Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 46 - OTTOBRE 2005




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PARCHI, SVILUPPO E PROGRAMMI

Nella programmazione dei fondi strutturali

L’approssimarsi della chiusura del periodo di programmazione dei fondi strutturali 2000-2006 e l’avvio del nuovo periodo 2007-2013 pongono l’esigenza di riflettere sull’esperienza conseguita e sui fattori di criticità che sono emersi. Per le aree naturali protette e, più in generale, per le politiche di conservazione della natura, il periodo 2000-2006 ha rappresentato un’importante novità, con l’introduzione di misure nei programmi operativi regionali (POR) e l’identificazione della Rete ecologica come infrastruttura sulla quale realizzare una strategia integrata di gestione delle risorse naturali e di sviluppo locale sostenibile. L’insieme complessivo delle misure previste, per le sette regioni dell’Obiettivo 1(1), a favore della Rete ecologica, nella fase iniziale della programmazione, era dotato di circa 1 miliardo di Euro(2). Le modalità e le scelte operative differiscono molto da regione a regione, soprattutto in relazione alla differente caratterizzazione dei sistemi regionali delle aree naturali protette (presenza o meno di una rete regionale, assetto normativo, capacità progettuale, integrazione con i sistemi locali, …) ma possono, comunque, essere messi in evidenza alcuni aspetti comuni.

In quali ambiti?

In primo luogo la necessità di ricondurre l’individuazione e l’attuazione delle reti ecologiche regionali in un ambito definito, agendo in modo da identificare i nodi della rete come quelle aree sulle quali concentrare i progetti e i finanziamenti. L’introduzione della Rete ecologica come aspetto innovativo delle politiche e della programmazione ha, in qualche modo, dovuto scontare l’assenza di un riferimento normativo che individuasse con certezza competenze e ambiti di intervento. Ciò ha determinato un sottodimensionamento delle misure dedicate alle reti ecologiche, limitando, di fatto, l’intervento alle aree naturali protette (istituite con legge) e alle aree individuate ai sensi della Direttiva Habitat (Rete Natura 2000): la necessità, imprescindibile, di assegnare risorse a uno strumento per conseguire un obiettivo, ha pertanto limitato la portata di un approccio basato sulle reti ecologiche che, per loro stessa natura, sono costituite da ambiti differenti tra loro allo scopo di creare connessioni e scambi per migliorare la conservazione e ridurre i rischi legati alla frammentazione. In questo caso sono venuti meno proprio gli aspetti più strategici delle reti ecologiche, di integrazione tra politiche di conservazione e di sviluppo, dove migliorare il rapporto tra attività antropiche e ambiente naturale: in primis il rapporto tra gestione degli spazi rurali e mantenimento degli equilibri degli ecosistemi. Si è assistito quindi alla quasi totale coincidenza tra aree protette e rete ecologica, limitando le opportunità di estendere la gestione sostenibile delle risorse naturali in territori più ampi, come le aree rurali, separando gli interventi e, soprattutto, la possibilità di ottenere l’integrazione tra politiche di sviluppo rurale e “produzione” di servizi ambientali. Proprio gli aspetti fondanti il II° Pilastro della Politica agricola comune (PAC), tra cui la multifunzionalità che intende rafforzare il ruolo di gestione degli spazi rurali nell’ottica di fornire servizi ambientali per la collettività, avrebbero dovuto trovare maggior peso nelle misure dedicate alle reti ecologiche, soprattutto allo scopo di agire per l’individuazione e la tutela di alcuni ambiti preferenziali tra cui i corridoi e le aree-filtro. Viceversa le politiche sono rimaste legate agli schemi rigidi, dettati dall’impostazione dei programmi, nell’asse 1 le risorse naturali, nell’asse 4 lo sviluppo locale (tra cui l’agricoltura), dalla suddivisione degli interventi per tipologia di fondo (il FESR per le reti ecologiche, il FEOGA per lo sviluppo rurale).

Per fare cosa?

