Organizzato con grande impegno dal Ministero dell'Ambiente del Governo della Catalogna con la collaborazione appassionata degli operatori delle aree protette della stessa regione, si è svolto nel teatro municipale di Roses dal 29 settembre al 3 ottobre 2004 il Congresso annuale della Federazione dei Parchi Naturali e Nazionali d'Europa (Europarc). I Congressi annuali hanno due obiettivi principali: fare il punto sullo stato di salute e sulle attività della Federazione europea e delle Sezioni nazionali, analizzare i problemi e le prospettive delle aree protette europee a partire dall'approfondimento di un tema strategico. A Roses Europarc ha confermato di essere il riferimento fondamentale per i parchi di tutta Europa: la sua progressiva crescita (ad oggi 371 associati, appartenenti a ben 38 paesi europei, e 8 Sezioni nazionali) e la grande partecipazione che anche quest'anno ha caratterizzato il Congresso (oltre quattrocento persone tra cui una qualificata rappresentanza istituzionale e politica) sono la prova del grande interesse che ruota attorno alla Federazione e che corrisponde allo sviluppo qualitativo e quantitativo, a volte impetuoso, delle aree protette in Europa.
Da questo punto di vista si apre un problema in qualche modo inedito: è in grado Europarc, così come ora è strutturata, con i suoi strumenti operativi e con le sue metodologie di azione, di gestire questo sviluppo? Non certo per governarlo - non essendo questo il suo compito che invece dovrebbe appartenere ai soggetti istituzionali e in particolare all'Unione Europea - ma per anticiparlo e seguirlo: anticiparlo significa indicare obiettivi e strategie, imprimere impulsi, suscitare partecipazione; seguirlo significa offrirsi come strumento per coordinare le azioni delle singole aree protette, affrontare all'interno di un quadro condiviso i problemi suscitati dalle politiche dei singoli paesi, operare effettivamente per ottenere una politica europea per le aree protette. Allo stato attuale la risposta all'interrogativo non può essere ancora positiva: all'alto livello di rappresentatività raggiunto di fatto da Europarc non corrisponde uno stesso livello di adeguatezza allorché occorre indicare soluzioni ai problemi legati alla vitalità che le aree protette e in particolare i parchi stanno dimostrando. Le cause di questa mancata corrispondenza vanno individuate in parte nella debolezza strutturale dell'apparato (scarsità di personale e di risorse finanziarie), in parte nella oggettiva difficoltà di costruire un'effettiva e non saltuaria partecipazione delle aree protette alla vita e alle scelte della Federazione, in parte infine nella assenza di strumenti per fare emergere e condividere quei problemi. Da quanto emerso dal Congresso si può però ritenere che - anche grazie al dinamismo di cui stanno dando prova il Presidente e i Consiglieri - la Federazione abbia oramai le potenzialità per quel salto di qualità oggi necessario; dal canto loro le Sezioni nazionali, se riusciranno a coinvolgersi maggiormente, potranno rappresentare uno strumento particolarmente efficace; inoltre Europarc dovrà sempre di più coordinarsi con quelle iniziative che, nate su suo impulso ma non da essa gestite o provenienti dall'esterno, assumono rilevanza per il raggiungimento dei propri obiettivi. L'incontro di Matteo Fusilli e altri rappresentanti della Federparchi (Valter Zago, anche nella sua veste di Vicepresidente della Sezione italiana di Europarc, Giuseppe Rossi e Luigi Bertone) con Michael Starret, Presidente di Europarc, e i rappresentanti della Sezione italiana (Carlo Alberto Graziani e Patrizia Rossi), svoltosi il 2 ottobre, ha indicato, come vedremo, proprio quest'ultima strada.
