Ha da poco chiuso i battenti la massima assise dei conservazionisti e cioè il Congresso mondiale dell'Iucn, svoltosi a Bangkok in Thailandia dal 17 al 25 novembre. Un nuovo passo avanti nella grande sfida della tutela globale della biodiversità, per un ruolo rafforzato del Mediterraneo e verso il rinnovamento della stessa Unione mondiale per la conservazione. Con sorpresa finale: il ritrovato protagonismo dell'Italia.
Bangkok come Durban. Lo slogan del congresso mondiale dell'Iucn appena tenutosi nella capitale thailandese richiama il messaggio ultimo uscito dal congresso dei parchi dell'anno scorso, in Sudafrica. Lì era "Benefits beyond boundaries", qui è stato "People and Nature - only one world". Solo poche settimane prima, il premio Nobel per la Pace veniva assegnato all'ambientalista kenyota Waangari Maathai per il suo "approccio olistico allo sviluppo sostenibile che abbraccia democrazia e diritti umani": E sempre negli stessi giorni la Russia ratificava il Protocollo di Kyoto, dando finalmente il via al "maggiore passo in avanti nella politica e nella legislazione ambientale internazionale che il mondo abbia mai visto" (il giudizio è di Fulco Pratesi). Insomma il pianeta è uno, piccolo e abbastanza messo male. E la conservazione ai tempi della globalizzazione impone visioni appunto globali, capacità di governo delle questioni ambientali internazionali, integrazione con i problemi sociali. A metà del guado tra rete di ecoburocrati e autentica Onu della natura, l'Iucn a Bangkok ha lanciato la sua sfida soprattutto a sé stessa. Davanti ed insieme al mondo intero.
Un'associazione in continuo sviluppo Definito giustamente un ponte tra governi e NGO, scienza e società, azioni locali e politiche globali, l'Iucn - Unione internazionale per la conservazione della natura (da qui in avanti abbreviata in Unione, ndr) è un'organizzazione unica nel suo genere che ha il suo quartier generale a Gland, in Svizzera. Fu fondata nel 1948 a Fontainebleau, in Francia, in occasione di una conferenza internazionale cui partecipò tra gli altri Renzo Videsott, indimenticato direttore del parco del Gran Paradiso, che vi tenne una relazione sulla classificazione delle aree protette. Oggi vi aderiscono più di mille tra Stati, agenzie governative, NGO e affiliati vari a partire da numerosi parchi. È di novembre l'adesione dell'ottantesimo Stato membro, la repubblica islamica dell'Iran. Un arrivo importante ma che naturalmente non scalfisce il primato tutto europeo di quasi trecento membri, un terzo del totale, seguito dai circa centosettanta dell'America centrale e meridionale e dai centosessanta dell'Africa. In Italia i membri dell'Unione sono una ventina, e dal giugno 2004 le funzioni di segretariato del nostro Comitato nazionale sono svolte dalla Federparchi, a seguito del relativo incarico affidatole dalla direzione per la Protezione della natura del ministero. "Apriremo a breve un ufficio Rapporti internazionali", dice il direttore di Federparchi Giuseppe Rossi, "che dovrà seguire con particolare attenzione i rapporti con l'Iucn. Passato l'appuntamento di Bangkok intensificheremo le riunioni tra tutti i membri italiani (finora ce ne sono state tre presso il ministero dell'Ambiente, ndr), approfondiremo lo statuto della sezione italiana, avvieremo un programma di incontri ed eventi". Aggiunge Maurilio Cipparone, da più di dieci anni nell'Iucn e da cinque nel comitato esecutivo della Wcpa, la commissione Aree protette (fa parte anche della commissione Educazione e comunicazione): "nella prossima primavera, forse anche a Mediterre, come Iucn organizzeremo in Italia un seminario internazionale sulla gestione partecipativa nelle aree protette". Nella sua relazione al Congresso, il direttore generale dell'Iucn Achim Steiner ha ricostruito con numeri e tabelle l'identikit di un'associazione robusta e in continuo sviluppo. Raddoppiati in numero negli ultimi vent'anni, i 1035 membri appartenenti a 141 Paesi assicurano con le quote associative un apporto finanziario di 9,1 milioni di franchi svizzeri (pari a 6 milioni di euro). Ma nelle casse dell'Iucn oggi l'89% delle risorse arriva dalle donazioni, ed è significativo notare che tra le sei principali - frutto di veri e propri impegni sottoscritti e duraturi - ben quattro appartengono a Paesi dell'Europa settentrionale (Danimarca, Olanda, Norvegia e Svezia). A queste si aggiungono donazioni più o meno regolari da altre istituzioni o NGO, tra cui il nostro ministero degli Affari esteri e il Wwf Internazionale. Alle sei commissioni che da sempre ne rappresentano il motore strategico - dedicate a Educazione e Comunicazione (Cec), Politica ambientale, economica e sociale (Ceesp), Legislazione ambientale (Cel), Gestione degli ecosistemi (Cem), Sopravvivenza delle specie (Ssc) e Aree protette (Wcpa) - partecipano qualcosa come 11.158 tra ricercatori, esperti di gestione, economisti, uomini di legge, educatori dai quattro angoli del pianeta. Che lavorano tutti gratis. "Quando l'Unione fu fondata nel 1948", ricorda la presidente uscente Yolanda Kakabadse, "era un'idea audace di pionieri e volontari. Mezzo secolo dopo, la comunità dei conservazionisti è immensamente cresciuta ma il suo spirito di volontarismo è rimasto immutato". Gli uffici regionali sono nove, fra i quali almeno due interessano l'Italia: il Centro per la cooperazione mediterranea di Malaga, aperto nel 2001, e l'Ufficio regionale per l'Europa di Bruxelles, il ROfE, attivato nel 2002. Altre importanti sedi Iucn sono state inaugurate in Cina (2002) e in Giordania (2004). I comitati nazionali sono 60, compresi quelli recentemente aperti in Tanzania e in Mauritania. Nella strategia di comunicazione ha avuto un ruolo chiave - com'è lecito attendersi da un'organizzazione così decentrata - il web: a seguito di potenziamenti e innovazioni, i contatti sono passati dai 180.000 per mese del 2001 a 1.500.000 nel 2004. Le spese complessive ammontano a 96 milioni di franchi svizzeri (64 milioni di euro).
