Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 51 - GIUGNO 2007



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Acqua pubblicao acqua privata?

Dalla desacralizzazione alla privatizzazione

Negli ultimi anni l’acqua ha assunto un ruolo sempre più rilevante nel dibattito internazionale. L’attenzione è stata posta in particolare sul problema della scelta tra la privatizzazione del servizio idrico o la sua gestione pubblica. Il tentativo di queste pagine è quello di dare conto del percorso concettuale sotteso a tale problema.
Riconosciuta da sempre come elemento indispensabile per la vita, l’acqua, nelle sue varie forme di fiume, mare, fonte, pioggia…, ha sempre assunto connotati divini e presso tutti i popoli le è stato conferito un valore sacro. Come è stato possibile, allora, che qualcosa di storicamente sacro, oltre che bene vitale, sia, in buona sostanza, entrato a far parte dei beni di mercato e sia inoltre venduto ad un prezzo tale che non tutti possono acquistarlo? Attraverso una serie di passaggi logici, giustificati e prodotti dalla nostra tradizione culturale, è possibile dare conto di tale trasformazione.

Considerazioni Filosofiche
Considerando la sua imprescindibile funzione vitale, risulta difficile concepire l'assenza di una riflessione concettuale strutturata sull'acqua in occidente, eppure dopo le riflessioni dei fisiologoi e in particolare del filosofo presocratico Talete (VII a.c.) che la voleva come origine (archè) ed elemento costitutivo di tutto l'esistente, la filosofia abbandona lentamente la materia per rifugiarsi nel mondo delle idee. L'unica realtà veramente reale sono le idee che esistono in un mondo ultraterreno, le cose sensibili sono copie delle idee: con Platone (IV sec. a.C.) la Natura, la materia, inizia ad occupare un ruolo subalterno e secondario rispetto allo Spirito. Non è più l'indagine dei fisiologoi che spiega l'esistente ma il Nous, la mente, la suprema conoscenza intellettuale delle idee. La conoscenza sensibile è ingannevole: il corpo è la tomba dell'anima1, la Natura è il fardello dello Spirito. Nel corso della storia del pensiero occidentale, gli elementi naturali2, compresa l'acqua, hanno lentamente perso la loro centralità filosofica proprio in virtù di quella materialità e "normalità" che li rendeva troppo pesanti per il mondo delle idee e troppo ovvi per interessare quale oggetto d'analisi. La sorte dell'acqua è la medesima di tutti gli elementi naturali, come l'aria o il sole, la cui presenza, proprio perché condizione stessa dell'esistenza, è avvertita come "sostanza della normalità"3. L'autorità di Aristotele (fine IV sec. a. C.) sancisce la legittimità dell'organizzazione gerarchica del mondo (come anche nelle parole della Genesi): la natura procede con continuità dagli esseri inanimati agli animali e alla sommità di tale ordine c'è il Logos, il pensiero puro, la ragione. "Ragione significa assicurare per mezzo di una trasformazione ed uno sfruttamento sempre più efficaci della natura, la soddisfazione delle potenzialità umane [...]. Il Logos si rivela come logica del dominio. [...] L'Io che aveva intrapreso la trasformazione razionale dell'ambiente umano e naturale, si rivelò come un soggetto essenzialmente aggressivo, offensivo, i cui pensieri e le cui azioni erano destinate a dominare gli oggetti"4.
Così, nella visione dicotomica che ha caratterizzato il pensiero forte dell'occidente, il Logos (lo Spirito) ha usurpato alla Fusis (la Natura) il ruolo generatore, e all'acqua la sua immagine mitologica di luogo da cui scaturisce e scorre la vita.
Due aspetti essenziali vanno considerati a questo punto: da un lato la funzione materiale dell'acqua e dall'altro la sua carica simbolica. Se, infatti, le funzioni basilari dell'acqua (dissetare, irrigare, lavare...) non sono mutate molto nel corso del tempo, è invece mutato profondamente il loro significato. Senza ignorare il valore materiale dell'acqua nelle economie umane ed ecologiche, ciò che stupisce maggiormente è la trasformazione profonda del suo valore simbolico.
Le economie d'acqua rappresentavano in Italia (e rappresentano ad oggi in molti luoghi del mondo) quei "complessi di attività umane nelle quali l'acqua è al centro della vita produttiva [e risulta] elemento connotante di un ambito territoriale, componente insostituibile e permanente di un sistema che su di esso fonda la propria peculiarità e il proprio funzionamento"5. Di queste economie facevano parte tutti quei sistemi di produzione energetica lungo i corsi d'acqua, le coltivazioni irrigue (praticate spesso in condizioni di elevata insalubrità), le opere idrauliche di irregimentazione delle acque, la pesca, le opere di bonifica (che sostituivano le attività economiche della palude) e tutto il complesso di usi correnti che creavano una rete di istituzioni più o meno informali. Non si può, dunque, ignorare la funzione materiale ed economica dell'acqua, come testimonia la storia delle grandi civiltà fluviali e marittime nate non solo in luoghi prossimi a fonti d'acqua ma soprattutto adatti al controllo di tali fonti. Eppure, di tutta la storia della profonda relazione tra l'uomo e l'acqua nelle sue varie forme ciò che colpisce è la "pratica molteplice di oscuramento" della realtà fisica dalla rappresentazione storica sociale, la cancellazione del "secondo soggetto" nel processo di produzione della ricchezza: le risorse naturali6. La consacrazione del lavoro umano come unico strumento di creazione di valore, ha oscurato lentamente la relazione umana originaria con l'ambiente e lo scambio con i dati materiali dell'esistenza, fatto di dipendenza, di antagonismo ma anche di rispetto e spesso oggetti di culto non ufficiali. Di questa storia di reciproca trasformazione sono poche le tracce "perché da un lato è la ricchezza diventata potere sociale, politico e culturale che tende a far perdere le sue tracce, a cancellare la propria provenienza, a nascondere il meccanismo di dominio sugli uomini di cui è all'origine. Ma per altri versi è la natura sfruttata dal lavoro umano, attraverso rapporti sociali determinati, che viene del tutto oscurata"7. Questo processo, che nelle forme descritte vale per il mondo occidentale, si compie attraverso la rimozione dal pensiero, la rimozione dalla fede, la rimozione dalla Storia: il disincanto della natura.
