Introduzione
Alla fine degli anni Novanta, quando si è trattato di programmare le risorse dei fondi strutturali per il periodo 2000-2006 a favore delle regioni del Mezzogiorno (i fondi strutturali sono quei finanziamenti che l'Europa destina allo sviluppo delle regioni e delle aree economicamente più deboli), ha avuto luogo un'intensa attività di concertazione istituzionale coordinata dal Ministero del Tesoro e, in particolare, dal Dipartimento alle Politiche di Sviluppo creato dall'allora Ministro Ciampi. Quella attività di concertazione ha rappresentato uno sforzo collettivo importante, in cui hanno avuto un ruolo, accanto al Tesoro, molte altre amministrazioni centrali dello Stato, le Regioni, molti organismi rappresentativi dell'economia e della società civile, le università e la comunità scientifica. Ne è uscita rilanciata, e profondamente innovata, la politica nazionale per il Mezzogiorno. Al centro del nuovo corso, l'idea e il progetto di riformare il processo di decisione collettiva che governa in Italia gli investimenti produttivi e la politica di sviluppo (Barca 2004). La "nuova programmazione" dei fondi europei 2000-2006, nel definire la strategia per lo sviluppo, ha dato grande rilievo alle risorse naturali e culturali. A testimoniarlo sono tutti i principali documenti prodotti in quel periodo: le Cento idee per lo sviluppo di fine 1998, una raccolta di proposte a cui contribuirono studiosi ed esperti di settore; il successivo Programma per lo sviluppo del Mezzogiorno, nel quale vennero indicati i presupposti teorici e le scelte di contenuto e di metodo della nuova programmazione; il Quadro Comunitario di Sostegno 2000-2006 che fissò strategie, criteri di attuazione, quadro finanziario del programma a valle del negoziato con la Commissione Europea.(1) In ognuno di questi documenti si sostiene che la cura e la valorizzazione delle risorse naturali sono cruciali per la politica di sviluppo territoriale. Ne deriva che ad esse devono essere destinati adeguati ammontari di risorse, e che per esse si devono costruire adeguati modelli di intervento pubblico. Le Regioni, nei loro Programmi operativi hanno dato sviluppo a questi indirizzi. E' stato calcolato di recente che, nel settennio, esse hanno finalizzato alle aree a elevata naturalità circa 980 milioni di euro: una somma rilevante, di molto superiore a quanto il bilancio dello Stato rende ordinariamente disponibile per investimenti pubblici nel settore.(2) La nuova programmazione è stata dunque importante perché ha implicato un incremento dei finanziamenti per investimenti pubblici nelle aree naturali: per la loro tutela, il loro recupero, la loro fruizione e la loro valorizzazione. Allo stesso tempo, altre implicazioni significative si sono determinate su due piani:
- per la prima volta si è affermato in documenti ufficiali di politica economica, in modo esplicito e diretto, che la cura e la corretta gestione delle risorse naturali sono decisive per innescare processi di sviluppo. Stabilire questo punto ha molto accresciuto l'interesse e l'attenzione per i problemi che ruotano attorno alla salvaguardia e all'uso dei beni naturali. Politici, amministratori, progettisti e tecnici estranei alla tradizionale cerchia, relativamente ristretta, di addetti ai lavori, sono stati sollecitati a occuparsi di questi temi. Questioni per il passato considerate di interesse esclusivamente settoriale, sono state promosse a questioni di rilevanza strategica per le regioni e le comunità locali;
- il nesso tra conservazione della natura e politica economica è stato stabilito sulla base dei presupposti teorici del "paradigma dello sviluppo locale". Con questa espressione ci si riferisce a un approccio secondo il quale: (a) lo sviluppo è possibile liberando il potenziale delle iniziative locali, valorizzando le risorse economiche e culturali delle società locali, stabilendo assetti istituzionali capaci di favorire decisioni e aggregazioni decentrate; (b) lo sviluppo locale si innesca con strategie di più attori, pubblici e privati, capaci di sviluppare progetti coordinati (Bagnasco 2004). In queste coordinate, l'inclusione delle aree naturali nella politica di sviluppo ha significato mobilitazione e responsabilizzazione delle istituzioni e delle comunità locali. Ha preso forza la vecchia idea di pensare il parco naturale come sistema produttivo locale (Natali 1996): un ambito territoriale in cui istituzioni pubbliche e imprese apprendono ad auto-organizzarsi e a coordinare le proprie azioni, per scopi di conservazione e sviluppo di comune interesse.
