di area protetta marina.
A nessuno verrebbe in mente e soprattutto di servirsi di questa stessa vaga formula per le aree protette terrestri non a caso classificate dalla legge in parchi nazionali, regionali, riserve statali, regionali e di ‘altro’ tipo. Invece per quelle marine si vorrebbe continuare in questa manfrina di mettere nello stesso sacco un’area di pochi ettari e una di massicce dimensioni, di considerare alla stessa stregua un’area contigua ad una parco ( non importa se nazionale o regionale perché la legge al riguardo malgrado le arzigogolazioni ministeriali recenti e passate non fa alcuna differenza) e una che non vi confina.
Come ha dimostrato lo stesso studio ufficiale del Ministro dell’Ambiente sulla classificazione è da qui che bisogna partire se si vuole finalmente uscire dall’attuale stato confusionale. E bisogna farlo dicendo chiaramente –senza se senza ma- che le aree marine contigue ad un parco costiero debbono essere gestite dal parco. È ovvio che come già avviene per tutti i parchi con spiccate peculiarità territoriali e ambientali si dovrà tenerne conto negli assetti gestionali e amministrativi dotando questi parchi delle competenze necessarie ed anche delle ‘rappresentanze’ sociali opportune; penso naturalmente alle associazioni dei pescatori il che vale anche per altri; ad esempio gli agricoltori. Fatta questa preliminare e pregiudiziale scelta senza la quale continueremo – come avviene puntualmente da oltre 20 anni- a girare intorno al problema accampando patetiche scuse sul perché le cose non vanno, va altrettanto nettamente risolto il nodo della gestione.
La situazione sotto questo profilo si presenta - se possibile- in maniera ancor più sconcertante. Abbiamo già fatto cenno ma è bene tornarci sopra alla assurda duplicazione degli organi di gestione all’interno della stessa area protetta quando ad un parco nazionale ( vedi le Cinque terre) viene affidata la gestione di un’area marina. All’ente gestore si affianca - forse in omaggio ai nuovi principi di semplificazione e risparmio - la Commissione di riserva con un suo presidente, un suo direttore e un suo bilancio. Insomma l’ente gestore può far fronte magari ad un territorio di decine di migliaia di ettari ma non a poche migliaia di ettari di mare.
Nessuno ha mai tentato per la verità - l’impresa sarebbe d’altronde improba- di spiegare, motivare razionalmente questa assurdità. Si è confidato - e dobbiamo dire finora con discreto successo - nel silenzio, nel fare le cose alla chetichella. Le cronache di stampa sono notoriamente piene di polemiche su presidenti o rappresentanti di questa o quella associazione o partito. Raramente però alla ribalta troviamo le commissioni di riserva. C’è una particolare cura a tenere tutto sotto controllo, ad agire in maniera felpata per evitare il più possibile che si possano scoprire altarini tanto scomodi. Ma bisognerà dire una buona volta che anche la più piccola riserva marina a cui lo stato da qualche anno non dà una lira per il personale (con l’eccezione del direttore) è gestita da un ente, da una Commissione di riserva e facoltativamente anche da un Comitato scientifico. Un vero ballo sul mattone.
A tanto affollamento però stranamente non corrisponde quel coinvolgimento istituzionale che caratterizza positivamente la gestione dei parchi terrestri. Chi scorra l’elenco degli enti di questi ultimi vi troverà sia che si tratti di parchi nazionali ma anche di parchi regionali pur regolati da leggi distinte una sostanziale omogeneità di cui fa testo la Comunità del parco in cui sono rappresentate tutte le istituzioni. Per le aree protette marine chi scorrerà l’elenco vi troverà un menù assolutamente variato. Scoprirà così che l’area marina di Capo Rizzuto è gestita dalla Provincia ma questo ente non lo ritroverà in nessun altra area marina. Inutile dire che nessuno si è mai preso la briga di dare uno straccio di spiegazione riguardo a queste stranezze. Se la provincia va bene a Capo Rizzuto specie oggi che questi enti hanno in base alla legge importanti competenze di area vasta anche in materia ambientale si potrebbe sapere perché non vanno bene altrove dove sono regolarmente escluse? Ovviamente le ragioni anche se ben celate perché impresentabili, ci sono e sono meno misteriose di quanto si potrebbe pensare. La ragione principale e antica è che il ministero intende gestire in proprio, dal ministero le riserve con i suoi rappresentanti della Commissione di riserva che a differenza di quelli dei parchi nazionali e regionali non debbono così essere ‘concordati’ in leale collaborazione. Avendo inoltre stabilito per legge che i soldi per il personale delle riserve - che riguardano generalmente comuni piccoli e piccolissimi - si danno soltanto in casi straordinari e a discrezione del ministero, si costringeranno quegli amministratori a presentarsi con il cappello in mano -secondo una antica ma sempre valida immagine del centralismo statale- per elemosinare qualcosa.