La conservazione e l'agenda politica mondiale Il più vasto momento di dibattito ambientale democratico mai organizzato. Così è stato definito il Congresso di Bangkok, dove governi e organizzazioni non governative si sono confrontati per discutere e stabilire le priorità planetarie della conservazione, dettare la linea politica dell'Iucn e rinnovarne la leadership. Avendo sempre a riferimento la scienza, o almeno provandoci. "Il Congresso gioca un ruolo unico per condurre l'attuale livello di conoscenza sulla biodiversità, gli ecosistemi e le specie, fino ai contesti decisionali delle nostre società", ci dice Steiner. Nella consapevolezza, certo, che in questo momento internazionale le priorità dell'agenda politica sono altre. "È vero", continua il direttore generale dell'Iucn, "ma quello uscito dal Congresso è un messaggio davvero forte: la biodiversità non può più essere considerata separatamente dalle grandi questioni politiche e socio-economiche come produttività, povertà, diritto alla salute. E ciò vuol dire maggiori risorse e volontà politica per la conservazione". Naturalmente, non tutti gli obiettivi dichiarati vengono centrati. Un sondaggio interno commissionato dopo il precedente congresso, tenutosi ad Amman (Giordania) nel 2000, ha evidenziato come per la maggior parte dei partecipanti il congresso rappresenti effettivamente un momento decisivo per la vita dell'organizzazione, per il rafforzamento della sua identità e per lo sviluppo della capacità a lavorare in rete. Meno positivo, al contrario, è risultato il giudizio sugli specifici obiettivi dei vari congressi e sulla loro reale capacità di indirizzare la politica futura dell'Iucn. A Bangkok il ministero dell'Ambiente italiano per la prima volta ha realizzato uno stand congiunto col ministero degli Affari esteri, direzione Cooperazione allo sviluppo. Inoltre, entrambi hanno contribuito fortemente in termini economici alla realizzazione del Congresso, per oltre 100.000 euro complessivi. I momenti in cui si è articolato l'evento sono stati tre, e cioè i meeting delle commissioni Iucn, il World Conservation Forum e l'Assemblea dei membri dell'Unione. Nel primo, cui sono state dedicate le prime tre giornate del congresso, le sei commissioni hanno tirato le somme delle rispettive attività dal precedente congresso di Amman e programmato il lavoro futuro. Così, la Cel ha discusso in particolare il recente lancio dell'Accademia delle Leggi Ambientali, che già mette in rete 45 università di altrettanti Paesi; la Wcpa, i risultati del congresso mondiale dei parchi del 2003 a Durban e una versione aggiornata del database sulle aree protette mondiali; la Ceesp, i lavori prodotti sul rapporto tra ambiente e aspetti socio-economici. E così via. Di particolare rilievo il report della Ssc, la Species Survival Commission guidata da David Brackett, vera enclave di biologi in seno all'Unione con ben ottomila collaborazioni (i tre quarti del totale). A sua volta suddiviso tra 120 Specialist Group e Task Forces, il lavoro della commissione ha prodotto tra l'altro una versione aggiornata della Iucn Red List e le Linee guida per la sua applicazione ai livelli regionali, pubblicate in tre lingue nel suo spazio web sul sito dell'organizzazione. Riguardo al World Conservation Forum, con più di trecentocinquanta sessioni, workshop ed eventi è stato il vero momento di approfondimento del Congresso, dove gli oltre 3200 delegati hanno esplorato e discusso le più rilevanti novità in materia di sviluppo sostenibile, suddivise secondo i quattro temi impostati. Il primo, dedicato alla Gestione degli ecosistemi, è stato l'argomento di casi-studio provenienti da tutto il mondo sul management di aree terrestri e marine, per evidenziare gli strumenti e i meccanismi più idonei all'uso sostenibile della biodiversità e alla produttività. Non solo discorsi ma esempi concreti: come le paludi del Nakivubo in Uganda le cui funzioni naturali di filtro consentono un risparmio in interventi di depurazione pari a 2 milioni di dollari all'anno; o come le foreste del Sekong in Laos, che producono cibo e altre risorse a beneficio dei residenti per un valore annuo di 525 dollari a capofamiglia, in una provincia dove il reddito medio è pari a 120 dollari all'anno. Il 20 mattina è stato il turno dell'Italia, con un workshop sulle montagne del Mediterraneo organizzato dalla direzione Protezione della natura del