Con la legge del Molise, approvata nel settembre 2004, si è completata la copertura del territorio nazionale da parte degli adempimenti regionali in materia di aree protette: è dunque oggi disponibile il quadro completo di una situazione che si è andata delineando sin dalla prima legislatura regionale in una continua evoluzione di iniziative a cui la legge quadro, intervenuta nel '91, ha contribuito, a convalida e rinnovato impulso, in maniera importante anche se non determinante in molte iniziative già avviate non in contraddizione con i suoi principi. Mai come nel caso delle aree protette regionali gli spetti giuridici e disciplinari nei testi di legge possono confrontarsi con tanta ricchezza di concrete esperienze applicativo sul campo, direttamente o indirettamente influenzate da un contesto, in sede locale e regionale, ma anche nazionale e comunitaria, a sua volta in evoluzione sotto impulsi di segno opposto: basti pensare a vicende e circostanze relative alla Rete Europea Natura 2000, ai Programmi triennali per le Aree Protette, al Comitato Nazionale Aree Protette, alle iniziative di sistema della l. n.426/'98, al dibattito delle Conferenze Nazionali per le Aree Protette, nel 1997 e nel 2002. Proprio la ricchezza della realtà applicativa porta a superare analisi e valutazioni limitate agli aspetti propriamente disciplinari, per ricercare piuttosto l'integrazione di questi con le concrete esperienze, molte delle quali particolarmente significative: è il caso della legge umbra, strutturalmente organica ed ineccepibile ma, nei fatti, senza riscontri adeguati, mentre quella toscana, apparentemente schematica e semplicistica, ha portato, nella realtà, a risultati non indifferenti; così anche la legislazione recentissima in Calabria (2003) ed in Molise (2004), conclusiva del primo ciclo applicativo della legge quadro, dice poco di nuovo, in attesa di esiti concreti; mentre le modifiche alle leggi vigenti in Lombardia, Liguria, Lazio, a partire dal 2000, indicano tendenze importanti solo negli aspetti involutivi. Due distinti periodi, prima e dopo la legge quadro, caratterizzano il quadro creatosi a partire dalla metà degli anni '70, e tuttora in movimento: oggi, infatti, si sta probabilmente delineando una terza fase nella preoccupante prospettiva aperta dalla legge 15 dicembre 2004 n.308: Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale - ivi comprese le aree protette - e misure di diretta applicazione.
Il primo periodo della produzione legislativa regionale, fondativo della nuova politica per le aree protette attraverso l'assemblaggio di competenze già trasferite sul territorio e sull'ambiente, attiva un'esperienza caratterizzata da decisa discontinuità rispetto a quelle dei parchi nazionali e riserve statali precedentemente istituiti; il numero e la localizzazione delle iniziative regionali attivate tra gli anni '70 e '90 costituisce la premessa e le fondamenta di quanto si svilupperà poi secondo i principi della legge quadro: ben 2/3 dei parchi regionali oggi operativi ha iniziato il percorsi gestionale in questa prima fase. Due sono i comportamenti ricorrenti nell'invenzione della nuova competenza regionale attraverso le leggi istitutive: nella maggioranza delle esperienze si procede "caso per caso", affrontando situazioni locali e circoscritte, spesso corrispondenti ad emergenze contingenti; in alcune regioni, invece (in Lombardia nel '73, in Piemonte nel '75, in Liguria e nel Lazio nel '77), si imposta una strategia complessiva su elenchi di localizzazioni vocate al regime di area protetta: un assemblaggio di casi, non ancora "sistema", quale disegno desunto delle prime esperienze della pianificazione e programmazione d'area vasta.
