Il ruolo della rete dei Monasteri Benedettini sulla dorsale Appenninica Uno studio conferma la funzione di custodia e diffusione di un patrimonio culturale che i Benedettini hanno trasferito nell'ambito della gestione del territorio attraverso la rete nazionale dei loro monasteri, contribuendo a diffondere conoscenze e tecniche di intervento consolidate attraverso secoli di storia.
Il contesto storico I processi di trasformazione del territorio sono storicamente legati alle azioni dell'uomo, all'utilizzo delle risorse per la produzione di beni e alla presenza dei centri abitati che hanno profondamente condizionato la natura dei paesaggi e la qualità degli ambiti naturali. Si tratta di un percorso che permette di decifrare le attività di utilizzo e gestione sistematica del patrimonio naturale esistente che ha caratterizzato la nascita e lo sviluppo, in alcune aree, di insediamenti che si sono consolidati utilizzando conoscenze per lo sfruttamento delle risorse di grande sensibilità e attenzione per gli ambiti naturali. Più alto è stato il grado di equilibrio tra le azioni dell'uomo con gli ambiti utilizzati più profonda e significativa è stata la presenza del patrimonio costruito e la relativa durata. Fin dalla sua nascita la Regola dei Benedettini ha operato in una condizione di grande armonia tra la dimensione meditativa e quella lavorativa introducendo dei saperi e delle tecniche di utilizzo delle risorse naturali che hanno costituito una delle basi di supporto e di diffusione delle attività agricole, di gestione e manutenzione del territorio. Con la crescita della presenza dei Benedettini nelle varie parti del Paese si è sviluppata, soprattutto lungo la dorsale appenninica, una rete di monasteri, abbazie e luoghi di culto che hanno costituito il punto di riferimento principale di un grande numero di comunità e di insediamenti legati al territorio e all'utilizzo delle sue risorse. Per quei territori i Benedettini hanno rappresentato il punto di riferimento per una serie di attività e mestieri, di cui sono stati veri e propri iniziatori, che andavano dalla gestione del patrimonio boschivo, all'agricoltura, alle cure mediche con le piante officinali, alla manutenzione del territorio, alla costruzione di attrezzi e strutture, trasferendo la conoscenza di tecniche agli abitanti delle varie aree con i quali hanno dato vita a veri e proprio modelli di sviluppo locale compatibile ante litteram. Il progressivo spopolamento delle aree appenniniche ha certamente contribuito al mantenimento di una forte presenza di ambiti naturali originati dalle attività e dalle conoscenze diffuse dai Benedettini; quelle aree sono diventate gli ambiti originari di molti degli attuali paesaggi appenninici che ancora conservano le qualità e gli equilibri naturali consolidati confermando, come emerge anche dall'analisi storica di quei paesaggi, che le "forme del territorio" intorno ai monasteri dell'Ordine riportano ancora oggi i segni di quella attività di gestione e modellazione dei territori che ebbe origine proprio dall'azione avviata dai Monaci della Regola.
L'evoluzione degli ambiti naturali L'importanza e la durata di quel processo operato dai Benedettini ha portato alla creazione di una parte importante dell'attuale Sistema delle Aree naturali protette proprio intorno ai luoghi caratterizzati dalla presenza dei vari monasteri. In molti luoghi e in molti monasteri ancora utilizzati sono presenti le tracce dei terrazzamenti, dei sistemi di irrigazione, delle aree coltivate e dei percorsi, legati o coincidenti anche con i grandi itinerari storici della Penisola, che hanno rappresentato per secoli la rete di supporto e servizio per quelle comunità. Pensando all'entità e alla qualità delle trasformazioni che i Benedettini hanno operato nei vari territori, emerge subito un elemento di conoscenza e attenzione per quelle aree naturali ma anche un aspetto di grande equilibrio nella loro gestione che rappresentò una costante nel modo di utilizzare la natura per i propri fabbisogni secondo dei criteri di assoluta sostenibilità che ha caratterizzato l'intera opera dell'Ordine. In questo senso è significativo il passaggio che pone in stretto rapporto la funzione e il ruolo di quei monaci con il necessario livello di partecipazione e condivisione, da parte di tutti gli abitanti delle comunità delle varie aree, di quel modo di convivere con la natura e con le sue regole riuscendo soprattutto a determinare la nascita di modelli economici in grado di generare delle economie locali autosufficienti. Uno dei primi esempi sistematici di utilizzo compatibile delle risorse naturali.
