La cornice straordinaria di Matera -città riconosciuta "Patrimonio Mondiale dell'Umanità" dall'Unesco- come sede dell'assemblea generale di Federparchi, non poteva che suggerire una riflessione delle aree protette sulla loro componente culturale, in molti casi di grande rilevanza.
Pur non scordando mai le ragioni fondanti di un parco, che sono da riferirsi, prioritariamente, alla tutela della biodiversità -ed eventualmente a interventi per ripristinare condizioni che ne favoriscano il recupero o il miglioramento-, negli ultimi anni si è sempre più affermata l'esigenza di ragionare attentamente e in maniera complessiva sulla nozione di ambiente. Nell'accezione inclusiva, che riteniamo sia ormai patrimonio solidamente acquisito delle aree protette, essa non può che comprendere la componente culturale oggi minacciata, nella sua diversità, dalla montante globalizzazione che tutto tende a standardizzare e a omologare, sino al rischio del completo appiattimento. Diversità culturale e biodiversità hanno, dunque, bisogno urgente di politiche di difesa, di sostegno e di valorizzazione che rendano possibile consolidare una naturale predisposizione nei confronti della differenziazione intrinseca dell'ambiente, sia esso naturale che culturale. Al di là di queste considerazioni generali, annotiamo che si è progressivamente rinsaldata l'attenzione delle nostre aree protette a considerare importante, per la gestione concertata e condivisa delle aree di loro competenza, recuperare i saperi che compongono la cultura del territorio. E il complesso dei saperi di una comunità, insieme alle emergenze artistiche, storiche, architettoniche, a rappresentare l'essenza della cultura di un luogo. Rispetto alle componenti generalmente riconosciute come patrimonio culturale i saperi sono, per definizione, molto più effimeri, deboli, a rischio, sia che si tratti di quelli individuali (ricordate Jorge Luois Borges e le persone definite "biblioteche viventi"?) che della comunità. Non a caso la stessa Unesco, interrogandosi sulla rappresentatività della sua Lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità, ha recentemente introdotto la categoria dei beni intangibili, o sensibili, labili, impermanenti, che dir si voglia. Nelle nostre aree protette sono questi i segni culturali che occorre rilanciare. Pensate alla lingue locali e alle loro strette interconnessione con la toponomastica dei luoghi, spesso autentici archivi di memoria e dunque di informazioni utili anche all'oggi. Pensate alla cultura contadina con le sue capacità di gestire sostenibilmente il territorio e alla sua ricchezza fatta di tradizioni, riti, musiche, canti, quasi sempre in stretta connessione con Madre Terra. Per non dire dell'enogastronomia, recentemente valorizzata in tutti i parchi d'Italia e oggetto dell'apposito "Atlante dei prodotti tipici" voluto dal Ministero dell'Ambiente. La geografia delle nostre aree protette è geografia di civiltà diversificate: Alpi, Appennini, isole, fumi, coste: ognuno di questi ambienti ha elaborato, nel corso della sua storia, culture in stretto rapporto con i differenti ambienti di vita, instaurando relazioni di convivenza e di sostenibilità. Il paesaggio ne è una delle risultanze più evidenti e importanti e, in questo momento, rappresenta anche una cartina al tornasole delle difficoltà che il Belpaese ha nel continuare su una strada che lo ha posto, fino al recente passato, tra i modelli da indicare ad esempio. Si tratta di recuperare l'attenzione e i saperi che consentirono di realizzare quella perfezione di proporzioni negli edifici e nell'arte, quell'armonia nelle forme che ha consentito inserimenti, pressoché perfetti, nel territorio. Oggi sembriamo aver perso ogni preoccupazione estetica ma, forse, anche qualcosa di più essenziale, quell'etica non solo del bello ma anche del bene. Una deriva che nella "malinconica distesa delle colline cretacee" tra Siena, Pienza e Montalcino, ci propone la lottizzazione di Montichiello… Per non rassegnarci al buio, per non reprimere definitivamente nel nostro inconscio nazionale il desiderio di poesia, i parchi possono svolgere un'importante azione di educazione al bello, oltre che all'utile e all'indispensabile prescritto dalle leggi dell'ecologia e della termodinamica. Possiamo farlo se recuperiamo le sapienze dimenticate, applicandole al presente per garantirci un futuro ancora capace di cogliere le suggestioni liriche che l'ambiente ci offre. Occorre ispirarsi e attingere a quelle "riserve di forme" che affascinarono, nei secoli scorsi, i primi grandi viaggiatori che esplorarono, rimanendone affascinati, la nostra penisola. Con Matera si è aperto un capitolo che l'intero sistema delle aree protette ha dimostrato di avere a cuore, pienamente cosciente del ruolo importante che può svolgere. Anche sotto il profilo delle scelte gestionali va seguita, con grande attenzione, l'esperienza dei piani di gestione dei siti identificati dall'Unesco come patrimoni dell'umanità. Un banco di prova da cui possono venire segnali importanti per una visione innovativa della gestione ambientale e che può fornire indicazioni utili da applicare anche ai territori protetti. Si prefigura una nuova frontiera in cui i parchi sono chiamati, ancora una volta, a svolgere un ruolo di laboratorio sperimentale. In passato non sono mancati i buoni risultati. L'impegno è di far sì che vengano raccolti ed estesi anche a ciò che sta fuori dai loro confini. Solo così l'armonia del bello tornerà ad essere un valore aggiunto per il nostro paese.
Valter Giuliano
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