Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 46 - OTTOBRE 2005




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LA PRESERVAZIONE DEI TERRITORI COSTIERI

Un confronto tra Italia e Francia: il caso del Conservatoire du littoral

«Nella storia le zone costiere hanno rappresentato un importante polo di sviluppo della civiltà [...]. Numerose città e cittadine costiere d’Europa hanno una cultura e uno stile di vita che affondano le proprie radici nei secoli passati. Tali zone racchiudono ancora oggi un grande potenziale per la società moderna. Le lagune costiere le insenature a marea, le saline e gli estuari svolgono un ruolo importante nella produzione alimentare [...], nonché nella tutela dell’ambiente e della biodiversità. Il ventaglio di funzioni svolte dalle zone costiere è comunque molto più ampio e articolato e va ad investire la creazione di posti di lavoro, la crescita economica e la qualità della vita».

UE, Verso una strategia europea per la gestione delle zone costiere, 1999

Come è noto, è in atto nel nostro paese un dibattito – tutto sommato abbastanza circoscritto quando l’argomento meriterebbe un ben più vasto coinvolgimento di tutta la comunità scientifica nazionale – relativo, oltre che alla privatizzazione del patrimonio museale (Settis 2002), alla vendita di parte del patrimonio demaniale (che riguarda in buona misura ambiti costieri e isole) e, perfino, alla alienazione dei beni che vanno tradizionalmente sotto il nome di “usi civici” o “comunaglie”(1). Dalla riflessione su questo processo di alienazione di tre settori – patrimonio artistico- architettonico, patrimonio demaniale, beni ad uso collettivo – che riassumono in sé i valori fondanti della nostra identità mediterranea e dei nostri paesaggi, è nata l’esigenza di fare un confronto con quanto avviene altrove. In particolare, dati appunto gli interessi di ricerca nel campo del paesaggio e della protezione ambientale di chi scrive, essenzialmente incentrati sul caso ligure (un “modello” per lo studio del più generale caso italiano), è stato immediato lanciare uno sguardo oltre il confine.
Il confine oltre il quale ci siamo spinte è, ovviamente, quello impercettibile dal punto di vista fisico e piuttosto recente dal punto di vista storico (per non parlare della sua esilità culturale ben rappresentata nei romanzi “di paesaggio” di Francesco Biamonti(2)) che separa la Liguria dalla Francia, per indagare che cosa è accaduto in anni recenti a proposito di politiche territoriali e ambientali in casa del popolo cugino. Ciò che si prospettava in prima battuta non troppo diverso da quanto è avvenuto in Italia – un “consumo” forsennato della costa mediterranea negli anni Cinquanta-Sessanta (anche questo un elemento di continuità con quanto è avvenuto nel Ponente ligure) e l’istituzione dei parchi nazionali e dei parchi regionali come elementi fondamentali della protezione ambientale - si è rivelato in corso d’opera degno di approfondimento per le differenze, invece, emerse con un’analisi più accurata. Differenze che riguardano, ad esempio, gli stessi parchi nazionali (sette in tutto quelli francesi di cui uno nel Dipartimento d’Oltremare della Guadalupa, 23 quelli italiani) e regionali: 44 in Francia (3) e 144 in Italia. I dati numerici, ovviamente, andrebbero rapportati alle rispettive superfici (dal che emergerebbe subito la vastità delle aree protette francesi a fronte della realtà “a nebulosa” delle numerose ma puntiformi aree protette italiane di nuova generazione) e di dati “qualitativi” relativi alle finalità e ai risultati delle rispettive tutele (4). Ma non è una comparazione complessiva fra le aree protette italiane e francesi che intendiamo affrontare in questo saggio per il quale abbiamo invece scelto un osservatorio di studio limitato a due regioni amministrative contigue, Liguria e Provence-Alpes- Côte d’Azur, individuate sulla base di un’affinità territoriale che riguarda tanto il piano geografico-fisico quanto quello geoumano: presenza in entrambe di paesaggi di elevato valore naturalistico e culturale ma anche di aree di intensa urbanizzazione, grandi porti, turismo (5). Il fine è di offrire un primo contributo conoscitivo a una questione di vasta portata: l’organizzazione delle “cimose” litoranee che, per la loro condizione di spazi densi e caricati di enormi interessi, e nello stesso tempo di ambienti estremamente fragili, hanno iniziato ad impegnare, quanto meno a livello di dichiarazioni di principio, la comunità internazionale nella riflessione sulla armonizzazione delle azioni e delle normative (Artom e Bobbio 2005).