ministero dell'Ambiente e condotto da Luigi Boitani, dov'è intervenuta anche Federparchi: la sua finalità stava anche e soprattutto nel sostegno alla relativa mozione, presentata da Legambiente (vedi più avanti), per una futura Convenzione mediterranea sul modello di Ape. Tra gli altri workshop, da notare il 19 quello organizzato dalla DG Ambiente della Commissione europea su Natura 2000, con interventi sulla Green Belt e sulle aree protette di Ucraina ed Estonia e una relazione del ministro olandese dell'Ambiente. Il secondo tema del Forum è stato centrato su Salute, povertà e conservazione, cercando una risposta al dilemma di come le risorse naturali possano essere gestite e impiegate in modo sostenibile per alleviare la povertà. Tra i dati presentati ci sono quelli dell'Organizzazione mondiale della sanità sull'80% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo che dipende dai sistemi medicinali tradizionali, basati perlopiù sulle piante. O quelli della Fao, sul miliardo di persone in larga misura povere che vive entro i confini dei 19 hotspots forestali del pianeta, con meno di un dollaro al giorno. La stessa Thailandia, padrona di casa, secondo dati Onu su 62 milioni di abitanti ne possiede ben 8,2 in stato di povertà, che si nutrono in buona misura di 260 specie di piante, 130 varietà di pesce e 70 specie di riso selvatico. Naturalmente gettonatissimo, in workshop e tavole rotonde, il terzo tema del Forum dedicato a Perdita della biodiversità ed estinzione. Base di discussione è stata la Iucn Red List, col suo ultimo aggiornamento e soprattutto col più recente allarme rappresentato da uno studio internazionale sugli anfibi. La ricerca, frutto della collaborazione tra Iucn, Conservation International e NatureServe, ha visto più di 500 scienziati di 60 diversi Paesi stilare il rapporto più ampio mai realizzato sulle 5.743 specie di rane, rospi, salamandre e tritoni conosciute. Di queste, qualcosa come 1.856 specie sono ora considerate minacciate di estinzione e cioè il 32 % del totale, cui promettono di aggiungersi altre 1.300 specie su cui i dati raccolti - di uguale tenore - sono ritenuti ancora non completi. Per confronto, va ricordato che la Red List include come minacciati il 12 % degli uccelli e il 23 % dei mammiferi. Un SOS riferito in particolare alle foreste del centro e Sud America, dove sono concentrati gli anfibi minacciati. Ma che riguarda un po' ovunque lo status di conservazione di questa classe di vertebrati, generalmente trascurata non solo dai media ma pure dallo stesso mondo della ricerca. Tra l'altro, il Congresso è stato anche la vetrina per presentare i progressi nello Species Information Service (Sis): "è un servizio molto flessibile che consente a differenti scale (globale, regionale, nazionale e sub-nazionale) analisi approfondite sulle varie specie", dice Luigi Boitani, "a cui stiamo lavorando da molti anni, anche con un finanziamento del ministero dell'Ambiente italiano di circa 200.000 euro". In un altro seminario tecnico, Boitani ha presentato anche la via italiana di Ren per le reti ecologiche e l'uso di modelli di idoneità ambientale nella programmazione territoriale. Infine, il quarto e ultimo tema del Forum centrato su Mercati, affari e ambiente ha colto una crescente consapevolezza di consumatori, governi e NGO: quella sulla necessità di una comunità degli affari, comprese banche, commercio e operatori finanziari, più responsabilmente coinvolta nella ricerca di uno sviluppo socialmente ed ambientalmente più equo ed accorto. Anche in questo caso molte le esperienze citate, ma forse la più significativa è stata proprio la decisione di sponsorizzare il congresso stesso da parte di un'azienda giapponese. Si tratta della Denso International Corporation, un colosso da 24,2 miliardi di dollari di fatturato che produce componenti per automobili come unità common rail e accessori quali navigatori satellitari e sistemi ETC. Nel giugno 2004 ha ricevuto, prima azienda in Europa e tra un centinaio di concorrenti, il premio European Business Award for the Environment nella categoria delle pratiche di gestione, istituito dalla Commissione europea e consegnato alla sua filiale ungherese. Da sottolineare anche l'annuncio dato al Congresso del contributo di ben 2,5 milioni di dollari al già citato Species Information Service da parte di una grande corporation produttrice di software, la Oracle.
