Una proposta per i progetti integrati d'area Per la Convenzione degli Appennini uno strumento innovativo che nasce dall'esperienza positiva del Progetto Pilota "Una Citta' di Villaggi Tra Padana e Tirreno"
Intervento al convegno: "Dai Progetti Pilota alla Convenzione degli Appennini: verso i Progetti Integrati d'Area per l'Appennino Settentrionale e la Rete delle Montagne del Mediterraneo", 30 giugno 2006 – Fivizzano (MS) Una gestazione lunga, ma tutto sommato neanche troppo, ha portato gli Appennini ad una Convenzione che li consolida, nell'agenda nazionale e comunitaria e nell'immagine del Paese. Le azioni preparatorie hanno visto dall'inizio il protagonismo del Ministero dell'Ambiente e di Legambiente nella definizione di APE, Appennino Parco d'Europa, sino alla condivisione con il tavolo tecnico della Conferenza Unificata Stato-Regioni e sino alla assegnazione delle risorse (Delibera CIPE 01/02/2001) per la realizzazione della prima fase progettuale e dei progetti pilota. I progetti pilota hanno scontato diverse traiettorie locali, non sempre lineari e soddisfacenti, ma, quando riuscite, esse hanno dimostrato la capacità dei sistemi locali e delle relative Regioni di riferimento (2) di produrre sviluppo e innovazione. Si può forse dire che la mancata costituzione di una Cabina di Regia per l'Appennino non abbia consentito alla esperienza di acquisire quella robustezza e quella flessibilità che sarebbe derivata da un efficace (e responsabile) ancoraggio "strategico" dei sistemi locali nelle politiche regionali. Ma tant'è: si può sempre imparare dall'esperienza. Tra tutte le esperienze progettuali, "Una città di villaggi tra Padana e Tirreno", posta tra Emilia, Toscana e Liguria, e in parte "Antica Lucania" tra Basilicata, Campania e Calabria, hanno saputo fare rete, rispondere in termini di qualità e tempestività; ora (per la verità già da un po') chiedono più continuità all'attenzione dello Stato e delle Regioni, quella continuità che è parte fondamentale del successo e della affidabilità di qualsiasi politica pubblica. Nella prospettiva della Convenzione degli Appennini il tema della costanza e coerenza nello sviluppo delle strategie nazionali e regionali si pone con evidenza e con forza, se l'orientamento vuole essere quello della soluzione dei problemi piuttosto che della loro agitazione strumentale. Se vogliamo che le scelte urbanistiche di assetto locale confermino (e rendano efficiente) un disegno di grande respiro strategico come questo. Se vogliamo che i comportamenti degli attori sociali registrino un reale mutamento di contesto ed entro questo nuovo contesto dispieghino le proprie strategie. Una continuità che deve essere leggibile, innanzitutto, nella prosecuzione, all'interno della seconda fase, di quei progetti pilota che hanno consolidato un network tecnico e istituzionale già di dimensioni interregionali e possono essere protagonisti di una rinnovata azione di animazione sociale. Per dare continuità a queste esperienze è necessario che esse ricevano un forte riconoscimento da parte delle Regioni che le hanno ospitate e promosse, un riconoscimento che metta l'Appennino e Ape nell'Agenda delle Regioni, anche nella ravvicinata prospettiva dei fondi strutturali comunitari della nuova stagione di programmazione 2007-2013. Una Agenda per l'Appennino Nord Occidentale sottoscritta dalle Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Liguria (che si possa estendere al Piemonte e alla Lombardia o gemmare altre Agende ancora) può essere il traguardo a breve verso cui indirizzare l'azione dei Sistemi Locali protagonisti del progetto "Una Città di Villaggi (e anche di Borghi)". Altre Agende (Piattaforme? come nel Quadro Strategico Nazionale?) possono, altrove, recuperare esperienze di cooperazione transregionale e consolidarle in una nuova prospettiva di integrazione istituzionale "a partire dallo Stato verso lo sviluppo locale e viceversa": la Romagna con la Toscana, l'Umbria e le Marche, per esempio, facendo centro sul Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Forse una altra Agenda condivisa tra Emilia e Toscana potrebbe "fare centro" sul sistema turistico dell'Abetone/Cimone e governare le relazioni metropolitane in ambiente rurale che qualificano quel settore dell'Appennino come grande sistema naturale/artificiale. Queste Agende e le altre che gli Enti organizzati in UPI, UNCEM e Federparchi sapranno formare e negoziare, a partire da uno scenario di sviluppo sostenibile e condiviso, dovranno poter confidare nella comune volontà di Stato e Regioni di sottoscriverle e di farle diventare un