Il caso ligure

Quattro dei sette parchi liguri comprendono tratti costieri(6). Si tratta di un sistema di promontori che affacciano sul mare tutti localizzati nella Riviera di Levante: il parco naturale regionale di Portofino (1.056 ha) a confine dell’area metropolitana genovese, il parco nazionale delle Cinque Terre (3.860 ha), il parco naturale regionale di Porto Venere (279 ha, a gestione comunale) e quello, ancora, regionale di Montemarcello- Magra (4.320 ha), questi ultimi rispettivamente a occidente e ad oriente della città della Spezia. La dimensione lineare è di 15 km di costa nel parco di Portofino, 28 km in quello delle Cinque Terre, 15,4 e 13,8 km in quelli di Porto Venere e Montemarcello, per un totale di 72 chilometri di costa protetta. A questi territori vanno aggiunti tre siti di minore dimensione classificati ai sensi della normativa ligure sulle aree protette(7) come “riserve naturali regionali”: l’isolotto di Bergeggi (8 ha) e l’isola Gallinara (11 ha) entrambi in provincia di Savona, e i Giardini Botanici Hambury (18 ha), ai confini con la Francia. La superficie totale delle aree protette “costiere” liguri è dunque di 9.552 ha, cui potrebbero essere aggiunti i SIC - siti di importanza comunitaria compresi nella Rete europea Natura 2000, in buona parte distribuiti lungo i litorali - e le due riserve marine già istituite in corrispondenza dei parchi di Portofino e delle Cinque Terre(8). Per offrire qualche dato di confronto con la situazione complessiva italiana, si può evidenziare come rispetto ai 25 parchi costieri del nostro Paese la Liguria ne comprenda ben quattro mentre in termini di superficie i parchi liguri coprono soltanto l’1,8 % del totale delle aree protette nazionali. La lunghezza dell’intero litorale ligure è pari a 371 km (il 4,6% degli 8.200 km delle coste italiane). La costa ligure, come la corrispondente riviera francese, presenta paesaggi fortemente antropizzati, all’interno dei quali i parchi, ed in particolare le quattro aree protette principali, costituiscono una sorta di “isola verde” dove l’ambiente agro-silvo-pastorale e quello “naturale” hanno in gran parte conservato, almeno come immagine, l’antica conformazione. Un’ulteriore caratteristica delle aree protette costiere della Liguria è l’elevato grado di antropizzazione, connesso alla presenza all’interno dei confini di borghi di matrice agricola o legati alla pesca, di manufatti di grande interesse storico- artistico (complessi religiosi, torri, palazzi nobiliari...), di antichi luoghi di lavoro (mulini, frantoi, fornaci…). L’insieme di tali peculiarità determina la straordinaria valenza paesaggistica e ambientale di questi, come in realtà di altri “non protetti”, territori costieri. Ed è proprio il forte interesse turistico ed insediativo connesso alla qualità dei contesti, insieme al timore delle popolazioni locali che i parchi possano limitare la piena disponibilità del proprio ambiente di vita ed impedire lo sviluppo delle attività economiche (anche quelle di tipo rurale) che ha impedito di estendere la politica di protezione; anzi, di concretizzare in modo compiuto le previsioni inserite nel quadro normativo vigente. Infatti, del sistema di parchi previsto dalla legge regionale 12 del 1995, due non sono ancora stati istituiti e gli altri, in sede di formazione degli strumenti di piano, o nel caso di Portofino con un provvedimento normativo apposito, sono stati oggetto di una consistente riduzione in termini di superficie. Va comunque sottolineato come nel caso ligure siano in vigore altri strumenti di pianificazione di livello regionale che interessano l’intera fascia costiera: il “Piano territoriale di coordinamento paesistico”, approvato nel 1990, che definisce regole diffuse di tutela in relazione all’assetto insediativo, vegetazionale e geomorfologico, precisate ed approfondite “a livello puntuale” nel momento della formazione dei piani urbanistici comunali, e il “Piano territoriale di coordinamento della costa”, approvato dalla Regione nel 2000, che sperimenta un approccio integrato nella definizione di linee progettuali nei settori della portualità turistica, della difesa costiera e della gestione delle aree demaniali. Ciò nonostante, il ruolo dei parchi può essere ancora strategico nell’impostazione e nella sperimentazione di politiche attive di valorizzazione delle potenzialità del territorio, in termini ecologici, di fruizione turistica, di sviluppo economico, di “residenzialità” compatibile con la conservazione dei paesaggi locali, se viene superata la tradizionale cesura tra aree protette e territori esterni che l’istituzione di “aree contigue” (ai sensi della legge 394/1991) non è riuscita in alcun modo ad evitare. In genere, infatti, nei casi migliori, le aree contigue hanno assunto la funzione di filtro utile a mitigare le pressioni esterne sulle aree protette, mentre avrebbero potuto più utilmente configurarsi come luogo per una progettualità consensuale tra ente parco e Comuni, indirizzata ad estendere le politiche di protezione, ma anche quelle di sviluppo, in particolare per attività connesse alla presenza dell’area protetta. Sono proprio i rapporti che si possono stabilire tra i parchi ed i rispettivi contesti, tra la conservazione attiva delle loro risorse e lo sviluppo economico e sociale delle comunità comprese nei sistemi locali interessati dai parchi, a costituire fattore di successo delle politiche delle aree protette e, nello stesso tempo, a dimostrarne la necessità dell’esistenza e la validità dei modelli di gestione. Queste considerazioni mettono in gioco anche il tema della cogenza degli strumenti di pianificazione dei parchi che, secondo la legge 394/1991, assumono una funzione sostitutiva rispetto a ogni altra forma di pianificazione, con esclusione delle aree contigue per le quali è prevista la stipula, volontaria, di protocolli di intesa con le amministrazioni locali. Se questa norma ha come aspetto positivo l’aver attribuito ai parchi un “potere di contrattazione” nei confronti degli altri enti territoriali in precedenza impensabile, l’esperienza della formazione dei piani ha posto in luce l’imprescindibilità della cooperazione tra gli enti che hanno responsabilità nella gestione del territorio, ed in primo luogo con i Comuni. Tra le ragioni di conflitto spicca la definizione del quadro normativo per i nuclei insediati compresi nel perimetro dei parchi: in Liguria attraverso i piani sono state adottate politiche diverse, ma in genere tese ad attribuire ai Comuni un ruolo più forte di quanto la stretta applicazione della legge avrebbe comportato. Le soluzioni individuate vanno dal sostanziale recepimento delle previsioni dei piani regolatori, all’esclusione della necessità di nulla- osta per le opere edilizie, ciò nonostante si manifesta ancora la richiesta di “uscire dal parco” per le zone urbane (questa sembra essere, ad esempio, la volontà del Comune di Portofino). In relazione alle aree protette “di costa”, occorre sottolineare tra i temi-chiave della loro gestione l’esigenza di impostare un rapporto sinergico tra fasce costiere e territori interni, con l’obiettivo di riequilibrare le forti pressioni turistico-insediative che da tempo si concentrano sui litorali, riscoprendo le valenze delle aree collinari e di montagna. Nel caso ligure si tratta di far emergere e valorizzare l’insieme delle relazioni che tradizionalmente connettevano costa ed entroterra, tanto da giustificare l’esistenza stessa di molti degli insediamenti localizzati sul mare, come sbocco di profondi sistemi vallivi. L’efficacia di tale politica è misurata sia in termini di decongestionamento e qualificazione delle aree di interfaccia costa-mare, sia di rigenerazione delle aree interne, depauperate sotto il profilo economico e sociale dall’ “epoca della modernità”. Un ulteriore tema di interesse è dato dal rapporto tra aree protette terrestri e marine. In Liguria si riscontrano modelli istituzionali di gestione diversificati, difficili da comprendere nel caso in cui le due forme di protezione insistano su territori contigui. Il riferimento è al parco di Portofino e alla gestione della riserva marina che circonda il promontorio, affidata dal ministero dell’ambiente ad un consorzio di enti invece che all’ente parco il cui organismo di gestione comprende le stesse figure istituzionali. Anche in questo caso l’intreccio tra funzioni, usi, risorse, paesaggi è talmente forte da richiedere il ricorso a forme di pianificazione e di gestione integrate, capaci di “affrontare congiuntamente sia le interazioni che si manifestano trasversalmente alla linea di costa che longitudinalmente, in termini di continuità e connessioni, discontinuità o fratture ecologiche, paesistiche ed ambientali” (Gambino 2005), che solo l’attribuzione di competenze ad un unico organismo può rendere efficaci, impedendo l’insorgere di situazioni di conflitto. La stessa Unione Europea, nei documenti che trattano della gestione sostenibile delle coste, introduce una definizione di zona costiera - come «striscia di terra e mare di larghezza variabile in funzione della configurazione dell’ambiente e delle necessità di assetto, che raramente corrisponde ad entità amministrative o di pianificazione esistenti » - che sottolinea la trans-scalarità e l’assenza di confini tra terra-mare nella definizione di strategie di governance dei territori di costa. Contestualmente l’UE evidenzia la necessità di integrazione tra le politiche, come «attenzione simultanea nei confronti di tutti i numerosi sistemi che agiscono in modo significativo sulle dinamiche costiere », e di coinvolgimento di «tutti i livelli e settori dell’amministrazione interessati alla zona obiettivo di intervento» per ottenere un corretto assetto di questi territori (9). Un’ultima notazione riguarda i “luoghi critici” nei territori-parco liguri, ma non solo, tra i quali assumono un rilievo dominante le aree rurali, portatrici di valori forti, in termini storico-culturali e di diversità paesistica e biologica, ma, d’altra parte, in profonda crisi, per l’abbandono correlato alle trasformazioni socio-economiche della “modernità” e per le modificazioni diffuse che le nuove funzioni (residenziali, turistiche eccetera) impongono alle forme e al significato di ambiti molto fragili, spesso in equilibrio instabile. Nei territori rurali terrazzati, ad esempio, anche le micro-trasformazioni o le trasformazioni “invisibili” hanno conseguenze disastrose, in termini di perdita di identità del paesaggio e delle comunità insediate; i parchi liguri, anche attraverso l’adozione di regolamenti specifici, stanno sperimentando forme innovative di controllo, di guida e di incentivazione al recupero di questo patrimonio, ma evidentemente è quasi impossibile impedire il cambiamento degli usi del patrimonio edilizio e governare compiutamente il processo di modernizzazione dello spazio aperto che ne consegue, almeno se non si assiste ad una crescita culturale diffusa delle comunità nel “prendersi cura” del proprio territorio.




