Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 45 - GIUGNO 2005




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LA LEALE COLLABORAZIONE

Molto di più di un galateo istituzionale, la "leale collaborazione" dovrebbe essere la norma nei comportamenti amministrativi. Invece è una aspirazione, una speranza, una bandiera agitata contro le arroganze vecchie e nuove, contro i centralismi statali e - a volte - anche regionali. Eppure senza la leale collaborazione non si va avanti.

E' ricorrente dinanzi alle difficoltà persistenti e per molti versi in costante aggravamento soprattutto dei parchi nazionali che si riverberano però inevitabilmente anche sul complesso delle aree protette la pressante richiesta di 'ritornare' a quella leale collaborazione istituzionale che è la condizione di una gestione corretta e 'sana' dei parchi. Questa richiesta, contrariamente a quanto potrebbe sembrare non muove da una visione (o illusione) semplificante della realtà politica e istituzionale quasi che lì si possa senza fatica tutti d'amore e d'accordo risolvere felicemente qualsiasi grana, contrasto ed anche legittima rivendicazione di ruoli che non tutti e non sempre possono condividere ed essere disposti a sostenere. In quella formula tuttavia risiede l'unico e in ogni caso il migliore e più efficace e sperimentato antidoto allo scontro e alle decisioni arroganti dei cui effetti oggi tutti possiamo misurare la gravità. Detto questo vale però la pena di soffermarsi sulle implicazioni e ragioni più profonde di questa esigenza oggi. E non mi riferisco unicamente a quel profilo di più immediata percezione che privilegia la civile discussione, il meditato confronto, la paziente ricerca di un'intesa piuttosto che la pretesa di rovesciare il tavolo e usare e abusare di un potere che lascia sul campo morti e feriti. Tutto questo naturalmente c'è ed è importantissimo perché una collaudata esperienza conferma che queste 'modalità' hanno funzionato e dato nel complesso buoni risultati in tutti questi anni. Si obietta che comunque questo non ha impedito in certe fasi e momenti a qualche forza politica di avvantaggiarsene per cui se oggi altre fanno o tentano di fare altrettanto non c'è motivo di lamentarsene più di tanto e menare tanto scandalo. Ma l'obiezione è fondata soltanto in parte. Lo è per quanto riguarda il fatto che le intese a cui si perviene trattando e diciamo pure contrattando non possono non tener conto - usiamo pure questo termine- dei rapporti di forza che in quel determinato momento esistono sia sul piano nazionale che regionale e locale. D'altronde questo vale come ben sappiamo per tantissime altre scelte e decisioni a cui sono chiamate le istituzioni nella designazione di incarichi anche delicatissimi nei vari organi di garanzia dalla Corte Costituzionale al Consiglio superiore della Magistratura. Ma l'obiezione non regge quando si tende ad accreditare l'idea che l'attuale marasma altro non sarebbe in definitiva che il ripetersi di quella esperienza in un contesto politicamente mutato per quanto riguarda i rapporti di forza. Sarebbero insomma soltanto cambiati i vincitori e gli sconfitti avrebbero il torto di farla tanto lunga e di rimproverare agli altri quello che loro hanno fatto in passato senza tanti scrupoli. Ma qui casca l'asino perché la leale collaborazione deve appunto evitare che la conclusione veda vincitori e sconfitti. Potremmo dire - per usare un richiamo e un termine a cui la Corte costituzionale fa spesso riferimento riguardo alle leggi e alla loro attuazione- che le intese debbono essere improntate ad un principio di 'ragionevolezza' e se si vuole anche di buonsenso. Che è proprio quello che è venuto meno per lasciare il posto ad atti unilaterali che producono 'mostri' come il commissariamento di un parco che può tranquillamente protrarsi per anni; vedi Arcipelago Toscano. Situazioni esplosive e incancrenite alle quali non si era mai pervenuti in passato e che oggi invece sembrano divenute 'normali' da un capo all'altro del paese. Sta qui la differenza e non da poco tra ieri ed oggi. E qui è la ragione che rende urgente il recupero - diciamo pure così- della modalità politica prevista e voluta dalla legge quadro della 'leale collaborazione'. A questo punto però occorre fare un ulteriore passo in avanti in una riflessione che consenta di cogliere anche aspetti e profili rimasti finora del tutto in ombra e ignorati e che attengono non solo alle 'modalità' - quasi che la 'leale collaborazione' in fondo si riducesse essenzialmente ad una sorta di galateo istituzionale. Intendiamoci, dopo quanto abbiamo detto è chiaro che questo profilo è di fondamentale rilevanza specie in questa fase travagliata e prima lo si ripristina meglio è. E tuttavia c'è dell'altro