Le Regioni hanno svolto un ruolo di primo piano nel trasformare queste implicazioni in scelte operative. La programmazione nazionale, infatti, ha lasciato loro ampi spazi di libertà nel precisare la strategia e nell'identificare priorità, mezzi e modalità di attuazione. Né sarebbe potuto essere altrimenti. La responsabilizzazione delle Regioni era essenziale, affinché si potesse tenere conto delle diverse condizioni di stato e di uso delle risorse naturali, così come dei diversi assetti normativi e di piano. Un certo grado di differenziazione sarebbe stato pertanto auspicabile. Così è avvenuto: in sede di definizione dei Programmi operativi le Regioni hanno fatto le loro scelte, con l'esito di una differenziazione del quadro. Quali considerazioni sono possibili oggi, guardando retrospettivamente al percorso sin qui compiuto? La domanda è posta in una fase che è, al tempo stesso, di forte impegno nell'attuazione della programmazione 2000-2006 e di riflessione e discussione sul prossimo ciclo 2007-2013. Nelle pagine che seguono si tenta di offrire qualche spunto. In apertura si dà conto di come molte aree naturali nel Mezzogiorno siano oggi interessate da progetti pubblici complessi, messi a punto bottom-up, che integrano una varietà di azioni settoriali che attingono a distinti canali di finanziamento regionale (Aree naturali e progetti integrati). Segue una rapida rassegna del modo nel quale le Regioni hanno specificato la strategia nazionale per la rete ecologica, dando speciale rilievo, data la sua originalità, alla linea della Campania (Le scelte delle Regioni). Si commentano poi gli indirizzi di riorientamento della programmazione nazionale approvati a metà del periodo 2000-2006, indicando il rischio che essi riportino a una visione tecnicosettoriale della conservazione della natura, con caduta della tensione strategica che aveva caratterizzato l'inizio del ciclo (La revisione di metà periodo del QCS). Infine si considera come molte delle difficoltà di visione e di attuazione emerse in questi anni siano riconoscibili come difficoltà a innovare, e quali azioni appaiano di conseguenza adeguate per favorirne il superamento (Un problema di innovazione).
Aree naturali e progetti integrati
Il QCS 2000-2006, nel definire gli indirizzi e le regole di riferimento delle azioni a favore delle risorse naturali e rete ecologica, prevedeva la "identificazione di ambiti territoriali privilegiati sui quali intervenire con approccio fortemente integrato". Questo richiamo all'integrazione è stato interpretato dalle Regioni facendo ampio ricorso alla modalità dei progetti integrati territoriali. Questi si caratterizzano per essere: (a) progetti "complessi", ovvero progetti che individuano una pluralità di interventi (anche molto variegati e diversi tra loro per tipo e settore), funzionali a un certo obiettivo di sviluppo territoriale; (b) progetti di iniziativa locale, costruiti o in piena autonomia dal livello locale o in interazione tra livello locale e Regione, di concerto con le organizzazioni dell'economia e della società civile locale. I progetti integrati sono stati privilegiati perché particolarmente adatti a raccogliere le esigenze di trasformazione delle aree naturali. Essi offrono la possibilità di pensare, progettare e vedersi finanziare assieme, come disegno unitario, tante azioni tra loro diverse la cui contestualità e il cui coordinamento sono cruciali: azioni di tutela delle risorse, recupero di ambienti degradati e restauro di beni pubblici, miglioramento della viabilità e dei sentieri, creazione di strutture per la visita e l'accesso ai servizi, promozione e qualificazione delle attività private, stimolo alla cooperazione e alle iniziative di sistema. I progetti integrati rappresentano una modalità di attuazione innovativa, limitata solo a una quota delle risorse finanziarie disponibili nei Programmi operativi. Di norma, nell'ambito dei Programmi, le Regioni vagliano e decidono il finanziamento di singoli progetti candidati da singoli proponenti a valere su singole misure.