Quando la natura ritorna nel pensiero, all'origine della scienza moderna, vi torna come oggetto della scienza o come rappresentazione dello Spirito, dunque non in sé, ma mediatamente attraverso la sua desacralizzazione8. Nella riflessione di Gaston Bachelard, come elemento naturale, l'acqua è il liquido archetipo, materia fertile che informa di sé il sogno e l'immaginazione. Come risulta evidente nella maggior parte delle mitologie e delle tradizioni popolari l'acqua avvolge prima della vita e al termine della vita, e non solo della vita individuale ma della creazione stessa del mondo. L'acqua ha la capacità di purificare lo Spirito e di pulire la materia, rappresenta la fluidità, carica di metafore, che connette l'interno e l'esterno degli organismi9. Il suo scorrere è il simbolo dell'oblio, una forza gentile che è in grado di spogliare dei ricordi coloro che l'attraversano.
Penetrando fisicamente o idealmente all'interno di qualcosa l'acqua è sia in grado di trasmettere la sua purezza, sia di lavare via lo sporco dalle superfici fisiche10. La progressiva assimilazione dei due atti, l'uno relativo ad una qualità dell'essere che si manifesta come qualcosa di profondo, l'altro relativo all'attività terrena di staccare attraverso un solvente le rimanenze di attività passate che sono rimaste attaccate al corpo o agli oggetti, ha lentamente schiacciato su un'unica funzione di pulizia il valore dell'acqua. Di conseguenza l'acqua è diventata il primo ed essenziale detergente e deve essere il più asettica possibile per bere o per lavarsi. L'acqua si trasforma dunque in H2O, la quale va a sua volta purificata da tutti significati dell'acqua archetipica, per diventare una formula, un'astrazione addomestica. "La trasformazione dell'H2O in un liquido che pulisce è completa. Nell'immaginazione del ventesimo secolo l'acqua ha perso il suo potere di comunicare col contatto la sua purezza profondamente intima e il suo potere mistico di lavar via la macchia spirituale. E' diventata un detergente industriale e tecnico [...]. L'acqua nel corso della storia è stata percepita come la roba che irradia purezza: l'H2O è la nuova roba dalla cui purificazione dipende ora la sopravvivenza umana. H2O e acqua sono diventate antagoniste: l'H2O è una creazione sociale dei tempi moderni, una risorsa che è scarsa e che richiede una gestione tecnica. E' un fluido che ha perso il potere di rispecchiare l'acqua dei sogni" 11.
Ovviamente, al di là dei toni enfatici di Ivan Illich, la possibilità di avere a disposizione acqua pulita è da considerarsi di fondamentale importanza per la salute umana, ma la trasformazione dell'acqua in H2O ha reso tangibile la desacralizzazione del fluido originario, consentendogli di diventare un bene di mercato, lasciando che la moderna tecnocrazia la manipoli e controlli dal punto di vista fisico, biologico ed economico. Tale disattenzione dell'immaginario produce conseguenze ecologiche e sociali molto gravi: distrugge la facoltà dei bacini di ricevere, assorbire e immagazzinare acqua, prosciuga interi ecosistemi, provoca catastrofi naturali e umane, e determina profonde ingiustizie sociali. Numerosi studi riferiscono i dati quantitativi di questa trasformazione, ma ciò che interessa, in queste pagine, è l'analisi del come e perché siano concepibili determinati sistemi di gestione delle acque, all'interno della nostra tradizione di pensiero.
Prima di tutto, però, è interessante chiedersi cosa è diventata l'acqua, se non più "acqua dell'oblio" e non ancora, per tutti gli uomini, H2O12, in quest'era di grandi indignazioni impotenti in cui "il senso di impegno ereditato da un'era di fede teistica [si confonde] con un nuovo senso di impegno derivato dalla moderna cosmologia del materialismo scientifico"13.

Privatizzazione delle acque
Questa perdita di ruolo nella sfera del pensiero è stato il primo passo verso la perdita di sacralità e verso la possibile mercificazione. Tale processo ha trovato una raffinata elaborazione filosofica nei classici della tradizione occidentale, i quali hanno messo in luce come la materia naturale acquisti valore solo attraverso il lavoro umano su di essa.