I Benedettini "costruttori di territori" Da una ricerca svolta dagli autori è stato possibile verificare la piena rispondenza (utilizzando l'analisi dell'uso del suolo con il sistema Corine Land Cover) delle ipotesi indicate: in moltissimi casi l'attuale sistema delle aree protette nella fascia appenninica coincide con la presenza di monasteri, molti dei quali dei Benedettini, ancora in uso o abbandonati. In particolare si tratta di una perfetta sovrapposizione fra l'attuale stato del suolo (che indica gli ambiti naturali) con le aree originariamente gestite dai Benedettini o sotto l'influenza delle tecniche di utilizzo del territorio introdotte soprattutto dai monaci della Regola. Questo lavoro fa parte di una ricerca finalizzata all'analisi del rapporto tra i grandi Monasteri e Abbazie e l'influenza esercitata sui territori storicamente e culturalmente legati a questi centri del "sapere" rappresentati dai vari Ordini religiosi. In particolare i Monaci Benedettini, con una precisa scelta di osservare una meditazione operosa e in stretto contatto con le comunità delle varie aree, hanno realizzato, di fatto, delle politiche di gestione del territorio le cui ricadute hanno contribuito alla formazione di un sistema di ambiti naturali e aree naturali protette collocato lungo la dorsale appenninica, che costituisce un insieme naturale e culturale unico in Europa. La rete dei Monasteri Benedettini edificata, dal V secolo, in gran parte nelle aree isolate e marginali dell'Appennino ha rappresentato uno dei primi esempi di trasformazione e gestione di territori in una condizione di stretta relazione con le popolazioni di quei luoghi con cui i Monaci Benedettini hanno sempre costruito relazioni caratterizzate dal sostegno religioso fino all'insegnamento di tecniche per le coltivazioni, per la manutenzione delle foreste, di bonifica e di gestione delle aree coltivate. Nell'ambito dei sistemi insediativi caratterizzati da una forte influenza verso la "gestione" del territorio, uno di quelli di maggiore efficacia sia in termini di qualità delle azioni svolte che di permanenza nelle varie epoche è stato proprio quello legato alla consapevolezza, sempre più rafforzata negli abitanti delle varie aree, del legame indissolubile fra gli equilibri naturali e il loro utilizzo ai fini produttivi, processo che ha determinato un profondo radicamento di una nuova spinta di carattere culturale che ha visto, per la prima volta, l'uomo non più al centro del mondo ma inserito all'interno dei contesti ambientali fisicamente legati alla sua esistenza. Attraverso la valutazione dei livelli di permanenza degli ambiti naturali, del patrimonio boschivo, dei paesaggi agricoli è stato possibile analizzare le condizioni di naturalità ancora oggi presenti in quelle aree al punto di determinare, negli anni più recenti, la formazione di un sistema di aree protette diffuso su tutto l'arco dell'Appennino per il quale è possibile, oggi, valutare e affermare come e quanto il lavoro, l'insegnamento e la sperimentazione dei Monaci Benedettini hanno contribuito in modo determinate alla creazione di una serie di "proto-modelli di sviluppo locale" la cui diffusione e permanenza sui vari territori ha permesso l'avvio di una grande quantità di trasformazioni territoriali fondate sull'equilibrio e la qualità del rapporto uomo-risorse naturali.
