La Federazione italiana dei parchi e delle riserve naturali segue da tempo e con grande interesse le iniziative della Federazione francese, con la quale esistono ormai rapporti costanti e utili, molto promettenti anche per il futuro. Il tema del posizionamento tra le politiche dello Stato e dell'Unione europea è da ritenere centrale per la vita delle aree naturali protette italiane. I dati qualitativi e quantitativi dei parchi e delle riserve terrestri e marine sono infatti tali da rendere, praticamente inevitabili e dirette, le influenze reciproche tra le politiche generali, nazionali e sovranazionali, e quelle specifiche per i parchi. Alcuni dati sintetici possono dare l'idea della importanza e della complessità del Sistema nazionale. Il territorio protetto dai ventitre parchi nazionali e dai centotrenta regionali è di circa tre milioni di ettari, intorno al 10% della superficie nazionale. I parchi istituiti dallo Stato o dalle regioni non presentano forti differenze strutturali e risultano in generale molto simili in quanto a scopi, caratteristiche ambientali, modalità di funzionamento, livello di antropizzazione. Con le riserve naturali, statali e regionali, terrestri e marine si raggiunge il 12% del territorio. Con centinaia di siti "Natura 2000" esterni ai parchi la percentuale arriva a sfiorare il 20%. Degli ottomila comuni italiani, oltre 2600 sono interessati alla vita delle aree naturali protette. Circa sei milioni di abitanti sono a contatto diretto con il funzionamento dei parchi e le loro attività economiche e sociali sono in qualche modo influenzate dalla loro esistenza. Naturalmente, risultano assai più direttamente coinvolte le popolazioni dei piccoli centri, delle zone interne e marginali, depositarie peraltro di antiche storie, culture e tradizioni. Per testimoniare di queste storie, che hanno avuto profonde conseguenze sull'assetto ambientale e sulla formazione dei paesaggi - consegnandoci le tante "Italie" conosciute nel mondo - basterà citare i millesettecento centri storici, i duecentosettanta castelli-rocche-fortificazioni, le centottantanove aree archeologiche, i duecentonovantuno santuari- monasteri-chiese rurali, le settantatre ville storiche recentemente catalogate nei soli parchi nazionali. Le cifre relative alla straordinaria ricchezza della biodiversità - 57.000 specie animali, di cui 1.254 vertebrati, 5.600 specie vegetali (la metà di quelle del continente) - evidenziano poi l'aspetto più conosciuto, costituendo la sua salvaguardia la missione di base dei parchi. Tutto ciò rappresenta un insieme complesso e imponente, le cui attività sono ormai oggetto dell'attenzione e dell'interesse di un altissimo numero di persone, di soggetti istituzionali, di centri scientifici, di associazioni, di amministrazioni e imprese. I parchi possono perciò essere pensati non come la somma di singole esperienze, per quanto importanti, ma come nodi centrali di una nervatura infrastrutturale verde diffusa nell'intero Paese, dalla quale partire per realizzare interventi capaci di modificare, nel tempo, il rapporto della società con il territorio e l'ambiente. Di qui dunque la centralità del tema del posizionamento nelle politiche nazionali e europee. Si comprende bene come sia auspicabile saper utilizzare a livello nazionale le notevoli potenzialità di una rete di queste dimensioni per l'applicazione di misure di salvaguardia della biodiversità, di gestione del territorio, di controllo del suolo e di difesa dai rischi di mutamenti climatici; ma anche per obiettivi di qualificazione e incremento di una occupazione stabile e remunerativa in campi strategici come quelli del turismo moderno e alternativo, dell'agricoltura di qualità e dell'artigiano artistico e per lo sviluppo di un sistema basato sulla qualità del vivere. Si può così comprendere come un efficace posizionamento corrisponda a una esigenza vitale per le aree naturali protette e per le aspettative alimentate dal processo della loro istituzione. Un processo difficile, compiutosi negli ultimi quindici/venti anni grazie a un consenso diffuso maturato tra le popolazioni e che ha coinvolto comunità scientifiche, amministrazioni locali, associazioni, categorie economiche e professionali. Con un pò di enfasi si può individuare in questo processo la prima e forse unica risposta di carattere nazionale a un modello di sviluppo distruttivo che aveva prodotto l'abbandono di vaste aree di montagna e collinari e minacciato di modificare in modo irreversibile le stesse condizioni fisiche della penisola. E anche uno dei pochi tentativi riusciti di modernizzare l'organizzazione di gestione amministrativa del territorio. Sono quindi facilmente immaginabili le gravi conseguenze che potrebbero derivare dalla mancata risposta a speranze e bisogni di tanta parte della popolazione. Il consenso potrebbe affievolirsi, l'entusiasmo e l'identificazione venire meno, spegnersi l'inventiva e la capacità di innovazione che hanno già portato a risultati importanti, come la nascita della Federazione dei parchi e delle riserve naturali e la conseguente ideazione