Seguendo l'argomentazione delineata da John Barry14, la legittimità della privatizzazione di beni e risorse naturali deriva dalla constatazione, in primo luogo, che l'ambiente naturale ha un valore strumentale e può quindi essere ridotto a un insieme di risorse da sfruttarsi per fini umani, permettendo una valutazione prettamente economica. Ovviamente questa visione taglia fuori altre valutazioni non economiche e altre relazioni con l'ambiente naturale. Questo è possibile perché l'assunzione di base del moderno pensiero economico è che il contributo alla produzione fornito dalla natura sia gratuito. Un punto di riferimento filosofico obbligato in tale analisi è il pensiero di John Locke sulla proprietà privata15. Locke per primo elaborò una teoria del valore basata sul lavoro e fornì la difesa liberale classica della proprietà privata dei beni ambientali16 (in particolare, nel suo caso, delle terre). La sua difesa della proprietà privata è intesa come forma di protezione dell'individuo dall'interferenza arbitraria dell'autorità politica e dalla constatazione che le terre di proprietà sono più produttive di quelle allo stato naturale che, non essendo trasformate dal lavoro umano, non possiedono valore. Il lavoro costituisce infatti "il processo metabolico di appropriazione privata dei frutti della natura da parte dell'individuo"17 e la convezione monetaria permette di fuoriuscire consensualmente dall'ambito prettamente naturale. Quest'appropriazione è legittima perché risponde alla necessità di autoconservazione: la sottrazione privata di un bene dal patrimonio comune è un'applicazione della legge di natura perché ciò che è comune non può diventare davvero utile all'uomo. In tal modo la difesa della proprietà privata, come anche negli utilitaristi classici, è per Locke premessa della libertà individuale, dell'ordine sociale e della prosperità materiale. Inoltre, il progresso materiale è difeso come cardine dello sviluppo e dell'avanzamento delle società umane. La fede nel progresso va considerata come espressione dello spirito del tempo come anche per Descartes, Bacon o Newton: l'applicazione di scienza e tecnologia allo sfruttamento delle risorse naturali conduce al progresso materiale delle civiltà. Niente è stato creato da Dio per essere distrutto dall'uomo, l'uomo semplicemente perfeziona e migliora la natura per la gloria del Signore. In questo modo la visione economicista delle relazioni umane con il mondo naturale è giustificata con la santità del progresso che conduce non al loro depauperamento ma al loro miglioramento. Infatti, non tutti i lavori danno titolo alla proprietà ma solo quelli che si svolgono attraverso un utilizzo razionale delle risorse, dunque le forme di lavoro diverse da quella occidentale conosciuta da Locke, sono giudicate illegittime perché non conducono, come vuole Dio, a massimizzare il vantaggio.
Questa mercificazione dell'ambiente naturale, aspetto centrale all'economia politica classica è la premessa necessaria per la nascita del moderno capitalismo industriale. L'Europa pre-illuminista e feudale era caratterizzata da relazioni socio-economiche, istituzioni e regole consuetudinarie basate sulla terra. Con l'emergere dell'economia politica (mercati auto regolati e società commerciale) le società cambiano in maniera rivoluzionaria, caratterizzate dal nuovo ordine del capitalismo industriale. Per il sistema di mercato, lavoro, terra, e capitale dovevano essere liberi da vincoli non economici, leggi e regole, liberi di muoversi secondo la convenienza economica. Inoltre queste risorse, per essere tali, dovevano essere viste come merci, cose che potessero, cioè, essere comprate, vendute e scambiate. La terra come proprietà vendibile e scambiabile per denaro era qualcosa di alieno dalla società feudale, pre-industriale, era qualcosa inestricabilmente connesso con le istituzioni umane: introdurla nel mercato risultava inconcepibile come vendere i propri antenati, perché la funzione economica era solo una delle funzioni vitali della terra, luogo di abitazione, sicurezza fisica, orizzonte e stagioni18. La dissoluzione di questo contesto culturale è stata la premessa necessaria della politica liberale classica e ha condotto al problema della privatizzazione dei beni comuni di cui molto si parla anche a proposito dell'acqua.
Fino all'inizio dell'epoca moderna, in Inghilterra, ad esempio, i contadini non possedevano la terra ma avevano dei diritti comuni consuetudinari di accesso alle terre comuni. Le terre come proprietà vendibile emersero dopo un lungo periodo di accesa resistenza alle enclosures che trasformarono i commons in proprietà private e risorsa economica esclusiva. La privatizzazione delle terre comuni (ma il ragionamento è valido per tutti i beni comuni, compresa l'acqua) era visto come un passo necessario per mettere ordine allo sviluppo sociale, al progresso e alla civilizzazione.
Il famoso articolo di Garrett Hardin "The tragedy of the commons"19 rappresenta il punto di partenza del dibattito tra sostenitori dell'interesse privato nell'uso delle risorse e sostenitori del bene pubblico. L'idea di fondo è facilmente riconducibile alle questioni idriche attuali. L'accesso non ristretto ad una risorsa finisce per depauperarla in maniera irreversibile a causa del sovrasfruttamento che, a giudizio di Hardin, inevitabilmente ne deriva, dal momento che ogni utilizzatore di una risorsa comune tende a massimizzare il suo rendimento, aumentando il suo consumo finché può. La tesi di Hardin è che l'azione mossa dall'interesse individuale non può sempre promuovere il bene pubblico e, di conseguenza, risorse con un sistema di gestione comune locale sono state privatizzate. La soluzione storica è stata la recinzione dei commons e l'instaurazione di differenti metodi di regolazione (accesso vietato o controllato). Il lavoro di Hardin si concentrava soprattutto sulle risorse che erano non gestite piuttosto che su quelle gestite collettivamente e dunque le applicazioni successive della sua idea a risorse gestite collettivamente dalle comunità locali, sono mal poste. Ciò nonostante, l'idea della privatizzazione come migliore forma di gestione dei beni comuni è ampiamente diffusa e un esempio può spiegare perché.
