Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 47 - FEBBRAIO 2006




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E' tempo di uscire dal ghetto

La convocazione della prima conferenza nazionale delle aree protette marine -a settembre, in Sardegna- da parte di Federparchi, è una occasione davvero unica per fare il punto su un comparto delle nostre aree protette che risulta sempre più in difficoltà, marginalizzato e separato dal resto delle politiche per la biodiversità.

Che l’incontro si tenga in Sardegna aggiunge un ulteriore motivo di interesse data la situazione dell’isola che consentirà -per così dire- dal vivo e in diretta, di verificare la paradossalità di una condizione ormai insostenibile, specialmente, ma non soltanto, delle aree protette marine. Qui, infatti, abbiamo due parchi nazionali -La Maddalena e l’Asinara- entrambi formati da un solo Comune, una vera rarità nel pur variegato mondo dei parchi, che non ha però impedito al momento dell’istituzione dell’area marina dell’Asinara di far pensare a una gestione separata, cioè non affidata all’Ente parco terrestre. Insomma, un esemplare esperimento di fissione istituzionale: un Comune e due enti.
Fortunatamente in questa pasticciatissima situazione la Regione è da poco intervenuta con una legge sulle coste -che ha suscitato comprensibile clamore- volta a contrastare una gestione “alla carta” di uno degli ambienti più straordinari non solo dell’isola. Un intervento che ripropone, per altro, quell’incalzante esigenza di pianificazione delle coste prevista, nel 1982, dalla legge sul mare, ma mai attuata salvo rarissime e lodevoli eccezioni, come in Liguria. Pianificazione delle coste, ossia integrazione terra-mare, furono peraltro alla base di una importante iniziativa -oggi poco conosciuta e immeritatamente dimenticata- di Federparchi, che sulla base di un Protocollo d’intesa con la Regione Marche e i parchi marchigiani coordinati dal Parco del Conero, lanciò il progetto Coste Italiane Protette (CIP). Quel progetto puntò con numerose iniziative -rivolte principalmente al coinvolgimento di un ampio spettro di istituzioni e centri di ricerca- ad assegnare alle aree protette marino-costiere un ruolo fondamentale, ancorchè non esclusivo, nella gestione integrata delle coste che costituiva e costituisce ancora un obiettivo qualificante e strategico dell’Unione Europea.
Ricordo questa esperienza perché essa, alla Conferenza di Torino, fu tardivamente ma significativamente richiamata e quindi ufficialmente riconosciuta, sebbene poi il Ministero non abbia dato alcun seguito a questo come ad altri impegni assunti in quella sede. Chi vada a rileggersi gli atti di Torino troverà, infatti, sia pure con qualche fatica, più di un riferimento, a cominciare dal documento conclusivo sulle aree protette marine. Il relatore Anzillotti parla di «integrazione del sistema marino al terrestre condividendo non solo i confini ma anche i programmi». L’integrazione del sistema della AMP è indispensabile «come strumento di gestione delle politiche costiere-marine riguardanti l’intera penisola e le isole».
Vien da sé che questo implica anche una comune gestione che coinvolga maggiormente -come sottolinearono il relatore, ma anche Rosalba Giugni di Marevivo che disse assai chiaramente che c’era «bisogno di un ente gestore come nei parchi, con una sua struttura, organigramma»- le Regioni e gli enti territoriali.
Nella sintesi finale delle sessioni tematiche era ribadito che si doveva perseguire «l’integrazione dei sistemi delle aree protette marine e terrestri, l’integrazione del sistema delle AMP come strumenti di gestione nelle politiche costiere-marine riguardanti l’intera penisola e le isole» per una gestione ecosostenibile della fascia costiera.
Ma forse più ancora di queste testimonianze significative certo, sebbene un po’ datate, possiamo farci un’idea più precisa dell’effettivo e sconcertante stato delle nostre aree marine attingendo ad una esperienza concreta di cui riferisce Giulio Ielardi nel suo viaggio nei parchi italiani. L’area marina è quella di Tavolara-Punta Cosa di Cavallo istituita nel 1997. Dal 2003 è gestita sia pure provvisoriamente (la provvisorietà da noi è un must) da un Consorzio di enti locali. Poco più d’un anno fa il direttore Augusto Navone si era sfogato con Ielardi per la mancanza di personale, specie per la vigilanza e il controllo delle acque, che rendeva la gestione, per troppi versi, virtuale.
Un anno dopo racconta all’autore del libro che le cose sono migliorate e che il Consorzio può contare su un minimo di organico e sul alcune barche in proprio. Ma la vera novità, di cui il Direttore è orgoglioso, è che si sta lavorando a un regolamento, ossia un escamotage giuridico, per mettere mano a un piano di gestione della riserva non previsto dalla normativa. Insomma per fare un piano l’area protetta marina deve ricorrere a un’astuzia.
