La "dimensione partecipativa" centrale nelle politiche territoriali, lo è o può esserlo anche nei parchi? Si può superare definitivamente lo stereotipo di parco imposto dall'alto? La partecipazione sembra la risposta giusta per ricostruire legami tra persone e spazio in cui vivono, per ricostituire il senso di comunità.
La "dimensione partecipativa" assume oggi nelle politiche territoriali una nuova centralità, in relazione al problema della qualità urbana (delle periferie, ma non solo) e dell'efficacia delle trasformazioni previste dai piani, sia in termini funzionali e formali che in termini sociali e di percezione dello spazio. Si può fare un'affermazione analoga per quanto riguarda i Parchi ed il loro modello di governo? In altri termini, la partecipazione assume un ruolo importante anche nelle aree protette? Di primo acchito la risposta sembra essere negativa, almeno se consideriamo la situazione generale. Eppure il ricorso a pratiche partecipative appare strategico proprio rispetto a uno dei problemi nodali dei Parchi: la condivisione della loro esistenza, dei loro confini, delle regole di pianificazione, dei modelli di gestione. La costruzione del consenso è, proprio, tra le principali ragioni del ricorso a procedure di tipo partecipativo da parte delle Amministrazioni pubbliche; imporre, in nome di un'esigenza superiore, scelte di scala urbana o territoriale, ad interessi privati o locali comporta, infatti, sempre più spesso, l'insorgere di un conflitto e l'attivazione di un "comitato contro". La logica NIMBY non ha limitazioni, pervade i diversi contesti ed è estesa ad una pluralità di problemi territoriali ed ambientali.
Il caso dei Parchi al riguardo è paradigmatico: quasi tutti sono nati nel dissenso della maggior parte degli abitanti, strumentalizzati o meno da interessi corporativi (i cacciatori, ad esempio), e solo dopo anni di lavoro e di ricucitura paziente, in molti casi, si è giunti a sopire i conflitti addirittura giungendo ad una collaborazione proficua con le amministrazioni comunali, le associazioni, le categorie. In questo senso, il Parco di Portofino - la cui realtà conosco più direttamente - costituisce un territorio-laboratorio di grande interesse, per la fase di conflitto che ha vissuto al momento della definizione dei confini e per il fatto di aver raggiunto, con grande senso di responsabilità di tutti, una "situazione di pace"1.
L'evidente necessità di un rapporto diretto e costante con gli abitanti e con i portatori di interesse, anche non residenti nell'area protetta, che le esperienze pregresse testimoniano, non sembra abbia condotto alla costruzione di un processo interattivo, strutturato, costante, paritario, teso ad implementare la capacità dei Parchi di rispondere alle attese della popolazione, pur nel rispetto degli obiettivi di conservazione attiva ed innovativa del patrimonio territoriale, ambientale e paesaggistico che l'istituzione dell'area protetta comporta. Diverse motivazioni conducono alla necessità della partecipazione e non sono solo legate al consenso. I Parchi in primis, anche in ragione del loro ruolo di laboratori per la sperimentazione di modalità di sviluppo sostenibile, sono tenuti - come spesso ha sostenuto Roberto Gambino - ad attivare politiche di valorizzazione del paesaggio così come richiesto dalla Convenzione Europea, di recente ratificata anche dal nostro Paese. L'adesione ai principi espressi dalla CEP comporta (art. 1a) una particolare attenzione al tema della "percezione sociale", delle modalità, cioè, secondo le quali gli abitanti percepiscono il proprio ambiente di vita, "espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità". Di conseguenza, la pianificazione e la progettazione del paesaggio (ma anche quella del territorio per la quale la dimensione paesaggio costituisce un aspetto fondativo) non possono non tener conto dei valori specifici che alle risorse paesistiche sono attribuiti dalla popolazione insediata.
Questo presupposto mette in gioco il tema della costruzione della conoscenza del territorio e delle sue dinamiche evolutive (in senso lato: legate al piano, al progetto, ma anche alla quotidianità "ordinaria" della governance del Parco), dell'individuazione dei soggetti da coinvolgere e del ruolo che questi devono assumere nel processo.