Il tema oggetto della riflessione di Europarc 2004 era particolarmente stimolante - "La sfida Natura 2000. Conservazione e opportunità per le persone" - e ha mostrato un significativo idem sentire da parte degli intervenuti. La presentazione dei rapporti, le comunicazioni in assemblea plenaria e le discussioni nei gruppi di lavoro hanno evidenziato due nodi principali: da una parte la nuova complessità che investe Europarc, dall'altra il rischio della divaricazione che si prospetta in Europa sul tema della conservazione della natura. La nuova complessità di Europarc nasce innanzi tutto dall'incontro - finalmente non più scontro - tra le sue due anime: l'anima tradizionale, che privilegia l'approccio tecnico e professionale ai problemi, e la nuova anima, che è consapevole della necessità di un approccio politico. Incontro e non scontro, perché se comune resta la convinzione della necessità di conservare e arricchire il patrimonio di professionalità che caratterizza Europarc - convinzione tanto più forte proprio nel momento in cui irrompe l'esigenza della politica e in cui si tratta di affrontare una tematica come Natura 2000 - comune tende altresì a diventare la consapevolezza che spetta alla politica il compito di risolvere alcuni problemi fondamentali e che pertanto occorre dotarsi di nuovi strumenti per contribuire a risolverli. E questo incontro si svolge non nel segno del compromesso, ma con l'obiettivo ambizioso di trovare una sintesi a livello più alto. Già nel passato la "questione politica" si era posta all'attenzione di Europarc che aveva istituito un apposito gruppo di lavoro, il "Policy Focus Group". Si trattava in verità di una risposta alla nascita dell'Associazione europea dei Parchi abitati - voluta fortemente dalla Federazione dei Parchi naturali regionali di Francia e alla quale la Federazione italiana aveva dato il suo pieno e convinto appoggio - che si era formata sulla base di una precisa opzione politica: fare pressioni sulla Comunità Europea per promuovere una specifica politica comunitaria per le aree protette. E se l'Associazione dei Parchi abitati aveva avuto vita breve soprattutto a causa delle incomprensioni sorte in seno a Europarc, il nuovo gruppo di lavoro non è mai riuscito a decollare proprio perché non è stato il frutto di una scelta effettivamente sentita e di un impegno coerentemente perseguito. È significativo che al Congresso di Roses non sia stato presentato alcun rapporto del "Policy Focus Group". Eppure l'esigenza di un approccio politico c'era allora, anche se avvertita da pochi, e c'è più forte e diffusa oggi. Ma oggi si intreccia con la consapevolezza, sempre più generalizzata, di un grave rischio che incombe sul mondo delle aree protette. È il rischio di una divaricazione che nasce da quello che può considerarsi come il grande equivoco o meglio la grande contraddizione della politica comunitaria sulla conservazione della natura. Con Natura 2000, prevista dalla direttiva Habitat del 1992, l'Europa si è posta un obiettivo di straordinaria importanza - creare entro il 2010 una vasta rete di siti in grado di garantire, sulla base di appositi piani di gestione, la conservazione del patrimonio naturale europeo - ma ha sottovalutato la necessità di trovare adeguati strumenti per il raggiungimento di tale obiettivo o meglio si è limitata ad attribuirne ai paesi membri la responsabilità. Ha così dimostrato di ignorare il fatto che in tutti i paesi europei, a volte da molti decenni, in virtù di un'iniziativa divenuta sempre più corale, quegli strumenti sono stati trovati, sperimentati e consolidati proprio nelle aree protette e in particolare nei parchi, al cui interno oltre tutto ricade la parte più rilevante di quelli che oggi sono diventati i siti Natura 2000 (e cioè i SIC, i siti di interesse comunitario previsti dalla direttiva Habitat, e le ZPS, le zone di protezione speciale previste dalla direttiva Uccelli). Grazie all'azione difficile e costante dei loro amministratori e dei loro operatori, i parchi sono in grado di affrontare e avviare a soluzione quei problemi di gestione che oggi rappresentano l'ostacolo fondamentale per l'attuazione della rete Natura 2000. Si tratta di problemi che, come è noto, nascono soprattutto dalle preoccupazioni delle popolazioni locali che temono di vedersi private del diritto