riferimento essenziale delle rispettive programmazioni e dei propri bilanci. A questo fine sarà importante adottare criteri efficienti ed efficaci, magari concorsuali, per la selezione di alcune almeno delle tipologie di azione e sarà decisiva la scelta di fare di APE un'occasione per migliorare sostanzialmente la qualità dei progetti e delle politiche, la loro consapevolezza sistemica, la loro pratica integrata, la loro incidenza sulla realtà. Sarà importante dunque disporre di scenari (convincenti) a diversi livelli di risoluzione, che sappiano confrontarsi ora col Mediterraneo, ora con l'Europa, ora con i quadri territoriali che segnano via via la morfologia e la società della dorsale appenninica. Sarà importante agire in particolare –di concerto con le Regioni, prime firmatarie della Convenzione con Legambiente– sui Sistemi Locali, gli unici in grado di saldare le strategie di area vasta (e molto vasta) con le vite delle comunità per interpretare il cambiamento necessario, per accompagnare la transizione in corso in modo da esaltare le capacità già espresse o latenti o inducibili, così da produrre innovazione, da segnare punti a favore di una rinascita della frequentazione montana e della scelta di vivere in ambiente rurale. Scelta di riabitarlo –l'ambiente rurale/montano– da fare per l'ennesima volta, dopo i tanti abbandoni e i tanti ritorni che lo hanno segnato nella storia, reso sensibile e fragile, umanizzato appunto. Le società locali, lo sappiamo bene, sono il riferimento per qualsiasi nuova "promessa di natura" che voglia passare attraverso "l'uomo che c'è", arricchendolo di informazioni e consapevolezza nuove, da scambiare con la registrazione attenta delle testimonianze, in molti casi frammentarie ma in altri ancora ben leggibili (anche in forma aggiornata e moderna), del mestiere di vivere in montagna, per coniugare al meglio tradizione e innovazione. Qui sta l'essenza del patto stipulato a suo tempo tra Comunità Montane e Parchi per APE e di qui nasce l'esigenza di coniugare al meglio le politiche di sviluppo sostenibile di cui APE è promotore con le specifiche condizioni economiche e sociali dei sistemi locali. Una recente attività di ricerca che abbiamo condotto per la Regione Emilia-Romagna, si è interrogata –con uno sguardo circoscritto al territorio emiliano-romagnolo– su quali geografie possano emergere dall'Appennino rivisitato con indicatori nuovi (da riproporre per l'intera dorsale) e su quali politiche possano prendere corpo proprio da una rinnovata visione del territorio montano. Le tre montagne emiliane, lette attraverso il disegno più recente dei Sistemi Locali del Lavoro e delle condizioni di accessibilità ed equipaggiamento, si propongono come: a. una "montagna integrata" ai centri erogatori di lavoro e servizi collocati in aree esterne; b. una "montagna autonoma", almeno una parte della gamma dei servizi offerti; c. una "montagna isolata/interna" che accede con difficoltà ai poli di un tipo e dell'altro. In generale sembra che i comportamenti sociali (scolarizzazione, invecchiamento, problemi di genere) misurati nella montagna appenninica si siano vieppiù uniformati a quelli della società regionale. La base economica registra invece un permanente distacco dalla pianura che neanche nei casi più felici (montagna autonoma) le dinamiche recenti, pur positive riescono a ridurre. Schematizzando, a diverse tipologie di territori si possono far corrispondere diverse famiglie di politiche: a. per la montagna integrata: c'è una evidente specializzazione residenziale e un ruolo di offerta ambientale "di prossimità" che può/deve essere compensata all'interno dei sistemi locali (manovre urbanistiche per prime): perequazione; b. per la montagna autonoma: è decisiva una politica dei servizi (e della nuova imprenditorialità) che confermi i ruoli urbani dei capoluoghi storicamente consolidati, proponendo servizi "eccellenti" che possano in taluni casi essere offerti all'intero sistema regionale e che sempre funzionino come economie esterne per il consolidamento di una armatura produttiva "di marchio"; c. per la montagna isolata/interna: risalta la politica dei parchi (se nazionali, meglio) che producano appieno una economia del parco che va dalle forme varie e più sofisticate del turismo alla ricerca, all'osservazione scientifica, etc...; d. per tutte le montagne (ma specie per quella isolata): risalta la prospettiva di vedersi riconosciuta (e compensata) la funzione di manutenzione del territorio e del paesaggio. I Parchi Naturali possono proprio essere pensati come agenzie dell'innovazione rurale, e