(3) Col progetto integrato si dà invece la possibilità a un territorio di proporre una pluralità di progetti tra loro collegati e di ottenerne il finanziamento simultaneo. L'esperienza di questi anni ha mostrato che la segmentazione dei Programmi in misure settoriali genera comunque difficoltà all'attuazione dei progetti integrati, tuttavia resta salvo un punto, assai importante: il progetto integrato, una volta approvato, assicura certezza di finanziamento a un insieme spesso rilevante di interventi pubblici. Questa certezza è molto importante per i potenziali investitori privati. Rende infatti possibile prevedere le trasformazioni che il territorio conoscerà per effetto dell'azione pubblica, e immaginare scenari nei quali potrà aumentare la convenienza a intraprendere nuove attività produttive, o a riconvertire o a dare particolari sviluppi ad attività esistenti. I progetti integrati territoriali rappresentano una modalità di organizzazione dell'intervento pubblico, in forte sintonia col paradigma dello sviluppo locale. Essi infatti sollecitano la capacità di iniziativa locale, il coordinamento di sistema, l'auto-organizzazione. Il loro contributo può essere assai importante per la crescita di quei luoghi che in passato non hanno avuto occasione di sperimentare forme di coordinamento. In tali contesti essi possono aiutare l'attivazione di quei processi sociali che si ritengono fortemente influenti sullo sviluppo: costruire capitale sociale, fare emergere classi dirigenti locali, creare una visione condivisa su quello che c'è da fare, rafforzare la partecipazione (Viesti 2000). Infine un altro importante beneficio che i progetti integrati, almeno virtualmente, sono in grado di generare, consiste in uno slittamento di attenzione e di impegno dalla cattura del singolo finanziamento, alle analisi e alle valutazioni che devono sostenere scelte strategiche di sistema. Il punto di vista da individuale si fa collettivo: come si fa a indurre il cambiamento desiderato? Quali sono gli ostacoli, e quali i mezzi efficaci per superarli? Che percorso si è fatto altrove, e quali lezioni e indicazioni se ne possono trarre? Quali priorità conviene selezionare? Quali interventi mettere al centro della costruzione progettuale? e così via. Naturalmente questo è un modo assai astratto di descrivere i progetti integrati, che oltretutto evidenzia gli aspetti positivi e non quelli critici, che pure esistono (vengono infatti espresse valutazioni diverse sulla reale capacità dei progetti integrati di generare sviluppo, mentre esiste un consenso più diffuso circa la loro capacità di migliorare il coordinamento istituzionale o la governance locale). Inoltre occorre tenere presente che le Regioni non hanno regolato i progetti integrati nello stesso modo, e questa disomogeneità normativa ha avuto ripercussioni rilevanti (DPS 2003, DPS 2004, Formez 2001, Formez 2003). Il quadro appare oggi decisamente differenziato per quanto riguarda sia i progetti integrati come tali, sia la loro combinazione con le aree naturali e la strategia di valorizzazione di tali aree.
Le scelte delle Regioni
Molte Regioni hanno scelto di promuovere la formazione di progetti integrati su tutto il proprio territorio, previa delimitazione dei perimetri degli ambiti di progetto. Questa linea accomuna la Basilicata (il cui territorio è suddiviso in 8 ambiti) e la Calabria (23 ambiti). Dal momento che tutto il territorio regionale è coperto dalla progettazione integrata, tutte le aree naturali vi sono coinvolte. Sono però le coalizioni locali, area per area, a decidere se e quanto la presenza di un nucleo importante di valori naturalistici (riconosciuto anche istituzionalmente come parco nazionale, parco regionale o SIC/ZPS della rete Natura 2000) debba svolgere un ruolo trainante nella strategia di sviluppo di quell'ambito territoriale. E la decisione locale quasi sempre va in direzioni diverse: talvolta perché si preferisce privilegiare altre risorse o caratteristiche, talvolta perché ci si prefigge un generico miglioramento delle dotazioni di strutture e servizi. Anche la Regione Puglia ha perimetrato le aree, facendo riferimento ai sistemi locali di sviluppo e giungendo a coprire l'80% circa del territorio. Nessuno dei dieci progetti integrati individuati dà preminenza alla valorizzazione delle risorse naturali. Altre Regioni hanno preferito lasciare all'iniziativa locale il compito di definire bottomup gli ambiti territoriali in cui costruire progetti integrati. In Sicilia questa scelta ha condotto quasi naturalmente alla formazione di progetti integrati di parco nei territori già interessati da aree protette istituite (Madonie, Nebrodi); mentre in Sardegna e in Molise, data l'assenza di aree protette istituite, non ha visto la luce alcun progetto integrato con una forte caratterizzazione in tal senso.(4) Infine la Regione Campania spicca per una scelta originale. Essa ha usato i fondi della politica di sviluppo come leva per incentivare e accelerare l'effettiva costituzione dei parchi regionali, individuati alcuni anni prima dalla legge regionale. Sono così stati decisi top-down dalla Regione due progetti integrati per i due parchi nazionali del Vesuvio e del Cilento, e cinque progetti integrati relativi ad altrettante costituende aree di parco regionale. Nel complesso a questa operazione è stata finalizzata una somma consistente, pari a oltre 350 milioni di euro.