In secondo luogo, in questa sede, ritengo utile proporre la riflessione sugli obiettivi che sono stati previsti con i POR 2000-2006, destinando le risorse disponibili per l’attuazione delle misure di rete ecologica. La maggior parte delle risorse sono state indirizzate, per le reti ecologiche, alla realizzazione di infrastrutture per la fruizione delle aree (sentieri, centri-visita, musei). Un’altra parte è stata orientata a finanziare l’adozione di strumenti di gestione, tra cui i Piani di gestione per le aree Natura 2000. L’articolo di Anna Natali sull’ultimo numero di Parchi è molto utile per comprendere le differenti scelte compiute dalle Regioni: si passa dalla Campania, che ha avviato il Sistema regionale dei parchi, alla Sardegna, che, in assenza di parchi, ha destinato gran parte dei fondi alla redazione dei piani di gestione per le aree Natura 2000 (attraverso le amministrazioni comunali). In sostanza, la maggior parte degli interventi, ha preceduto una fase di gestione delle aree naturali protette e delle reti ecologiche, creando i presupposti perché il territorio si dotasse di strumenti per la valorizzazione dell’ambiente naturale. Si è pertanto deciso di anticipare un modello di gestione del territorio, basato sul processo istituzione-parco-piano-progetti, diffondendo una serie di strutture, affidate per la realizzazione agli enti locali. Da questa decisione è derivata una stagione intensa di confronti e dibattiti, a livello locale, circa la scelta di quali opere realizzare, seguendo quale approccio, sulla dimensione e sulla necessità di trovare un filo comune. In un certo senso è come se fosse stata superata la fase del conflitto, del rifiuto del parco “imposto dall’alto”, preferendo il parco come strumento per accelerare lo sviluppo locale e consentire l’afflusso di finanziamenti. Spesso, soprattutto in virtù del fatto di aver identificato le azioni a favore delle reti ecologiche nell’ambito della “progettazione integrata territoriale”, i PIT, le amministrazioni locali sono state coinvolte in un processo decisionale con tempi dettati dall’esigenza di utilizzare i fondi strutturali: i progetti e le proposte sono stati selezionati anche sulla base di un criterio “territoriale”, in modo da consentire la presenza delle diverse realtà locali. Ciò ha limitato il fatto stesso che si stesse operando all’interno di un’area naturale protetta: gli interventi solo in pochi casi hanno avuto come riferimento di indirizzo il Piano del parco, la zonizzazione, la strategia di conservazione della biodiversità. L’accelerazione della progettazione, con l’individuazione di tempi e regole legati alla programmazione dei POR, ha determinato che alcune aree si dotassero di infrastrutture turistiche e di fruizione degli ambienti naturali, in assenza di un documento di indirizzo che stabilisse, per esempio, la coerenza tra la rete dei sentieri e la localizzazione dei punti di accesso e dei centri-visita. È questo il caso della Regione Campania che ha deciso di procedere attraverso l’individuazione di Commissari per la gestione dei parchi regionali nella fase complessa di individuazione dei progetti PIT e di realizzazione di un insieme di interventi diffusi sul territorio. La scelta di attuare le misure “rete ecologica” in una situazione di commissariamento dei parchi ha messo a rischio la possibilità stessa di realizzare interventi che rispondessero a una strategia e a esigenze di conservazione e di sostenibilità dello sviluppo, anteponendo a queste la realizzazione delle opere: soprattutto è mancata una chiara e inequivocabile strategia di uso e di destinazione del territorio, coerente con la pianificazione del parco e con le scelte di gestione nel futuro. La rete ecologica è stata interpretata come il risultato finale di un processo di uso del territorio e di “messa a sistema” di infrastrutture: non sempre sono state considerate le finalità propriamente ecologiche della rete, soprattutto la capacità di mettere in relazione aree e ambiti e trovare forme di equilibrio tra utilizzi, attività e biodiversità.

Con quale efficacia?