In un testo del 2000, "Nature and the marketplace: capturing the value of ecosystem services", Geoffrey Heal20, economista neoclassico, spiega come e perché il mercato, creando i giusti incentivi e riflettendo il valore adeguato, è a suo parere incontestabilmente lo strumento migliore per la gestione degli ecosistemi e per la loro conservazione. L'acqua potabile è una merce essenziale e i bacini imbriferi (watershed) sono un infrastruttura essenziale per la società umana e gli ecosistemi. Considerando i preoccupanti dati diffusi dalle agenzie ONU relativi alle carenze idriche, in particolare di acqua potabile e ai problemi conseguenti è necessario fare una digressione su come l'acqua potabile arriva nelle città. In alcuni casi è prelevata direttamente dai fiumi, spesso in aree di alta montagna e ghiacciai. In altri casi viene dagli acquiferi sotterranei alcuni dei quali sono riempiti regolarmente dalle piogge, altri da acqua fossile sotterranea, altri ancora raccolgono semplicemente ma non trattengono acqua piovana e l'incanalano dalle colline fino alle vallate e ai bacini di raccolta. Questi ultimi non svolgono solo la funzione di raccogliere l'acqua ma anche di pulirla e stabilizzarne il flusso. Dalla salute del suolo dipende la sua funzione pulente, poiché il suolo agisce come filtrante. La lentezza della filtrazione agevola tale processo mentre i microrganismi abbattono gli inquinanti nell'acqua e la purificano. Anche nelle moderne società industriali ci sono poche possibilità di sostituire le funzioni di controllo del flusso dei bacini imbriferi. Per la funzione di pulizia esistono, invece, alcuni disinfettanti chimici anche se non hanno lo stesso spettro d'azione del suolo21 e la sostituzione è comunque molto costosa. Inoltre molti bacini imbriferi generano energia idroelettrica per la comunità, fornendo così, oltre ad essere zone critiche di conservazione della biodiversità, due fondamentali sistemi di utilità pubblica: energia e acqua.
Un buon esempio della loro importanza economica è quello, proposto da Heal, relativo al bacino Catskill, uno dei due bacini che servono la città di New York. A lungo questo bacino ha fornito acqua di alta qualità senza alcun filtraggo o trattamento chimico. Negli anni Novanta la situazione è cambiata e la qualità dell'acqua è peggiorata notevolmente tanto da risultare necessaria la costruzione di un impianto di filtraggio. Il costo è stimato intorno agli 6-8 bilioni di dollari annui e il costo annuale di operatività intorno ai 3.300 milioni di dollari. La causa del declino della qualità dell'acqua è da ricercarsi nella rapida espansione dell'agricoltura intensiva nell'area del bacino. La combinazione di inquinanti distrugge la comunità macrobiotica del suolo responsabile della pulizia delle acque. Il danno comunque non era irreversibile: dal momento che non c'è stata erosione del suolo o deforestazione dell'area circostante l'infrastruttura del bacino risultava ancora pressoché intatta. Due opzioni erano dunque possibili: riparare completamente il bacino o costruire e mettere in funzione un impianto di filtraggio. La seconda risultava troppo costosa. La prima aveva dei costi (il ripristino ambientale, la prevenzione da ulteriori danni e la riparazione di quelli già avvenuti, il risarcimento per gli agricoltori, l'acquisto di alcune terre, l'allontanamento degli allevamenti) ma erano stimati intorno a 1-1,5 bilioni di dollari. E'stata scelta la seconda soluzione. Gli strumenti propri del mercato sono stati usati per raccogliere i fondi per la conservazione e acquisizione delle terre ma il mercato non è stato trainante nel processo, elaborato invece dall'autorità politica. Heal ritiene però che possono essere le forze stesse di mercato a guidare la transizione verso la conservazione proprio per il loro obiettivo di ricerca delle opportunità di guadagno. Due condizioni devono essere soddisfatte: l'esistenza di contratti negoziabili che danno titolo ai possessori ad una porzione di beneficio in cambio di un investimento di capitale in un impresa, per attrarre i finanziamenti, e l'esistenza di diritti di proprietà su qualcosa per cui gli individui e le municipalità sono disposti a pagare, in tale maniera beni che ne erano esclusi possono essere introdotti all'interno del sistema di mercato. Di conseguenza, se una società per azioni privata gestisce il recupero del bacino imbrifero che serve New York, ha il diritto di vendere alla città il servizio di approvvigionamento idrico.
In molti paesi questo già avviene. All'inizio le compagnie private (come la Suez Lyonnaise des Eaux, la Generale des Eaux...) fornivano solo le infrastrutture per portare l'acqua dalla fonte ai consumatori ma non erano responsabili per le fonti idriche in sé. Poichè però erano considerate responsabili in caso di scarsità idrica o bassa qualità delle acque, in molti luoghi decisero di costruire, con costi aggiuntivi, degli impianti di trattamento e di controllore tutti i bacini da cui attingevano22. Secondo Heal, poichè i sistemi naturali costituiscono una infrastruttura vitale per le compagnie dell'acqua, queste hanno dei forti incentivi finanziari ad operarsi per la loro conservazione.