Si tratta di passare dalla prassi consolidata che vede le scelte derivare da una conoscenza "esperta", esterna ai luoghi, e dall'interazione tra soggetti pubblici e attori locali forti, a modelli che privilegiano il valore della conoscenza che emerge dal sapere contestuale. Con un duplice risultato: l'ottenimento di una conoscenza "profonda" dei luoghi che non si limita a riconoscere fattori fisico-morfologici e funzionali, ma estende l'interesse alla dimensione percettiva, simbolica ed affettiva di cui solo gli abitanti sono portatori, e l'avvio di un "processo di auto-riconoscimento" della comunità insediata che solo riappropriandosi del "sapere del luogo" può sviluppare il proprio senso di appartenenza al territorio, può prendersene cura e può identificarsi in un progetto comune (Magnaghi 1990).
In un'area protetta questo è un esito da perseguire in modo prioritario; molte delle trasformazioni del paesaggio per adattarlo alle condizioni dell'abitare moderno comportano, infatti, mutamenti di forme e di significato che, seppure di scala "micro", rischiano di distruggere il patrimonio che, a parole, tutti vogliono salvaguardare. La consapevolezza e la condivisione dei valori identitari locali, di ciò che "non si vuole perdere" (ma anche dei problemi e delle criticità da superare) e la conseguente costruzione condivisa delle regole di conservazione innovativa, può attivare un processo virtuoso più utile ed efficace dell'imposizione di divieti. In altri termini, quelli della sostenibilità, l'attivazione di processi di partecipazione non solo appare utile per ricostruire il legame tra le persone e lo spazio in cui vivono, ma anche per riannodare il legame tra le persone, che dà vita a forme effettive di comunità. La scomparsa di questi due elementi è tra le cause della scarsa qualità di molti luoghi dell'abitare, vissuti prevalentemente nel privato, come isole in un territorio de-semantizzato. Ancora una volta l'esempio di Portofino è cruciale: il Monte è ormai disseminato di seconde case che hanno recuperato gli insediamenti rurali sparsi e recintato consistenti ambiti di privacy, modificando profondamente un paesaggio tradizionalmente aperto e fruibile in modo libero. I legami tra le persone non sono più locali, legati al contesto e alle storie delle famiglie, spesso intrecciate strettamente da legami di parentela e di amicizia, ma all'ambiente di provenienza, al ceto sociale, agli interessi economici. Si risiede, saltuariamente, nel Parco per la bellezza dei panorami e per il prestigio sociale che l'abitare in questo luogo comporta, e si sostiene la necessità di salvaguardia di alcuni caratteri tradizionali del territorio come componenti di un'immagine che potrebbe essere definita "paesaggio-spettacolo", quello in cui ci si limita a conservare le forme, perché possano essere oggetto di sfruttamento turistico (Dematteis 2007).
Anche in questo caso, forse eccezionale, come in altre realtà più comuni, può essere di grande utilità costruire un processo di conoscenza condiviso, teso all'identificazione di ciò che sta (e spesso stava) dietro alle forme visibili del paesaggio, le regole implicite che nel passato erano seguite anche in assenza di una precisa codificazione, le attività tradizionali che davano forma al territorio, le storie, le memorie, le relazioni interne ed esterne ai luoghi; da utilizzare come strumento utile a riconoscere "l'heritage (
) del passato come tradizione volontariamente scelta e resa disponibile per il cammino ulteriore" (Paba 2003).
Molte delle modalità attivate nel perseguire questo obiettivo, mettono in gioco i saperi "tecnicamente pertinenti", in qualche caso implementati attraverso forme di ascolto degli abitanti. Un accenno particolare merita, invece, un "pacchetto" di pratiche sperimentate in alcune regioni italiane (Piemonte, Umbria, Liguria
) che derivano, con accenti diversi, dall'esperienza delle Parish maps, uno strumento di grande innovazione proposto inizialmente nel West Sussex in Inghilterra dall'Associazione Common Ground e sviluppato come progetto per celebrare il nuovo millennio.