D’altronde la legge sul mare, a cui in tanti restano così affezionati, non prevedeva per le riserve marine la pianificazione che sarebbe stata introdotta soltanto dalle leggi regionali e poi dalla legge quadro del ‘91.
Ancora oggi il direttore Navone se vuole dotarsi di un piano dell’area protetta deve ricorrere perciò a un espediente, non potendosi avvalere di una legge nazionale.
Ricordo queste cose non tanto per ripetere, ancora una volta, che tutto ciò non può trovare giustificazione alcuna e anche che quelle cose prospettate a Torino non hanno finora avuto il seguito auspicato, ma per sottolineare che alla prossima conferenza nazionale, Federparchi non si presenta a mani vuote, perché quel che di nuovo allora si registrò è merito soprattutto della nostra associazione e dei suoi rappresentanti e anche di quel lavoro di più lunga lena avviato con CIP.
Chi dovesse considerare questa annotazione partigiana, vada a rileggersi gli interventi ufficiali, dalle conclusioni del sottosegretario Tortoli al discorso del direttore generale del Ministero e ne avrà convincente conferma.
Tutto è volto principalmente a giustificare -anche un po’ penosamente- ritardi e chiusure, scaricandone la responsabilità sui parchi. Tuttavia pur con questi noti e persistenti ritardi, possiamo dire che in Sardegna abbiamo più d’un valido punto di partenza per andare a vedere sul serio come stanno le cose e smetterla una buona volta con la retorica sul numero crescente di aree protette marine, che appare sempre più una pudica foglia di fico che non può coprire le troppe vergogne collezionate in questi anni.
E’ noto che l’argomento -risultato poi anche in sede di pronuncia della Corte dei Conti assolutamente infondato e pretestuoso- sempre e monotonamente evocato per giustificare il diverso regime delle aree marine rispetto a quello previsto della legge quadro del 91, è stato il richiamo alla legge dell’82 sul mare che affidava la gestione delle riserve a una Commissione presieduta dalla Capitaneria di porto. In quegli anni, d’altronde, anche i parchi e le riserve statali erano affidati in larga misura in gestione al Corpo Forestale tanto che facevano capo al Ministero dell’Agricoltura, come le riserve marine a quello della Marina Mercantile, poi abrogato. Insomma le Capitanerie di porto erano, a mare, quello che il Corpo Forestale della Stato era stato (e in parte restava) a terra. Si dimenticava -o si faceva finta a bella posta di ignorare- che la legge quadro aveva spostato il letto del fiume per quanto riguardava la gestione dei parchi e delle altre aree protette, assegnandola ora alle istituzioni centrali e periferiche. Le Commissioni di riserva, alla luce di questa scelta strategica e costituzionale diventavano quindi a tutti gli effetti dei fossili normativi. Ma il Ministero ignorò questo particolare, tanto che con la legge n. 426 si limitò a cambiare la titolarità della Commissione di riserva passandola dalla Capitaneria ad un rappresentante del Ministero. Il resto rimaneva invariato, sebbene proprio la legge 426 ne accrescesse -se possibile- la contraddittorietà. Quella legge, infatti, riconosceva e lanciava i progetti di grande area che a cominciare da quello dell’Appennino (APE) puntavano a un rapporto nuovo e stretto tra gestione delle coste e delle aree interne.
I progetti di grande area, insomma, riproponevano con una apposita legge, il tema della pianificazione e gestione integrata del territorio e soprattutto terra-mare; il Ministero confermava, invece, norme e politiche di segno opposto, cioè incentrate sulla separatezza. Eppure sulle coste si concentra circa il 30% della popolazione dei parchi, stimata intorno ai due milioni. D’altronde che ciò non avvenisse per caso lo dimostra il fatto che mai si è pensato di sgombrare il campo da ogni ambiguità.
Se davvero si riteneva che la vecchia legge sul mare condizionasse effettivamente le cose fino al punto di mettere in mora quella del ‘91, perché non vi è stata mai una proposta e iniziativa anche in termini di “interpretazione autentica” della legge, per fugare qualsiasi residuo dubbio?
E perché la Commissione dei 24 che doveva semplificare i codici ha saltato a piè pari i parchi?
Eppure il sottosegretario Tortoli nelle conclusioni della Conferenza di Torino difese a spada tratta la legge delega proprio nell’interesse dei parchi che avevano -a suo giudizio- urgente bisogno di una seria revisione legislativa e normativa.
Quale migliore occasione di quella, quindi, per abrogare una norma che palesemente e senza ormai ombra di dubbio appare anacronistica, prima ancora che nei confronti del testo della legge quadro, dell’esperienza concreta e pluriennale dei parchi che ha dimostrato, con palmare evidenza, che solo quel tipo di gestione integrata e fondata sulla ‘leale collaborazione’ istituzionale è in grado di far funzionare le cose? Invece non se ne è fatto nulla perché, sempre lo stesso Tortoli che a Torino ne sottolineava l’improrogabile urgenza, alla Camera -dopo il mostruoso parto- ha detto, papale papale, che non se ne è fatto nulla perché non ce n’era necessità.