Superficie del patrimonio del Conservatoire dal 1977 al 2004




Superficie del patrimonio del Conservatoire per area geografica


Il “Conservatoire du littoral ed des rivages lacustres”

Come è stata declinata la protezione degli spazi costieri nella vicina Francia? A parte l’esistenza dei parchi nazionali, dei parchi naturali regionali, delle riserve naturali e delle altre forme di protezione “classica” cui si è accennato (nota 4) il risultato più eclatante dello sguardo lanciato oltre confine è stato la “scoperta” dell’istituzione, assolutamente in controtendenza rispetto alle privatizzazioni in atto da noi, del Conservatoire du littoral sul quale intendiamo porre l’attenzione in quanto istituzione decisamente straordinaria da ascrivere al merito di tutti i governi d’Oltralpe in fatto di protezione delle coste (10). Le premesse della creazione del Conservatoire de l’espace littoral et des rivages lacustres, ricostruite da Dominique Legrain (2000), vanno ricercate nella reazione al degrado subito dall’ambiente costiero di alcune aree del territorio francese nei primi decenni della seconda metà del Novecento: un degrado che rappresenta l’altra faccia dell’imponente processo di modernizzazione e di sviluppo delle infrastrutture (ferroviarie, stradali, turistiche eccetera) che coinvolge il paese con la fine della guerra d’Algeria, l’ascesa al potere del generale de Gaulle (1958) e la nascita della V Repubblica. La legge risalente al 1930, che recava disposizioni sulla tutela dei siti di «rilevante bellezza paesistica» che presentavano particolari caratteristiche «estetiche», «scientifiche» e «storiche» era largamente insufficiente a proteggere le coste. Già all’inizio degli anni Sessanta l’amministrazione francese dimostra di assumere piena consapevolezza della portata delle trasformazioni in atto e della necessità di governare lo sviluppo; nel 1962, con la nomina di Georges Pompidou a primo ministro, viene infatti creato un organismo interministeriale con poteri eccezionali posto direttamente sotto l’autorità del primo ministro. Si tratta della Délégation à l’aménagement du territoire et à l’action régionale (DATAR) la cui direzione è affidata al fedele collaboratore di de Gaulle, Olivier Guichard. Nell’evidenza degli effetti perversi dell’urbanizzazione incontrollata delle coste e nella volontà di conciliare crescita economica, sviluppo turistico e corretta gestione dello spazio, la DATAR istituisce le Missions d’amenagement du littoral di Languedoc-Roussillon e d’Aquitaine. Nel 1970 la DATAR elabora un protocollo di cento misure riguardanti la protezione dell’ambiente. L’anno dopo viene creato il Ministère de la Protection de la nature et de l’environnement. Lo scenario che le coste francesi presentano in quegli anni è lo stesso di tanti tratti di costa italiana. Mentre da noi viene coniato il termine di rapallizzazione e Antonio Cederna denuncia «i vandali in casa»(11), la stampa francese si scatena per stigmatizzare il mur de la honte - il muro della vergogna - cioè la colata di cemento che continua a crescere specialmente lungo la Costa Azzurra. Nel Dipartimento delle Alpi Marittime, «Marina Baie des Anges, piramide balneare orgogliosamente piazzata di fronte al mare, diviene il simbolo della privatizzazione della costa in nome del profitto di qualche privilegiato». Si parla di Costa Azzurra assassinata. I sindaci sono accusati di collusione con gli imprenditori. Il 13 maggio 1971 il Comité interministeriel d’aménagement du territoire riunito dalla DATAR affida a un gruppo di studio guidato da Michel Piquard lo specifico compito di occuparsi della questione e di redigere nel giro di due anni un rapporto «sulle prospettive a lungo termine dell’organizzazione del litorale francese». In effetti il 5 novembre 1973 il gruppo di lavoro presenta il rapporto definitivo, fondato su alcuni punti forti: gli spazi costieri, in quanto fragili, non estensibili e, se modificati, non riconducibili allo stato precedente, devono essere sottratti allo sviluppo incontrollato, pianificati e resi accessibili; va conservata la qualità dei quadri ambientali e la diversità dei paesaggi che li compongono. Le analisi del rapporto Piquard influenzeranno, almeno nello spirito, la loi littoral del 1986(12), ma la misura più argomentata e originale proposta dal rapporto Piquard è, subito, l’istituzione del Conservatoire du littoral, un provvedimento che «rompe radicalmente con i principi, all’epoca unanimemente accettati, in materia urbanistica e di pianificazione territoriale». Facendo riferimento al National Trust inglese, si introduce il principio che, quando l’interesse pubblico lo esiga, lo stato si deve sostituire ai privati creando una categoria di beni pubblici che entrino a far parte del patrimonio nazionale alla stregua delle opere d’arte e dei monumenti storici. Un precedente prefigurava questo orientamento: nel 1971 Georges Pompidou, per assicurarne la protezione definitiva, aveva fatto acquistare 950 ettari sull’isola di Porquerolles affidati in gestione al Parco nazionale di Port-Cros. Non stiamo qui a dilungarci sul dibattito politico che ha accompagnato la messa a punto di un progetto di legge straordinario e impegnativo sul piano finanziario: se inizialmente esso ha in effetti sollevato qualche reticenza da parte del ministro delle Finanze, già nel maggio 1974 riceve l’approvazione del Consiglio dei ministri e nel giugno 1975 quella unanime dell’Assemblea Nazionale; il 10 luglio 1975 il provvedimento, divenuto legge, viene firmato dal presidente della Repubblica. L’articolo 1 recita:

Il Conservatoire de l’espace littoral et des rivages lacustres è un ente pubblico
statale a carattere amministrativo che ha per missione di condurre,
su parere dei Consigli municipali interessati e in partenariato con le
collettività territoriali una politica fondiaria di salvaguardia dello spazio
costiero e di rispetto dei siti naturali e dell’equilibrio ecologico [...].




Siti del Conservatoire al 2001 nella regione Provence, Alpes, Côte-d’Azur

Organizzazione e “missione”