e noi dobbiamo riuscire a coglierlo in tutta la sua pregnanza perché attiene ai 'contenuti' della politica dei parchi, alle implicazioni negative che il protrarsi di questa situazione produce concretamente sull'operato dei parchi e non solo nei rapporti politico-istituzionali. Qui però più che un passo indietro bisogna per un momento lasciare il campo specifico delle aree protette e fare qualche rapida considerazione sulla situazione istituzionale e costituzionale che è andata determinandosi nel nostro paese a far data almeno dalla riforma del titolo V della Costituzione ma già da prima con le riforme Bassanini della pubblica amministrazione. Sebbene nel caso del titolo V si tratti di una riforma rimasta finora a mezz'aria in attesa della sua concreta attuazione ancorchè correttiva non v'è dubbio che essa ha introdotto tra le altre una novità fondamentale anche per quanto riguarda il nostro discorso e cioè non solo una nuova ripartizione di competenze tra stato, regioni ed enti locali ma il riconoscimento di questi ultimi come soggetti che insieme costituiscono e rappresentano la repubblica. Insomma allo stato si affiancano in un nuovo ruolo regioni ed enti locali con nuove importanti funzioni. In base a questa duplice operazione - nuova ripartizione di competenze e nuovo ruolo delle istituzioni- cambia - ecco la novità importantissima- il rapporto tra i livelli istituzionali nella gestione di materie e competenze che raramente riguardano esclusivamente uno soltanto dei soggetti. La sussidiarietà ossia il previsto affidamento di tutta una serie di funzioni ai livelli inferiori a partire dal comune è il palese riconoscimento di questo nuovo protagonismo istituzionale che parte dal basso e non si affida più unicamente ad un potere centrale e burocratico che fa il bello e il cattivo tempo. Tutto ciò rimane al momento per molti aspetti più un progetto che una effettiva realtà tante sono le resistenze a cominciare dallo stato che non perde occasione per tentare di 'recuperare' poteri attraverso una serie di provvedimenti legislativi settoriali regolarmente e giustamente impugnati dalle regioni che stanno fornendo un lavoro sconosciuto in passato alla Corte costituzionale. A ciò si aggiungono interpretazioni non solo diverse ma talvolta di segno contrapposto per quanto riguarda la sussidiarietà di cui troppe volte si perde di vista che essa non esclude ma al contrario presuppone un raccordo tra tutti i livelli istituzionali onde evitare separazioni che producono soltanto contrapposizioni e conflitti. Come è noto il trasferimento di funzioni e competenze ai livelli inferiori deve rispettare il principio di 'adeguatezza' ossia garantire che i livelli istituzionali prescelti per la gestione di una determinata funzione siano in grado di garantire anche il massimo di efficienza il che come ben sappiamo non sempre è possibile in sede comunale. E uno degli esempi senz'altro tra i più significativi di questo nuovo intersecarsi di poteri e competenze è proprio quello che ci riguarda direttamente ossia l'ambiente. Avendo la riforma affidato allo stato la titolarità esclusiva di talune competenze riguardanti con la protezione della natura e dell'ambiente anche i parchi ci si era affrettati a concludere che ora tutto tornava allo stato lasciando a bocca asciutta regioni e enti locali. La Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi al riguardo ha chiaramente stabilito invece che l'ambiente non può essere considerato una materia in quanto la sua gestione incrocia e si intreccia con molteplici e differenti competenze delle regioni quali l'agricoltura, l'urbanistica, la caccia e molte altre alle quali si aggiungono anche quelle delle province e dei comuni. In sostanza la Corte ribadisce che unica soluzione- appunto 'ragionevole'- per la gestione di politiche complesse non riducibili in senso stretto a 'materie' è che stato, regioni ed enti locali titolari esclusivi o concorrenti di materie che interferiscono significativamente nella complessiva gestione dell'ambiente debbono riuscire a collaborare lealmente. Ecco che torna la leale collaborazione sul cui valore e significato oggi convengono tutti anche coloro che ritengono che essa non sia rinvenibile nel testo costituzionale originario ma che faccia - diciamo così- la sua comparsa solo a seguito delle più recenti riforme. Ma proprio l'esempio dell'ambiente che per ovvie ragioni è quello che ci interessa di più dimostra e conferma che la 'leale collaborazione' lungi dall'essere soltanto una modalità operativa per evitare insuperabili conflitti è anche altro e molto di più. E' cioè la condizione indispensabile per la messa a punto di politiche efficaci idonee a realizzare quegli obiettivi, quelle finalità, quegli scopi assegnati dal