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Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 45 - GIUGNO 2005 |
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DARIO PACCINO |
A ottantasei anni è scomparso un ecologista radicale e divergente, giornalista, scrittore, saggista. Una delle prime voci ad occuparsi di ecologia in Italia fino dagli anni cinquanta del secolo scorso. Partigiano nelle brigate Matteotti, collaboratore dell'Avanti! clandestino. Scrisse tre libri di scienze per le scuole medie, nel 1972 "L'imbroglio ecologico", il suo libro più noto, e molto, molto altro ancora. |
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Se n'è andato, all'inizio dello scorso giugno, Dario Paccino, giornalista, scrittore, saggista una delle prime voci ad occuparsi di ecologia. Aveva ottantasei anni, tutti spesi sull'onda dell'anticonformismo costruttivo, mai rassegnato alle diverse facce della sopraffazione, sempre impegnato nella battaglia civile a favore della liberta, della giustizia, della democrazia reale e non delle varie rappresentazioni fittizie che oggi, spesso, si rischia di darne. Era nato ad Albenga nel 1918 e partecipò attivamente alla Resistenza, sia come militante -nome: Santi- nelle file delle Brigate Matteotti, sia collaborando alle pagine del clandestino "Avanti!". Protagonista a tutto tondo del dibattito politico, aveva cominciato con la requisitoria contro il genocidio -tardivamente riconosciuto- dei nativi d'America, negli anni Cinquanta Con "Arrivano i nostri" (1956) li riabilitò, segnalando il loro rapporto di equilibrio con l'ambiente naturale; lo mise a confronto con la sua dissipazione da parte dei nuovi, presuntuosi, conquistatori. Una concezione di rapina che ha lasciato alle spalle, insieme a quel vero e proprio genocidio, vaste aree desertificate e la riduzione della popolazione di bisonti al rischio di estinzione. Subito dopo, insieme a uno straordinario pedagogo come Mario Lodi, scrisse tre libri di scienze per le scuole medie (1966). Con la premessa al primo dei volumi: « questo non è un libro "da studiare", ma una guida all'osservazione scientifica. La scienza è vasta e complessa in quanto studia la natura, che va dal filo d'erba alla foresta, dall'insetto all'uomo, dalla pozzanghera agli abissi marini. Ma il nostro compito non deve essere quello di passare in rassegna e di mandare a memoria nomi e specie, ma di riuscire a capire, un poco alla volta, osservando e documentando gli aspetti dell'ambiente che ci circonda, in che mondo noi viviamo». Poi, con straordinaria preveggenza, scrisse "Domani il diluvio" (Calderini, 1970), in cui avvertiva che la sistematica, supponente violazione delle leggi ecologiche avrebbe trasformato ogni pioggia in alluvione diluviale.« Chiunque danneggi la biosfera, contribuendo a portare il deserto dove c'è la vita, in sostanza fa propria, anche se non la pronuncia, la massima di Luigi XV "Après moi le dèluge", dopo di me il diluvio. Oggi i Luigi XV sono tutti coloro che, per ignoranza o interesse, preparano la catastrofe di domani, costringendo fin d'ora l'umanità a vivere in condizioni dannose per la salute. A quali tragiche conseguenze possa portare l'inquinamento dell'aria si è visto in ripetute circostanze (
) Non meno drammatici (
) si presentano i problemi dell'acqua sia che straripi, sia che scarseggi, sia che venga resa inutilizzabile con gli inquinamenti. (
) Scardinando la biosfera, l'uomo mette in pericolo anche il proprio pane. (
) Dinanzi a questi problemi l'uomo si comporta come un giocatore d'azzardo, che punta sulle future invenzioni della tecnica per districarsi dalle difficoltà derivanti dallo sperpero delle risorse naturali. Intanto lo sperpero continua e la situazione si aggrava sempre più. E' come se l'uomo non si rendesse conto che, minando le fondamenta della casa dei viventi, determinerà il crollo anche dell'appartamento che in esso si è costruito. (
