Abbiamo avuto modo in altre occasioni di rilevare criticamente la scarsa iniziativa legislativa regionale in materia di aree protette. L'appunto - considerato che alle regioni viene rimproverata invece da tempo una eccessiva produttività normativa - potrebbe apparire contraddittorio. E tuttavia il riferimento alle aree protette appare giustificato perché specialmente in talune situazioni regionali una riflessione critica - anche sotto questo profilo- sulle esperienze in atto sarebbe opportuna. Nel complesso invece la situazione appare piuttosto immobile e quando non lo è - è il caso ad esempio della legge in discussione in Lombardia di cui ci siamo occupati anche sulla rivista - quel che si profila non è rassicurante. Anche in Umbria da tempo, dopo i non brillanti risultati conseguiti con la legge in vigore approvata peraltro con molto ritardo rispetto alla legge quadro, si sta discutendo di una nuova normativa. Ma finora non ci risulta che sia stato messo a punto un testo. Di qualche parziale modifica alla legge vigente si era parlato anche in Sicilia ma poi - e per fortuna- la cosa sembra rientrata. Meglio così visto che si trattava di una singolare ipotesi di legge ad personam sulle presidenze dei parchi accompagnate peraltro da dichiarazioni ancor più sconcertanti sul futuro dei parchi siciliani la cui gestione avrebbe potuto essere messa all'asta. Ecco perché la bozza di legge; Disciplina della formazione e della gestione del sistema regionale delle aree naturali protette dei siti della rete natura 2000' varata dalla giunta regionale dell'Emilia-Romagna merita una segnalazione ed anche attenta valutazione. Essa infatti in questo panorama così poco esaltante si distingue innanzitutto per sua organicità. Non si tratta cioè di ritocchi o piccoli aggiustamenti ma di un testo di 60 articoli con i quali l'esperienza emiliana viene completamente rivisitata e dal cui bilancio complessivo si traggono precise e chiare conseguenze di impostazione generale negli indirizzi e nelle modalità di gestione del sistema regionale. Già nelle finalità oggetto dei primi articoli ci si riferisce al quadro nazionale entro cui la legge si colloca con la consapevolezza che nessuna realtà regionale può considerarsi estranea ma neppure scollegata da quella più generale; oggi anche comunitaria. La definizione del sistema regionale tiene conto infatti sia della dimensione nazionale e europea entro cui esso oggi si colloca ma anche della dimensione regionale intesa appunto a 360 tanto che uno specifico articolo stabilisce che la regione nei suoi piani settoriali verificherà gli aspetti riconducibili ai programmi e agli interventi delle aree protette. È significativo ed importante che la legge consideri il suo sistema regionale incardinato anche nelle aree protette nazionali ( Foreste Casentinesi e Appennino Tosco-Emiliano) e che questo riferimento non sia semplicemente di principio'. Infatti la legge prevede che anche le aree protette nazionali possono concorrere con propri progetti ai finanziamenti regionali. Si tratta di una reciprocità' che andrebbe coerentemente e concretamente perseguita anche sul piano nazionale più e meglio di quanto sia finora avvenuto anche con i progetti di grande area. Entro questa cornice che rifiuta nettamente e con grande chiarezza qualsiasi tentazione di chiusura' regionale nel testo si ridisegnano con le finalità le diverse tipologie di aree protette la cui classificazione sarà proposta anche in sede nazionale, alla Conferenza stato-regioni. È anche questo un aspetto molto importante visto il ritardo ministeriale a mettere mano - sulla base dello studio del Politecnico di Torino- ad una nuova e meno confusa classificazione delle aree protette dopo alcuni decenni di crescita cospicua ma disordinata e spesso confusa. Dal punto di vista istituzionale ossia della ripartizione' dei compiti tra i vari soggetti la legge si connota in particolare per il ruolo assegnato sia nella fase di individuazione e istituzione delle aree protette che della loro concreta gestione. È una scelta chiaramente federalista' che rifiuta quel nuovo centralismo regionale' di cui spesso e non a torto sono accusate le regioni. Questa giusta scelta già sperimentata sia pure non esattamente negli stessi termini in altre regioni (esempio Toscana) consiglierebbe però la istituzione di un tavolo istituzionale regionale in cui appunto regione, province, comuni e comunità montane potrebbero preventivamente' e non solo a posteriori concordare e verificare programmi e indirizzi.
Quel tavolo istituzionale nazionale tardivamente istituito e finora neppure insediato che giustamente la Federparchi vorrebbe vedere funzionare ha - dovrebbe avere- il suo corrispettivo in tavoli regionali. La consulta prevista dalla legge all'art.8 è infatti un'altra cosa, uno strumento senz'altro utile come lo sono sicuramente i comitati scientifici per i vari parchi i quali però operano in una sfera tecnico scientifica e non istituzionale.