legislatore alle istituzioni ed anche a soggetti privati. Questo è però il profilo finora meno indagato, meno considerato che invece specialmente per i parchi e per le aree protette è decisivo e non solo per le situazioni di 'assetto' e composizione degli organi oggi controverse e alle quali abbiamo fatto riferimento. Quando si parla e non sempre a proposito del 'consenso' indispensabile, vera condizione sine qua non per qualsiasi area protetta si dice in fondo una cosa molto semplice e cioè che le scelte, le decisioni di un parco debbono essere prese col consenso, il sostegno, la condivisione delle comunità che si esprimono principalmente anche se non esclusivamente attraverso le loro rappresentanze elettive. Ecco, la leale collaborazione è la condizione perché stato, regioni, provincie, comuni, comunità montane (non elettive al pari dei parchi) si accordino non solo sui nomi degli ammnistratori di un parco ma sui contenuti, le scelte, i progetti di quell'area protetta nazionale, regionale o locale che sia. Ma una gestione che consideri non separabili e ancor meno in competizione i ruoli istituzionali che debbono raccordarsi e cooperare, che consideri inoltre la sussidiarietà dei ruoli non semplicemente un trasferimento a cascata ma un principio che deve ispirarsi a quella 'adeguatezza' che assicuri la maggiore efficacia degli interventi e perciò la individuazione del livello più idoneo a garantirla è chiamata a fare i conti con scelte e decisioni politiche da concordare. Da qui quei tavoli, quelle sedi di confronto che pur previste da varie e significative norme oggi generalmente latitano e non funzionano. Torniamo così alle aree protette i cui programmi, progetti, piani in quanto incrociano non soltanto varie competenze e materie ma anche i diversi livelli istituzionali non certo a caso rappresentati nelle Comunità del parco e chiamati a designare le rappresentanze negli enti di gestione dei parchi nazionali e regionali. Dal che ne consegue che tali programmi e in primis il piano del parco a cui si accompagna e affianca quello socio-economico può essere predisposto e approvato soltanto se le istituzioni collaborano tra di loro e non se si fronteggiano armi al piede e commissario in canna. La crisi dei parchi nazionali da cui abbiamo preso le mosse è quindi solo la punta dello iceberg che finora ha in larga misura nascosto la paralisi il disimpegno su quelle questioni cruciali programmatiche alle quali non si può certo provvedere in carenza degli organi democratici e soprattutto in presenza di un conflitto istituzionale esacerbato dalla pretesa di imporre una politica di schieramento laddove solo una politica concordata può far uscire dalle secche in cui ora si trovano i parchi. Gli effetti perniciosi di questa politica che viene paradossalmente presentata all'insegna del 'fare' contro una presunta paralisi imposta dalla gestione pura e semplice dei vincoli e che invece ha beffardamente bloccato qualsiasi funzionamento, si possono leggere in maniera ancor più nitida se passiamo al vaglio quelle politiche di grande area che il legislatore non a caso aveva ben fissato nella legge 426. Ci riferiamo ad APE, alla Convenzione alpina, al progetto coste (CIP) e cosi via attraverso i quali il complesso dei parchi e delle aree protette nazionali e regionali dovevano -diciamo così- immettersi nel circuito nazionale e comunitario con un ruolo strategico preciso ossia connotato da una chiara impronta ambientale che dimostrava quanto poco i parchi fossero considerati meri gestori di vincoli. Tutto questo disegno volto in definitiva alla costruzione di un sistema nazionale di parchi e di aree protette fortemente incardinato nelle politiche ambientali non solo nazionali è andato a farsi benedire in seguito ad una gestione ministeriale che non ha contatti con regioni e enti locali che dal canto loro hanno la non lieve responsabilità di avere accettato quel che passava il convento senza reagire più di tanto anche quando alcune nel loro ambito hanno fatto piuttosto bene la loro parte. Il venir meno di quel minimo di collante che deve esserci tra tutte le aree protette coinvolte nella realizzazione di significative politiche di tutela non ha soltanto disarticolato, frammentato un impegno di cui è sempre più difficile oggi individuare un qualche filo rosso che colleghi le diverse esperienze ma fa registrare anche e soprattutto una allarmante caduta di qualità della iniziativa. Viene da qui oggi una delle maggiori insidie a quella banalizzazione dell'operato dei parchi e non soltanto di quelli commissariati. Una preoccupante caduta di immagine che alimenta scetticismo e sfiducia che appare tanto più grave nel momento in cui anche le aree protette italiane debbono accingersi a giocare un ruolo