Regione Campania: progetti integrati "Parchi naturali" approvati
|
N. comuni |
Milioni di euro (*) |
Progetti integrati parchi nazionali |
Cilento Vallo di Diano |
97 |
108.136.107 |
Vesuvio |
18 |
73.289.282 |
Progetti integrati parchi regionali |
Parco regionale del Partenio |
22 |
26.690.341 |
Parco regionale del Matese |
20 |
53.086.461 |
Parco regionale di Roccamonfina - Foce Garigliano |
7 |
10.537.830 |
Parco regionale del Taburno - Camposauro |
14 |
68.009.256 |
Parco regionale dei Monti Picentini |
31 |
60.808.144 |
Parco regionale del Fiume Sarno |
10 |
5.158.261 |
(*) importi corrispondenti all'investimento complessivo del progetto integrato (risorse POR + altre risorse pubbliche + risorse private). Fonti: delibere della Giunta regionale di approvazione dei progetti integrati.
Va sottolineato che quello dei parchi non è il solo caso in cui la Regione Campania si è regolata in questo modo. Analogo comportamento ha seguito per altri luoghi/risorse di interesse strategico a scala regionale, individuando direttamente i progetti integrati "grandi attrattori culturali" (Certosa di Padula, Peastum-Velia, Reggia di Caserta, Pompei-Ercolano ed altri), "distretti industriali" (Solofra, Nocera Inferiore-Gragnano, San Marco dei Cavoti, San Giuseppe Vesuviano ed altri), "città" (tutti i capoluogo di provincia), "filiere regionali" (termale, enogastronomica, portualità turistica, ecc.), e alcuni altri.(5) Naturalmente è stato possibile alla Regione mandare a effetto ognuna di queste scelte, a condizione di assicurarsi il consenso degli enti locali. Questo ha richiesto azioni di coinvolgimento e di condivisione delle decisioni: azioni assai delicate che, nel caso dei progetti integrati dei parchi, sono state svolte da figure di commissari scelti in genere tra i funzionari della Regione. I commissari hanno lavorato su due piani: quello politico per l'acquisizione del consenso locale, quello tecnico per la definizione del progetto e la messa a punto del pacchetto di interventi da candidare al finanziamento. Il loro ruolo è stato quindi fondamentale. Essi hanno avuto il compito delicato di disegnare una proposta all'altezza dell'obiettivo strategico (gettare le basi per la costituzione e il funzionamento di un parco regionale), e, insieme, capace di ottenere l'adesione di amministrazioni locali spesso "fredde" rispetto ad un progetto di territorio indicato top-down dalla Regione. Nei casi di successo, il commissario ha lasciato in eredità agli organi ordinari dell'Ente parco risultati importanti. Non si è ancora osservato in dettaglio, nelle diverse aree, quanto questi eventi siano riusciti a incidere in profondità e determinare una reale appropriazione del progetto di parco da parte delle comunità locali.(6) Sarà importante farlo, verificando dove la manovra di accelerazione istituzionale messa in atto dalla Regione abbia avuto successo, e quali condizioni abbiano svolto un ruolo in questo. Se ne potranno ricavare indicazioni utili anche per quelle Regioni che sinora non hanno usato l'incentivo finanziario per favorire la creazione dei parchi regionali, ma potrebbero farlo in futuro.
La revisione di metà periodo del QCS
La revisione di metà periodo del Quadro Comunitario di Sostegno, svolta nel 2004 e con effetti sull'ultima fase del ciclo (2004-2006), ha introdotto modifiche anche in relazione alla strategia e alle misure afferenti alla Rete ecologica.(7) Esse riguardano i criteri e gli indirizzi per l'attuazione della strategia e l'individuazione delle linee di intervento da privilegiare. In che direzione muovono le modifiche? Esse sollecitano le amministrazioni regionali a: il completamento del quadro normativo e amministrativo regionale di riferimento(8); la concentrazione degli interventi negli ambiti territoriali che rappresentano i "nodi" della Rete (aree protette e siti Natura 2000); l'attuazione delle misure di conservazione dei siti Natura 2000 mediante, ove necessario, appropriati Piani di gestione, secondo le Linee guida emanate dal Ministero dell'Ambiente.