In terzo luogo l’avvio del prossimo periodo di programmazione 2007-2013 dovrebbe tener conto dell’esperienza raggiunta con i POR e, soprattutto, partendo da quest’ultima constatazione, ponendo un ulteriore interrogativo: se da un lato è stato possibile raggiungere l’efficienza degli investimenti realizzati con le misure dei POR, dall’altro lato, è stata conseguita l’efficacia di tali investimenti in relazione alla conservazione della natura? In altri termini: se da una parte è stata garantita l’efficienza degli investimenti attuati per creare una rete di aree naturali protette diffusa sul territorio, per cui, a fronte di risorse messe a disposizione è riscontrabile l’avvio di una politica che determina la presenza di strutture e di personale con la realizzazione di attività incentrate sulla gestione delle risorse naturali. Dall’altra è possibile riscontrare l’efficacia delle azioni, in particolare di quanto le azioni di conservazione siano realmente in grado di permettere una maggiore tutela del patrimonio di biodiversità, accrescendone la disponibilità e la qualità? È questo un problema relativo all’intera programmazione dei fondi strutturali, per la quale gli indicatori di realizzazione e di risultato sono strettamente legati alla capacità di spesa, cioè di utilizzo dei finanziamenti ma che, a maggior ragione nel caso di spesa dedicata alla gestione delle risorse naturali, dovrebbe tener conto della qualità della spesa stessa. La procedura dei fondi strutturali è spesso vincolata a due aspetti, che, in questo periodo 2000-2006 sono stati addirittura rafforzati: il rispetto dei tempi (3) e il conseguimento di risultati che sono dimostrabili soprattutto attraverso indicatori quantitativi. Altro aspetto di criticità, che non può essere trascurato in questa riflessione sul ruolo avuto dai fondi strutturali, è dato da un processo di selezione e di valutazione dei progetti incentrato su schede tecniche e, tranne pochi casi, da una valutazione “sul campo”, in corso d’opera. Si è infatti preferito insistere sull’aspetto tecnico-procedurale, adeguato per la gestione quantitativa della spesa ponendo in secondo piano un aspetto qualitativo delle opere proposte. Proporre la realizzazione di una sentieristica, per rendere accessibile e fruibile un’area di pregio, avrebbe dovuto prevedere la presenza di una rete dei sistemi di fruizione, l’individuazione di un’immagine coordinata dei sentieri, delle tabellazioni e delle altre infrastrutture presenti (4). Il tema è complesso e richiede la capacità di intervenire sul processo di programmazione e di realizzazione dei progetti non solo nella fase di assegnazione delle risorse ma, soprattutto, nell’individuazione degli effetti complessivi che interventi, per esempio di valorizzazione turistica, possono avere sul patrimonio di biodiversità. Ciò che intendo porre come dubbio, sul quale svolgere una riflessione approfondita, è il fatto che, non necessariamente un intervento, di per sé giustificato sotto il profilo tecnico è, idoneo sotto l’aspetto di tutela di un habitat o di una specie: da un punto di vista prettamente economico un intervento di gestione di un’area naturale, volto alla riforestazione può essere conseguito definendo il progetto, predisponendo le azioni e mettendo a dimora delle piante, … ma è altrettanto opportuno porsi nelle condizioni di poter valutare gli effetti sull’ambiente naturale e sui processi ecologici. Quali piante? Su quale versante? Per favorire quale utilizzo dell’area? In quale correlazione con la fauna? Sono tutti elementi che potrebbero non essere presenti nella procedura di selezione dei progetti, ricadendo in un quadro di gestione ordinaria di un parco, dotato degli strumenti di pianificazione e che abbia già definito gli obiettivi di conservazione e di valorizzazione. Un riferimento autorevole su quanto sia importante la qualità degli interventi è contenuta nel recente saggio pubblicato da Nicola Rossi, “… A molti viene fatto di pensare che forse definire procedure e disegnare istituzioni è certamente importante ma non è esattamente ciò di cui il Mezzogiorno ha in primo luogo bisogno. Molti pensano che è la qualità, e non la quantità, della spesa che rileva. A molti viene in mente che se tutto ciò che si intendeva fare si è fatto – come si dice e si scrive – e i risultati non si vedono, allora forse quel che si è fatto non era ciò che si doveva fare.” (N. Rossi, Mediterraneo del Nord, 2005, pag. 57)

Cosa non ha funzionato?