come risposta alla perdita di imprenditorialità tradizionale non compensata dalle economie del turismo e dalle "nuove manifatture". Questa griglia di politiche è da verificare all'interno di uno scenario strategico (prima ancora che un piano) da comporre a livello nazionale. I progetti pilota meglio riusciti della prima fase devono poter fare tesoro delle proprie esperienze e trasferirle altrove con una attività fertile "da agenda ad agenda"; gli stessi progetti devono anche per questo poter usufruire di risorse speciali per poter continuare e sperimentare e aprire la strada agli altri. Questo tanto più se è in gioco (come è) la possibilità per APE di rientrare tra gli obiettivi di sviluppo dei Quadri Strategici Regionali e Nazionale per la programmazione dei Fondi Strutturali 2007 - 2013, ma anche di cooperare per la migliore definizione delle strategie e degli strumenti regionali, a partire dai Piani di Sviluppo Rurale. Questo magari mentre le azioni del Piano Strategico dell'Appennino (se questo sarà, come parrebbe ovvio, lo strumento che l'articolo 5 della Convenzione prevede di definire in una fase successiva) mettano a punto una seria strategia per riportare alla montagna (e alla sua manutenzione) quote a compensazione dei prelievi e delle detrazioni ambientali e sociali che vengono operate sistematicamente e senza indennizzi paragonabili ai danni. La prospettiva del Piano Strategico dell'Appennino diventa concreta attraverso le Agende, che consentono di rappresentarla e di avvicinarla con il necessario pragmatismo, premiando le capacità locali di fare squadra e quelle regionali di fare strategia. Le Province, garanti della governance locale, giocano un ruolo decisivo nell'accompagnamento di un'esperienza, come questa, che deve ricercare le migliori forme di cooperazione tra Parchi e Comunità, cuori del Mondo Appenninico i cui confini in prima istanza "fanno" il confine del sistema. Dentro questo confine, poi –lo sappiamo– le geografie e le politiche si differenziano anche profondamente, privilegiando azioni di volta in volta più legate alla rete dei parchi, o alle reti dei servizi civili, o alle nuove economie dei turismi e delle nuove manifatture e così via. Economie e reti, tutte, ben legate ai temi della manutenzione del paesaggio e ai problemi che questa pone nello scambio di risorse e nelle integrazioni di ruoli tra territori correlati in un sistema fisico e antropico dove tutti, dalle organizzazioni agricole e forestali a quelle ambientalistiche, ai vari fruitori delle risorse naturali, possono/debbono essere coinvolti in un patto per lo sviluppo sostenibile. La costruzione delle Agende potrebbe meglio consentire di superare alcune difficoltà di realizzazione e di implementazione delle strategie di APE che la fase pioniera dei progetti pilota ha dovuto scontare. Il Progetto "Una Città di villaggi, di borghi (e di ricetti)" si è fatto carico della novità di produrre una propria rendicontazione delle politiche che non si limita alla certificazione amministrativa della correttezza delle procedure e della realizzazione delle opere, ma cerca di sondare l'efficacia dell'intervento attraverso la testimonianza delle trasformazioni organizzative e culturali indotte e il riscontro dei risultati prodotti, innovando il modo di fruire e di vivere il territorio appenninico. Ciò che risulta da questa prima esperienza, che per il futuro potrà essere replicata con maggiore consapevolezza degli attori e degli operatori, così da farne una "routine" di qualità strettamente connessa al successo delle strategie di APE, è riconducibile sostanzialmente ad alcune questioni nodali. • Innanzitutto i tempi non brevi richiesti dall'implementazione del programma, soprattutto nella sua fase realizzativa: converrà forse per il futuro dedicare più tempo e risorse più qualificate a far emergere e a perfezionare progetti di qualità per i quali siano ben chiare le condizioni di fattibilità. • In secondo luogo la complessità del circuito di finanziamento degli interventi, che ha esposto i soggetti locali ad una pesante incertezza sui tempi e i risultati, stressandone la cassa e i programmi. • In terzo luogo la difficoltà di APE di penetrare appieno nella organizzazione degli Enti che ne sono stati i protagonisti: il tema riguarda non solo i firmatari del protocollo (3) ma gli stessi realizzatori (4) dei singoli progetti di intervento. • Di converso è emersa significativamente una capacità di fare rete che i soggetti interessati hanno saputo interpretare anche oltre i confini di APE. Ciò in larga parte è dovuto alla qualità dei protagonisti