(9) Queste indicazioni sono chiare: occorre contenere e al limite far cessare la dispersione delle risorse finanziarie destinate alla rete ecologica al di fuori dei siti riconosciuti e, soprattutto, occorre impegnarsi con maggiore determinazione sul fronte delle norme e dei piani. Le Regioni sono invitate a rispettare una sequenza secondo la quale prima si norma e si regola, dopo si progetta l'intervento di sviluppo. Traspare con evidenza l'intento di rimettere l'intervento regionale sui binari di una razionalità che, evidentemente, nei primi anni di attuazione del QCS e dei POR, è stata riconosciuta debole. Con ciò la revisione di metà periodo del QCS si rivela una interessante ed efficace manifestazione della capacità auto-regolativa del sistema istituzionale preposto ai fondi strutturali. Se anche le Regioni hanno avuto ampia libertà di manovra e hanno goduto di una forte responsabilizzazione, le amministrazioni centrali (in questo caso in primo luogo il Ministero dell'Ambiente), insieme con la Commissione europea, sono in grado di impiegare gli esiti del monitoraggio e della valutazione, e agire con un effettivo potere di riorientamento. Nel merito, le indicazioni sopra ricordate danno adito anche a qualche interrogativo. L'esperienza della Campania ha mostrato che la sequenza "prima normare, poi agire", che sulla carta è quella che meglio garantisce la tutela e la protezione delle risorse, può avere qualche alternativa. Per esempio, quella di incentivare all'adesione a un progetto di tutela proprio manovrando i fondi per l'economia e lo sviluppo. I punti in questione sono due: il primo è dove si debba porre il punto di equilibrio tra vincolo centrale e libertà di azione regionale, in un settore indubbiamente delicato come quello della conservazione della natura; il secondo è quali sono i mezzi efficaci per perseguire gli scopi di conservazione, stante il fatto che da molti anni, per fare un esempio, i Piani di gestione dei SIC devono essere realizzati ma tuttora non esistono se non in pochissimi casi. Il caso della Campania che adopera la leva dei progetti integrati per sbloccare la concreta costituzione dei parchi regionali a diversi anni dalla loro istituzione formale con legge, merita attenzione. Lo si può leggere come una mera operazione di scambio per l'acquisizione del consenso. In realtà in ogni area parco la costruzione del progetto ha coinvolto, fatto discutere e elevato il livello di consapevolezza delle istituzioni sul perché è importante proteggere la natura e adottare modi più accorti, meno impattanti e a più alto contenuto di conoscenza, nella valorizzazione delle risorse. La sequenza "prima disciplinare, poi agire" può essere affiancata dalla sequenza "prima agire, poi disciplinare": il punto davvero importante, come sempre, è come si organizza il processo di azione e come si organizza il processo normativo, senza che sia giustificato preferire l'uno o l'altro in quanto tale. Al fondo si torna al solito problema impossibile da saltare: come creare un capacità decentrata, regionale e locale, di accogliere una strategia, comprenderla, volerla e saperla realizzare. L'aggiustamento introdotto nel QCS comunque spingerà le Regioni, e in qualche misura le costringerà, a dedicare forte attenzione alle norme e ai piani. Il Centro sembra dire loro: l'inizio del nuovo ciclo, 2007-2013, è ormai prossimo; chiudere bene quello in corso con alcuni solidi passi in avanti istituzionali, permetterà di guardare al futuro con più fiducia, permetterà di progettare l'incontro tra conservazione e sviluppo su basi più solide. Nessuno può dire però se andrà proprio così. Riportare l'attenzione delle Regioni sugli adempimenti normativi e gli assetti istituzionali potrebbe anche determinare una caduta di tensione: un mettere da parte il progetto di combinare conservazione della natura e politica di sviluppo, riportando l'azione pubblica per le aree naturali nell'alveo della politica ambientale di settore. Sarebbe un peccato. Se un sistema locale discute malamente di risorse naturali e progetta malamente le infrastrutture e i servizi collettivi per la valorizzazione delle risorse, forse la risposta da attrezzare in coerenza con la Nuova Politica Territoriale (Barca 2004) non è finanziare gli assessorati regionali e provinciali all'ambiente perché redigano diffusamente i piani di gestione dei siti Natura 2000 che ancora diffusamente mancano, quanto invece chiedere alle istituzioni che presiedono alle politiche di sviluppo come si fa a fare in modo che quel sistema locale impari a discutere di natura con più competenza, e a produrre buoni progetti.