) L'ecologia dirà se l'uomo abbia veramente la ragione, o ne sia privo». «Chi ha scritto questo libro -sono le parole di presentazione di Valerio Giacomini- è un "terzo uomo", nel senso che oggi si vuol dare in ambienti internazionali a questa espressione. Il terzo uomo si incarica di creare una comunicazione fra il produttore specialistico di scienza e di tecnica ("primo uomo") e qualsiasi altro uomo ("secondo uomo") che manifesti ben legittime esigenze di informazione e di conoscenza. (
) i problemi che vengono proposti e agitati in questo libro sono quelli della conservazione della natura per la conservazione dell'uomo, di difesa di "tutta" la vita del mondo per la difesa di equilibri e solidarietà universali. Problemi che devono necessariamente penetrare nelle coscienze di ogni cittadino, se è così urgente che si costituisca una consapevolezza realistica delle qualità sostanziali della vita e dell'ambiente, che è quanto dire dei requisiti di abitabilità del mondo. (
) Queste pagine non sono più di scienza, sono traduzione umana di una originaria parola scientifica. Vorrebbero giungere a tutti, vorrebbero entrare nelle case, nelle scuole, nelle fabbriche, per comunicare non tanto qualche superficiale impressione, ma una convinzione sofferta e realistica delle più urgenti necessità. Vorrebbero riportare l'attenzione su valori troppo dimenticati o troppo vagamente conosciuti, che meritano invece di essere collocati ai primi posti nelle stesse rivendicazioni, contestazioni e grandi battaglie che oggi si conducono per interessi sociali e umani». L'attualità di queste considerazioni è evidente, anche se molte case, molte scuole, molte fabbriche dovrebbero meglio ascoltare voci tanto evidenti nell'annuncio di verità - ormai non più mascherabili- quanto rimosse per comodità e assuefazione a modelli comportamentali individuali e collettivi non più sostenibili né sotto il profilo ambientale, né per la palese ingiustizia planetaria che il loro mantenimento comporta. E sono ancora questi due argomenti a contrassegnare il saggio forse più noto di Dario Paccino "L'imbroglio ecologico" (Einaudi 1972), opera in cui insinuò dubbi sulla predicazione di una nuova morale ecologica che veniva dagli Stati Uniti di un Nixon che impiegava i defoglianti nel Vietnam; dalla Fondazione Volkswagen che finanziava le ricerche del Club di Roma tese a raccomandare limiti alla crescita di popolazione e consumi (dunque anche delle auto); dall'Eni cui era affidata la prima "Relazione sullo stato dell'ambiente in Italia" da cui sarebbero dovuti emergere gli inquinamenti dovuti al petrolio, "core business" dell'azienda. Paccino dedica il suo lavoro « a coloro che per guadagnarsi il pane devono vivere in habitat che nessun ecologo accetterebbe per gli orsi del Parco nazionale d'Abruzzo e gli stambecchi del Parco Nazionale Gran Paradiso: gli operai di fabbriche e cantieri. Assunto dell'opera, la proposta di mettere l'ecologia con i piedi sulla terra, la terra di tutti gli uomini, e perciò anche delle loro verità e ideologia: il sistema dei rapporti di produzione. E ciò in polemica sia con quegli ecologi che si librano al di sopra delle parti, sia con quei materialisti storici che accolgono la riduzione idealistica della storia naturale alla storia umana». In quegli stessi anni Paccino diede vita, insieme a Valerio Giacomini, primo ecologo di fama internazionale del nostro paese, alla rivista della Pro Natura "Natura e Società", a sottolineare gli aspetti ambientali e sociali della questione ecologica. Poco dopo (1976) pubblica, ancora con Einaudi, ancora nella prestigiosa collana "Nuovo Politecnico", "L'ombra di Confucio. Uomo e natura in Cina", straordinario reportage da un pianeta la cui deflagrazione è oggi all'ordine del giorno e denuncia la temporanea sconfitta delle speranze di Dario. Dedicò la sua ennesima documentata fotografia di un mondo in rapida evoluzione, al figlio Sirio «ferito dai fascisti perché militante antifascista, il 18 aprile 1975 e che tuttora lotta, in un centro di riabilitazione ceko, contro la paralisi». Era controcorrente Dario Paccino, sempre pronto a far emergere le contraddizioni di un modello di sviluppo che ancora oggi è ben lontano dalla tanto declamata sostenibilità ambientale e sociale. Così come dalla