della rete locale che, tanto nelle Comunità Montane che nei Parchi, trova punti di eccellenza alla scala nazionale; la rete ha trovato peraltro nell'ufficio di coordinamento tecnico del progetto un riferimento significativo che ha tenuto il filo delle relazioni istituzionali e sociali con sagacia e costanza. • Purtuttavia una maggiore iniziativa sul versante della comunicazione e della animazione "in corso d'opera" sarebbe stata tanto più necessaria nel momento in cui APE ha registrato serie difficoltà a tenere la scena e ad imporsi all'attenzione nazionale. E naturalmente dovrà tanto più esserlo per il futuro. Il ricco "milieu" imprenditoriale e sociale che è emerso anche nell'occasione di APE è peraltro una altra bella garanzia di tenuta del progetto, anche nella prospettiva. Ciò soprattutto se una strategia per l'Appennino saprà articolarsi attraverso forme (modalità e geografie) opportune, in grado di stabilizzare patti di integrazione verticale tra istituzioni, a partire dal riconoscimento di quanto qui già ben sperimentato, per traghettarlo dalla condizione di progetto pilota verso una vera e propria Agenda Strategica Locale di rilievo interregionale (e perciò nazionale), da intendere come la migliore interpretazione possibile –e la più aggiornata– delle esigenze di progettazione condivisa e di qualità dei risultati, presenti nelle intenzioni e nella forma dei Progetti Integrati di Area proposti da APE sin dal suo sorgere. L'Agenda della nuova generazione si dovrà dotare di più consapevoli strumenti per innalzare l'efficienza del processo e per conseguenza la produttività, la coesione e la sostenibilità ambientale dei sistemi. Dovrà perciò disporre di risorse proprie, derivanti dallo Stato e dalle Regioni firmatarie, dovrà conquistarne di nuove attraverso l'attivazione di politiche di compensazione territoriale connesse alla sottrazione/degrado di risorse e alla fornitura di servizi (il caso dell'ATO di Torino e dei trasferimenti di risorse dalla tariffa del ciclo idrico integrato a sostenere la manutenzione del territorio montano, è sicuramente esemplare), dovrà stimolare e coinvolgere il mondo della finanza bancaria e delle fondazioni, alla maniera di CARIPLO (fondazione), dovrà far convergere sui propri obiettivi –condividendoli– l'attenzione delle imprese (profit e non). La qualità dei progetti dell'Agenda potrà essere meglio garantita da "bandi per la qualità" sostenuti anche dal mondo della finanza delle fondazioni e, perché no, delle imprese. Mettere a bando l'attuazione di una parte almeno delle azioni di APE e della sua Agenda consentirà di sviluppare approcci innovativi orientati alla progettazione condivisa, alla diagnostica, alla sostenibilità, approcci che producano modi nuovi più efficaci per operare in aree sensibili. Sullo sfondo e al centro di questo grande progetto per la qualità del mondo appenninico c'è sempre il tema del suo paesaggio (cioè della sintesi nella storia tra ambiente e paesaggio) che proprio attraverso un approccio da Agenda (strategia condivisa, fattibilità dei progetti, gestione partecipata, innovazione organizzativa e comunicazione) può trovare le risposte ai quesiti (e alle opportunità) che la Convenzione europea del Paesaggio pone e propone. Si dovrà così ricercare una convergenza di risorse, culturali non meno che finanziarie, che provengano dalle istituzioni, dalla finanza e dal mondo delle imprese che intravedono una convenienza diretta (il marchio, il "milieu") o indiretta (la salute, la sicurezza) per cui vale investire, che provengano anche dall'offerta generosa di energie e lavoro delle mille articolazioni del terzo settore. Insomma i produttori e i fruitori del paesaggio della dorsale appenninica devono poter godere degli onori (e degli oneri) di una impresa che può trovare nelle Agende (strategiche) interregionali quegli elementi di duttilità e di efficacia che già l'impostazione di APE conteneva e che ancora di più dovrà sviluppare per tenere il campo.
Ugo Baldini e Giampiero Lupatelli (1)
(1) Le considerazioni qui svolte fanno necessario riferimento al lavoro comune condotto con A.Lazzeri, G.Vignali, F.Frattini nella formazione del Rapporto sulla attuazione del Progetto "Una città di villaggi" e con E.Valbonesi, G.Vignali e S.Fiorini nella ricerca della Regione Emilia-Romagna per la formazione di indirizzi strategici e progettuali per APE. (2) Per il progetto "Una città di Villaggi tra Padana e Tirreno" Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, ma in prospettiva anche Piemonte e Lombardia)
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