Un problema di innovazione
L'incontro tra aree naturali e politica di sviluppo ha sortito, come si è visto, soluzioni diverse. La Campania ha decisamente abbracciato l'opportunità di far avanzare la politica regionale dei parchi, imprimendo un'accelerazione il cui buon esito è ancora in gioco. Esso dipenderà tanto dalle comunità locali e dalla loro capacità di adeguare il passo alla trasformazione, quanto dalla Regione e dalla sua capacità di accompagnamento. In altri territori, i fondi europei hanno beneficiato aree naturali in modo più o meno intenso a seconda del grado di focalizzazione dei progetti integrati. In contesti di quasi assenza di aree protette istituite, e insieme carenza legislativa e debolezza della politica di conservazione, l'incontro con l'intervento di sviluppo è risultato poco soddisfacente. Nell'insieme, la vicenda in corso del QCS 2000-2006 permette di considerare che la forte responsabilizzazione dei livelli di governo decentrati non ha liberato sinora le energie e le iniziative che si contava di attivare. Se alcune esperienze appaiono positive, altre sono deludenti o a forte rischio di insuccesso. Come interpretare questo dato, e quali fattori chiamare in causa per spiegarlo? Un punto di vista equilibrato dovrebbe tenere conto di vari aspetti: in primo luogo il fatto che è stata una complessa filiera organizzativa quella che, a partire dal 2000, si è dovuta attivare e in parte costruire. All'inizio è stato protagonista soprattutto il Centro, insieme con le Regioni. In seguito, una prima lunga fase di definizione dei programmi e di impostazione dell'attuazione ha visto soprattutto le Regioni impegnate in uno sforzo importante di modernizzazione e di incremento di efficienza (molte hanno dovuto organizzare strutture e uffici nuovi per porsi all'altezza delle nuove responsabilità e dei nuovi adempimenti). Solo a programma inoltrato, a partire dal terzo anno, l'iniziativa ha pienamente investito il livello locale. In molti casi si stanno quindi osservando fenomeni che, dal punto di vista locale, hanno una storia non di cinque ma di soli due-tre anni; in secondo luogo, il fatto che molte Regioni anche nell'ultima fase sono state più che assorbite dallo sforzo di tenere testa alla quantità di adempimenti e al ritmo di scadenze imposti dalle regole comunitarie: elementi dotati di cogenza, come è noto, perché il mancato rispetto degli uni o delle altre si traduce, per via diretta o indiretta, nella perdita di risorse finanziarie. Anche questo profilo rimanda al potente sforzo organizzativo a cui sono state indotte le Regioni del Mezzogiorno, per giungere a un grado di efficienza compatibile con le norme della programmazione europea. Uno sforzo che non ha permesso grandi "distrazioni", se così si possono chiamare azioni in realtà più che auspicabili, nella direzione di dare sostegno tecnico ai territori, e stimolare le istituzioni locali a progetti più credibili e di qualità; come terzo, il fatto che trasformare un ambito locale in un sistema produttivo organizzato attorno a beni naturali (e culturali) è un'azione fortemente innovativa: sia per gli agenti di quell'ambito sia, spesso, per l'istituzione regionale con cui essi si rapportano. Conviene spendere qualche parola sull'ultimo punto. Da tempo si è consapevoli delle difficoltà che un progetto del tipo descritto incontra. Esse sono numerose: spesso negli ambiti locali interessati mancano le conoscenze e le competenze necessarie; spesso i valori dominanti, che ispirano le decisioni della politica, non contemplano la difesa della natura come bene primario; spesso, di conseguenza, accade che per ignoranza, oltre che per malafede, vengano selezionate azioni discutibili.(10) Porre un problema di innovazione aggiunge a questo un ulteriore profilo di riflessione. L'innovazione comporta uno scarto, una discontinuità. Si tratta, da parte di qualcuno, affermare un'interpretazione delle cose diversa da quella degli altri, e, insieme, per mezzo dell'interazione tra quel qualcuno e altri (e dunque in uno spazio relazionale) affermare una costruzione coerente con essa.(11) Molti progetti integrati (di parchi, ma non solo) hanno mobilitato reti anche fitte di interazioni orizzontali tra agenti locali, dirette a dare contenuto progettuale ai loro scopi, mentre molto più deboli, sostanzialmente residuali nell'insieme, sono risultate le interazioni tra il locale e i livelli sovraordinati delle Regioni e del Centro, o altri soggetti (quali istituzioni o imprese fortemente collegate all'esperienza di altre aree). Il paradigma dello sviluppo locale, già menzionato, è stato assunto enfatizzando la capacità di organizzazione e coordinamento tutta interna al locale. Porre un problema di innovazione (e dunque di creazione di condizioni che permettano di cambiare attribuzioni e significati) rende più facile vedere come privilegiare quell'orizzonte, localistico più che locale, non abbia fatto bene alla progettazione. Può essere allora una strada promettente, una volta riconosciuto questo limite, mettere al lavoro sul locale altri pezzi della filiera istituzionale, integrando verticalmente strutture della Regione, e anche di amministrazioni e agenzie del Centro. La direzione in cui andare sembrerebbe, in sostanza, essere quasi opposta a quella sin qui prevalente. Dal momento che l'innovazione viene dal dialogo continuo tra diversi livelli, è questo dialogo che occorre assicurare in primo luogo. Solo in seconda battuta vanno tenuti in conto gli equilibri (di potere, di interessi, politici) che caratterizzano le relazioni orizzontali a livello locale (Seravalli 2004). La prospettiva così introdotta aiuta a liberarsi dell'idea che, per migliorare la qualità dei progetti locali, molto o quasi tutto si giochi sul piano della concertazione. Ben più profondamente, e chiamando in causa elementi che vanno oltre la trama superficiale degli interessi, il tema sollevato è come favorire processi di scoperta e di apprendimento. La missione della politica di sviluppo diventa così sempre meno quella di assicurare le condizioni più efficaci ed efficienti perché una visione adeguata possa affermarsi, e sempre più quella di creare le condizioni perché una visione adeguata possa nascere (Brusco 2004). Più dialogo e più interazione (non amministrativa e gestionale, ma nel merito dei progetti) tra il Locale, la Regione e il Centro, sembrano essere, alla luce di una parte della discussione in corso, il modo più sensato per reagire ai limiti emergenti dall'azione di sviluppo nelle aree a elevata naturalità. Per di più non è necessario, a questo disegno, aspettare il 2007. E' possibile affiancarsi ai progetti in essere, la cui attuazione è ancora lontana dall'essere compiuta.