L'aver compiuto un lavoro, quindi l'aver apportato un miglioramento, in termini strumentali umani, significava anche avere diritto alla proprietà della materia e ad un pagamento per l'eventuale servizio reso agli altri uomini. In tal modo se un soggetto privato lavora la materia acqua (depurandola, incanalandola attraverso acquedotti fino ai centri abitati, rendendola disponibile...) il suo lavoro gli conferisce un diritto di proprietà su di essa23 e legittima la sua richiesta di pagamento, sia tale lavoro svolto da una grande multinazionale francese o da un trasportatore d'acqua a dorso di mulo del Sudan, perché, come ricorda l'amministratore della Suez in Italia, "L'acqua è un diritto, il servizio no"24. Questa brillante intuizione gioca sulla distinzione tra materia grezza e materia lavorata ma tace in realtà volutamente che, in particolare dove l'acqua non è potabile alla stato naturale a causa del diffuso inquinamento idrico, disporre d'acqua significa usufruire del servizio idrico, soprattutto se, come accade in molti Paesi del Sud del mondo, le compagnie private controllano non solo il servizio ma anche i bacini imbriferi ed è quindi impossibile per le popolazioni circostanti l'approvvigionamento idrico autonomo25.
Può non essere facile avere cognizione dei costi dei servizi di gestione idrica dal momento che in molti Paesi, come in Italia, sono stati finora competenza statale. Lo Stato, grazie ad una serie di ammortizzatori sociali, offriva il servizio idrico ad un costo molto contenuto, ma, soprattutto in Paesi che soffrono cronicamente di carenze idriche o di scarsa qualità dell'acqua e in cui il gestore pubblico è sembrato inefficiente, l'intervento del settore privato è oggi caldeggiato anche dall'ONU come possibilità di aumentare efficienza e qualità nella distribuzione idrica. Tale intervento, però, dal lato delle imprese private è volto alla creazione di profitto e il mancato uso di ammortizzatori sociali rende il servizio indisponibile per molti cittadini. Le reazioni sono state e sono molto accese tra le popolazioni coinvolte26.

Gestione pubblica delle acque
Di opinione opposta sono coloro i quali ritengono che l'acqua vada gestita come patrimonio comune dell'umanità e non come bene economico, il che comporta un uso responsabile da parte dei consumatori e una gestione solidale da parte delle istituzioni pubbliche. Sulla credibilità di questa proposta si articola l'attuale dibattito che riguarda la gestione di tutti quegli elementi naturali su cui influiscono diversi soggetti, con conseguenze non lineari distanti nello spazio e nel tempo. In questi casi, infatti, la migliore gestione sembrerebbe aliena dalla logica utilitarista di mercato, ma contemporaneamente le inefficienze della gestione pubblica lasciano ampio margine alle critiche e all'assunzione di potere da parte dell'attore privato. La proposta alternativa alla privatizzazione è quella di mantenere (o rendere) pubblici gli impianti idrici e il servizio attraverso il coinvolgimento attivo delle amministrazioni, la creazione di autorità competenti o comitati pubblici e il risanamento delle precedenti carenze, corruzioni e malfunzionamenti.
I beni comuni, secondo tale visione, non sono né pubblici né privati ma vengono gestiti dalle comunità locali che ne disciplinano l'accesso e l'uso: beni "tradizionali" come aria, terra, foreste, acqua, pascoli, e "nuovi" beni come spazi e servizi pubblici, sovranità alimentare, patrimonio genetico, conoscenze. La loro cancellazione si concretizza in molteplici forme: nella regolamentazione dei brevetti di proprietà intellettuale sui semi e sulle conoscenze tradizionali, nella biopirateria delle risorse genetiche e nella minaccia alla biodiversità, nell'ampliamento dei negoziati del Gatt all'agricoltura e ai servizi, nella liquidazione degli usi civici in Italia e nelle privatizzazioni agrarie. Numerosi Forum Alternativi e comitati si sono costituiti denunciando "la gestione delle risorse idriche del pianeta secondo il modello detto Integrated Water Resources Management elaborato dalla Banca Mondiale. Questo modello si fonda sui meccanismi di mercato e sulla fissazione del giusto prezzo dell'acqua basato sul principio del full cost recovery, cioè il recupero del costo totale che include un ritorno sugli investimenti assai consistente che può raggiungere anche un terzo del costo totale"27. Vengono denunciate la "liberalizzazione dei servizi idrici nell'ambito dei negoziati WTO/GATS (Accordo generale sul commercio dei servizi), di cui l'Unione Europea è tra i più ferventi sostenitori (e non a caso, essendo le imprese d'acqua francesi, inglesi e tedesche le prime al mondo); la liberalizzazione, la deregolamentazione e la privatizzazione dei servizi idrici secondo il principio della condizionalità imposto dalla Banca Mondiale e dal FMI [per cui] un Paese può ottenere dei prestiti a condizione che liberalizzi, deregolamenti e privatizzi il settore per il quale ha ottenuto il credito; la priorità da dare all'investimento privato"28. Tali Forum hanno inoltre messo in luce il fallimento del modello del partenariato pubblico-privato per quanto riguarda le reali possibilità offerte alle persone perché, salvo poche eccezioni questo non si é tradotto necessariamente e dappertutto in un miglioramento dei servizi o in una riduzione dei prezzi, né in una riduzione della corruzione29. La preoccupazione sembra avere un carattere ancora più generale: "E' evidente che l'inclusione dei servizi idrici fra i servizi da disciplinare [degli accordi di mercato] si tradurrà in un'amputazione grave dei poteri democratici degli Stati ed in particolare dei parlamenti regionali e locali in materia di regolazione dell'acqua sul piano tariffario, ambientale e sociale. La privatizzazione significa la privatizzazione del politico, cioè il trasferimento del potere - politico - di decisione in materia di allocazione delle risorse idriche da soggetti pubblici a soggetti privati. La credenza nutrita dai soggetti pubblici di conservare un potere di controllo sulle imprese private in materia, per esempio, di fissazione delle tariffe, si é rivelato per ciò che é: un'illusione"30.
