Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 46 - OTTOBRE 2005




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LA LEZIONE DI MARIO FAZIO


Se scrivesse oggi, sarebbe con noi nel pretendere l’attuazione della legge 394 anche in quelle parti che, restando inapplicate, ne svuotano l’efficacia

Dal 1989 l’isola di Gallinara, al largo della costa di Albenga e della “sua” collina di Alassio è Riserva Naturale della Regione Liguria. All’isola della Gallinara -allora proprietà privata- fui, in sopralluogo, come responsabile di Pro Natura, nel 1986, invitato da Mario Fazio, preoccupato da un progetto di “valorizzazione” presentato da un gruppo immobiliare torinese. Conoscevo Mario dalla seconda metà degli anni ’70; da tempo ne seguivo con attenzione ogni intervento sul quotidiano “La Stampa”. Ma era la prima volta che avevo così tanto tempo per scambiare impressioni e opinioni con lui. Fu una giornata emozionante in un luogo di incanto. L’intera giornata con un maestro, punto di riferimento come raffinato intellettuale ambientalista e come giornalista. Giornalista “ambientalista”, una razza speciale con epigoni come Alfredo Todisco, Antonio Cederna, permeati da passione civile per la difesa della qualità ambientale e culturale della nostra penisola. In questo impegno Mario non si era occupato, ovviamente, solo della Gallinara ma, con costanza, fu il vigile tutore delle aree naturali protette e dei parchi. Quel giorno all’isola della Gallinara concordammo sul fatto che -pur essendo il progetto di utilizzo presentatoci, a basso impatto ambientale- l’isola meritava un destino pubblico e di tutela. Tre anni dopo ciò si verificò, anche se oggi sembra emergere qualche preoccupazione su soluzioni gestionali non proprio soddisfacenti… A difendere l’interesse della collettività e quello delle generazioni future quasi sempre rimangono i pochi cittadini impegnati nelle associazioni ambientaliste.. Sulla questione dei parchi, ci sono voluti trent’anni di impegno del mondo scientifico, culturale e ambientalista per portare a casa una legge quadro, la 394, che delineasse le politiche in una materia così delicata, al centro di numerosi conflitti. Fu proprio in occasione di uno di questi conflitti, nato per la difesa del Parco Nazionale Gran Paradiso (era il 1981) che ebbi modo di meglio conoscere Mario, chiamato a moderare un vivace dibattito a Torino. Ci opponemmo allora a piani regolatori dalle previsioni insediative sconsiderate, piuttosto che a progetti di impianti di risalita in aree delicate, in quota, cui veniva affidata la speranza di sviluppo di comuni montani intrinsecamente poveri. Ricevemmo minacce né leggere né velate e lo stesso Fazio commentò che reazioni così dure e violente nei confronti degli ambientalisti facevano supporre che le motivazioni portate avessero qualche fondamento… Oggi l’atmosfera è cambiata, le relazioni grazie all’una parte e all’altra, sono ricondotte a termini di ragionevolezza e anche se talune ipotesi di aggressione all’ambiente non sono riproponibili occorre vigilare con attenzione nei confronti di altre più subdole ma non per questo meno pericolose. Non tutte le tentazioni sono passate… e le aree protette meritano di essere seguite, non dando per scontato che con la loro istituzione se ne sia garantita definitivamente la conservazione. Negli ultimi tempi poi la lottizzazione partitica degli enti di gestione -forse inevitabile in un’epoca che ha eretto lo “spoil system” a pratica consueta- in taluni casi ha portato ad una loro dequalificazione, con composizioni che, nonostante le previsioni di legge, non brillano certo per competenze e professionalità. Specie per i parchi nazionali. Mario Fazio dedicò particolare attenzione a tutta la vicenda -anticipatrice e pionieradi un movimento parchigiano che dal Piemonte era destinato ad allargarsi a tutte le Regioni italiane. Uno dei primi testi che illustra il sistema dei parchi regionali fu, non a caso, affidato alla sua cura. Nelle pagine introduttive de “Il verde ritrovato? I 41 parchi della Regione Piemonte”, 1980, così si espresse: «Il piano dei parchi non è separabile da quelli per il recupero delle aree agricole, per il rimboschimento, per la creazione di fasce verdi attorno alle città e lungo le autostrade, per il restauro di bacini sconvolti dalle alluvioni, di zone minacciate dalle cave. Da vecchio conservazionista sarei disposto a perdonare qualche errore che verrà inevitabilmente compiuto nei nuovi parchi regionali del Piemonte, in nome di questo rinnovato pragmatismo” che mi sembra, nella disperata situazione del territorio e dell’ambiente, il solo modo di agire per riportare l’uomo a conoscere la natura, a difenderla, a presidiare i terreni votati al dissesto. Qualche parco avrà funzioni più limitate, non richiederà la presenza umana o dovrà escluderla dal suo intervento. Ma nella maggioranza dei