Scripta manent Se il Forum ha rappresentato la grande kermesse convegnistica del Congresso, e i meeting delle commissioni un momento più interno alla vita dell'organizzazione, l'Assemblea ne ha costituito il momento più politico. Intanto per la discussione delle mozioni presentate dai mille e passa membri dell'Unione, e poi per l'elezione democratica della nuova leadership Iucn: cioè presidente e chairmen di almeno tre commissioni (Ssc, Cel e Wcpa). Dall'assemblea fondativa a Fontainebleau nel 1948 al secondo congresso di Amman del 2000, le risoluzioni e raccomandazioni adottate sono state 766. La prima richiamava l'Unesco a promuovere anche la protezione della natura, oltre che il patrimonio culturale; ad Amman le 98 mozioni approvate riguardavano altrettanti indirizzi, impegni, programmi sui mille aspetti della governance ambientale del pianeta. In mezzo sono passate tappe in qualche misura cruciali per la storia dell'Iucn, della tutela dell'ambiente e anche dei parchi. Nel 1958, per esempio, l'assemblea di Atene nella raccomandazione 6.10 richiamava le Nazioni Unite a dotarsi di una Lista delle aree protette mondiali; nel 1963 a Nairobi la raccomandazione 8.05 impegnava alla predisposizione di una convenzione internazionale sul traffico delle specie selvatiche minacciate (ci vorranno dieci anni, ma nel 1973 arriverà la Cites); nel 1972 a Banff (Canada), l'assemblea invitava i Paesi membri con la mozione 11.03 a ratificare la convenzione internazionale sulle zone umide, firmata l'anno prima a Ramsar. Sono stati ispirati da una mozione al congresso anche la stessa istituzione del Centro Iucn per la cooperazione mediterranea di Malaga (risoluzione 2.07 del congresso di Amman) o l'accordo sottoscritto dalle compagnie minerarie, in occasione del congresso sui parchi di Durban, di escludere prospezioni all'interno dei siti della World Heritage List (raccomandazione 2.82 sempre del congresso di Amman).
Le mozioni possono essere di tre tipi: Iucndirected motions (perlopiù dirette all'organizzazione e alla politica interne: se adottate, diventano risoluzioni), Iucn Programme motions (se adottate dal congresso diventano emendamenti al programma) e Third Party motions (potenziali raccomandazioni, rivolte all'esterno dell'Unione). Ogni membro Iucn può proporre una mozione, purchè appoggiato da almeno altri due membri, ovviamente senza ripetere proposte già approvate nei precedenti congressi o assemblee. Entro il termine previsto, cioè il 20 luglio scorso, le mozioni pervenute al quartier generale Iucn di Gland, in Svizzera, erano 127. Un apposito gruppo di lavoro le ha passate al vaglio, bocciandone tredici per vizi formali, ridondanza, fusione con altre mozioni di argomento assai simile. Risultato, le 114 mozioni approvate sono state rimandate al mittente con eventuali osservazioni e quindi presentate al congresso, nel giorno di apertura della sessione plenaria dell'Assemblea il 21 novembre. Le mozioni italiane tra quelle ammesse al Congresso, nel senso che i rispettivi maggiori sponsor sono italiani, sono state cinque. Se adottate a Bangkok (questo numero di Parchi è stato chiuso in tipografia prima della conclusione del Congresso, ndr) diventeranno rispettivamente una risoluzione, tre emendamenti al programma e una raccomandazione. Decisamente la più ambiziosa e impegnativa, la prima è la mozione presentata da Legambiente dal titolo La Convenzione delle Montagne del Mediterraneo e richiama le istituzioni nazionali, regionali e locali alla necessità di "promuovere piani di azione, anche transnazionali, per ciascuna delle più importanti dorsali" che circondano il Mare Nostrum, centrati sul ruolo fondamentale delle aree protette e inquadrati in convenzioni sul modello di APE. Tali convenzioni dovrebbero quindi convergere, entro il 2005, in una più ampia Convenzione delle Montagne del Mediterraneo. La mozione di Legambiente ha raccolto l'adesione preventiva della Lipu, del Politecnico di Torino, di associazioni ambientaliste spagnole e libanesi nonché del Servizio Parchi della Provincia di Barcellona. Una scommessa azzardata ? "Sarà certamente un percorso lungo", risponde Fabio Renzi della segreteria nazionale di Legambiente, "ma a noi interessa arrivare alla Convenzione per la via giusta, dal basso, senza partire con approcci eccessivamente istituzionali che si arresterebbero inevitabilmente - gli esempi delle Alpi e dei Pirenei sono lì a dimostrarlo - davanti ad ostacoli diplomatici, ma anche di fronte a un'agenda politica internazionale che guarda ad altre priorità, come Kyoto". Inoltre la partita del Mediterraneo, val la pena ricordarlo, sul tavolo Iucn si gioca anche a Belgrado e ad Amman e cioè dove l'organizzazione ha appena aperto due nuovi fronti i cui programmi, inevitabilmente, toglieranno spazio a un'azione mediterranea più organica e unitaria. "Invece proprio il Mediterraneo è l'elemento unificante di tante politiche", osserva Matteo Fusilli, presidente di Federparchi. "Non dobbiamo dimenticare che l'unitarietà del Mediterraneo è ambientale ma anche storica e culturale, e dunque è impensabile non proporne una visione coordinata, da grande progetto di sistema. Quei progetti di sistema che - insieme al rapporto col mondo agricolo e alla valorizzazione delle produzioni tipiche - rappresentano un'esperienza sempre molto