La formula “vincente” del Conservatoire risiede nella felice combinazione fra intervento statale, che garantisce l’inalienabilità dei beni e la perennità della protezione, e la gestione decentrata, garante della condivisione da parte delle collettività locali (Garreta 2005). Ente pubblico posto sotto la sorveglianza del Ministero dell’Ambiente, esso è stato concepito come una struttura leggera, centrata sul suo ruolo di operatore fondiario ma profondamente ancorata nella realtà territoriale. Il Conseil d’administration è composto da eletti nazionali e da eletti periferici (13). Il coinvolgimento delle realtà locali nei processi di decisione non riguarda solo la presenza dei loro rappresentanti nel Consiglio: le acquisizioni dei terreni sono decise con il parere dei Consigli municipali interessati e dei nove Conseil de rivages (Manica-Mare del Nord, Normandia, Bretagna- Loira, Centro-Atlantico, Mediterraneo, Corsica, Laghi, Coste francesi d’America, Coste francesi dell’Oceano Indiano) composti esclusivamente da eletti dei Dipartimenti e delle Regioni. Come vedremo, agli enti locali è inoltre affidata la gran parte della gestione dei siti (90% circa). Un ruolo indubbiamente importante è quello del presidente, scelto dal Consiglio sulla base di due criteri preferenziali: un parlamentare con esperienza ministeriale e facente parte della maggioranza di governo in carica per facilitare il dialogo con esso. La continuità, invece, nella direzione del Conservatoire (quattro direttori avvicendatisi nel trentennio) è lo specchio della larga fiducia accordata a un organismo la cui «missione» consiste, come si è visto, nell’applicare ai territori costieri marittimi, fluviali e lacustri di tutto il territorio francese «una politica fondiaria di salvaguardia dello spazio litoraneo e di rispetto dei siti naturali e dell’equilibrio ecologico». Con questo articolo, la nozione di «equilibro ecologico» compare per la prima volta nel diritto francese. Quanto alla preservazione delle coste fondata sulla «politica fondiaria» lo spirito della legge è evidente: per realizzare la missione di una protezione duratura non esiste miglior modo dell’acquisizione definitiva dei terreni, il cosiddetto «demanio proprio»(14). Sulle possibilità di alienazione di tale «demanio proprio» la legge indica modalità di assai difficile realizzazione. La proposta di una eventuale rivendita deve essere approvata dal Consiglio di amministrazione del Conservatoire a maggioranza qualificata (tre quarti dei membri) e deve ricevere l’autorizzazione del Consiglio di Stato che emette un decreto in proposito. In effetti, le ipotesi di vendita non hanno davvero rappresentato un problema nei trent’anni di vita del Conservatoire la cui crescita in termini di patrimonio acquisito è stata, invece, costante. E’ interessante osservare come «in un’epoca in cui l’intervento dello stato è ovunque messo profondamente in crisi, il Conservatoire du littoral benefici di una legittimità intatta e sia oggetto di un solido e largo consenso» (Garreta 2005). In effetti, il Conservatoire non è percepito dai francesi come uno degli organismi dell’apparato statale ma come ente che esercita una missione al servizio della nazione al di sopra degli schieramenti politici. Il Conservatoire deriva le proprie risorse essenzialmente da una dotazione annuale dello stato, da sovvenzioni di altri soggetti pubblici (Regioni, Dipartimenti, UE) e da “mecenati d’impresa”, cioè da grandi Società attraverso le loro fondazioni: Electricité, Banque Populaire, Total, Gaz de France, Procter & Gamble eccetera(15). I progetti da loro sovvenzionati riguardano ogni settore: dalle ricerche scientifiche al restauro di edifici storci e alla protezione delle specie, dalla difesa dell’ecosistema alla realizzazione di programmi editoriali, campagne fotografiche, percorsi didattici eccetera.

Il quadro di intervento

L’individuazione degli spazi su cui intervenire è, evidentemente, questione complessa che ha subito nel tempo delle variazioni; ad esempio, al momento della sua istituzione il Conservatoire esercitava la sua azione di acquisto dei terreni negli «spazi naturali sensibili» (ENS, mappati dai Dipartimenti, e nelle «zone di pianificazione differenziata »). Con la riforma del 2002 la prelazione è estesa anche all’esterno di questi perimetri (comunque sempre al di fuori delle zone urbane ed edificabili). La priorità di intervento incrocia due criteri fondamentali: il valore ecologico e paesaggistico dei siti e la loro vulnerabilità. Si tiene conto delle diverse tipologie dei suoli (coste rocciose, sabbiose, zone umide, praterie e landes) onde assicurare la trasmissione alle generazioni future di un patrimonio che testimoni la diversità dei paesaggi. Si interviene per salvaguardare aree minacciate da urbanizzazione illegale (abusi edilizi, istallazioni di baracche e abitazioni su ruote) o da programmi di artificializzazione irreversibile (prosciugamento di zone umide, escavazione di materiali). Per i suoli che, a causa degli usi in atto, sono soggetti a un processo di degradazione, si prevede il restauro. Ancora, il Conservatoire interviene nei terreni la cui proprietà non consente la perpetuazione delle attività tradizionali che garantiscono la permanenza di un paesaggio tipico o di equilibri ecologici importanti. Una delle «missioni» fondative del Conservatoire è stata, infine, l’acquisizione di terreni non accessibili per i quali si imponeva l’apertura al pubblico, da realizzarsi «nei limiti della loro vocazione ed equilibrio ecologico»: di fatto i dati sull’afflusso sono molto elevati (15-20 milioni di visitatori all’anno). La tendenza è ad acquistare insiemi abbastanza vasti o contigui per consentirne una gestione coerente. L’entrata in possesso dell’insieme può richiedere trattative che durano anche alcuni anni fra convincere i proprietari (che, in caso di parcellizzazione del territorio sono diversi), negoziare i prezzi eccetera.

Modalità di acquisizione dei terreni

La legge istitutiva del Conservatoire indica come modo decisamente privilegiato per l’acquisto dei terreni la transazione amichevole con diritto di prelazione e, più eccezionalmente, l’acquisizione per esproprio. L’esercizio della prelazione incoraggia i proprietari a vendere i loro beni seguendo la trattativa amichevole piuttosto che opporsi all’acquisto. Oltre ai beni direttamente acquistati, al patrimonio del Conservatoire concorrono assegnazioni gratuite di immobili da parte dello stato e, talvolta, cessioni a prezzi quasi simbolici: nel 1994, ad esempio, il Ministero della Difesa ha venduto al Conservatoire alcune aree fortificate a 2 e 5 franchi il metro quadrato. Anche gli enti locali partecipano con donazioni: i Comuni cedono spazi al Conservatoire per difenderli dalla speculazione o per alleggerire i propri bilanci quando il bene necessita di onerosi interventi di difesa di cui si farà carico il Conservatoire. Altre donazioni provengono da associazioni, da aziende o da singoli privati per varie ragioni, compresa l’impossibilità di fronteggiare autonomamente le minacce di degrado ambientale delle loro proprietà. Qualora il Conservatoire non ritenga necessaria l’acquisizione di qualche sito, può stipulare una convenzione, come è accaduto con i proprietari di piccole isole (riunitisi nell’associazione «Petites Îles de France») che nel 1988 hanno acceso un’ipoteca a vantaggio del Conservatoire e garantito l’apertura al pubblico delle loro isolette in cambio dell’impegno da parte dell’istituto di provvedere alla loro manutenzione (Yoni, Bourdier, Bru, Vergos, Hallégouët 2002).