Su questa scelta di carattere istituzionale si sono appuntate talune critiche da parte di Legaambiente-emilia che in un suo ampio ed estremamente puntuale documento ha passato al vaglio di un pettine assai fitto il testo comparandolo anche con la bozza originaria. La preoccupazione espressa dalla associazione anche per quanto riguarda l'iter e l'adozione del piano del parco è che in questo modo la regione in qualche misura si defili dalle sue responsabilità nei confronti dei parchi regionali. Forse si potrebbe pensare oltre che ad una maggiore semplificazione' (in effetti la legge prevede una serie fitta di rimandi che potrebbero rivelarsi farraginosi) anche ad una più precisa distinzione tra parchi regionali delegabili' e parchi la cui titolarità rimane a tutti gli effetti in testa alla regione. Certo è che la questione della delega' regionale specie dopo le modifiche al titolo V della Costituzione richiede una riconsiderazione non dimenticando che oggi la Carta costituzionale parla degli enti locali, delle regioni e infine dello stato' come una realtà che insieme esprime - forma- la Repubblica.
Non è una innovazione da poco come non lo è in questo contesto il principio di sussidiarietà' posto a fondamento anche del progetto di Costituzione europea. Ecco perché taluni timori di legambiente paiono eccessivi e forse tradiscono una qualche residua difficoltà a guardare al ruolo degli enti locali e specialmente delle province (considerate poco attrezzate alla nuova bisogna) con maggiore fiducia. La consultazione sulla proposta di legge dovrà comunque permettere di discutere di questi aspetti ( e di tutti gli altri) con il massimo di apertura e di disponibilità da parte di tutti.
La nuova legge per quanto concerne la gestione di questo complesso e variegato sistema regionale di aree protette affida i parchi regionali ai consorzi di enti locali sperimentati da anni in Emilia, e direttamente alle province nel caso di riserve regionali etc. Le province hanno anche un rilevante ruolo nella adozione dei piani dei parchi e nella proposta di istituzione di nuove aree protette. Come ho avuto modo di rilevare altre volte non risulta chiaro perché -pur optando per i consorzi- la legge escluda anche in via di principio gli enti previsti dall'art 22 della legge 394. Sulla esperienza dei consorzi - ma in Emilia è probabile che di questo si sia discusso e si discuterà- due aspetti andrebbero più attentamente considerati. Il primo si riferisce alla composizione degli organi che in molti casi (vedi la discussione in corso in Veneto) risulta sovrabbondante, con assemblee straripanti. Può darsi che in Emilia la generalmente modesta dimensione delle aree protette ovvii a questo serio inconveniente che ha spinto molte regioni a optare proprio in ragione di questo per l'ente. Il secondo aspetto riguarda un aspetto non meno significativo e delicato ossia la possibilità per le rappresentanze non istituzionali di partecipare direttamente alla gestione dell'area protetta. La legge emiliana per ovviare a questo impedimento prevede una sorta di Consulta in cui i vari soggetti portatori di interesse possono dire la loro. Va detto con molta franchezza che questo forma di consultazione' in genere non ha dato i risultati sperati. Non so se in Emilia le cose sono andate diversamente ma ne dubito. D'altronde non credo sia un caso che la legge preveda per gli agricoltori - visto il ruolo decisivo della agricoltura anche nella gestione di un'area protetta- un rapporto speciale. È un punto di grandissima importanza se si tiene conto delle polemiche non solo recenti sul rapporto agricoltura - protezione e la norma emiliana assume sotto questo profilo un rilievo nazionale. Il documento di legambiente sul punto esprime qualche preoccupazione per i rischi che così si possa stabilire un rapporto di tipo corporativo. Ma oggi tutti riconoscono, ad esempio, che le aree protette marine non si possono gestire senza coinvolgere le associazioni dei pescatori. Il punto semmai riguarda i contenuti' di queste intese che dovono essere estremamente chiari per evitare equivoci. Sulla presenza diretta delle rappresentanze ambientaliste (vere e non inventate' come sta avvenendo in questo periodo da troppe parti) negli enti di gestione si può naturalmente discutere; ma escluderlo in via di principio- ripetonon credo sia una scelta saggia. In conclusione siamo in presenza di una proposta dietro cui sta una esperienza e un impegno forti di una regione che ora vuole consolidare i risultati conseguiti anche sul piano normativo. C'è da augurarsi che essa stimoli anche altre regioni a fare presto altrettanto.
di Renzo Moschini
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