PARCHI | |
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 45 - GIUGNO 2005 |
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AGGIORNAMENTI SUL "CASO ABRUZZO" |
Dopo le elezioni regionali si è aperta una nuova fase politica che riguarda da vicino l'avvenire delle aree protette italiane, e che va approfondita. Come primissima approssimazione il "caso Abruzzo" appare esemplare, essendo la regione d'Europa più vincolata e riservata a parchi. |
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Il tema "parchi" nella nuova fase politica apertasi dopo le elezioni regionali merita una fase nuova di approfondimento teorico e concreto. Dalla legge quadro 394 del '91 in poi, molte sono state le vicissitudini dei nuovi e vecchi parchi, anche con forti differenziazioni nel Paese tra aree geografiche e Regioni stesse, perfino in aree contigue con Parchi in comune sui propri territori regionali. Il caso Abruzzo affacciatosi con forza alla ribalta della scena politica e ambientale italiana dopo il '91 per essere la regione in Europa con la più alta percentuale di territorio vincolata e riservata a Parchi si è trasformato ed evoluto e non sempre in meglio. I tre parchi nazionali abruzzesi, quello storico Parco Nazionale Lazio Molise, i nuovi Majella e Gran Sasso hanno fatto un pezzo di strada, di oltre un decennio, non riuscendo però ancora a dare le risposte necessarie ai grandi quesiti posti negli anni '90. Provo ad elencarne alcuni:
Finora la cosa che ha più colpito è la scarsa comunicazione e sinergia tra parchi anche contigui e corregionali sulle loro scelte e strategie. Il fatto che dove le cose vanno discretamente, non ci sia uno scambio e una contaminazione sufficiente con altri parchi, è la dimostrazione positiva che non c'è un modello puro e semplice di gestione, ma è anche la prova che questi organi non producono insieme una vera strategia innovativa di conservazione ed ecosviluppo. Appare altresì chiara la ancora consistente insoddisfazione sociale per l'effetto impresa ecocompatibile sul territorio, ancora insufficiente. Se ne creano poche o troppo poche: sono esperienze lunghe, difficili, spesso isolate; e ciò, che è più grave, non attraggono a sufficienza i laureati e diplomati, che magari preferiscono "aspettare", invece di misurarsi con l'uso sostenibile delle risorse ambientali disponibili. Ecco perché si respira uno stallo nel trittico conservazione-sviluppo sostenibile-consenso. Non crescono esperienze eco-economiche e sociali in modo e quantità soddisfacente e dunque si blocca e regredisce il consenso sociale e politico ai parchi. Un'ultima breve considerazione va fatta sugli enti parco rimasti uguali a se stessi per oltre 10 anni con presidenti sempre più politici, di decisione centralistica (ministeriale), e con direttori generali di un albo che appare superato in tutti i sensi, anzi spesso ostacolo al decollo di nuove energie locali. Anche i direttivi sembrano essere "parlamentino" che non sempre sono in grado di gestire e rispondere alla gestione necessaria. Cambiare sembra l'imperativo categorico, magari insieme al nuovo governo, senza patemi d'animo o conservatorismi, da dovunque provengano. Naturalmente in primis chiedendo nuovi e adeguati investimenti al governo che verrà. E le Regioni? Al prossimo articolo. Enrico Paolini |