La programmazione delle reti ecologiche, attraverso l’utilizzo dei fondi strutturali, ha evidenziato alcune criticità, sia in termini attuativi sia in termini di risultato. Si è compiuto il tentativo di istituire reti ecologiche, finalizzate alla conservazione della biodiversità, applicando strumenti complessi, quali, per esempio, la progettazione integrata, considerando possibile superare due vincoli che rappresentano fattori limitanti dell’azione di sviluppo. 1. In primo luogo l’assenza di un quadro normativo di riferimento: le reti ecologiche, per essere in grado di funzionare, connettendo ambiti e spazi, necessitano di interventi diversificati e strettamente correlati. Una cosa è la valorizzazione turistica del territorio, un’altra cosa è l’individuazione di zone di riserva, un’altra ancora è la tutela di forme tradizionali di utilizzo delle zone coltivate o dei boschi; 2. in secondo luogo l’incertezza sui soggetti responsabili di dar vita a reti ecologiche e, soprattutto, della loro gestione in termini di flussi e di mantenimento degli equilibri ecologici. La frammentazione degli habitat è, spesso, anche il segnale di un’assenza di coordinamento amministrativo e di raccordo tra gli strumenti di pianificazione. I parchi e, più in generale la conservazione della natura, sono processi in grado di produrre effetti positivi nel medio-lungo periodo, soprattutto sulla base di certezze relative all’uso del territorio, all’identificazione di fragilità e di soglie di tolleranza legate alle diverse capacità di carico. La decisione di “anticipare” la gestione delle reti ecologiche creando le infrastrutture per l’accessibilità e la fruizione può dare migliori risultati se inserita in un quadro condiviso di finalità e di obiettivi: promuovere il turismo in aree dove non è perfettamente riconoscibile il valore naturale, culturale o paesaggistico può essere più complesso, soprattutto laddove venga a mancare un “percorso” condiviso, un’identità di obiettivi. Non è solo l’immagine esterna a perdere di valore ma, purtroppo, è la finalità “ecologica” delle reti: si attuano progetti, si inseriscono interventi e azioni ma, vengono meno gli effetti di gestione e di conservazione del patrimonio di biodiversità. In questo i parchi e le aree naturali protette segnano una debolezza strutturale: i processi istitutivi e di accettazione del modello di pianificazione e gestione del territorio richiedono tempi lunghi, soprattutto in ragione della difficoltà intrinseca nell’ottenere risorse finanziarie adeguate e della capacità di esprimere una progettazione complessa di interventi. Abbinare alla politica della conservazione gli strumenti di programmazione negoziata e i fondi strutturali può accentuare questa debolezza: si potrebbe proporre, per superare questo limite, di dotare le reti ecologiche di un Piano delle certezze (parafrasando lo strumento di pianificazione adottato dal Comune di Roma). Certezze relative agli interventi, all’utilizzo del territorio, agli obiettivi di conservazione e, soprattutto delle sinergie necessarie a rendere efficace una rete ecologica che si compone di aree con differenti gradi di tutela, con finalità e compatibilità che debbono essere chiare ed evidenti. In numerosi casi si è invece riscontrata l’incertezza relativa agli obiettivi, alle istituzioni responsabili e alla necessità di operare con una logica di sistema, proprio come avrebbe dovuto avvenire in presenza di un ente incaricato della gestione dell’area. Anche l’attività di assistenza tecnica, espressamente prevista per la realizzazione della Rete ecologica nazionale (5), ha riscontrato difficoltà e ha mancato l’obiettivo di affiancare le regioni nell’attuazione delle misure. Si è dimostrata un’opportunità non colta a pieno permettendo di realizzare uno scambio tra le regioni e tra queste e le esperienze realizzate in Europa. La competenza regionale, frammentata e incerta, non ha certo contribuito a creare le condizioni per permettere che le reti ecologiche estendessero il loro ruolo al di fuori dei parchi e delle aree Natura 2000: soprattutto se il confine tra politica ambientale e politica agricola non è stato considerato come un’opportunità da condividere, per integrare le misure, piuttosto che un limite invalicabile.