apprezzata all'estero, da Sarajevo alla Spagna, dalla Corsica a Bangkok. Al Congresso dell'Iucn", conclude Fusilli, "con la proposta per una Convenzione delle montagne del Mediterraneo per una volta l'Italia ha presentato un contributo davvero originale". "È un percorso partito già dalla conferenza Iucn di Napoli del giugno scorso, la prima dei Paesi membri del Mediterraneo" dice Aldo Cosentino, direttore generale per la Protezione della natura del ministero dell'Ambiente. "Lì è sorta quest'idea, al di fuori degli schemi classici della geografia Iucn, di incoraggiare la creazione di una nuova area di influenza centrata sul bacino del Mediterraneo. Il nostro workshop al Congresso è un po' il punto d'arrivo di questo percorso. Mentre l'ufficio Iucn dell'area balcanica", prosegue Cosentino, "dovrebbe essere molto incentrato sulle tematiche della Green Belt, e comunque, credo, guardare prevalentemente a nord, noi dobbiamo seguire la vocazione del nostro Paese che è di essere un ponte tra il nord e il sud del Mediterraneo. L'Europa, e in questo caso il RofE dell'Iucn, non potrà non concordare con questa nostra posizione. L'Italia ha un ruolo di grande armonizzazione", conclude il direttore generale, "l'ha dimostrato a Napoli con un successo non indifferente e continuerà a farlo, sempre favorendo la cooperazione multilaterale come strumento di pace tra i popoli. Ne è testimonanza ulteriore il prossimo grande appuntamento di aprile, dove l'Italia ospiterà il primo Open Ended Meeting sulle aree protette nell'ambito della Convenzione sulla biodiversità biologica". Altre due mozioni italiane, inoltre, sono state presentate sulle aree protette e il contesto territoriale che le circonda, ma con due approcci diversi. La prima, proposta dal Dipartimento Interateneo del Politecnico di Torino, ha per titolo "Un approccio paesaggistico alla conservazione" e intende stimolare uno sviluppo di politiche innovative per una maggiore integrazione tra parchi e paesaggio, nonché l'adesione da parte degli Stati membri alla Convenzione europea sul paesaggio. La seconda, anche questa targata Legambiente, con il titolo "Governo delle risorse naturali" si rivolge direttamente alla Wcpa e alla Ceesp per chiedere una maggiore valorizzazione delle esperienze positive di gestione da parte delle comunità locali dentro e fuori le aree protette. "Protezione ambientale del Mediterraneo dai rischi del traffico marittimo": è il titolo della mozione presentata dalla direzione Protezione della natura del ministero dell'Ambiente, che vuole impegnare in particolare la direzione dell'Iucn a una più ravvicinata consulenza agli Stati sul tema, a proporre azioni pilota ed anche ad una maggiore attenzione dell'Onu (l'Iucn gode dello status di osservatore all'Assemblea generale delle Nazioni Unite). "Nel Mediterraneo transitano decine di milioni di tonnellate di petrolio ogni anno", dice ancora il direttore Cosentino, "solo in piccola parte destinate ai Paesi costieri. La nostra mozione chiede all'Iucn di usare il suo ruolo di osservatore alle Nazioni Unite, per chiedere all'Assemblea di stigmatizzare l'importanza del ruolo del Mediterraneo nella conservazione della biodiversità a livello mondiale. Insomma, deve essere più evidente che la protezione del Mare Nostrum è affare non solo dei Paesi che affacciano su questo mare, ma dell'intera umanità". Infine a Bangkok ha presentato una mozione anche il nostro Infs, l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, dal titolo "Implementazione della Strategia europea sulle specie alloctone invasive". Insomma nutrie, scoiattoli grigi, visoni americani e via elencando. Già approvata dal Comitato permanente della Convenzione di Berna alla fine del 2003 e dal Consiglio dei ministri europei, ma senza tradursi in una vera e propria direttiva, la Strategia stenta infatti a produrre atti concreti mentre la minaccia alla biodiversità rappresentata dal diffondersi delle "specie aliene" non attende le carte bollate. "La strategia europea indica un percorso ma sono gli stati che devono seguirlo", dice a Parchi Piero Genovesi dell'Infs. "Il nostro ministero dell'Ambiente di recente si è proposto per la stesura non più di una strategia ma di un piano d'azione concreto, e quest'impegno è già stato formalizzato a Bruxelles. Ma in prima linea dobbiamo andarci tutti, anche i nostri parchi, tenuto conto che in molte aree protette del mondo già adesso la lotta alle specie alloctone rappresenta più del 50% delle attività, dall'Africa all'Asia. Oltretutto la proliferazione delle specie alloctone crea danni economici enormi. Uno studio che abbiamo appena ultimato sull'impatto economico dell'espansione della nutria nel nostro Paese", conclude Genovesi, "lo quantifica in 14 milioni di euro solo dal 1995 al 2000, contando i rimborsi agli agricoltori, l'attività di controllo fatta dalle Province e i danni alle arginature. I parchi, che hanno un ruolo sia di informazione che di controllo e prevenzione, devono fare fino in fondo la loro parte". Al termine del congresso, tutte le risoluzioni e le raccomandazioni adottate sono inviate al segretariato generale dell'Unione e per ciascuna di esse viene designato un referente preciso, insomma una persona in carne e ossa, che ha il compito di seguire e facilitare la sua implementazione nel programma dell'Iucn.