globalizzazione di valori fondamentali come pace, giustizia, liberta, democrazia quale sistema inclusivo che ammette tutti a fruire delle sue opportunità, nella lettura che ci ha insegnato Norberto Bobbio. Dario Paccino fu uomo coerente nella sua convinzione di dover perseguire gli stessi ideali per cui combattè in gioventù. Per questo rimase marxianamente fedele, pronto ogni volta a rivelare e denunciare, fin quasi a farne un ossessiva missione, tutti coloro che continuano a stare dalla parte della difesa dei privilegi, dell'ingiustizia, della sopraffazione, di ogni forma di fascismo In questa linea di coerenza intellettuale, non mancò di denunciare i pericoli della scelta nucleare e della scienza asservita al potere con "La trappola della scienza. Tutti vivi ad Harrisburg" (1979). Lo dedicò «alla memoria di Giulio Maccacaro, sempre disponibile -anche quando si trattò di affrontare la violenza del potere- a denunciare l'ombra di morte che proiettano sull'umanità scienza e tecnologia» e denunciò tutti i silenzi, le minimizzazioni e le manipolazioni informative costruite intorno a un incidente che mise in ginocchio tutti coloro che avevano spergiurato sulla sicurezza degli impianti nucleari. Un'opera di verità che andrà forse ripresa, davanti alla riproposizione di una tecnologia per l'approvvigionamento energetico che anche se migliorata, mantiene inalterati i motivi intrinseci di pericolosità che motivarono le ragioni dell'opposizione. Ancora in tema antinucleare "Il diario di un provocatore" da cui fu tratto un film (L'uomo della guerra possibile" di Romeo Costantini), ambientato in terra d'Abruzzo, segnalato al Festival di Venezia, ma che, per la sua carica eversiva, ebbe una limitata distribuzione nel normale circuito. Ma le sue critiche corrosive colpirono anche quegli ambientalisti scesi a patto con il potere; lo fece con "I colonnelli verdi e la fine dalla storia" che mette in rilievo l'accettazione della storia come fine della conflittualità antagonistica. «L'accusa agli ecologisti è di creare, con la pretesa centralità della natura, un diversivo che, occultando la vera centralità, porta acqua al mulino dello sfruttamento, contribuendo così -contrariamente alle finalità da essi annunciate- ad aggravare ulteriormente gli squilibri naturali, fatalmente erosi da una produzione soprattutto mirata, anziché ai bisogni umani, alla valorizzazione del capitale, così esclusiva e dominante che diventa secondario quel che si produce (pane o armi di sterminio), e come lo si produce (distruggendo all'occorrenza risorse non più rinnovabili), sola rilevanza considerevole essendo quella della massimizzazione del profitto». La vera centralità, per Paccino, resta marxianamente il lavoro salariato. Ed è questo il filone di pensiero che negli ultimi anni ha inseguito e approfondito con una serie di scritti pubblicati nel panorama editoriale della sinistra antagonista; da ricordare in particolare la collana editoriale "Biblioteca per invendibili o malvenduti". Tra gli ultimi lavori dati alle stampe, con l'editore Odradek di Roma, "Euro Kaput. Testimonianze antifasciste anni trenta novanta". Scritto nel momento in cui l'Europa vive il trauma di una improbabile "guerra umanitaria", il volume raccoglie storie esemplari nelle quali l'invettiva politica si fa letteratura e il racconto del secolo intreccia l'esigenza della memoria storica anche per chi ha rappresentato l'antagonismo, la divergenza. E non manca di approfondire e commentare, attraverso l'espediente del dialogo, la stessa esperienza dell'Autore. Una sorta di testamento spirituale in cui Dario Paccino rivisita e ripropone i suoi temi e la sua lezione fondamentale: la violenza sulla natura non viene da una categoria astratta di "uomo", ma nasce da regole economiche e sociali -rispetto alle quali, a volte, la stessa politica è impotente- e che guardano con insipienza unicamente alla crescita e alla produzione sempre maggiore di beni -utili o inutili, è indifferente- come unico parametro di uno pseudo sviluppo. Varrebbe la pena riprendere in mano ciò che Dario Paccino ha scritto. di Walter Giuliano |