Lo scenario 2007-2013

Come cambia il ruolo delle aree protette nella nuova programmazione? Le difficoltà incontrate e un rallentamento della capacità di spesa relativo alle misure della rete ecologica impongono di ripensare al ruolo e alla strategicità delle aree naturali protette nell’ambito delle politiche di sviluppo locale. In pochi anni le aree protette hanno mutato la loro funzione originaria: la necessità di rispondere alle esigenze di orientare lo sviluppo del territorio, agendo sia sul versante della conservazione sia dal lato della valorizzazione, ha reso molto complesso il ruolo delle aree protette. Sono soprattutto due gli aspetti che richiedono un maggiore sforzo in termini di progettazione e di gestione delle aree protette:

  1. l’integrazione tra tutela della biodiversità e politiche di sviluppo rurale, in un quadro di attività che preveda forme di convivenza tra attività tradizionali legate all’agricoltura e gestione delle risorse naturali;
  2. il ruolo che le aree naturali protette possono assumere nel quadro delle azioni di lotta ai cambiamenti climatici, sia attraverso la forestazione e la gestione delle aree agro-pastorali, con la creazione di carbon sink(6), sia in termini di prevenzione del rischio di dissesto e di desertificazione.

Entrambi questi profili richiedono una capacità progettuale e di gestione delle aree protette che vada oltre a un’impostazione legata al solo aspetto di conservazione. Occorre infatti rafforzare proprio gli aspetti che contraddistinguono una rete ecologica, individuando nodi e aree centrali e creando le connessioni e le integrazioni tra scelte di gestione di aree differenti. È evidente che una carenza, sotto questo aspetto, è dato dall’incapacità di individuare un quadro nazionale di riferimento in grado di fornire indirizzi al sistema e assicurando la governance delle aree coinvolte nella rete ecologica. Ciò che sta cambiando è lo scenario di riferimento: la Strategia di Göteborg con quella di Lisbona hanno determinato politiche comunitarie che sono sempre più caratterizzate dalla sostenibilità e dall’integrazione tra politiche. In particolare la sostenibilità diviene un obiettivo trasversale a tutte le politiche europee e via via sarà sempre più necessario che le singole azioni siano caratterizzate dalle scelte ambientali, evitando una politica ambientale di tipo settoriale, marginale ed ex post.
In questo l’innovazione apportata con la riforma della PAC è significativa: il rafforzamento delle politiche di sviluppo rurale, con l’introduzione di un fondo espressamente dedicato, il FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale) va proprio in questa direzione. La nuova generazione di strategie e programmi di sviluppo rurale sarà imperniata attorno a tre assi:
1. l’asse competitività agricola, alimentare e forestale;
2. l’asse ambiente e gestione del territorio;
3. l’asse qualità della vita e diversificazione nelle zone rurali. Un quarto asse, basato sull’esperienza LEADER, apre possibilità di governance innovativa, basata su un approccio locale allo sviluppo rurale-partecipativo, ispirato ai modelli bottom up. La manutenzione del territorio, lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile, la tutela e la gestione del patrimonio naturale, la valorizzazione e la promozione del turismo, rappresentano i capisaldi di una politica europea per lo sviluppo rurale, incentrata sulla diversificazione e sulla multifunzionalità del settore rurale. Occorre, pertanto, porre maggiore attenzione, da un lato al quadro normativo, assicurando forme di coordinamento e capacità di intervento e, dall’altro, riconoscere che le reti ecologiche mettono in risalto la capacità di gestire e operare proprio in raccordo tra aree, individuando priorità per gli ambienti naturali e, soprattutto per gli ambienti semi-naturali, percependo il valore delle aree-filtro e dell’integrazione delle azioni di tutela su aree che presentano i maggiori rischi di frammentazione e di perdita di biodiversità.

Le proposte per rafforzare la programmazione

L’esperienza del periodo 2000-2006 mette in risalto un quadro non completamente soddisfacente rispetto alle indicazioni iniziali di realizzare la Rete ecologica nazionale attraverso azioni finanziate con il contributo dei fondi strutturali. In molti casi la difficoltà di agire e individuare con esattezza i soggetti titolari della gestione delle aree ha, di fatto, impedito di attuare le misure in modo completo, dando corpo al Sistema e alle Reti ecologiche: spesso si è trattato di un’attuazione frammentata, con risultati dispersivi e privi di un coordinamento. Il risultato è stato quello di progetti slegati tra loro, non sufficientemente inseriti in un contesto territoriale con riferimenti univoci. Aspetto non trascurabile è inoltre quello di aver realizzato progetti di infrastrutturazione, tra cui sentieri, centri-visita, musei che, successivamente, avranno la necessità di trovare forme di gestione e di finanziamento coerenti con il bilancio degli enti e le capacità di auto-finanziamento. Gli aspetti sui quali è necessario concentrare l’attenzione, con l’approssimarsi del periodo di programmazione 2007-2013 sono:

  1. la necessità di assicurare il coordinamento tra le diverse politiche che operano sul territorio e, in particolare, con le politiche di sviluppo rurale con le quali sarà finanziata in modo consistente proprio la realizzazione di progetti finalizzati alla valorizzazione del patrimonio naturale, rafforzando gli aspetti legati alla multifunzionalità e alla competitività delle aree rurali;
  2. le competenze e la capacità degli enti territoriali di cogliere la sfida della qualità e della sostenibilità dei sistemi locali come opportunità per la competitività.

Occorre essere in grado di intervenire sia sulla quantità sia, in misura maggiore, sulla qualità degli interventi: questo è ancor più vero se rapportato alla situazione reale delle zone rurali, soprattutto del Mezzogiorno. Piuttosto che progetti isolati, non raccordati a sistemi locali di offerta e all’incremento reale della qualità complessiva di un’area occorre investire nella creazione e nel rafforzamento di filiere, innovando la capacità di progettare e realizzare, agendo sulle scelte di gestione del territorio e sulle opportunità di sviluppo imprenditoriale. Tutto ciò si raggiunge rafforzando competenze e le capacità: la scelta compiuta di realizzare le reti ecologiche attraverso la progettazione integrata ha, spesso, determinato una complessità data anche dall’assenza di figure di riferimento in grado di percepire l’esigenza di coordinare, integrare e raccordare. Si è trattato di mettere assieme fonti di finanziamento differenti, progetti, idee e una strategia di sviluppo del territorio che si basava su risorse locali e opportunità che non erano completamente espresse né riconoscibili attraverso un’identità concreta. Il parco o la rete ecologica non possono essere qualcosa di esclusivamente immateriale: è necessario identificare il territorio, i tratti del paesaggio e le attività economiche che in esso si trovano. Legare la biodiversità alle produzioni locali e alla cultura di un luogo è un processo complesso e che necessita di capacità e professionalità. In questo non è solo riscontrabile un conflitto tra approccio top-down o bottom-up, è necessario innovare il modo di progettare e di programmare, accogliendo gli orientamenti delle politiche europee. È necessario selezionare e inserire figure professionali che abbiano competenza specifica nella progettazione, nella realizzazione e nella gestione di interventi in campo ambientale: ciò di cui si ha maggiormente bisogno è proprio una capacità nuova nel pensare e nel realizzare i progetti. Progetti che siano concreti e in grado di funzionare, assicurando effetti positivi sulle economie locali e sulla gestione del patrimonio naturale, evitando, in ogni caso, improvvisazioni e approssimazioni, investendo, viceversa, nella continuità e nella prospettiva di un processo durevole. Innovare significa anche cambiare i processi decisionali individuando forme di coordinamento e di co-decisione ai diversi livelli, per esempio, introducendo modalità di raccordo a livello regionale tra i responsabili delle politiche ambientali e delle politiche agricole. Occorre, cioè, creare le condizioni perché le reti ecologiche siano realmente degli strumenti di gestione sostenibile del territorio e che le azioni di valorizzazione abbiano capacità di produrre valore e occasioni di sviluppo. La vera novità, posta con forza dalle strategie dell’Unione Europea è proprio quella di comprendere che la sostenibilità va intesa come obiettivo e non come strumento. La sostenibilità non è qualcosa che si aggiunge ai progetti come un allegato: è la vera discriminante tra un progetto in grado di garantire risultati concreti e qualcosa che, viceversa, avrà la necessità di avere aggiustamenti e adeguamenti al cambiare degli scenari. Anche in questo senso aver privilegiato la quantità della spesa alla qualità non ha giovato per garantire la realizzazione di progetti in grado di rappresentare dei reali segni di rottura e di discontinuità. Al termine del periodo 2000-2006 si può affermare che sia migliorata la tutela dell’ambiente naturale nel Mezzogiorno? La biodiversità(7) e soprattutto la funzionalità dei siti della rete europea Natura 2000 ha raggiunto dei risultati significativi e dimostrabili? Le aree-filtro hanno permesso di ottenere una migliore gestione delle risorse faunistiche? Ciò di cui si avverte l’assenza, oggi, è un bilancio delle misure dedicate alle reti ecologiche, non solo sulla base del numero di opere realizzate o di chilometri di sentieri ma, soprattutto in termini di conservazione delle specie e degli habitat, cioè della gestione degli equilibri ecologici posti alla base del concetto stesso di rete ecologica. Si è soprattutto rinunciato a progetti di ampio respiro, capaci di agire per il cambiamento e la rivitalizzazione delle aree rurali. In pochi casi si è inteso privilegiare progetti in grado di creare sistemi locali, realmente integrati e in grado di generare effetti di “distretto” rurale e ambientale di qualità. Anche il turismo, compatibile e sostenibile, che verso queste aree dovrebbe essere attratto è risultato un obiettivo difficile da raggiungere, mancando una strategia l’idea stessa di promuovere la fruizione di ambiti naturali con caratteristiche molto complesse e specifiche. Talvolta si è ritenuto che fosse possibile attrarre turisti soltanto per effetto della presenza di un sentiero o di un museo, non cogliendo l’esigenza di rendere funzionali i sistemi locali, incentivando l’ospitalità e creando un’immagine dell’area: gestendo un’area e rendendo stabile la necessità di trovare forme di equilibrio tra attività economiche, uso del territorio e tutela della biodiversità. La sfida non è stata colta nella sua complessità. Sono stati compiuti passi in avanti ma la gestione delle aree naturali protette e la loro interconnessione con altre parti del territorio è ancora un obiettivo lontano, difficile da raggiungere e ancora troppo legato a politiche settoriali e a programmi episodici, privi della necessaria continuità per consentire di agire con successo per tramandare alle generazioni future il patrimonio di natura e di biodiversità.