Dimensione e gestione del patrimonio

Al primo gennaio 2006 il Conservatoire risulta proprietario di 75.140 ettari (6.5361 acquistati e 9.609 assegnati). Nel complesso del litorale francese (metropoli e territori d’Oltremare) essi sono così ripartiti (in ettari):

Nord Pas de Calais 4.560 Corse 16.340
Normandie 5.538 Lacs 2.514
Bretagne-Pays de Loire 7.517 Amérique 3.259
Centre Atlantique-Aquitaine 7.608 Océan Indien 1.299
Méditerranée 23.328
(fonte: Conservatoire, 2006)

Si tratta, nell’insieme, di circa 860 chilometri di costa configurata in 300 “insiemi naturali”. Il Conservatoire non si occupa direttamente della gestione dei siti che viene assegnata a tre categorie di organismi: enti locali, associazioni o fondazioni “specializzate” (ad esempio ambientaliste) ed enti pubblici (come l’Office national des fôrets cui è affidata la gestione dei siti che comprendono grandi estensioni boschive). La recente normativa sulla démocratie de proximité regola i rapporti fra ente proprietario ed enti gestori di cui è stato steso un elenco che vede gli enti locali, come si è detto, decisamente privilegiati. Le associazioni intervengono o per diretto incarico del Conservatoire o per delega dell’ente locale, quando esso non possa assicurare la conduzione di un sito posto nel proprio territorio. Le convenzioni con gli organismi gestori sono accompagnate dai piani di gestione «coerenti per ciascun sito sulla base di un bilancio ecologico e patrimoniale» elaborati dal Conservatoire in collaborazione con l’ente gestore e i Comuni interessati (nel caso che non ne siano essi stessi gestori), in base agli obiettivi generali di tutela del Conservatoire, a criteri tecnico-scientifici ed economici e ad esigenze locali. Il Conservatoire conserva il potere di controllo, spesso difficile da esercitare dato che la sua caratteristica è di essere comunque un organismo “agile”, con un personale limitato: 103 persone nel 2004, di cui 74 a carico del proprio bilancio (Rapport annuel 2004). Gli agricoltori, inseriti a un certo punto nell’elenco dei possibili gestori, sono stati successivamente tolti. L’attuale normativa non li contempla più nelle convenzioni di gestione ma autorizza con loro la stipula di convenzioni d’uso, cioè la concessione temporanea dei beni dietro pagamento di un canone e a condizione che non ne sia cambiata la destinazione. Nell’insieme, nel 2005 si contavano 321 convenzioni di gestione e 560 convenzioni d’uso, queste per la maggior parte appunto con agricoltori. Uno degli aspetti più interessanti da analizzare è relativo alla “filosofia” che ispira l’azione del Conservatoire. A proposito dell’erosione marina, ad esempio, esso segue la linea di lasciar fare alla natura il suo corso finché un bene non sia minacciato. Viene considerata come normale l’evoluzione del tratto di costa di cui ci si occupa e non si interviene per contrastare l’erosione con opere come scogliere artificiali che altro non farebbero se non spostare altrove il problema. Si interviene piuttosto favorendo la riformazione delle dune. Per quanto riguarda le attività antropiche, l’ingresso di un bene nel Conservatoire non significa la loro interruzione. Il Conservatoire vuole i suoi terreni “vivi” a garanzia di una accettazione duratura e condivisa della propria azione. Le attività economiche praticate contribuiscono esse stesse alla preservazione dei paesaggi, come nel caso della viticoltura a Saint-Cyr-sur-Mer (Var) dove circa 600 agricoltori sono attivi sui terreni del Conservatoire. In sintesi, oltre all’attività agricola, sono generalmente ammessi l’allevamento estensivo degli animali (garanzia del mantenimento della varietà floristica dei prati), le saline, la caccia (con limitazioni). Il commercio è consentito soltanto relativamente a prodotti speciali e all’interno degli edifici per una percentuale limitata della loro superficie utile. Sono invece vietati il campeggio, le attività sportive, la circolazione dei veicoli, l’edificazione di nuove costruzioni. Il piano di gestione stabilisce la destinazione degli edifici presenti nel sito (in primo luogo gli spazi per l’accoglienza del pubblico e per le attività culturali ed educative), individua gli edifici di valore storico da restaurare e quelli recenti da demolire.

Prospettive: un terzo di costa “selvaggia”

Il 18 luglio 2005, nella magnifica Corderie Royale di Rochefort (un edificio dalla facciata di 400 metri costruito nel 1666 per volere di Luigi XIV e concepito da Colbert come elemento centrale «del più grande arsenale del mondo»), restaurata per fare da sede ufficiale al Conservatoire, il presidente Chirac celebra il trentesimo anniversario della sua fondazione. In un ampio discorso il presidente parla del ruolo strategico delle coste a scala globale, sottolinea l’importanza della loro protezione e ricorda i risultati fino al momento ottenuti dall’istituzione: acquisizione al patrimonio dello stato di 660 chilometri di costa (sui complessivi 5500) pari al 12% delle coste francesi (corrispondenti a 75.000 ettari di territorio costiero distribuiti in 740 siti. Ad essi vanno aggiunti 120 chilometri nei Dipartimenti d’oltremare. Al centro del discorso Chirac pone l’obiettivo «ambizioso» che il Conservatoire si è dato: il tiers sauvage, sarebbe a dire il raggiungimento nell’arco dei prossimi cinquant’anni di un terzo delle coste nazionali, acquisite sulla base di un meticoloso lavoro di «cartografazione degli spazi litorali protetti e di quelli che meritano di esserlo» (16).
Sul concetto di «tiers sauvage», o anche di «tiers naturel», introdotti dagli anni Novanta, si è abbastanza discusso: esso è stato da più parti ritenuto limitativo in quanto riconducibile esclusivamente ai siti privi dell’intervento umano (Desideri, Imparato 2005). In realtà, la missione del Conservatoire non si è applicata ai soli spazi “naturali” ma anche a siti che associano patrimonio naturale e patrimonio storico come, ad esempio, i promontori còrsi con le loro torri genovesi, i giardini del Rayol nel Var, il forte di Tatihou nella Manica e molti altri. Tornando alla celebrazione, l’espressione, con il forte contenuto simbolico dell’aggettivo che la compone (selvaggio), sembra essere stata ripresa dal presidente non per entrare nella natura dei beni costieri da acquisire, ma piuttosto per esaltare agli occhi del paese l’azione di salvaguardia svolta dal Conservatoire e il suo prestigioso programma. Nell’occasione il presidente invitava il governo ad accrescere la dotazione del Conservatoire tramite l’assegnazione dei proventi di un’imposta (17).