Eppure nel Documento finale presentato ufficialmente nel 2001 a Torino dal Professor Gambino sulla classificazione delle aree protette, si diceva che bisognava superare la separatezza dei rispettivi regimi giuridici per consentire l’adozione di obiettivi realmente integrati.
Ma da allora tutto è continuato come prima, anzi peggio, visto quello che accaduto anche in aree marine funzionanti come Ustica.
Così dopo avere sottoscritto, con una serie di soggetti istituzionali e non, per la gestione della riserva di Capo Gallo-Isola delle Femmine a sorpresa e d’improvviso il ministero decide che la gestione sarà affidata ad un consorzio dei soli due comuni. A tutti gli altri che pazientemente si erano seduti al tavolo istituzionale per concordare il da farsi, è stato dato senza alcun preavviso e giustificazione il ben servito.
Qui sta il nodo gordiano delle aree protette marine che va finalmente tagliato. E’ assurdo infatti che i parchi regionali siano ritenuti inidonei all’affidamento di aree protette marine. Ma non meno assurdo e, per qualche aspetto forse ancor più contraddittorio, che i parchi nazionali considerati - diversamente da quelli regionali- idonei all’affido si vedano comunque affiancare da una commissione di riserva. Insomma neppure l’ente parco nazionale può gestire direttamente l’area marina che lo sarà dalla commissione di riserva, con tanto di direttore, bilancio proprio etc. Insomma un doppione bello e buono sebbene da anni per la pubblica amministrazione valga il principio della semplificazione, armonizzazione, economicità, differenziazione fissato per legge, ma evidentemente ignoto al Ministero dell’ambiente.
E’ da qui che bisogna ripartire smettendola di girare intorno al lume e stando bene attenti ad accreditare -sia pure involontariamente- l’idea che ci vuole uno nuova legge per le aree protette marine così da mettere definitivamente in chiaro la situazione. Anche se mossa dalle migliori intenzioni questa proposta fornirebbe, infatti, un alibi immeritato a chi finora ha fatto quello che ha voluto dicendo che la legge non consentiva di fare diversamente. No, la legge – come ha riconosciuto chiaramente la Corte dei conti- non legittimava in alcun modo la sbrindellata e fallimentare gestione ministeriale. Inoltre una legge specifica per le aree marine sanzionerebbe in maniera ancor più netta la separatezza di un comparto che ha invece bisogno di superarla a più presto per potersi finalmente raccordare e integrare con il sistema delle aree protette.
E si deve cominciare a farlo in quelle realtà dove i rinvii non hanno più nessuna giustificazione. Penso alla Meloria che come da impegni presi deve essere affidata in gestione al Parco regionale di Migliarino,San Rossore, Massaciuccoli.
Ancor più evidente la situazione del Conero; come è possibile negare al parco terrestre la gestione dell’area marina andandosi ad inventare doppioni costosi e destinati a separare ciò che deve essere unito.
A conclusione di questa nota vorrei ricordare che sia pure con ritardo anche il nostro paese ha sanzionato la sua adesione al cosiddetto Santuario dei cetacei di cui la Sardegna è una delle tre regioni italiane insieme alla Toscana e alla Liguria che ne fanno parte.
In un incontro a Genova (sede ufficiale del Santuario) come OPE concordammo con il rappresentante della Cabina di Pilotaggio alcuni impegni per coinvolgere in questo impegno con la Francia e il Principato di Monaco le nostre aree protette in primis quelle marino-costiere.
Coinvolgimento tanto più opportuno nel momento in cui si è cominciato a discutere del piano del santuario. Anche in questo caso non vi è stato finora alcun seguito e non ne conosciamo le ragioni perché secondo una delle meno nobili tradizioni ministeriali manco ci si prende la briga di dare alcuna spiegazione.
Anche sotto questo profilo le cose debbono finalmente cambiare perché è assurdo che una struttura come quella ministeriale debba assolvere unicamente o quasi a compiti di tipo ‘prefettizio’ ancorché oneroso e non di indirizzo, di confronto e di riflessione su esperienze in atto. Persino un sottosegretario in carica e proprio in riferimento alle aree marine protette denunciò lo spreco di pubblicazioni patinate che restavano regolarmente nelle loro scatole, quando vi sarebbe la necessità di relazione non agiografiche patinate o no. Da quanto tempo non viene pubblicata una Relazione (seria) sullo stato delle aree protette (pur prevista dalla legge) in grado di fornire dati e elementi di approfondimento e di riflessione. Eppure il Documenti finale del Professor Gambino era una vera miniera da questo punto di vista. Ma evidentemente era troppo chiedere che su quelle ipotesi e proposte si potesse finalmente aprire un vero dibattito specialmente in riferimento alle aree marine protette.
In Sardegna dovremo farlo.

di Renzo Moschini