Al contrario, la proposta è quella di costituire dei nuovi partenariati pubblico-pubblico fondati su processi innovativi di cooperazione tra istituzioni ed organismi pubblici, con il coinvolgimento diretto dei cittadini nel contesto di politiche partecipate, in particolare a livello di bacini. Si chiede che il servizio idrico sia sottratto ai servizi di mercato e rimunicipalizzato con un sistema di finanziamento pubblico, locale o nazionale o internazionale, fondato su un sistema fiscale progressivo a finalità ridistribuiva.
Il documento forse più interessante per quanto riguarda le proposte di (ri)pubblicizzazione dell'acqua è il "Manifesto Italiano 2005 per un governo pubblico dell'acqua" a cura del Comitato Italiano per un contratto mondiale sull'acqua31. Prendendo spunto da un'analisi di quello che viene definito il malessere idrico italiano, il Manifesto insiste sul primato e la necessità della scelta politica verso un governo pubblico dell'acqua che garantisca l'accesso all'acqua per tutti nel mondo come diritto umano e come bene comune pubblico32. La scelta del termine governo anziché gestione si riferisce ad una cultura che opera nel campo dei diritti/doveri, anziché ad una cultura aziendale. I principi fondativi proposti a livello mondiale sono33:
(a) il principio del diritto umano e sociale, individuale e collettivo, all'accesso all'acqua nella quantità e qualità essenziali per la vita. In base al principio di sovranità nazionale sulle acque è responsabilità di ogni Stato garantirne il diritto ai cittadini;
(b) il principio del governo sostenibile e solidale dei grandi corpi idrici mondiali (i grandi fiumi, i mari interni, i grandi laghi...) per salvaguardali in quanto beni comuni pubblici di rilevanza mondiale, oltre che aree spesso teatro di violenti scontri tra opposti interessi;
(c) il principio della non applicabilità all'acqua delle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio e dell'Accordo Generale sul Commercio dei Servizi;
(d) il principio dell'acqua come bene comune pubblico dell'umanità, che passa dal riconoscimento da parte dell'ONU dell'umanità come soggetto giuridico distinto34.
A livello nazionale le proposte sono di carattere più concreto35:
1. rigenerare il bene acqua attraverso un cambiamento strutturale degli usi, cioè una riduzione delle fonti di inquinamento e di contaminazione, delle perdite in irrigazione, ridurre i livelli di perdita della rete di distribuzione, censire i pozzi illegali e il loro utilizzo, re-inventare la raccolta dell'acqua piovana, ridurre i flussi di consumo negli usi domestici con sistemi di riciclaggio dei reflui dove possibile;
2. (ri)pubblicizzare il governo dell'acqua, ridando credibilità al governo pubblico la cui scarsa efficienza è stata una delle cause della privatizzazione tra gli anni Ottanta e il Duemila. Questo sarebbe possibile con una legge quadro che sancisca i principi mondiali e istituisca un soggetto unico di governo dell'acqua a livello regionale, rinforzando i poteri locali e dando priorità alla costituzione di società cooperative pubbliche a lato dei consorzi pubblici. Inoltre si propone di riorganizzare il sistema tariffario sulla base di un primo livello di diritto dei 50 litri a persona, come diritto universale, a carico delle finanze pubbliche, un livello della sostenibilità fino a 120 litri per cui si applica una tariffa progressiva, e un livello della non sostenibilità e del divieto oltre i 200 litri al giorno;
3. dal punto di vista amministrativo si propone la costituzione di comitati di cittadini a fianco delle ATO con potere vincolante su alcune decisioni (investimenti, tariffe...) e dei tavoli di coordinamento provinciali tra gli ATO.
Sul ruolo dei bacini idrografici in Italia insiste Giorgio Nebbia36 sostenendo che scarsità di acqua di buona qualità e sufficiente quantità e dissesto idrogeologico hanno radici comuni nella mancanza di una politica unitaria del territorio. Il problema deriva, a suo parere, dal fatto che ben pochi bacini idrografici, le uniche unità di riferimento ecologicamente sensate, hanno confini che coincidono con quelli amministrativi. Nel 1989 il Parlamento ha emanato la legge 183 per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, stabilendo la necessità di azioni di pianificazione nell'ambito dei bacini idrografici (piani di bacino elaborati dalle autorità di bacino), ma da allora, lamenta Nebbia, raramente sono stati svolte ricerche ed elaborati piani che rispettassero le indicazioni della legge. "La pianificazione per bacini idrografici offre l'occasione anche per attuare una diversa maniera di valutare costi e investimenti. Se si misurasse il costo, per la collettività italiana, delle distruzioni di beni - fertilità dei campi, abitazioni, strade e fabbriche, per non parlare del costo delle vite umane e del patrimonio storico-culturale distrutto, che non ha prezzo - dovute a frane, alluvioni, siccità, si vedrebbe che il costo delle opere di attuazione di quanto disposto per la difesa del suolo risulterebbe di gran lunga minore. Però manca ancora una cultura amministrativa capace di confrontare i costi evitati futuri con i costi da affrontare oggi"37.