di partecipare alla gestione di quei siti: proprio questa partecipazione è al centro dell'attenzione di tutti i parchi in Europa. Ed è qui la contraddizione: nonostante il ruolo fondamentale dei parchi - quale sarebbe oggi lo stato della conservazione della natura in Europa senza di essi? - l'Unione Europea continua a ignorarli: i parchi non esistono nell'ordinamento comunitario, cioè nel linguaggio giuridico, e neppure nel linguaggio della burocrazia europea. Un'ignoranza siffatta non può essere semplicemente il frutto di una sottovalutazione, ma ha un preciso significato. Illuminante in proposito è stato l'intervento di Nicholas Hanley, capo dell'Unità Natura e Biodiversità della Direzione Generale Ambiente, cioè del responsabile di Natura 2000: con i suoi siti che oramai raggiungono oltre il 16% del territorio dei 25 - egli ha detto al Congresso - Natura 2000 rappresenta "il più grande paese membro dell'Unione"; noi - ha lasciato intendere - abbiamo fatto e continueremo a fare con intransigenza la nostra parte; sta a voi far decollare questa nuova realtà; sta a voi - ha affermato esplicitamente - dimostrare come Natura 2000 sia in grado di dare valore alla politica dello sviluppo sostenibile, convincere i governi a garantire un finanziamento continuo perché la rete sia operativa, utilizzare bene i fondi stanziati. In un momento in cui i parchi di tutta Europa si dibattono in una grave crisi finanziaria e in cui parte importante dei problemi nasce dall'assenza di una specifica politica comunitaria che li contempli, le parole di Hanley, al di là delle sue intenzioni, sono suonate come il tentativo di strumentalizzare, oltretutto senza alcuna contropartita, i parchi e la loro azione e nello stesso tempo come la rivendicazione di un ruolo che alla Direzione Generale non dovrebbe competere, ma che essa può tranquillamente svolgere in mancanza di un'iniziativa da parte del Consiglio europeo dei Ministri dell'Ambiente e del Parlamento europeo. Questo non significa che i Parchi non vogliano il successo di Natura 2000, anzi è proprio il contrario. Con la "dichiarazione di Catalogna", approvata per acclamazione dal Congresso al termine dei suoi lavori, la Federazione Europarc non si limita a riconoscere la rete Natura 2000 come il principale strumento per arrestare la perdita di biodiversità in Europa nel quadro degli obiettivi stabiliti dal Vertice di Johannesburg del 2002, ma si assume precisi e gravosi impegni, che tra l'altro vanno nella direzione indicata da Hanley, e in particolare si impegna a elaborare un Piano di azione quinquennale per contribuire ad attuare il programma di Natura 2000. Ma il contributo dei Parchi non potrà avere piena efficacia senza un riconoscimento, formale e sostanziale, del loro ruolo da parte degli organi comunitari. Questo è il vero problema che resta aperto: per affrontarlo l'iniziativa dei Parchi - a partire dalla "Dichiarazione di Catalogna" - deve indirizzarsi soprattutto nei confronti dei Ministri dell'Ambiente dei singoli paesi e dei Parlamentari europei. La presa di coscienza della necessità di un approccio politico comporta in primo luogo la necessità di scegliere gli interlocutori e oggi questi non possono più essere individuati soltanto nella burocrazia (comunitaria o nazionale) o nei settori tecnico-scientifici, ma devono essere soprattutto politici. Se l'Unione Europea vuole effettivamente attuare il programma di Natura 2000 non può non rendersi conto che i Parchi rappresentano gli alleati più leali ed efficaci, ma nel contempo che tale efficacia è allo stato potenziale e che pertanto occorre dare a essi gli strumenti necessari sia di carattere normativo sia di carattere finanziario. La messa in opera di tali strumenti non può che competere al Consiglio dei Ministri dell'Ambiente dell'Unione Europea e al Parlamento Europeo. In questa direzione, del resto, è andato l'appello che la Sezione italiana di Europarc ha lanciato in occasione delle elezioni europee del 13 giugno nel quale si è chiesto ai candidati "di impegnarsi, se eletti, a promuovere iniziative in seno al Parlamento Europeo per dar vita a una specifica politica comunitaria (per i parchi e le altre aree protette) anche attraverso la costituzione di un apposito intergruppo". Nella stessa direzione si sono mossi alcuni interventi al Congresso di