In entrambi i comportamenti, e nelle singole circostanze affrontate, regola costante è costituita dalle finalità di tutela combinate a quelle di valorizzazione; oggi: scontata ovvietà; allora: novità spesso sospetta. All'evidenza nelle due maniere di procedere ricordate, si cominciano a delineare aspetti nodali, alcuni divenuti questioni ancora oggi d'attualità, sempre aperte nel dibattito e nella prassi gestionale; tra le principali: la classificazione tipologica delle aree protette, la strumentazione e le modalità della gestione, l'eventualità dell'area contigua - allora pre-parco -, il coinvolgimento di soggetti esterni. La classificazione correntemente adottata tende a differenziare gli interessi regionali, provinciali e locali, dove al parco ed alla riserva, tradizionalmente intesi, si aggiungono altre tipologie minori: inizialmente biotopi, monumenti naturali, emergenze e singolarità circoscritte; poi, a partire dalla legge "Galasso", nell''85, i paesaggi di notevole interesse e, nel caso della Lombardia, quel "verde urbano" oggetto di standard secondo il DM n.1444/'68. Il piano dell'area protetta assume necessariamente carattere ed efficacia essenzialmente urbanistica, ma sin da ora si evidenziano ulteriori contenuti: in sconfinamento nella materia paesaggistica, faunistico-venatoria, agricolo-forestale; la zonizzazione, graduando la protezione, prevede spesso, quale difesa dall'esterno, il pre-parco. Le modalità di gestione non inventano nulla di nuovo: le competenze provinciali sono quelle della l. n.142/'90; il consorzio tra EE.LL. costituisce modello organizzativo collaudato e ricorrente; previsto, ma teorico, resta l'affidamento ad istituzioni scientifiche e culturali e ad associazioni protezioniste riconosciute; queste, insieme alle associazioni professionali agricole ed a quelle della caccia e della pesca, sono coinvolte negli organismi consultivi e di proposta ma anche in quelli direttivi, quali portatori di interessi diffusi. Il secondo periodo della produzione legislativa regionale per le aree protette, di adeguamento o forse omologazione di singole esperienze, vecchie e nuove, ai principi della legge quadro, continua a presentare la precedente caratterizzazione del procedere "caso per caso", ma, forse per il moltiplicarsi delle iniziative, è sempre più all'evidenza un'idea di "sistema" quale intenzione di base ad orientamento di una possibile gestione unitaria delle varie componenti. Già attraverso la "carta della natura" e le "linee fondamentali dell'assetto del territorio con riferimento ai valori naturalistici ed ambientali", anche se aspettative deluse, come pure con i Programmi triennali e con il Comitato nazionale per le aree protette, nella breve loro vita, i principi della legge quadro aprono un indirizzo all'istituzionalizzazione del "lavorare insieme" che preludeva al "sistema" delle aree protette; tale indirizzo viene poi reinterpretato in senso progettuale dalla l.n.426/'98 per le Alpi, l'Appennino, le coste le isole ed aree marine; importanti riscontri al proposito si desumono dalla seconda conferenza nazionale per le aree protette, nel 2002, con i contributi di Federparchi e del Ced-Ppn del Politecnico di Torino le cui ricerche su APE, Appennino Parco d'Europa, e sulla classificazione delle aree furono all'occasione solennemente presentate dal Ministero. Nel concreto, il segno di APE resterà per memoria nelle leggi di Abruzzo, Lazio, Calabria, Molise, mentre, in sede nazionale e regionale (in Lazio, Puglia, Calabria, Molise), la Direttiva 42/97 CE per la formazione della Rete Europea Natura 2000 costituirà, in questo secondo periodo, ricorrente premessa di metodo per la sua inevitabile integrazione con le aree protette. Accanto a questi segnali di "sistema", si evidenzia l'affermarsi, in attuazione dei principi della legge quadro, dell'assetto delle aree protette come regime "speciale": questo attraverso l'Ente di gestione, al posto del consorzio (salvo che in Emilia-Romagna,Lombardia, Sardegna); attraverso la "sostituzione" di ogni pianificazione ordinaria da parte del piano del parco; attraverso la priorità ed il privilegio (in Valle d'Aosta e Basilicata con la maggiorazione dei contributi) quale intenzione solennemente dichiarata per gli investimenti in area protetta; attraverso la competenza dell'area protetta nel nullaosta in Liguria, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Molise e coincidente con l'autorizzazione paesaggistica ed idrogeologica in Toscana, Abruzzo, Calabria e nel parere di conformità in Valle d'Aosta, Emilia-Romagna, Friuli, Basilicata. Permane la caratterizzazioni delle questioni già evidenziate nel periodo precedente, prima della legge quadro, con significative accentuazioni di alcune conseguenti problematicità. È soprattutto nel merito della classificazione delle varie tipologie che si registra la crescente inconfrontabilità degli esiti ufficializzati attraverso le varie edizioni dell'Elenco ministeriale; si accentua, da parte delle regioni, la diversa maniera di intendere le specifiche missioni a cui far corrispondere le tipologie; il rispetto del divieto di caccia appare come unico ed unificante discrimine ministeriale a garanzia di un posto in Elenco Ufficiale. Il piano del parco resta tendenzialmente una specificazione sovracomunale della pianificazione territoriale ed urbanistica che lascia irrisolti i nodi delle necessarie interrelazioni con le altre pianificazioni in ambito rurale: soprattutto quella faunistica, forestale, di bacino; appare evidente lo schematismo della "sostituzione" della pianificazione ordinaria da parte della pianificazione speciale delle aree protette, voluta dalla legge quadro: l'interpretazione di questa in senso gerarchico accentua gli aspetti di isolamento e separatezza che invece la logica di sistema vorrebbe rimossi attraverso il raccordo al contesto; non aiuta in ciò anche la maniera di intendere le aree contigue: spesso parti di parco dove si può cacciare o cavare (è il caso della Toscana). Nonostante che la presenza delle associazioni ambientaliste e contadine negli organi consultivi e direttivi dell'Ente generalizzi il loro coinvolgimento, tale circostanza non sembra aiuti esiti o almeno contributi significativi in entrambe i distinti ruoli: ne è testimone il check-up 2002 del WWF sulla gestione dei parchi, dove la conoscenza delle situazioni in esame, e le conseguenti valutazioni e contestazioni, evidenziano punti di vista tutti esterni a quelle realtà e la rinuncia a viverle da protagonisti attraverso atteggiamenti positivi.