NOTE

  1. Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia
  2. Solo una regione, la Campania, ha previsto una misura finanziata con il Fondo Sociale Europeo per il rafforzamento delle competenze per la rete ecologica (formazione). Solo una regione, la Sicilia, ha previsto una misura finanziata con il Fondo europeo orientamento e garanzia in agricoltura (FEOGA) per la conservazione del germoplasma.
  3. È il caso della regola n+2, sulla base della quale è deciso il disimpegno delle risorse.
  4. Ad esempio avrebbe avuto un significato importante fare riferimento, per quanto riguarda le opere infrastrutturali per la fruizione, a linee-guida adottate formalmente a livello territoriale, proprio allo scopo di rafforzare gli aspetti di “sistema”. In questo senso avrebbe potuto essere utile definire uno strumento simile a un disciplinare, adottato a livello regionale, per definire finalità e modalità di realizzazione delle strutture.
  5. Nell’ambito del PON ATAS è stata creata una task force presso il Ministero dell’Ambiente.
  6. La possibilità di agire per il sequestro del carbonio, contribuendo alla creazione di “crediti” di emissione.
  7. A questo scopo sarebbe opportuno prevedere di agire sulle aree delle reti ecologiche nel quadro delle azioni del programma Countdown 2010, lanciato in sede internazionale dall’IUCN e al quale l’Italia ha aderito nel 2005, coniugando proprio le azioni di conservazione con quelle dedicate allo sviluppo delle zone rurali.

Bibliografia

Corrado Battisti, Frammentazione ambientale: connettività reti ecologiche, Provincia di Roma, 2004 Ministero dell’Ambiente – Direzione Protezione Natura, Contributo al documento strategico preliminare nazionale (DSPN), novembre 2005 Ministero dell’Economia e Finanze – Dipartimento Politiche di Sviluppo, Rapporto annuale 2004 sugli interventi nelle aree sottoutilizzate, gennaio 2005 Anna Natali, Aree naturali e politiche di sviluppo, in Parchi, n. 45/2005 Nicola Rossi, Mediterraneo del Nord, Laterza, 2005

di Andrea Ferraretto
Università di Siena e Università di Camerino