Riferimenti bibliografici
Bagnasco A. (2004), "Città in cerca di università. Le università regionali e il paradigma dello sviluppo locale", Stato e mercato n.72 Barca F. (2004), "Stato e sviluppo: un paradigma e un cantiere aperto", Scienze Regionali n.3.
Brusco S. (2004), Industriamoci. Capacità di progetto e sviluppo locale, Roma, Donzelli.
Formez (2001) I programmi integrati. Opportunità e vincoli, Roma, Donzelli. Formez (2003), Progetti e immagini di territorio. L'esperienza dei PIT nelle Regioni del Mezzogiorno, Roma, Donzelli.
Ministero del Tesoro (1998a), La nuova programmazione e il Mezzogiorno, Roma, Donzelli.
Ministero del Tesoro (1998b), Cento idee per lo sviluppo. Schede di programma 2000- 2006, a cura del, Catania, 2-3-4 dicembre 1998. Cfr. www.dps.tesoro.it.
Ministero del Tesoro (1999a), Programma per lo sviluppo del Mezzogiorno, a cura del Dipartimento Politiche di Sviluppo, Roma. Cfr. www.dps.tesoro.it.
Ministero del Tesoro (1999b), Quadro Comunitario di Sostegno 2000-2006, Roma. Cfr. www.dps.tesoro.it. Ministero dell'Economia, Dipartimento Politiche di Sviluppo-DPS (2003), I Progetti integrati territoriali alla prova dell'attuazione, Agrigento 6-7 febbraio. Cfr. www.dps.tesoro.it. Ministero dell'Economia, Dipartimento Politiche di Sviluppo-DPS (2004), Rapporto annuale. Cfr. www.dps.tesoro.it. Natali A. (1996), "Il parco come sistema produttivo locale", paper presentato al convegno della Federazione italiana parchi Ricordando Giacomini, Gargnano (BS) 31 maggio, Cfr. www.eco-eco.it. Natali A. (2002), "La valorizzazione delle risorse ambientali: i saperi e le regole", paper presentato al seminario Lo sviluppo locale in Sebastiano Brusco, Artimino 9-13 settembre. Cfr. www.eco-eco.it. Seravalli G. (2004), "Tempi e risultati delle politiche di sviluppo", paper presentato al Laboratorio del Dipartimento alle Politiche di Sviluppo-DPS, Villa Tuscolana (Frascati) 20 novembre Viesti G. (2000), "Politiche economiche e sviluppo locale: alcune riflessioni", Sviluppo locale n.14.
di Anna Natali
(Per i commenti a una prima stesura del testo ringrazio Vincenzo Barone e Francesco Silvestri.)
- "Parchi" si è occupata delle fasi iniziali della programmazione, e in particolare delle Cento idee, nel numero 26, febbraio 1999.