Le Parish - come le "Mappe di comunità", elaborate in particolare dagli Ecomusei, o le "Mappe identitarie", sviluppate all'interno di processi di partecipazione in Liguria - sono costruite direttamente dagli abitanti secondo modalità che variano in relazione alle specifiche situazioni, ed hanno la finalità di scoprire, e rappresentare con linguaggi iconografici fortemente comunicativi, lo "spirito del luogo", ricostruendo la memoria locale, i valori ambientali, sociali, simbolici, la sacralità delle cose e dei luoghi, le relazioni tradizionali e descrivendo il significato e il valore che la comunità attribuisce al proprio ambiente di vita. Non si tratta però di documenti statici o rivolti solo alla storia, ma di vere e proprie "finestre sul futuro", capaci di anticipare l'immagine di scenari dell'avvenire che non lacerano la trama dei significati e delle relazioni, ma conservano testimonianza della continuità del processo di trasformazione dei luoghi dell'abitare2. Una dimostrazione del fatto che, nonostante il conseguimento di un equilibrio virtuoso tra conservazione dell'ambiente e del paesaggio e attese delle popolazioni insediate sia comunemente rilevato come finalità principale dei Parchi, la partecipazione non ha assunto una dimensione centrale, è data anche dalla quasi totale assenza di questo tema nella pubblicistica di settore. Tra i contributi che fanno eccezione, si pone un articolo di Ugo Leone che, nell'auspicare la formazione di "nuclei di accettazione" destinati a costituire l'interfaccia tra il gruppo operativo del Parco e le popolazioni3, si sofferma su alcuni obiettivi specifici della partecipazione e li individua nei seguenti punti, ampiamente condivisibili:
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sensibilizzare i partecipanti sul ruolo che essi possono giocare nel promuovere il cambiamento nella propria comunità locale;
identificare e chiarire il diverso ruolo che protezione, politiche pubbliche, azioni del settore privato e dei cittadini possono giocare nel promuovere modelli di sviluppo sostenibile;
consentire lo scambio di conoscenze, opinioni ed idee fra esperti di gestione dell'ambiente, cittadini, rappresentanti del settore privato e amministratori pubblici;
identificare e discutere le similarità e le differenze nella percezione dei problemi e delle loro possibili soluzioni fra le diverse categorie sociali coinvolte;
stimolare il dibattito pubblico nelle comunità locali sul ruolo della protezione nello sviluppo sostenibile.»
Si possono aggiungere alcune osservazioni sui soggetti da coinvolgere e sugli strumenti da utilizzare. Pur nella convinzione che sia indispensabile ipotizzare una partecipazione quanto più possibile aperta e diffusa, gli interlocutori più preziosi sono sicuramente i bambini, i ragazzi e gli anziani: i primi perchè hanno punti di vista più innovativi, devono ancora costruire il proprio futuro (e dobbiamo aiutarli a renderlo migliore del nostro) e costituiscono un tramite eccezionale con le generazioni dei genitori, dei nonni, dei bisnonni; i secondi per il bagaglio di saperi e di esperienze di cui sono testimoni e che rischiano di andare perduti. Uno strumento di cui tutti i Parchi sono dotati e che può rivelarsi prezioso è il sito web. Oltre ad offrire informazioni e suggestioni, può assumere il ruolo di interfaccia con insiders e outsiders e, attraverso una sorta di forum telematico, raccogliere le testimonianze delle diverse percezioni del territorio, attivare un processo di conoscenza continuo e di rilevamento dei pareri e delle sensazioni che progetti e interventi stimolano. Un'ultima notazione per sottolineare un rischio che spesso si corre nelle pratiche di tipo partecipativo, cioè che queste siano intese più come strumento d'informazione, comunicazione, sensibilizzazione degli attori e del pubblico, che come modo per favorire l'intervento attivo dei cittadini nella definizione delle scelte di progetto. Occorre, invece - e non solo nelle aree protette - promuovere forme di partecipazione "effettiva o radicale", nelle quali i destinatari diventano co-protagonisti dei processi di scelta, progettazione e realizzazione (Paba 2003). In questo modo la scontentezza si può trasformare in proposta operativa, in progetto di cambiamento, e può crescere la fiducia nel ruolo dei Parchi.
Bibliografia
Magnaghi A., (1990), Il territorio dell'abitare. Lo sviluppo locale come alternativa strategica, FrancoAngeli, Milano.
Leone U., (1999), Consenso e coordinamento nella politica, in Ecologia politica CNS, n. 3, settembre-dicembre 1999, Anno IX, fasc. 27.
Paba G., (2003), Movimenti urbani. Pratiche di costruzione sociale della città, FrancoAngeli, Milano.
Dematteis G., (2007), Paesaggio come codice genetico, in Balletti F. (a cura di), Sapere tecnico-sapere locale. Conoscenza identificazione scenari per il progetto, Alinea, Firenze (in corso di pubblicazione).
Franca Balletti
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