L'approccio della (ri)pubblicizzazione, più idealista e meno pragmatico o funzionale del primo, presenta il riferimento ad alcune importanti questioni di principio. Vandana Shiva nel suo libro "Le guerre dell'acqua" sostiene che i sistemi di controllo non democratici sulle decisioni sociali e sulle risorse sottraggono occupazione e mezzi di sostentamento creando una cultura dell'insicurezza ed erodendo la base democratica della politica e l'identità collettiva. La crisi dell'acqua è la dimensione più pervasiva, ma meno visibile, della devastazione ecologica: interventi di scavo nelle falde acquifere dei bacini idrici, diffusione di agricoltura intensiva ad alto consumo d'acqua, deforestazioni e attività minerarie38. "In quasi tutte le comunità indigene la collettività del diritto all'acqua è la chiave della conservazione e della raccolta idrica. Creando regole e limiti d'uso, la gestione collettiva ha sempre assicurato sostenibilità ed equità"39. Shiva contrappone al paradigma ecologico, quello di mercato che vede la scarsità idrica come una crisi derivante dall'assenza di un commercio dell'acqua e sostiene che se la si potesse spostare e distribuire liberamente attraverso liberi mercati, l'acqua verrebbe trasferita alle regioni afflitte da scarsità e prezzi più alti condurrebbero alla conservazione dei sistemi naturali da cui dipende. Questa visione però ignora il problema della scarsità assoluta: "Quando l'acqua scompare non ci sono alternative. Per le donne del Terzo mondo scarsità d'acqua significa maggiori distanze da percorrere per procurarsela. Per i contadini significa fame e miseria quando la siccità distrugge i raccolti. Per i bambini significa disidratazione e morte[...] La crisi dell'acqua è una crisi che ha cause commerciali ma non soluzioni di mercato"40. Questo è il motivo per cui in gran parte delle società l'acqua è sempre stato un bene pubblico di cui è esclusa la proprietà, se ne può solo usufruire. Al contrario di quanto credeva Hardin, i beni comuni non sono sistemi di libero accesso non governati socialmente, privi di proprietà privata e quindi via obbligata all'illegalità. I beni comuni applicano il concetto di proprietà ma su base di gruppo non individuale e stabiliscono delle regole nell'uso, non sono risorse ad accesso aperto. Ovviamente si tratta di un'organizzazione sociale che si fonda sulla cooperazione tra i suoi membri e una produzione basata sui bisogni, quindi abbastanza diversa da quella che domina il modello della privatizzazione.
Per concludere, può essere interessante accennare un progetto di costruzione e gestione di un impianto fognario in Bolivia ispirato alla (ri)pubblicizzazione41. Nel 2000 la regione di Cochabamba è stata l'epicentro di una grande rivolta popolare causata dalla privatizzazione dell'acqua imposta dalla Banca Mondiale attraverso il Governo Nazionale boliviano, che ha consegnato la gestione dell'acqua e delle reti fognarie alle multinazionali Albengòa, Bechtel ed Edison. Gli effetti delle privatizzazioni hanno provocato un aumento delle tariffe del 300% ed una fortissima esclusione nell'accesso all'acqua per centinaia di migliaia di persone, a cui veniva anche impedito il recupero delle acque piovane. La vittoria della popolazione cochabambina durante la famosa "guerra dell'acqua" dell'aprile 2000, ha permesso di recuperare una parte della gestione pubblica dei servizi legati alla fornitura d'acqua. Poiché, però, le istituzioni pubbliche "tradizionali", che dovrebbero essere legalmente preposte alla fornitura dei servizi all'intera regione di Cochabamba non svolgono in maniera efficiente il loro compito (gli interventi pubblici riguardano solo le zone antiche della città, il centro e il nord), la popolazione del sud di Cochabamba ha cercato una soluzione autonoma. Gli abitanti si sono organizzati nella Coordinadora de Defensa del Agua y la vida, un comitato che si oppone alla privatizzazione dei servizi pubblici e che sta cercando di generare un nuovo modello di amministrazione partecipata e democratica dei servizi idrici. La Coordinadora rappresenta gli interessi di tutte le realtà sociali e culturali del territorio: realtà sindacali (rurali e urbane), realtà indigene e contadine.
Il progetto in fase di realizzazione è stato proposto dall'associazione A Sud, italiana, e dalla Coordinadora, boliviana, grazie ai fondi dell'AATO della provincia di Venezia, esplicitamente raccolti per finanziare progetti di cooperazione internazionale dedicati all'acqua, attraverso la tassazione dei cittadini di un centesimo a metro cubo d'acqua consumato. Il progetto è stato chiamato "Reti d'acqua. Per una gestione comunitaria dei beni pubblici" e si propone di costruire una serie d'infrastrutture che permettano alla popolazione di uno dei quartieri più poveri dell'America Latina, nella città di Cochabamba di elevare lo standard di vita attraverso la costruzione di reti fognarie, reti per il recupero di acque di scarico, camere di ispezione e connessioni domiciliari. La zona d'intervento del progetto è caratterizzata dall'assenza di sistemi fognari e di scarico delle acque, da scarsità d'acqua potabile e da pochissime connessioni domiciliari in un'area densamente popolata. I beneficiari diretti del progetto sono i 115.000 abitanti di quattro distretti della zona Sud di Cochabamba. La comunità è previsto diventi proprietaria dell'impianto e si occupi dell'amministrazione, attraverso una cooperativa per la gestione delle reti fognarie denominata Fundacion Abril costituitasi dall'esperienza della Coordinadora, e fondata sugli stessi principi di rappresentatività. Quest'ultima ha il compito di affiancare la cooperativa tecnica che si occuperà della gestione delle infrastrutture, individuare tutti i soggetti e gli attori sul territorio, fungere da raccordo e punto di riferimento per tutti i beneficiari del progetto, formare un'equipe di coordinamento che realizzi programmi di appoggio ai nascituri Comitati cittadini sull'acqua, alle microimprese di pulizia e igiene e ad altre organizzazioni sociali già operanti sul territorio.