- Più precisamente la somma indicata è a favore di attività riconducibili all'attuazione della strategia complessiva di Rete ecologica, sia all'interno che a ridosso di aree protette: cfr. Ministero dell'Economia, Dipartimento politiche di sviluppo- DPS (2004): capitolo II, p. 88. E' utile qui ricordare che il QCS associava strategia di valorizzazione delle risorse naturali e aree della Rete ecologica come segue: "Principalmente negli ambiti marginali, ma anche in quelli sovrautilizzati, la strategia riconosce nelle zone di cui alla costituenda rete NATURA 2000 e nelle aree protette gli ambiti territoriali nei quali realizzare in via prioritaria gli interventi in cui essa si articola, di tutela, corretta gestione, valorizzazione del patrimonio naturalistico. La "Rete ecologica", della quale la rete NATURA 2000 e le aree protette sono un sottoinsieme rilevante, si configura come un'infrastruttura naturale e ambientale che persegue il fine di interrelazionare ambiti territoriali dotati di un elevato valore naturalistico. Essa è il luogo in cui meglio può esplicitarsi la strategia di coniugare la tutela e la conservazione delle risorse ambientali con uno sviluppo economico e sociale che utilizzi come esplicito vantaggio competitivo la qualità delle risorse stesse e rafforzi nel medio-lungo periodo l'interesse delle comunità locali alla cura del territorio." (capitolo 3, p.57).
- Le misure, così come gli assi, sono articolazioni interne dei Programmi operativi. Il Regolamento comunitario generale sui Fondi strutturali (n.1260/99) definisce la misura "lo strumento tramite il quale un asse prioritario trova attuazione su un arco di tempo pluriennale e che consente il finanziamento delle operazioni" (ove operazione sta per progetto o azione). In sostanza quindi la misura è strumento di attuazione del Programma. Essa è dotata di un proprio budget e di un proprio responsabile. Il responsabile di misura esamina il progetto che gli viene sottoposto a scopo di finanziamento, sulla base di specifici requisiti di ammissibilità e criteri di merito.
- Per quanto riguarda la Sardegna è bene precisare che non sono stati approvati progetti integrati nelle aree del Nuorese in cui ricade il parco nazionale del Gennargentu, mentre l'isola dell'Asinara è inclusa nell'ambito territoriale del PIT SS1 Sassari Città e l'arcipelago della Maddalena ricade nell'ambito del PIT SS7 Olbia. In entrambi questi casi il progetto integrato abbraccia un territorio assai ampio così che l'obiettivo strategico del PIT non è focalizzato in via preminente sulle risorse naturali. Per quanto riguarda il Molise, una caratterizzazione ambientale connota il PIT "Medio Trigno" nel cui ambito ricadono alcuni SIC della rete Natura 2000.
- Cfr. www.regione.campania. it, pagine dedicate ai progetti integrati nella sezione POR 2000-2006.
- Un osservatorio privilegiato quanto parziale è dato dal progetto "Azioni pilota in aree PIT" affidato dal DPS alla propria società operativa Studiare Sviluppo. Sintetiche informazioni sul progetto sono ricavabili dal Rapporto annuale 2004 del DPS (pp.294-297) e da Sud News n 9 (giugno 2004) (cfr. www.dps.tesoro,it). Tra gli ambiti territoriali interessati dalle azioni pilota, vi è l'area del parco regionale del Matese. Il caso Matese mostra quanto rilevante sia stato il ruolo del commissario del parco (e di altre figure qualificate della Regione, in particolare dell'Autorità ambientale) nell'acquisire il consenso locale nella fase di costruzione del progetto integrato e nel definire tecnicamente il contenuto del progetto, e, al tempo stesso, quanto sia importante nella fase successiva (l'attuale) incoraggiare le comunità locali, sindaci in primo luogo, a progettare con consapevolezza e forte partecipazione collettiva il futuro del parco come sistema locale.
- La revisione di metà periodo, prevista dai Regolamenti comunitari, permette di operare i necessari aggiustamenti della programmazione alla luce delle difficoltà emerse dall'attuazione e delle indicazioni scaturite dalla valutazione intermedia dei programmi.
- Emanazione della legge regionale sulle aree protette e individuazione del sistema delle aree protette regionali; riconoscimento formale dei siti Natura 2000; istituzione delle aree protette e individuazione degli enti di gestione; predisposizione degli strumenti di pianificazione a livello di singola area.
- Cfr Rete Nazionale delle Autorità Ambientali e delle Autorità della Programmazione dei fondi strutturali comunitari 2000- 2006, Gruppo di lavoro Rete Ecologica, La Rete Ecologica e la riprogrammazione del QCS. Report sulle Relazioni regionali previste dal QCS Ob.1 2000-2006 post Mid Term Review (paragrafo 3.2 Asse I - Criteri e indirizzi per l'attuazione - 6 Rete Ecologica), 30 marzo 2005.
- Per una rassegna di questioni rilevanti al riguardo, cfr. Natali (2002).
- Per esemplificare come l'innovazione comporti una diversa interpretazione è particolarmente efficace portare il caso del personal computer, che nasce dalla ridefinizione del computer da macchina di calcolo per gli affari o la ricerca a elettrodomestico.
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