Questa persona mantiene anche i contatti col soggetto promotore della mozione originaria, assicura gli scambi informativi con i componenti delle commissioni e dei vari programmi e redige un rapporto annuale sui progressi maturati. Insomma scripta manent, e lo testimonia anche la sorte delle 68 risoluzioni e delle 30 raccomandazioni approvate al precedente congresso di Amman: 47 delle prime e 20 delle seconde, secondo il segretariato, possono dirsi pienamente attuate.
Il rinnovo dei vertici Infine il presidente. Bangkok è stato anche questo, il rinnovo obbligato della carica più alta dell'Iucn visti i due mandati già ricoperti da Yolanda Kakabadse. Già direttore esecutivo di Fundacion Natura, una delle più importanti organizzazioni ambientaliste dell'America Latina, e poi ministro dell'Ambiente del governo dell'Ecuador (dal 1998 al 2000), la presidente uscente traccia con Parchi un bilancio appassionato dei suoi otto anni alla guida dell'Unione. "È stata davvero un'esperienza unica, fare il presidente dell'Iucn per due mandati consecutivi", dice Yolanda Kakabadse "e aver stretto rapporti con la sua grande "famiglia" fatta dei suoi membri, delle commissioni, dei vari partner e anche degli Stati membri. Inoltre, è stato molto gratificante vedere come l'idea di una "unione mondiale per la conservazione" sia diventata più che mai importante oggi, quando abbiamo bisogno di condividere risorse, volontà politica e capacità scientifiche per fare la differenza". Le chiediamo di citarci un risultato della sua presidenza che ricorda più volentieri. "Gli ambientalisti sono spesso accusati di diffondere storie negative, ma le notizie non sono sempre cattive! Durante la mia presidenza, ho avuto il privilegio di assistere a una crescita sorprendente nel numero e nell'estensione delle aree protette nel mondo - che interessano oggi circa il 12% della superficie terrestre. Un altro importante risultato è stato l'adozione di un obiettivo internazionale per invertire l'attuale tasso di perdita di biodiversità entro il 2010 - sebbene molto deve essere ancora fatto per centrarlo. I delegati a Bangkok hanno appreso che il processo di estinzione delle specie è oggi più veloce che mai, e che i sistemi naturali subiscono pressioni senza precedenti dalle attività antropiche. Infine" - "last but not least" dice concludendo la signora Kakabadse - "sono lieta di assistere al dialogo crescente tra il movimento ambientalista e un attore determinante qual'è la comunità degli affari, che riguardo alla conservazione della biodiversità sempre più si sforza di essere parte della soluzione e non solo il problema". In accordo con le procedure statutarie, le procedure per la nomina del nuovo presidente dell'Iucn sono iniziate già nell'ottobre 2003, fino al marzo scorso con la decisione del Consiglio di restringere la rosa dei candidati a due: Parvez Hassan e Mohammed Valli Moosa. Pakistano, 53 anni, di professione avvocato, Parvez Hassan ha dedicato buona parte della sua attività alla conservazione della natura. È membro del Consiglio nazionale sulla protezione ambientale, a nomina governativa, ed è l'ispiratore principale delle più recenti leggi ambientali del Paese. A capo dell'Associazione pakistana per la legislazione ambientale, ha rivestito ruoli importanti in numerosi programmi internazionali ed ha partecipato come delegato ONG ai summit delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro (1992) e Johannesburg (2002). Nel 2000 è stato nominato Membro onorario dell'Iucn. Quanto a Mohammed Valli Moosa, di nazionalità sudafricana, classe 1957, ha studiato matematica e fisica a Durban ed economia a Londra. Dal 1999 ad aprile 2004 ha rivestito la carica di ministro dell'Ambiente e del Turismo della Repubblica del Sud Africa. Durante il suo dicastero il Paese ha conosciuto la maggiore espansione delle sue aree protette e del suo successo turistico, basato in particolare sulle atttrattive dei grandi parchi nazionali. La sua biografia ufficiale distribuita dagli uffici dell'Iucn dice anche che è appassionato di ciclismo, escursioni e musica classica. Da Bangkok, quando questo numero della rivista sarà in mano ai lettori, sarà uscito anche il nome della nuova guida della Wcpa, la prestigiosa commissione che si occupa di aree protette sin qui capeggiata da Kenton Miller. Dei tre candidati s'è ritirato prima del congresso quello europeo e cioè Hermelindo Castro Nogueira, già direttore generale del sistema delle Aree protette in Andalusia (Regione autonoma), che ha optato invece per un nuovo incarico da direttore generale questa volta delle Acque, posizione localmente assai ambita. E sono dunque rimasti in lista gli altri due candidati: Natarajan Ishwaran (Sri Lanka), direttore della divisione Scienze Ecologiche all'Unesco, e Nikita Lopoukhine (Canada), un forestale che riveste da tempo la carica di direttore generale dell'Agenzia canadese dei parchi. "Sono entrambi molto bravi", annota ancora Maurilio Cipparone, "ma chiunque sarà il nuovo chair dovrà comunque offrire maggiore visibilità al lavoro della commissione, che ha bisogno di essere più conosciuto e condiviso". Forse la vera sfida - ma per l'intera Iucn - è proprio quella.