Che poi questa rovinosa e arrogante gestione burocratica sia spesso infarcita di chiacchere sul ruolo preminente delle comunità locali aggiunge semplicemente al danno la beffa. Ecco dunque l’altro indispensabile e urgente nodo da sciogliere; le aree protette marine non sono un residuo giocattolo rimasto nelle mani di un ministero nostalgico del passato, ma un comparto del sistema generale delle aree protette che deve essere gestito secondo i principi, gli indirizzi, i criteri e le regole di tutte le atre aree protette. E non vale neppure come utlima tule l’argomento che il mare è competenza esclusiva dello stato (perché la legge quadro non esclude che anche le regioni possano istituire su tratti prospicenti la costa proprie aree marine), ma soprattutto in ragione del fatto che pur avendo la modifica del titolo V della Costituzione stabilito la competenza ‘esclusiva’ dello stato in materia di protezione degli ecosistemi e quindi dei parchi ciò non esclude - come ha riaffermato la Corte pronunciandosi in materia ambientale - un ruolo delle regioni e delle autonomie per l’intersecarsi di molteplici competenze non riconducibili ad un unico livello istituzionale. Non ci vuol molto a capire che una efficace e valida gestione marina presuppone e richiede una altrettanto efficace e incisiva gestione a ‘terra’ dove non solo lo stato ha precise e rilevanti competenze.
Il coinvolgimento dunque di tutti i livelli istituzionali anche nella gestione delle aree marine protette non risponde semplicemente alla esigenza di rispettare un ‘modello’ quanto di rendere efficaci gli interventi cosa che finora non è invece avvenuta. Non si tratta insomma di inseguire o rendere omaggio ad astratti ‘modelli’ di gestione ma di uscire finalmente da una situazione di crisi perché di questo si tratta. Una crisi che sta paralizzando anche le aree marine istituite come confermano tutta una serie anche di vicende recenti e che sta mettendo in difficoltà anche grandi parchi nazionali ai quali non si vorrebbe dare in gestione le istituende aree marine. È chiaro che ci sono anche molti altri aspetti e problemi che andranno affrontati e risolti ma se non si scioglieranno questi pochi fondamentali nodi continueremo a ciurlare nel manico alla ricerca - persino penosa- di colpe e responsabilità che non è molto difficile individuare e neppure risolvere se ci sarà la volontà politica.
Quando vediamo il ministero tentare di gestire direttamente questo comparto traballante, riunendo le aree marine al di fuori di qualsiasi rapporto con le istituzioni locali e regionali e senza coinvolgere i parchi terrestri, quasi si trattasse di una compagnia di giro privata cadono le braccia tanta è la velleità e inconcludenza di questo modo operare.
L’appuntamento di Federparchi ha l’obiettivo primario di mettere sul tavolo i problemi veri formulando precise proposte al riguardo. Se si metterà mai mano alla ‘delega’ sui nuovi testi unici o se andrà avanti una discussione in Parlamento magari partendo da provvedimenti sulla pesca che riguarderà anche le aree protette marine noi vorremmo poter dire la nsotra prima che si facciano altri danni.

Osservatorio Istituzionale di Renzo Moschini