di "programmi di sistema". Oggi siamo però in una situazione assai delicata. Le risposte tardano a venire e, purtroppo, in alcuni casi sono addirittura contrarie agli interessi delle aree naturali protette. A rendere ancor più delicata e particolare la situazione è la condizione di forte autonomia regionale che caratterizza la organizzazione statuale italiana. Settori fondamentali per il funzionamento dei parchi - come la gestione del territorio e la difesa del suolo, la pianificazione, l'artigianato, l'agricoltura e le foreste, il turismo - sono ormai di esclusiva competenza regionale. Questo non è naturalmente dannoso in sé: in altri periodi, anzi, grazie al protagonismo delle regioni, è stato possibile dare un forte impulso alla politica delle aree protette. La situazione può però essere positiva e produttiva solo se affrontata con una strettissima collaborazione tra le regioni e tra queste e lo Stato. Infatti, la Costituzione e la stessa Corte Costituzionale indicano proprio nella "concertazione" e nella "leale collaborazione" tra soggetti istituzionali la via maestra. E tuttavia, il Piano nazionale pluriennale per le aree protette è stato cancellato e non esiste dunque da anni alcuno strumento che obblighi a una programmazione unitaria. "Accordi di Programma" in tema di parchi regionali sono stati sottoscritti tra lo Stato e singole regioni, ma stentano a funzionare. I Piani territoriali di molti parchi nazionali attendono da tempo di essere approvati dalle regioni. La prevista concertazione tra Stato e regioni per la nomina dei responsabili dei parchi nazionali suscita, spesso, polemiche e contrasti. Infine, il "Tavolo tecnico nazionale per le aree protette" - istituito grazie al deciso impegno della Federazione, e che prevede la presenza di Stato, regioni, enti locali e parchi in un comitato di lavoro comune -, non riesce ad attivarsi. La legge quadro sulle aree protette resta inapplicata in alcune importanti parti, tra le quali il trasferimento delle riserve naturali dello Stato agli enti parco. I finanziamenti ordinari dei parchi nazionali diminuiscono mentre sono scomparse le risorse per i programmi di investimento. L'atteggiamento di molte regioni nei riguardi dei parchi non è propriamente positivo. Ci sono resistenze notevoli nel far considerare adeguatamente le aree protette nelle scelte economiche, sociali e territoriali. Anche in campi in cui il rapporto risulta strettissimo con la vita e il funzionamento dei parchi, come quello dell'agricoltura, della forestazione e dell'artigianato, il ruolo delle aree protette deve essere continuamente rivendicato. Solo raramente, ad esempio, i "Piani di sviluppo rurale" fanno riferimento alla funzione e agli obiettivi dei parchi e prevedono per essi un ruolo adeguato. Non mancano per fortuna le eccezioni, anche di rilievo. In alcune regioni, destinatarie di fondi strutturali europei dell'obiettivo 1 - come la Campania e la Sicilia - i parchi sono stati individuati come enti capofila per progetti di vastissima portata capaci di mettere in sinergia forze economiche e sociali, enti territoriali e amministrazioni pubbliche per il perseguimento di obiettivi comuni. Si tratta comunque di eccezioni. Tale pratica dovrebbe diventare ordinaria e le politiche per i parchi dovrebbero essere integrate nella programmazione regionale, statale ed europea. Non che non siano necessari programmi specifici per i parchi i quali, specialmente per la difesa della biodiversità e delle specie a rischio, per l'accessibilità, per la gestione dei marchi, il turismo sostenibile e la promozione dovrebbero anzi essere molto meglio organizzati e sostenuti. Ma ciò che può cambiare la natura del rapporto dell'organizzazione amministrativa con i parchi, il loro ruolo all'interno delle politiche nazionali e regionali, è appunto l'integrazione, raggiungibile solo con la loro presenza ai tavoli e nelle sedi in cui si discutono e si decidono gli indirizzi generali, i programmi complessivi, gli investimenti importanti. Alla luce di questa impostazione si può comprendere meglio il ruolo che la Federazione italiana dei parchi sta assumendo. Un ruolo primario di rappresentanza unitaria e autonoma degli interessi dei parchi, un ruolo di proposta e di pressione per il raggiungimento di obiettivi generali. In assenza di sedi di concertazione, la Federazione ha rappresentato infatti il luogo in cui sono state ideate e proposte le politiche unitarie e di integrazione, elaborando i diversi "programmi di sistema", diretti ad affrontare in modo complessivo le questioni ambientali e territoriali dei principali ambiti geografici del paese (la catena dell'Appennino, le Alpi, le Coste, il Bacino del Po), partendo dalla visione d'insieme del gran numero di aree naturali protette presenti e per mettere a frutto le risorse fisiche, ambientali e culturali disponibili in una prospettiva locale, nazionale ed europea. Si tratta di proposte importanti e moderne che pongono al centro dell'attenzione non il soggetto istituzionale isolato, ma il territorio nella sua totalità e nella sua complessità, che