UNO SPORTELLO PER I PARCHI AL MINISTERO DEGLI ESTERI
Da un anno presso il nostro ministero degli Affari esteri esiste un ufficio che sovrintende ai rapporti con l'Iucn. Ci lavora Carlotta Zanardi.
Di cosa si occupa esattamente l'ufficio? Il ministero ha un Trust Fund con l'Iucn, che viene rinnovato ogni anno per un importo pari a 700.000 euro. È un fondo di tipo fiduciario, come quelli che eroghiamo a beneficio della Fao o di altri organismi internazionali, che l'ente poi utilizza senza alcun potere di indirizzo da parte nostra. Inoltre, assieme all'Iucn gestiamo progetti di cooperazione sul cosiddetto canale multilaterale, con finanziamenti molto più ingenti che coinvolgono numerosi soggetti. Si tratta di partnerariati transfrontalieri, tutti extraeuropei. Ce ne sono ad esempio sul Karakorum-Himalaya (4 milioni di euro), in Sudafrica, Mozambico e Zimbawe (5 milioni di euro), in Perù, Bolivia e Brasile, altri due in Africa sulle biotecnologie che coinvolgono pure l'università di Trieste. Ne abbiamo uno molto bello che riguarda due parchi entrambi su isole, alle Galapagos e nello Yemen. Sono due realtà che condividono problemi di gestione anche se in situazioni completamente diverse: quella sudamericana è aperta alla pesca, l'altra si sta avviando allo stesso tipo di sviluppo però con in più un'esperienza millenaria nella gestione delle acque. Insomma, hanno lezioni da scambiarsi. Noi promuoviamo quest'avvicinamento e stiamo pensando di proporlo per altre esperienze isolane.
Qual è l'organico dell'ufficio e dove ha la propria sede? Ci lavoro per adesso solo io, come liaison officer (funzionario di collegamento) tra la direzione generale Cooperazione allo sviluppo del ministero e l'Iucn. Fisicamente, l'ufficio si trova presso l'Unità tecnica centrale, dove si trova il referente per l'Ambiente per il ministero degli Esteri che è Alfredo Guillet. Siamo in una delle palazzine subito davanti alla Farnesina.
Da quando è attivo?
Dal novembre 2003.
Quali sono i rapporti dell'ufficio con il ministero dell'Ambiente? Tra loro e il nostro ministero esiste una competenza differenziata. Per l'attività internazionale che riguarda la cooperazione allo sviluppo la competenza è del ministero degli Esteri. L'Ambiente si è ritagliato uno spazio internazionale, soprattutto a livello europeo, grazie al network di tipo amministrativo che si è sviluppato per l'implementazione delle direttive comunitarie. A livello extraeuropeo dovrebbe esserci un apporto di competenza tecnica alla nostra titolarità, come avviene ad esempio per la lotta alla desertificazione.
E, più nello specifico, riguardo ai parchi? Entrambi lavoriamo con l'Iucn. Una delle ragioni per cui la mia figura è stata inventata è proprio quella di migliorare il dialogo tra Esteri e Ambiente. Proprio riguardo ai parchi, ad esempio, il nostro ministero non era informato - fino a una delle riunioni del comitato italiano Iucn - sulle diverse attività che le aree protette italiane hanno intrapreso a livello internazionale. Con la direzione del dottor Cosentino, poi, si è sviluppato un grande spirito di collaborazione dopo l'evento che abbiamo organizzato quest'estate sulle aree protette transfrontaliere alla Maddalena. Aggiungo che, probabilmente, si dovrà individuare un liaison officer anche all'Ambiente.