casi i parchi piemontesi possono diventare strumento di una politica di “grande ritorno alla terra”, alle sue leggi e ai suoi equilibri». In queste “ritorno alla Terra” c’è tutta intera la visione globale del tema ambientale che ha accompagnato l’intera vita di Mario, sia che si occupasse di centri storici che di paesaggio, che di beni culturali. Un’attenzione e una conoscenza dei temi accompagnate da una coscienza di ciò che l’ecologia -con i suoi principi fondamentali- ci ha insegnato: la comune appartenenza alla Madre Terra e ai suoi destini cui insieme alle altre specie compartecipiamo. Una comune appartenenza che non è credo religioso, filosofia o scelta metafisica, giacché le recenti ricerche della fisica quantistica sembrano rivelarcene la dimostrazione scientifica. D’altra parte quanto confrontiamo il genere umano con quello di ogni essere vivente e ne scopriamo la condivisione per percentuali che arrivano a oltre il 90% non possiamo che riflettere su questo tema. Mario non arrivò subito alla percezione della complessità. Nell’introduzione di cui ha voluto onorare un mio piccolo saggio sulla storia del movimento ambientalista scrisse: «Ho ormai alle spalle alcuni decenni di esperienze come osservatore critico e giornalista. Posso parlare con un certo distacco del passato vicino e anche ormai remoto. I miei articoli contro la speculazione selvaggia che trasformò il paesaggio costiero della Liguria, sfortunatamente prima ad essere aggredita dalla cosiddetta “valorizzazione turistica” fondata sul caotico sviluppo edilizio, risalgono all’inizio degli anni Cinquanta. E andando a ritroso nel tempo avverto ancor più la mancanza di una cultura ambientalistica alle mie spalle. Combattevamo in pochi per salvare paesaggi, monumenti, centri storici, ma ci era quasi sconosciuta la nozione di ambiente naturale, più precisamente la nozione della sua complessività e dei suoi valori non visibili. Ci pesava addosso una cultura ufficiale e accademica che non teneva in alcun conto i problemi del rapporto uomo-natura, come dimostra l’abolizione dell’insegnamento delle scienze naturali nella riforma Gentile. Il movimento ambientalista ha dovuto innestare nuove radici su quelle di un’educazione umanistica che aveva considerato l’ambiente naturale come fonte letteraria e come una variabile soggetta alle attività umane. Un insieme scarsamente analizzato dal punto di vista scientifico, tenuto in secondo piano rispetto ai valori esteriori del paesaggio o addirittura ignorato (…...) L’introduzione nel circolo nazionale delle idee e concetti oggi comuni, come impatto ambientale e limite delle risorse naturali, avvenne soltanto nei primi anni Settanta, quando dilagò in Italia la ventata ecologica di origine nordamericana, inglese, francese, scandinava (la Conferenza di Stoccolma è del 1972). Il nostro ritardo culturale si era ormai accumulato per decenni. La città di Stoccolma aveva istituito l’amministrazione dei parchi nel 1869, comprando successivamente vastissime superfici di terreni periferici da destinare a verde pubblico, proprio negli anni in cui nella Roma capitale si distruggevano parchi, giardini, verde agricolo ancora esistente nel cuore della città. La legge urbanistica olandese che consentì l’acquisizione delle aree destinate a nuovi insediamenti e a verde pubblico è del 1901». Ma tornando ai parchi e alle aree protette, in un’intervista rilasciata in occasione del primo decennale della Conferenza di Camerino (primo momento forte di mobilitazione per la richiesta del 10% del territorio nazionale protetto) Mario Fazio come Presidente di Italia Nostra espose alcune considerazioni che vale la pena di rileggere: «A dieci anni dal primo incontro di Camerino le luci vengono da fenomeni a quel tempo appena abbozzati, come la crescita della domanda di natura e la diffusione di una certa cultura ambientale, non senza connotati negativi; vedi la commercializzazione della natura come veicolo pubblicitario, il business del verde del disinquinamento, anche la riduzione a spettacolo della vita delle foreste e degli animali. Ma la legge-quadro non è stata ancora varata e incontra ostacoli avvilenti. Il traguardo del 10% del territorio protetto rimane lontano. La vita dei parchi esistenti, di diverso grado, non può dirsi brillante e generalmente rimane estranea alla vita delle comunità interessate. Nelle città la vita del verde è considerata marginale, benché le dotazioni di verde per abitante siano mediamente ridicole. Sul piano legislativo va intensificata l’azione di appoggio alla legge-quadro sui parchi, da migliorare rapidamente in alcuni punti ma da condurre in porto senza più contrasti paralizzanti dovuti a ragioni di partito o clientelari. Sul piano politico sarebbero auspicabili iniziative per trasferire alla protezione della natura, in forma attiva, risorse oggi destinate a opere superflue o dannose (come