hanno suscitato interesse e partecipazione e che stanno stimolando in modo del tutto positivo la voglia di esserci da parte di istituzioni e cittadini. U n contributo determinante per compiere decisivi passi avanti può e deve venire dall'Unione Europea, poiché soltanto l'impostazione strategica delle politiche europee potrà spingere in questa direzione. Del resto i problemi italiani sono quelli di ciascun Paese e dell'Unione nel suo insieme. Oggi l'Europa non è solo una grande potenza economica, il terzo gigante demografico, la settima entità politica per estensione territoriale, con i suoi quattro milioni di chilometri quadrati. Essa è anche la comunità con la maggiore concentrazione di territori protetti di tutto il pianeta. Un censimento del 1999 nelle 25 nazioni registra oltre 27.000 aree protette - di cui più di 600 parchi e circa 15.000 riserve naturali - per una superficie di 64 milioni di ettari, pari al 16,2 per cento del territorio dell'Unione. Una realtà colossale. Volendola considerare come braccio operativo, finalizzato alla attuazione di programmi unitari, essa costituisce uno strumento formidabile per l'applicazione delle politiche di gestione del territorio con criteri di sostenibilità, di conservazione della biodiversità, di perpetuazione dei paesaggi tipici, di efficienza nella protezione civile, di sviluppo locale duraturo. Si tratta di uno strumento che non è da inventare, da costruire, da accompagnare all'avviamento. È il frutto dell'impegno degli Stati membri, è conosciuto e apprezzato dalle popolazioni e ha già accumulato grandi quantità di conoscenze ed esperienze. Ha sviluppato relazioni e cooperazioni transfrontaliere, sovranazionali, internazionali, dimostrando di poter contribuire all'applicazione di misure comunitarie che pure non erano state concepite per i parchi. Le decine di migliaia di amministratori e tecnici che sono impegnati nella gestione di questa rete di strutture, così come le altre migliaia di generosi volontari che ne sostengono l'attività e di studiosi che collaborano a indirizzarne gli sforzi, hanno per natura un orizzonte comunitario. La loro consapevolezza è quella di chi sa che il proprio lavoro ha un senso se può collegarsi a quello di altri nella propria regione, nella propria nazione, nel continente, nel mondo. Che potrà avere e assicurare un futuro se sarà parte integrante dei grandi programmi adottati dai vertici internazionali. Occorre lavorare perché questa consapevolezza si diffonda alle sedi comunitarie e si traduca in provvedimenti, misure, direttive, finanziamenti. Due possono essere considerati, in concreto, gli obiettivi fondamentali. Il primo è quello di ottenere per i parchi europei la considerazione di spazi privilegiati, per la sperimentazione di politiche territoriali innovative e socio-economiche di sviluppo sostenibile, nell'ambito dei programmi strutturali. Il secondo è quello di conquistare misure specifiche per il sostegno della missione propria dei parchi nel campo della conservazione, per l'applicazione efficace da parte dell'UE degli impegni assunti in alte sedi internazionali come la Convenzione sulla Diversità Biologica, la Convenzione sulle Specie Migratorie della Fauna Selvatica, la Convenzione sul Patrimonio Mondiale Naturale e Culturale, la Convenzione sulle Zone Umide d'importanza internazionale. In sintesi, si potrebbe dire che il futuro adeguato dei parchi, nell'ambito delle politiche dell'Unione successive al 2006, dovrebbe risiedere in una sorta di "status" paragonabile a quello delle attuali "aree obiettivo 1", dove i requisiti essenziali consistono nella combinazione di interventi di conservazione degli ambienti, degli habitat e dei paesaggi tipici e di interventi di sviluppo economico sostenibile. Ciò risponderebbe in definitiva a un convergenza che emerge ormai evidente, nei diversi paesi europei, sulla necessità di un riorientamento politico-culturale derivante dal contributo della riflessione scientifica sugli stretti rapporti tra la diversificazione biologica e la diversificazione storica, economica, produttiva e culturale; tra le dinamiche ambientali e quelle sociali. Sul piano pratico, poi, esalterebbe anche la funzione di SIC e ZPS, oggi assai angusta e riduttiva, in quanto inquadrerebbe questi territori in una più vasta concezione della gestione ambientale compatibile. Sono certamente obiettivi di grande portata, che richiedono mobilitazione di forze consistenti e intelligenza nell'azione da svolgere nei confronti dei singoli Stati e delle istituzioni comunitarie, Commissione e Parlamento. Bisognerà essere pronti per essere tempestivamente presenti nei momenti e nei luoghi delle decisioni. Sarà dunque essenziale che nel mondo dei parchi si lavori di comune accordo, come si è iniziato a fare e come anche i sempre più frequenti incontri internazionali dimostrano. Si sta lavorando bene, le relazioni sono importanti, e sono importanti quelle che si stanno attivando sia a scala europea che mediterranea.
di Giuseppe Rossi (Direttore di Federparchi)
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