Quindi il ministero degli Esteri partecipa alle riunioni del Comitato italiano Iucn ? Sì, ci vado io o il referente per l'Ambiente, il dottor Guillet. Finora il comitato non è stato molto attivo, anche se personalmente nutro grande fiducia nella spinta che d'ora innanzi sapranno offrire Matteo Fusilli e la Federparchi. Per l'immediato futuro ho proposto l'organizzazione di un evento per promuovere l'immagine dell'Iucn in Italia. Perché poi comunque sia noi che il ministero dell'Ambiente la finanziamo, ma alla fine il ritorno dell'immagine è scarso, anche a causa delle NGO come Legambiente o la stessa Federparchi che avviano attività internazionali senza contare più di tanto sul supporto Iucn. Così, in accordo col ministero dell'Ambiente, pensiamo a un evento sulla responsabilità sociale delle imprese, un tema che ci sembra possa richiamare attenzione anche da parte del grande pubblico. Poi, in vista del meeting sulla Convenzione sulla diversità biologica che il ministero dell'Ambiente si è offerto a Kuala Lumpur di organizzare in Italia nella prossima primavera, ci sarà bisogno di un altro evento preparatorio dedicato a questo.
FUSILLI: AL LAVORO PER UNA IUCN PIU' FORTE
Da pochi mesi Federparchi ha assunto l'incarico, da parte del ministero dell'Ambiente, di ospitare e animare il segretariato del Comitato italiano dell'Iucn.
Quale sarà il primo obiettivo da raggiungere? Intanto, noi siamo molto lieti che il ministero abbia indicato in Federparchi il soggetto che deve svolgere questa attività. È un riconoscimento importante che premia l'attività nazionale e internazionale di questi anni: dall'Osservatorio per le politiche europee alla promozione della Federazione dei parchi del Mediterraneo, alle attività di formazione, alla partecipazione a tanti progetti europei, alla prossima apertura di un ufficio a Bruxelles. L'Italia ad oggi non ha avuto un peso specifico nell'attività dell'Iucn, così il primo obiettivo è quello di far crescere di molto questo peso, quello dell'esperienza italiana e dei parchi in particolare, e di far lievitare anche il numero dei soci italiani. Fino ad alcuni anni fa il sistema dei parchi italiani, anche per limiti della classificazione delle aree protette definita dall'Iucn, era considerato un sistema di serie B: da questo punto di vista, il congresso di Durban ha segnato una vera e propria svolta. Oggi continuiamo ad attenderci importanti contributi da quella comunità internazionale che l'Iucn rappresenta, ma crediamo anche di poter offrire a nostra volta un contributo. Ecco perché rivendichiamo anche una maggiore presenza italiana nella Wcpa.
Quali saranno le attività messe in cantiere dopo Bangkok? Vogliamo ricostituire gli organi del comitato nazionale, e cioè eleggere un presidente, nominare un organismo esecutivo. Ma poi punteremo molto a promuovere l'Iucn nel nostro Paese, realizzeremo un sito web del comitato italiano, stiamo mettendo a punto un programma di appuntamenti. E allargheremo la partecipazione alla vita del comitato dei parchi stessi, molti dei quali già sono stati invitati ad iscriversi all'Iucn (attualmente gli unici parchi italiani iscritti sono quelli d'Abruzzo, Lazio, Molise, del Cilento e dell'Etna, ndr).
Da organizzazione a organizzazione, come valuta Federparchi l'assetto gestionale e la strategia politica dell'Iucn per il conseguimento delle sue finalità? L'Iucn è un'organizzazione che ha contribuito in maniera fondamentale alla sensibilizzazione e all'impegno sulle tematiche ambientali in questi decenni. La sua è stata un'elaborazione sempre più matura, passata da una concezione molto chiusa e d'ispirazione quasi esclusivamente anglosassone alla notevole apertura di questi ultimi anni, ben evidente per esempio al congresso di Durban dello scorso anno. Il passo successivo può essere quello di fugare l'impressione di una certa lontananza, offrendo una maggiore presenza a livello nazionale dei suoi organismi, delle segreterie, degli uffici. Insomma, occorre far sentire più vicini l'Iucn ai suoi membri e i membri all'Iucn.
DA FONTAINEBLEAU A BANGKOK
Assemblee generali Iucn
Fontainebleau, Francia ottobre 1948
Bruxelles, Belgium ottobre 1950
Caracas, Venezuela settembre 1952
Copenaghen, Danimarca settembre 1954
Edimburgo, Regno Unito giugno 1956
Atene, Grecia settembre 1958
Varsavia, Polonia luglio 1960
Nairobi, Kenya settembre 1963
Lucerna, Svizzera giugno 1966
Nuova Delhi, India dicembre 1969
Banff, Canada settembre 1972
Kinshasa, Zaire settembre 1975
Ginevra, Svizzera aprile 1977
Ashkhabad, Urss ottobre 1978
Christchurch, Nuova Zelanda ottobre 1981
Madrid, Spagna novembre 1984
San Josè, Costa Rica febbraio 1988
Perth, Australia novembre 1990
Buenos Aires, Argentina gennaio 1994
Congressi mondiali Iucn
Montreal, Canada ottobre 1996
Amman, Giordania ottobre 2000
Bangkok, Thailandia novembre 2004
di Giulio Ielardi
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