I contenuti della ricerca Il lavoro di raccolta dei dati più puntuali relativi alla presenza dei monasteri Benedettini nell'ambito nazionale si è articolato, per evidenti motivi di sintesi, in particolare con approfondimenti che hanno interessato esclusivamente quei monasteri che si trovano, ad oggi, inseriti nel sistema delle aree protette nazionali o regionali, ricostruendo le specificità che hanno caratterizzato quei luoghi e le conseguenti ricadute sui territori interessati. In questo senso si è scelto di suddividere i vari monasteri in gruppi legati alle attività prevalenti che sono state realizzate nelle aree di influenza e sono stati individuati 4 gruppi principali di riferimento: • la gestione del patrimonio boschivo; • le coltivazioni agricole; • le cure mediche e le piante officinali; • la manutenzione del territorio e l'irrigazione. Dallo studio delle trasformazioni avvenute nei vari territori sono emersi dei processi capillari di diffusione delle tecniche e delle conoscenze portate dai Benedettini che hanno originato radicali trasformazioni, interventi di tutela e bonifica delle aree, regolazione delle acque, preparazione e commercializzazione dei prodotti con tecniche e modalità produttive che costituiscono il riferimento storico delle attuali produzioni di alta qualità. Ritenendo i 4 gruppi indicati una sorta di indicatori di base dei processi di trasformazione del territorio, per ogni area di influenza è stata svolta una ricerca specifica dei Monasteri che si sono caratterizzati particolarmente per quel tipo di attività, anche se molti di questi interventi sono stati realizzati e diffusi, a volte, sotto il controllo diretto degli stessi monaci presenti nel Monastero che poteva contare su un alto livello di specializzazione e caratterizzazione delle proprie attività in vari ambiti contemporaneamente. Sulla base della localizzazione dei vari Monasteri è stato possibile ricostruire anche il tipo di ricadute territoriali e l'influenza esercitata da ciascuno di questi centri di preghiera e di cultura agricola tradizionale a servizio del territorio. In questo modo il percorso della ricerca ha assunto anche un significato di ricostruzione storica della presenza dei Benedettini nei vari territori, un elemento di riconoscimento dei tratti peculiari della loro azione nelle varie epoche e il ritrovamento dei raccordi tra la dimensione naturale e quella legata all'antropizzazione dei territori. Come già ricordato, nella sovrapposizione tra le aree interessate dalla gestione territoriale operata dai monaci della Regola e gli attuali perimetri delle singole aree protette emerge chiaramente il ruolo essenziale avuto dai Benedettini non solo sulla dorsale appenninica ma in tutto il Paese; le qualità ambientali tutelate e sostenute dall'opera delle comunità legate ai vari monasteri sono diventate uno degli elementi portanti nella creazione e nella conservazione di quelle condizioni di ricchezza, naturalità ed equilibrio territoriale che hanno portato al riconoscimento della loro particolarità. Questi elementi di riflessione contribuiscono al riconoscimento della funzione di custodia e diffusione di un patrimonio culturale che i Benedettini hanno trasferito anche nell'ambito della gestione del territorio attraverso la rete nazionale dei loro monasteri e una solida tradizione che ha contribuito alla diffusione delle conoscenze e delle tecniche di intervento consolidate attraverso molti secoli di storia.
I luoghi e le attività' Le foreste «Siano i detti Eremi fra le selve fatte, quali col piantare, inserire, tagliare e con altre diligenze si mantengano, e s'accreschino». Questi erano gli elementi essenziali per poter vivere l'esperienza eremitica nel suo senso più pieno e gratificante. La scelta di luoghi contraddistinti da queste caratteristiche diventa addirittura una disposizione nella Regola di S. Benedetto con la Costituzione Camaldolese. La regola di San Benedetto fiorisce nella verde Ciociaria, un luogo apparentemente distante dalla connotazione fisica dei deserti della Siria e dell'Egitto, culla della cultura ascetica del monachesimo cristiano. Le foreste sono quindi l'ambiente scelto dal monachesimo cristiano per trapiantarsi in Occidente. E la spiritualità del deserto, propria del monachesimo orientale, diviene spiritualità della foresta, si sovrappone cioè la tradizione celtico-germanica della foresta come luogo di confine tra il mondo terreno e l'aldilà, spazio limite favorevole all'esperienza religiosa e all'incontro con il divino. L'impatto ambientale dell'arrivo dei monaci nella foresta non è connotato da accanimento disboscatore quanto piuttosto da