nella nuova europa . Con quale autorità, prestigio, credibilità un parco commissariato, a corto di risorse, alle prese con i più elementari problemi di funzionamento dal direttore alla vigilanza può presentarsi a Bruxelles per 'rivendicare' quel riconoscimento di ruolo che oggi gli manca e che giustamente Federparchi unitamente ad altre rappresentanze europee sta richiedendo? Come si vede quella in atto è una battaglia per moltissimi versi decisiva ai fini del futuro del sistema delle nostre aree protette. Guai a ridurla ad una mera ancorchè scandalosa bega 'politica'. Qui c'è in discussione e in gioco molto di più della occupazione di qualche poltrona ed è bene averne consapevolezza e non limitarsi ad aspettare che passi la nuttata. A poco più d'un decennio la legge quadro del 91 per molti richiederebbe - come è destino più o meno di tutte le leggi anche le più importanti e innovative - di qualche rivisitazione specialmente alla luce delle esperienze maturate e dei problemi emersi - difficoltà incluse - che oggi possiamo tranquillamente verificare senza drammi. Per qualcuno come sappiamo questa operazione è però a rischio viste le tentazioni e soprattutto i tentativi più volte messi in atto da più parti per snaturarla più che correggerla e adeguarla. Né ha favorito una ragionevole ricerca di un punto di incontro la decisione di affidare la delega per rivederla ad una commissione estranea al Parlamento. Quando si parla della legge quadro ricorre infatti il termine 'snaturamento' un termine sul quale forse non è inutile soffermarsi un momento. Generalmente con esso si intende il rischio di far venir meno i capisaldi di una legge che ha ben delineato le finalità e gli assetti dei parchi nazionali ed anche di quelli regionali che forse non è inopportuno ricordare entrarono nel testo nella fase finale. Fu più di quanto in genere si pensi una integrazione decisiva perché evitò che oggetto della legge fossero unicamente i parchi nazionali come del resto diceva il titolo originario. Questo inserimento fu la condizione perché si potesse parlare di un sistema nazionale di parchi e di aree protette nessuna esclusa. E la leale collaborazione prevista per TUTTI i parchi stava a significare che quel sistema implicava e richiedeva per essere costruito e gestito l'intesa e la cooperazione di tutte le istituzioni come fin dalle prime pronuncie chiarì bene e più volte ribadì la Corte Costituzionale. A questo fine non a caso furono previsti anche sedi e strumenti perché la cooperazione potesse realizzarsi concretamente. Questi tavoli funzionarono poco e male e non risultò difficile abrogarli pur prevedendo che strumenti più idonei ne prendessero il posto. Il che non è avvenuto e anche i tardivi impegni assunti di malavoglia dal ministero molto tempo dopo la Conferenza di Torino sono praticamente rimasti finora lettera morta. Nessuno per la verità si è stracciato le vesti più di tanto dinanzi a queste ripetute inadempienze anche quando Federparchi in scarsa compagnia ne ha rivendicato l'insediamento e il funzionamento. Sulle conseguenze di questo divorzio apparso fin troppo consensuale non si è finora riflettuto abbastanza. E' da lì infatti che prende corpo anche se non dichiaratamente quella divisione fra parchi nazionali e regionali che aprirà la strada a quei comportamenti ministeriali volti ad affermare oltre ad una inesistente e non prevista dalla legge gerarchia tra parchi quella politica di 'rottura' politica ossia di rifiuto nei fatti della leale collaborazione che sanzionava un patto tra tutte le forze politiche - la legge non dimentichiamolo fu approvata praticamente all'unanimità- a sostegno dei parchi e dei loro assetti gestionali. D'altronde non erano possibili altre vie perché nessuno può dimenticare che l'intesa va trovata prima che tra forze politiche tra istituzioni le quali sono tutte legittimate da un voto democratico a partecipare alle decisioni e agli accordi. La logica istituzionale non può coincidere con quella degli schieramenti politici perche anche nel caso in cui ( del tutto improbabile e sempre soggetto a cambiamenti) tutte le amministrazioni fossero gestite da schieramenti politici omogenei differenziati sono i ruoli e i compiti dello stato, delle regioni, delle provincie e dei comuni non riducibili o riconducibili ad una unica matrice. L'aver messo in crisi questo delicato equilibrio con i colpi di mano dei commissariamenti, l'abrogazione dei tavoli di confronto etc rischia di colpire al cuore la legge quadro che su questo punto non può e non deve essere rimessa in discussione. Chi lo fa si sta assumendo la pesante responsabilità di pregiudicare le conquiste di questi anni e di rendere incerto e oscuro il futuro delle nostre aree protette.

di Renzo Moschini