In conclusione: il panorama complessivo offerto dalla situazione legislativa e gestionale delle aree protette regionali, nella sua attuale dinamica ed a fronte della quantità e varietà degli esiti raggiunti, vede una evoluzione non certo tranquillizzante; questo, sia per le tendenze disciplinari e le prassi operative interne alla materia, sia per il loro rapporto con un contesto molto cambiato rispetto alle condizioni di partenza, per le intervenute sollecitazioni e i sempre nuovi condizionamenti che esso esprime. Questioni nuove si stanno aprendo in situazioni finora considerate avanzate (è il caso di Lazio, Lombardia, Liguria, Abruzzo) dove non è tanto rilevante la variazione dei perimetri e la riduzione delle superfici interessate, quanto la risultante tendenziale attenuazione della "specialità" del regime, a volte sottintesa se non esplicita; è in atto una sorta di marginalizzazione e banalizzazione della missione propria delle aree protette la cui immagine regredisce sempre più a quella di agenzie ambientali, sorta di pro-loco per l'erogazione o certificazione sul mercato di servizi e produzioni, sia pure di conclamata tipicità o qualità. L'idea di sistema rischia così di invecchiare, prima ancora di essersi affermata in tutte le sue implicazioni; lo stesso destino riguarda i tentativi, ancora possibili e sempre necessari, di ricondurre a coerenza ed unitarietà tipologie e classificazioni, in assenza di un significativo monitoraggio delle situazioni; monitoraggio che, anche se previsto in quasi tutte le leggi, attende sempre parametri e criteri validi oltre la pura e semplice numerazione delle aree ed il computo delle loro superfici: una volta raggiunta il famoso 10% del territorio nazionale istituito in area protetta, resta ancora da conoscere quale sia il risultato effettivo conseguito attraverso il ruolo delle parti e del tutto ed il loro rapporto col contesto. Proprio nel momento in cui il regime speciale delle aree protette dovrebbe poter contare su di un rafforzamento complessivo e generalizzato, i suoi fondamenti giuridici e strutturali si manifestano particolarmente deboli nell'affrontare intervenute novità e responsabilità: sia nel quadro nazionale, con il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio; sia nel quadro comunitario, con l'attuazione delle Direttive CE 92/43 e 2001/42 per le ulteriori procedure di valutazione integrata, possibile motivo di confusione e penalizzazione se non accortamente coordinate. È questa una inadeguatezza particolarmente critica soprattutto a reggere il prossimo impatto del riordino, per altro non necessario alle aree protette, della legislazione ambientale delegata al governo con la l. n.308/2004; mentre è generalmente disatteso il privilegio e la priorità dell'intervento pubblico in area protetta, sancito dalla legge quadro; mentre è crescente la riduzione delle risorse dedicate e sempre più improbabile il contributo di quelle aggiuntive, l'autofinanziamento viene prospettato quale "buona pratica" da generalizzare sul mercato: questo può essere il definitivo colpo di grazia per la "specialità" di un regime già minacciato. A tale situazione di rischio resta oggi da contrapporre solo la logica di sistema per conseguire il rinnovamento e rafforzamento necessario alla sopravvivenza degli esiti raggiunti: attraverso alleanze e solidarietà tra aree protette regionali e statali, tra aree protette e contesti territoriali e paesaggistici, economici e sociali; attraverso l'integrazione tra politica delle aree protette e altre politiche ambientali, dello sviluppo rurale, del turismo, della cultura, dell'educazione; attraverso il coordinamento, la semplificazione ed accelerazione degli strumenti e delle procedure gestionali già disponibili. Sono queste considerazioni che fanno guardare con interesse e speranza alla nuova legge dell'Emila-Romagna ed alle novità che prospetta verso un'esplicita politica di sistema, con ridistribuzione di ruoli differenziati tra Regione, Province, Comuni, con procedure e strumenti che rendono per la prima volta effettiva l'apertura a soggetti esterni attraverso la rappresentatività del mondo rurale.
di Antonello Nuzzo
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