Le aree protette costiere nella regione Provence-Alpes-Côte d’Azur

L’intreccio tra paesaggio naturale e paesaggio culturale connota profondamente anche la parte costiera della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra che si sviluppa per 700 km e interessa tre dipartimenti (Bouche du Rhône, Alpes Maritimes e Var). Ma se fino alla metà dello scorso secolo i segni di un processo di urbanizzazione, che ha origini seicento anni prima di Cristo, sono ancora evidenti nel sistema di insediamenti - fondati da fenici, greci e romani - e nel sistema di usi dello spazio “naturale”, che continuava a rappresentare un elemento essenziale dell’economia, dagli anni Cinquanta la pressione insediativa collegata al modello di sviluppo “moderno”, e in particolare a quello turistico, ha fortemente trasformato questo patrimonio. Il territorio più ricco di Francia sul piano paesaggistico e ambientale diventa anche il più minacciato.
Nonostante gli effetti del “secolo breve” siano manifesti nella presenza di grandi città (Marsiglia, Tolone, Nizza), di complessi industriali (Fos, Berre), di urbanizzazioni turistiche molto dense (Costa Azzurra), sul litorale permane un patrimonio naturale di grande interesse per l’estrema diversità degli ambienti percepibili in uno spazio limitato: un’area di steppa, la Crau; la più estesa zona umida d’Europa, la Camargue; le falesie calcaree dei Calanques e della Côte Bleue; il massiccio siliceo e verde dei Mauri e le rocce rosse dell’Esterel. Nell’insieme della fascia costiera della regione non è presente una rete di aree protette vasta quanto in altre regioni francesi e nella stessa Provence-Alpes-Côte d’Azur in ambiente montano dove troviamo, per esempio il Parco del Mercantour. La protezione di tipo “classico” è essenzialmente incentrata su due poli: uno insulare, comprendente le isole di Port-Cros, Porquesrolles e Hyères (e tutte le isole più piccole) e uno litoraneo riguardante l’area deltizia del Rodano: appunto la Camargue. Il primo è stato oggetto dell’istituzione, nel 1963, di un parco nazionale esteso 650 ettari terrestri e 1.800 ettari marini a protezione “forte”, comprende il solo comune di Hyères (Var) e ospita una popolazione residente di 48 abitanti a Port-Cros e 342 a Porquerolles. Il Parco naturale regionale della Camargue, istituito nel 1970 e riconfermato nel 1998, ha una superficie di 86.500 ettari ed ospita 8.000 abitanti stabili distribuiti in due comuni (dati 2001). Nel parco è compresa una delle prime riserve naturali creata in Francia (n. 22 Camargue). Nella zona troviamo anche la riserva naturale dei Coussouls de Crau e il parco regionale marino della Côte Bleue. La limitata estensione (sia lineare sia in termini di superficie) di aree a tutela tradizionale nel lungo tratto di costa che va dal Rodano a Mentone riproduce la tendenza verificatasi anche da noi e cioè la difficoltà a mettere sotto protezione le coste rispetto alla montagna sia per la presenza degli ampi tratti già urbanizzati e per l’assalto da esse già subito in tempi di minor sensibilità pubblica e individuale, sia per il permanere di più forti interessi speculativi e patrimoniali. E’ in questo quadro di difficoltà da parte delle forme di protezione ambientale tradizionali di affrontare il problema della fragilità dell’ambiente costiero che lo stato francese, a differenza di quello italiano, si inserisce fin dal 1975 con il provvedimento decisamente rivoluzionario di divenire proprietario di una buona percentuale del litorale nazionale inserendosi capillarmente negli interstizi di un tessuto territoriale più o meno insediato, più o meno degradato, a scopo, come si è visto, non solo di conservazione ma di restauro. Da questo punto di vista il caso della regione considerata è emblematico. La volontà di tutelare il patrimonio di questa regione ha portato all’acquisizione da parte del Conservatoire du littoral di 46 siti che interessano, secondo i dati statistici del 2002, più di 13.500 ettari di territorio per uno sviluppo costiero di circa 100 km, pari al 14% dello sviluppo del litorale nazionale. Dal punto di vista della superficie protetta i siti hanno consistenza molto variegata: il più piccolo – Ile du Grand Rouveau – comprende solo 5 ettari, il più grande – la Côte Bleue – ha un’estensione pari a 3.304 ettari ed è il più vasto sito del Conservatoire nella Francia continentale. La concentrazione dei siti è maggiore sulla parte più occidentale della costa: 16 delle aree protette sono localizzate, infatti, nel comprensorio delle Bocche del Rodano, 19 nel Var, 7 nelle Alpi Marittime. Troviamo inoltre due siti sul lago di Sainte-Croix-Du-Verdon e due su quello di Serre-Ponçon.
La gestione dei siti è stata attribuita, come previsto dalla legge istitutiva, alle collettività locali, ad associazioni ambientaliste o ad organismi specializzati nel supporto tecnico ai comuni (Ufficio Nazionale delle Foreste, Parchi nazionali o regionali). Il loro compito, oltre alla sorveglianza effettuata impiegando “guardie del litorale”, è:

  • elaborare un piano di gestione del sito che stabilisce gli usi del territorio sulla base di un bilancio ecologico, fissa gli obiettivi da perseguire ed i mezzi da impiegare per proteggere il sito;
  • realizzare i lavori di recupero: restauro delle dune, delle opere idrauliche, demolizione di costruzioni incongrue ecc.

Le grandi sfide che il Conservatoire deve affrontare, come accade alla generalità degli organismi incaricati della gestione del patrimonio “naturale” in aree costiere, sono: la salvaguardia del patrimonio genetico e della diversità biologica sempre più minacciati da processi di omologazione e di semplificazione; la pressione dell’urbanizzazione ancora forte ed invasiva; la difesa dagli incendi del patrimonio boschivo che assume oggi funzioni turistico-ricreative ma ha perduto la tradizionale vocazione economica (e quindi le forme di controllo che ne derivavano); il controllo dell’erosione costiera progressivamente aggravata dal costante innalzamento del livello del mare.

Alcuni casi esemplari

Come sopra accennato i siti del Conservatoire presentano caratteristiche molto differenziate, rispecchiando la pluralità dei paesaggi della costa mediterranea francese. Se nel patrimonio acquisito la componente “naturalistica” è quella predominante, connessa alla volontà di salvaguardare ambiti ad elevato valore biologico ed ecosistemico, proteggendoli dalle richieste di sviluppo turistico-insediativo, molti ambiti sono stati prescelti per la loro natura antropica: per la presenza di manufatti civili e militari di interesse storico-architettonico, appartenenti ad epoche diverse, in qualche caso prodotti della “modernità” o di forme di utilizzo agro-silvo-pastorale che hanno comportato trasformazioni e adattamenti dell’assetto morfologico dei luoghi. L’acquisizione della “Côte Bleue” ha rappresentato, ad esempio, un passo importante per la conservazione della costa, sottraendola a pressanti progetti di trasformazione immobiliare, ma il trasferimento alla proprietà pubblica non ha del tutto interrotto le situazioni di criticità: da allora molti incendi si sono sviluppati su questo territorio danneggiandone fortemente il patrimonio vegetale. Le politiche attivate tendono, di conseguenza, a favorire la formazione di ecosistemi “adatti” al fuoco, la rigenerazione naturale delle foreste, la presenza di attività agricole tradizionali, il controllo della fruizione turistica attraverso la chiusura estiva del sito. Anche l’acquisizione del sito di “Le mont Vinaigrier”, nelle vicinanze di Nizza, è legata alla volontà di impedire una speculazione immobiliare (ottocento alloggi) che negli anni Settanta avrebbe distrutto un patrimonio naturalistico di grande complessità e le vestigia di antiche coltivazioni ad uliveto. Oggi costituisce un importante supporto pedagogico per comprendere l’evoluzione di un paesaggio modellato dall’uomo, per evidenziare i rischi dell’abbandono delle colture e della conseguente riconquista del territorio da parte della vegetazione naturale. Con le stesse finalità, un luogo produttivo, le antiche “Salines d’Hyères”, poste in prossimità della penisola di Giens, abbandonate nel 1995, hanno assunto il ruolo di sito eccezionale per la nidificazione degli uccelli d’acqua e per la migrazione e lo svernamento dei volatili. Accanto alla conservazione delle antiche strutture, del livello dell’acqua e del tasso di salinità, gli obiettivi di gestione comprendono, dunque, interventi tesi a differenziare i luoghi di nidificazione per favorire la presenza di ulteriori specie. Tra gli ambiti dove la componente architettonica assume un rilievo precipuo, possono essere citati: il sito “Eileen Gray-Le Corbusier” a Cap-Martin, classificato monumento storico, che comprende il Cabannon, le Unités de camping ed alcune ville progettate da Le Corbu, come risposta “esemplificativa” al problema dello sviluppo della residenza turistica sul litorale (in questo caso un terreno in forte pendenza sistemato a terrazze piantumate con varietà botaniche antiche che può essere considerato tipico di molti contesti territoriali); la “Poudrerie de Saint-Chamas-Miramas”, ai confini dello stagno di Berre alle Bocche del Rodano, antica fabbrica di esplosivi inclusa con le sue pertinenze naturali (una foresta umida) e costruite (antichi mulini, una cappella romana, reti idrauliche…) tra le proprietà del Conservatoire dopo trent’anni di abbandono; la “Proprieté la Moutte”, nei pressi di Saint-Tropez, comprendente un castello del XIX secolo e la batteria di Capon, punto di partenza di un sentiero lungo un tratto di litorale ancora inalterato; il “Fort-Carré” del XVI secolo che vede la gestione congiunta dell’antica fortezza e dello spazio verde circostante tra Conservatoire e Comune di Antibes. Una notazione particolare va riservata a due siti dove la protezione riguarda spazi verdi destinati originariamente a parco privato: il “Domaine du Rayol” sulla Cornice dei Mauri, anch’esso acquisito, nel 1989, per sottrarlo ad un progetto edilizio. Di grande interesse è, infatti, la presenza di un giardino di 5 ettari disegnato da Giles Clément che ha immaginato un mosaico di spazi verdi che riproducono le forme del paesaggio di diverse regioni del mondo a clima mediterraneo; la “Serre de la Madone”, vicino a Mentone, dove, a partire dagli anni Venti, è stato realizzato un giardino esotico sul sistema terrazzato originario, composto come uno spazio di rappresentazione a grande scala comprendente una moltitudine di “stanze”, luoghi segreti, tranquilli ed intimi. A lungo abbandonato e di conseguenza eccessivamente sviluppato in altezza e densità, questo sito è il luogo adatto per una riflessione, propria del Conservatoire, sulle sfide ambientali conseguenti alle pratiche dell’uomo. La stessa sfida è raccolta, forse più modestamente, in alcuni siti che si pongono la finalità di proteggere ed implementare attività agricole tradizionali, conservando i caratteri del paesaggio tradizionale. Così, la “Plaine de la Crau”, nei pressi di Arles, assicura la gestione della steppa e del bosco attraverso il mantenimento delle pratiche tradizionali, quali l’allevamento estensivo di ovini e cavalli. Quanto al “Domaine de la Sanglière-Cap Bénat”, che alterna colline boschive, vigneti doc e spiagge di sabbia fine, costituisce una testimonianza rappresentativa dell’ambiente tradizionale del litorale del Var generalmente soggetto, in misura non dissimile al resto del territorio costiero, a processi di semplificazione della diversità biologica e paesaggistica.