un'azione volta ad arrestare "il ritorno offensivo della foresta". D'altro canto la foresta era già stata violata dai pagani, ne è esempio l'Abbazia di Montecassino che sorse in un bosco sacro dedicato al dio Apollo (San Benedetto bruciò il bosco e vi costruì due piccole chiese). Grandi foreste di abeti circondano anche il Monastero di Camaldoli territorio di straordinaria bellezza dove S. Romualdo diede vita al primo nucleo della congregazione dell'ordine degli eremiti camaldolesi. In questo fazzoletto di terra, donato a lui nel 1012 dal conte Maldolo di Arezzo, da qui il toponimo "Ca' Maldoli" che diede il nome alla congregazione, S. Romualdo degli Onesti costruì le prime cinque celle dell'Eremo cresciuto nel tempo sempre in completo rapporto, per nove secoli, con questo territorio dando vita ad un modello di gestione forestale estesosi a tutti i centri camaldolesi italiani. L'abbazia di Vallombrosa, cuore della foresta omonima, proprio come un organo vitale è stata per secoli funzionale ad una delle aree verdi più famose d'Italia. L'insediamento monastico e il vasto complesso forestale rappresentano due elementi inscindibili tra loro. Furono i monaci a dar vita alla grande foresta di abetine bianche estendendone la coltivazione secondo un razionale metodo di coltura artificiale, le cui prime norme furono dettate dall'abate Michele Flammini nel 1350. Per secoli e secoli i monaci hanno curato i boschi e la terra da cui traevano il sostentamento per la comunità. La foresta si sviluppa in un'area di 1279 ettari, le specie più diffuse sono oltre all'abete bianco, il faggio nelle zone più elevate, il pino laricio e la douglasia. Alle quote più basse si sviluppano i castagni, le querce, gli aceri e i carpini. L'agricoltura Le valenze naturalistiche della Liguria e di altri territori caratterizzati dalla presenza dei Benedettini sono strettamente connesse all'agricoltura. Uno dei protagonisti è stato l'olivo. Piante centenarie si trovano lungo le coste, sui terreni terrazzati delle colline prospicienti il mare; persino in montagna, ad altitudini inaspettate, dove l'olivo sopravvive solo sulle pendici meglio esposte al sole e riparate dai venti. Non c'è da sorprendersi: l'olivo ha, in Liguria, una tradizione antica, che risale nientemeno che al 3.000 a.C.. Ma la diffusione della coltivazione della pianta viene attribuita ai monaci Benedettini che si insediarono in epoca medievale a Portofino, sull'isola del Tino e di Gallinara e ad Albenga. Furono sempre i monaci a divulgare e migliorare le tecniche di coltivazione oltre ad insegnare alle popolazioni locali come rubare alla natura terra da coltivare, con la costruzione dei muretti a secco. Si presuppone che proprio nei loro orti monastici venne selezionata la coltivazione Taggiasca, che prende il nome dalla località di Taggia dove ha origine l'olio conosciuto il tutto il mondo per il suo "bouquet" e la sua contenuta acidità. Nel medioevo anche il paesaggio della Sabina mutò bruscamente, punteggiato dal sorgere di chiese importanti, come la cattedrale di Vescovio, o di potenti monasteri benedettini come Farfa. L'olivicoltura e la produzione oleicola si mantennero estese e consistenti in Sabina per tutto l'alto Medioevo. A partire dall'anno Mille, grazie all'impulso dato dai monaci di Farfa ed al sorgere di molti insediamenti fortificati sulle alture della Sabina, gli oliveti si diffusero con grande rapidità. Il Rinascimento vide un ulteriore incremento delle aree olivate che non vennero compromesse neppure dalle gravi gelate settecentesche. La medicina L'abbazia di S. Eutizio sorge in una valle lunga e stretta, su un'alta balza di tufo circondata da una natura rigogliosissima. S. Gregorio Magno racconta che in questa zona il padre venerando Spes fondò, intorno al 450, un monastero a Cample, vicino a Norcia. Nel XIV secolo l'abbazia perse la sua autonomia a vantaggio del Rettore del Ducato Spoletino e, nel 1451, il monastero fu dato in commenda a Niccolò V, anche se vi rimasero i Benedettini fino al 1568. Per tutto il Medioevo e il Rinascimento si avvicendarono presso l'Abbazia medici empirici provenienti dalla zona di Preci dando vita ad una vera e propria scuola di microchirurgia specializzata, con tanto di albo d'oro dei chirurghi preciani. Dai Monti Sibillini i monaci trassero molte delle erbe medicamentose utili per la cura di varie malattie. I Benedettini favorirono la diffusione della scuola, la cui notorietà valicò i confini della valle per diffondersi in Italia ed Europa e spingendosi fino ad Oriente.
Elisabetta Salvatorelli Marco Agliata Vincenzo Cingolani
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