Roses, tra cui, particolarmente significativi, quelli di Jean Louis Joseph, il nuovo Presidente della Federazione francese, e, in chiusura, di Salvador Milà Solsona, Ministro catalano dell'Ambiente. Il rischio della divaricazione a cui ora ho fatto riferimento deve essere affrontato dalle associazioni rappresentative delle aree protette anche sul piano organizzativo dal momento che molti siti Natura 2000 non ricadono all'interno delle aree protette tradizionali, ma devono pur sempre considerarsi aree protette. Da questo punto di vista interessante è stata la proposta di Rauno Väisänen, membro del Consiglio di Europarc (che, tra l'altro, ha partecipato all'ultimo Congresso di Federparchi), di trasformare Europarc in una Federazione delle aree protette e dei siti Natura 2000. Al di là del cambiamento del nome, che comunque deve corrispondere a una trasformazione di contenuti, è certo che Europarc - ma il problema riguarda anche le associazioni nazionali a partire da Federparchi - si trova oggi di fronte a una situazione molto complessa che abbraccia nuovi soggetti, nuove forme di conservazione della natura, a volte non entificate e quindi non organizzabili secondo le modalità tradizionali: si pensi, oltre ai siti Natura 2000, alla recentissima rete globale dei Geoparchi istituita nel febbraio 2004 dall'Unesco. La complessità della situazione in cui oggi opera Europarc è data dunque, oltre che dalla necessità del nuovo approccio politico, dalla molteplicità delle situazioni, delle forme organizzative, delle iniziative: questa molteplicità deve essere affrontata non certo secondo una logica di egemonia, più o meno camuffata, ma in un quadro di autentico pluralismo che significa coordinamento delle attività, reciproco rispetto delle iniziative, mutuo servizio. Nello stesso tempo la complessità è offerta da una nuova consapevolezza che incomincia ad affiorare e che si può legare agli obiettivi del Congresso mondiale svoltosi a Durban nel settembre 2003, anche se di ciò vi sono scarse tracce nel dibattito di Roses: occorre andare oltre i confini dell'Europa e avviare una vera e propria politica estera dei parchi, la quale però non deve comportare un affievolimento nell'impegno europeo anche perché, come abbiamo visto, non è stato ancora raggiunto l'obiettivo fondamentale. Il passaggio dalla dimensione comunitaria alla dimensione internazionale si impone per il ruolo che i parchi possono assumere come costruttori di relazioni tra paesi improntate alla pace e allo sviluppo sostenibile. In questo quadro appare significativo l'incontro tra Europarc e Federparchi che si è svolto durante il Congresso e al quale ho accennato all'inizio. In tale occasione oltre alla presa d'atto della crescente sintonia tra le due organizzazioni - testimoniata dalle manifestazioni per la Giornata europea dei Parchi, dalla localizzazione della sede della Sezione italiana di Europarc presso gli uffici di Federparchi, dall'accentuazione della necessità di interloquire efficacemente con le autorità internazionali - vi è stata l'assunzione dell'impegno a sviluppare ulteriormente il processo di integrazione delle attività delle due organizzazioni, a cominciare dalla preparazione di Europarc 2005 che si svolgerà ad Apeldoorn in Olanda (dal 21 al 25 settembre) e che avrà ad oggetto il tema strategico dei "nostri paesaggi": si tratta di un tema che pone quei problemi legati ad aree vaste sui quali l'esperienza italiana di APE e degli altri programmi di sistema può offrire un contributo importante. Infine l'iniziativa di una "Federparchi del Mediterraneo", cioè di un collegamento formale e operativo tra le aree protette del Bacino del Mediterraneo, lanciata nel corso di Mediterre da Federparchi e alla quale ha aderito la Federazione francese, è stata accolta con molto interesse dal Presidente Starret che ha assicurato la collaborazione di Europarc: l'istituzione all'interno di Europarc di una sezione sovranazionale mediterranea è stata individuata come una stimolante ipotesi su cui lavorare per rafforzare la sensibilità nei confronti delle tematiche dei parchi del Sud d'Europa e nello stesso tempo per integrare l'azione di Federparchi e operare per il successo della sua iniziativa.
di Carlo Alberto Graziani (Presidente di Europarc Italia)
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