Alcune conclusioni

Il confronto tra le due regioni confinanti da un lato conferma, come Gambino ha più volte sostenuto, la fascia costiera come «fascia ad elevata criticità ambientale paesistica, nella quale un patrimonio prezioso e irripetibile di valori storici, culturali e paesistici è alla mercè di potenti forze disgregatrici»; dall’altro lato evidenzia differenze significative rispetto alle politiche adottate per affrontare il “problema costa”. L’esperienza francese del Conservatoire mette in luce, in particolare, un impegno forte e costante dello stato nella salvaguardia di siti litoranei preziosi, attraverso l’acquisizione al pubblico della loro proprietà e la successiva gestione “locale” dei territori; mentre in Italia, come accennato in premessa, la situazione è completamente rovesciata: se possibile si ipotizza persino di “cartolarizzare” le fasce costiere. In entrambi i casi ha prevalso, inizialmente, una politica di protezione per “isole”, tanto è vero che il Conservatoire era già attivo da un decennio con il suo trend positivo quando si è sentita l’urgenza di varare la loi littoral. Ancora una volta un provvedimento che, almeno sulla carta, ha marcato l’anticipo della Francia anche se la legge è stata poi fortemente contestata per essere troppo permissiva (ma ha ricevuto anche la critica opposta: di legge troppo restrittiva), per difficoltà di applicazione, per incoerenza(18). Tornando invece al Conservatoire, dopo i risultati già raggiunti, l’obiettivo che esso si è posto (peraltro in linea con le raccomandazioni più volte espresse in sede europea (19): un utilizzo sostenibile delle aree costiere e la loro gestione integrata da realizzarsi attraverso una politica fondiaria che tende ad acquisire siti di grandi dimensioni e ad estendere il patrimonio a un terzo di costa francese) va indubbiamente oltre un’azione di salvaguardia puntiforme e circoscritta. In Italia, l’esigenza attuale di una più compiuta logica di sistema - imprescindibile se lo scopo è estendere il processo di preservazione e di valorizzazione all’intero paesaggio costiero, “territorializzando” le strategie e le azioni necessarie – stenta a decollare. Il tema della gestione integrata delle aree costiere richiede, infatti, azioni coerenti in un ampio ventaglio di settori e la sinergia tra i diversi livelli istituzionali con il comune obiettivo di non perdere una risorsa strategica, non solo in termini ecologici, ambientali e paesaggistici, ma sociali ed economici. Un punto di partenza poteva essere costituito dal progetto Coste Italiane Protette (CIP), presentato dalla Federazione italiana dei parchi e delle riserve nel dicembre 1999, e poi sostanzialmente arenato. Era l’occasione, non solo per mettere in rete una parte significativa delle aree parco comprese in ambiti costieri, allo scopo di precisarne problematiche e vocazioni comuni e di perseguire strategie di progetto sostenibili e coordinate, ma di costruire visioni d’assieme “condivise”, tra attori ed istituzioni che operano alle diverse scale spaziali, delle dinamiche, delle politiche, delle azioni da concertare per l’intero territorio costiero.