la cementificazione di fiumi e torrenti, come la costruzione di tante strade inutili). Penso anche all’acquisto da parte dello Stato, con affidamento in gestione a organi preparati, di quei tratti di costa non ancora edificati o manomessi che Italia Nostra sta catalogando con l’operazione “Nettuno 90”, sul modello del Conservatoire National du Littoral in Francia. Va combattuta decisamente la tendenza a svendere beni demaniali, tanto più quando si tratta di boschi e aree verdi che la legge Galasso non riesce a tutelare efficacemente. Va ripresa la battaglia per una seria riforma urbanistica che riesca a mettere ordine nell’uso del territorio e per una seria legge di difesa del suolo come si fa in alcuni Paesi della Comunità Europea. La Radiotelevisione di Stato potrebbe dare un forte contributo, con programmi di carattere educativo e divulgativo. Quanti italiani sanno riconoscere un albero? Agli amministratori e operatori impegnati nella gestione dei parchi e delle aree protette suggerirei anzitutto di compiere ogni sforzo possibile per stabilire un rapporto di amicizia tra il parco e la gente del posto. Spesso le popolazioni locali non sanno abbastanza informare, non conoscono neppure i benefici che possono ottenere dal parco. A volte si sentono vittime di divieti e limitazioni che colpiscono attività tradizionali, anche di una “burocrazia del parco” che appare lontana. E’ molto importante far conoscere, dialogare, assumere iniziative comuni, istituire all’interno del parco o dell’area protetta punti di incontro, produrre documentari insieme alla gente che vive nel pareo o intorno al pareo. Altro suggerimento: massima indipendenza da partiti e forze economiche, anche da gruppi di ambientalisti che ritengono di dover dettare legge in materia di parchi. Cercare, sperimentare, correggere errori che si rivelano con l’esperienza, tenere il massimo conto di situazioni e tradizioni locali: non è facile, ma si può provare. Altro suggerimento, non nuovo né originale: creare nei parchi aree di osservazione della natura, in tutti i suoi aspetti, sempre con fini educativi e didattici. Il ragazzino che analizza direttamente, assistito da un esperto, funghi e farfalle, foglie e lombrichi, tronchi e terriccio, impara molto di più che a scuola e diventa un amico della natura». Sono riflessioni che mantengono intatto gran parte del loro significato. Cosa direbbe -e scriverebbe- oggi, Mario Fazio sull’argomento dei parchi? Probabilmente sarebbe con noi nel richiedere l’attuazione della legge 394 in quelle parti che sono rimaste nell’intenzione del legislatore e senza le quali la legge rimane un parte svuotata dalla sua efficacia applicativa Ma Mario Fazio invitò sempre a prestare attenzione nei confronti delle grandi aree di natura selvaggia da cercare al di fuori del contesto urbano, senza tuttavia dimenticare la natura in città, il verde e i parchi urbani. Nel gennaio 2004 dalle pagine della sua “Stampa”, commentando il Nuovo Codice dei Beni Culturali, concludeva con un appello accorato. Parole in cui c’è, tutta intera, ancora una volta, la lezione di Mario Fazio. «Il vecchio sistema faceva acqua. Lo denunciavano da decenni. Ma una sua riforma avrebbe richiesto anzitutto il potenziamento delle Soprintendenze, dotandole di persone e di mezzi almeno per controllare quel che avviene sul territorio. Richiede anche un quadro di indirizzi culturali per la loro azione. Richiede infine il superamento del vecchio antagonismo tra conservazione e valorizzazione, o sviluppo (idea che serpeggia nel Codice, affidando la valorizzazione alle Regioni). Come se conservare significasse sempre rinuncia e mortificazione. Eppure basti pensare a un caso classico: Portofino. Perfettamente conservata vale un tesoro, anche in termini di mercato. Altri paesi l’hanno capito. In Francia (so di ripetermi ma è utile) opera il Conservatoire National du Littoral: acquista con denaro pubblico isole e isolette, tratti di costa, dalla Bretagna alla Provenza e alla Corsica. Così l’isola di Porquerolles è stata sottratta ai “promoteurs” e la foresta arriva alle spiagge, con un successo turistico fuori di misura. Salvata Cap d’Antibes e la costa occidentale corsa. Ma da noi non ci sarebbero i soldi, così si dice. In Gran Bretagna 1508 chilometri di coste, dalla Scozia a Sud, sono stati conservati allo stato di natura grazie ai “conservation agreements” con enti locali e proprietari privati (accordi fondati su incentivi fiscali e finanziari). In Svezia hanno preferito la politica dura dei divieti, netti: vietato costruire qualsiasi cosa entro trecento metri dalla riva del mare. Così si sono conservate le mille isole dell’arcipelago di Stoccolma, una meraviglia della natura, paradiso per gli abitanti della capitale. Ma da noi c’è il terrore del divieto, pur salutare e indispensabile se vogliamo davvero salvare qualcosa».

di Walter Giuliano