NOTE

  1. Beni indivisi di origine medievale-feudale (presenti soprattutto in alcuni spazi mediterranei montani, dove sono stati elemento fondamentale per le economie locali tradizionali) che da secoli si tramandano come tali e che si sono conservati fino ad oggi. La loro alienazione rappresenta una rottura della continuità fra generi di vita e paesaggi tradizionali e modernità che risulterebbe grave sia dal punto di vista sociale e storico-culturale, sia da quello della protezione ambientale per la funzione di presidio attivo fino ad ora garantita dalle collettività locali.
  2. Va sempre più affermandosi nella ricerca sul paesaggio la tendenza a riconoscere alla produzione letteraria e pittorica il valore di documento.
  3. Di cui due nei Dipartimenti d’Oltremare Guyana e Martinica.
  4. Il quadro complessivo della protezione ambientale in Francia è articolato e qui può essere solo accennato. Il paese conta una cinquantina di “strumenti” di protezione ambientale ma questa è per la maggior parte da ricondurre a tre categorie. Le aree a protections réglementaires comprendono: i parchi nazionali (istituiti a partire dal 1960, caratterizzati da un centro a stretta protezione e da un’area periferica in cui si promuove lo sviluppo economico, culturale e sociale); le riserve naturali (istituite a partire dal 1976, erano 148 nel maggio 2000) relative a specie e ambienti di «eccezionale importanza»; i decreti sui biotopi (1977) che conservano gli habitat delle specie protette; le riserve naturali volontarie, accordate per 6 anni al proprietario che ne faccia richiesta (rinnovabili). Esistono poi le protections contractuelles, sostanzialmente i “parchi naturali regionali” (di dimensione anche interregionale) istituiti a partire dal 1967 sulla base della richiesta delle collettività locali e di una sorta di contratto decennale – la charte – rinnovabile. Differiscono notevolmente dai parchi nazionali nel non prevedere una zonizzazione e nell’essere incentrati su una protezione attiva finalizzata alla protezione e gestione del patrimonio naturale e culturale, alla pianificazione territoriale, allo sviluppo economico e sociale, all’accoglienza, all’informazione ed educazione del pubblico, alla sperimentazione e alla ricerca. La terza categoria riguarda le protections internationales: zone di protezione speciale (riguardanti la preservazione e ricostituzione degli habitat delle specie minacciate degli uccelli); i siti Ramsar riguardanti zone umide (1971, ratificati dalla Francia nel 1986) e le riserve biogenetiche del Consiglio d’Europa per la diversità biologica (1961) (fonte: Institut Français de l’Environnement). A una prima analisi emerge una distinzione piuttosto netta, in Francia, fra parchi nazionali e parchi regionali.
  5. Regione Liguria: 5.416 kmq di superficie, 1.621.016 abitanti (dati ISTAT al 1 gennaio 2003); quattro province: Genova, Imperia, La Spezia, Savona. Région Provence-Alpes-Côte d’Azur: 31.399 kmq di superficie, 4.506.253 abitanti (censimento 1999); sei Départements: Alpes-de-Haute-Provence (Dép. n. 4), Hautes-Alpes (5), Alpes Maritimes (6), Bouches-du-Rhône (13), Var (83), Vaucluse (84).
  6. In Italia i parchi costieri sono 25, per un totale di 528.317 ettari. In Francia sono soltanto 6 ma hanno un’estensione complessiva superiore: 716.325 ettari (dati Ced-Ppn).
  7. La prima legge ligure sulle aree protette è la n. 40/1977 - “Norme per la salvaguardia dei valori naturali e per la promozione di parchi e riserve naturali” - che destinava a parco naturale quasi il 25% del territorio regionale, la legge di recepimento della normativa statale (l. 394/1991) è la n. 12/1995 che sostanzialmente ne conferma i contenuti.
  8. Un’ulteriore fascia di protezione è in via di istituzione per il tratto di mare in corrispondenza dell’isola di Bergeggi, mentre il parco di Porto Venere comprende anche una porzione marina.
  9. I due documenti citati: “Per una migliore gestione delle risorse del litorale” e “Verso una strategia europea per la gestione delle zone costiere (GIZG), principi generali e opzioni politiche), sono compresi nel programma dimostrativo sulla gestione integrata delle zone costiere, UE 1997/1999 (cit. in Moschini 2004).
  10. A quanto risulta da una prima indagine, sul Conservatoire sono usciti fino ad oggi in Italia il brevissimo articolo di P. Bougeant (2005) e il volume di C. Desideri, E. A. Imparato (2005). Luisa Rossi aveva affrontato l’argomento in occasione del Convegno “Amate Sponde”, Centro Italiano Studi Storico-Geografici, Gaeta 11-13 dicembre 2003, con la comunicazione Come lo stato francese ama le proprie sponde: il Conservatoire du Littoral.
  11. Antonio Cederna, scomparso nel 1996, rappresenta, con le sue battaglie civili e i suoi scritti, una delle più lucide voci di denuncia dei pericoli della “modernizzazione”. Cfr. A. Cederna, I vandali in casa, Laterza, Bari 1956; Id., La distruzione della natura in Italia, Einaudi, Torino 1975: Id., Brandelli d’Italia: come distruggere il bel paese, Newton Compton, Roma 1991.
  12. Legge del 3.1,1983, n. 86-2, riguardante la «sistemazione, protezione e valorizzazione delle zone costiere», ha per oggetto la fascia costiera nella sua integrità (terrestre e marina) considerata sotto il profilo ambientali, culturale e urbanistico. La legge sancisce la distinzione fra demanio marittimo naturale (destinato all’uso diretto della collettività e soggetto a più rigorosa tutela) ed artificiale (destinato a scopi di “servizio pubblico”: attività commerciali, economiche e relative infrastrutture). La legge, che non ha un corrispettivo in Italia, tende inoltre a integrare il sistema della pianificazione territoriale esistente.
  13. Al 31 dicembre 2004 il Consiglio, presieduto da un presidente (Didier Quentin) e due vicepresidenti, è composto dai rappresentanti effettivi e supplenti dei Ministeri (Protection de la Nature, Domaine, Budget, Défense, Culture, Intérieur, Urbanisme, Aménagement di Territoire, Outre-Mer, Agriculture, Mer) e dei nove Conseils de rivages, da sei membri del Parlamento (tre deputati e tre senatori con relativi supplenti) e da tre personalità “qualificate” designate. Ne fa anche parte il presidente di un comitato scientifico costituito nel 1995 per dare indicazioni su questioni importanti e per mettere in relazione il Conservatoire con il mondo accademico e della ricerca. La funzione di studio e di ricerca è svolta dallo stesso Conservatoire attraverso l’organizzazione degli Ateliers du Conservatoire finalizzati all’approfondimento di varie tematiche.
  14. Il patrimonio del Conservatoire non è inquadrabile in una natura giuridica tradizionale trattandosi di un patrimonio composito - costituito beni terrestri con valori di vario tipo (ambientali, paesaggistici, storico-cultutali, sociali) e dal mare - definito dalla legge istitutiva, aggiornata nel 2002, «demanio proprio» avente natura di demanio pubblico a gestione speciale e con specifiche finalità (Desideri, Imparato 2005).
  15. Anno 2004: budget de fonctionnement 11,56 milioni di euro; budget d’investissement 30,76 milioni di euro di cui 6,07 provenienti da enti locali e UE (Raport annuel 2004).
  16. Discours du Président de la République lors du 30ème anniversaire du Conservatoire. Cfr. http:www.elysee.fr/elysee/francais/interventions/ discours_et_declarations/2005/juillet/..., pp. 1-6.
  17. La proposta è di «affecter dans le budget du Conservatoire l’integralité de la taxe de francisation des de cause 80% dès 2006. Il s’agit d’une ressource pérenne et evolutive. Cette affectation permettra une augmentation du budget du Conservatoire de plus de 40%».
  18. Votata nel 1986 insieme alla loi montagne, la loi littoral non sembra avere dato, a differenza di quella, i risultati promessi. Si tratta in ogni caso di provvedimenti molto interessanti da analizzare (Schirmann-Duclos e Laforge 1999).
  19. Sulla gestione delle regioni marittime (approvata dal Parlamento il 23 settembre 1985), sull’assetto integrato delle zone costiere (parere del Comitato delle regioni del 12 aprile 2000), sulla gestione integrata delle zone costiere (comunicazione della commissione delle Comunità del 27 settembre 2000) (Desideri, Imparato 2005).

di Franca Balletti
Architetto e urbanista,Dipartimento POLIS, Università di Genova.

e Luisa Rossi
Geografa,Dipartimento di Scienze della Formazione e del Territorio Università di Parma.

La ricerca, di cui si presentano qui i primi risultati, è stata svolta in stretta collaborazione fra le due autrici. In particolare Franca Balletti ha qui steso le parti relative alle aree protette costiere liguri e ai siti del Conservatoire nella regione Provence-Côte d’Azur, mentre Luisa Rossi ha trattato l’istituzione del Conservatoire in generale.