Gli obiettivi del progetto sono dunque:
1) costruire reti fognarie, reti per il recupero di acque di scarico, camere d'ispezione e connessioni domiciliari nel nucleo abitativo;
2) creare la Fundacion Abril e rafforzare la piattaforma sociale composta dalle realtà comunali;
3) realizzare, attraverso la Fundacion Abril, programmi, progetti e azioni che stimolino la gestione comunitaria dei servizi basici e la promozione sociale per il miglioramento della qualità della vita e per la responsabilizzazione della comunità locale. La piattaforma sociale è organizzata attraverso un sistema democratico rappresentativo (comitati dell'acqua e cooperative), che rispondono agli effettivi interessi e necessità della comunità locale. Tale impianto organizzativo garantisce la continuità e sostenibilità a lungo termine nella gestione delle risorse umane e materiali del progetto.
Il progetto tecnico ha una prospettiva di sostenibilità di minimo 20 anni. La costruzione della rete fognaria verrà finanziata per il 60% da parte dell'ente italiano, e per il rimanente 40% attraverso pagamento in forza lavoro e forme di autotassazione della comunità locale beneficiaria. Le quote per l'autofinanziamento saranno minime (14 dollari a famiglia per tutto l'arco dell'anno) ma questo sistema insieme alla forza lavoro che le famiglie metteranno a disposizione, permetterà alla comunità di partecipare direttamente alla realizzazione del progetto, rendendola responsabile e cosciente dei sistemi di costruzione adottati per facilitare gli interventi di manutenzione della rete.
Questo tipo di progetti rappresentano tentativi di rendere concreto il modello dei beni pubblici proposto come alternativa a quello della privatizzazione.

Iniziative internazionali
Mentre da un punto di vista legislativo la tendenza è quella di pubblicizzare la proprietà delle fonti idriche e delle acque sotterranee, dal punto di vista della gestione del servizio idrico, come di molti servizi finora pubblici, la tendenza è quella di affidarli in concreto al gestore privato, in Italia soprattutto tramite lo strumento dei partenariati pubblico-privati42. A livello internazionale tale tendenza è incentivata dalle istituzioni internazionali43 attraverso la formula della condizionalità che propone, in particolare ai Paesi del Sud del mondo, in cambio di credito e contributi economici, di privatizzare le infrastrutture e i servici idrici.
Nell'arena internazionale le iniziative dedicate all'acqua hanno origine con la Conferenza ONU del Mar de la Plata del 1977 nella cui dichiarazione conclusiva si sosteneva che tutti hanno diritto di accedere all'acqua in qualità e quantità corrispondente ai loro bisogni finali. La posizione è rafforzata con la Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo adottata nel 1986 dall'Assemblea generale dell'ONU che include l'impegno, da parte degli Stati, a garantire per tutti uguali opportunità nell'accesso alle risorse essenziali, compresa l'acqua, la cui negazione costituisce una flagrante violazione di massa dei diritti umani44.
Nella Conferenza ONU di Dublino su acqua e ambiente si è verificato, però, un importante slittamento concettuale: l'accesso all'acqua è stato definito non più come un diritto ma come un bisogno essenziale e l'acqua è diventata una materia prima, un bene economico: "1. l'acqua dolce, risorsa fragile e non rinnovabile, è indispensabile alla vita, allo sviluppo e all'ambiente [...] 4. l'acqua, utilizzata a fini multipli, ha un valore economico e dovrà quindi essere riconosciuta come bene economico"45. Tale posizione è stata ribadita dai primi due Forum Mondiali sull'Acqua (Marrakech 1997 e L'Aja 2000): "the Forum recommends actions to recognize the basic human needs to have access to clean water and sanitation, to establish an effective mechanism for management of shared water"46. Entrambi i Forum sono stati organizzati dal Consiglio Mondiale dell'Acqua, istituito dalla Banca Mondiale, con la collaborazione di alcuni governi e imprese, in concomitanza con l'istituzione della Global Water Partnership intesa ad avvicinare autorità pubbliche e investitori privati47. Nel frattempo la Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992 produceva, nell'ambito di Agenda XXI, una lunga riflessione sulla "Protection of the quality and supply of freshwater resources: application of integrated approaches to the development, management and use of water resources". In esso si afferma l'importanza dell'acqua per il mantenimento della struttura degli ecosistemi nonché la sua rilevanza nella definizione degli assetti sociali. Si sostiene che non è sufficientemente apprezzato il suo contributo alla produttività economica e al benessere sociale: l'obiettivo dunque è la soddisfazione del bisogno d'acqua necessario per lo sviluppo essendo questa "integral part of the ecosystem, a natural resource and a social and economic good"48. Le attività proposte oscillano però tra i due poli dell' "implementation of allocation decisions through demand management, pricing mechanism and regulatory measures" e del "development of public participatory techniques and their implementation in decision-making"49. Recentemente il Comitato ONU sui Diritti Economici, Sociali e Culturali ha affermato il fondamento giuridico del diritto all'acqua: "Le droit à l'eau consiste en un approvisionnement suffisant, physiquement accessible et à un coût abordable, d'une eau salubre et de qualité acceptable pour les usages personnels et domestiques de chacun. Une quantité adéquate d'eau salubre est nécessaire pour prévenir la mortalité due à la déshydratation et pour réduire le risque de transmission de maladies d'origine hydrique ainsi que pour la consommation, la cuisine et l'hygiène personnelle et domestique"50. Il Comitato sostiene, infatti, che il diritto all'acqua è chiaramente legato ad una serie di diritti già ampiamente accettati in ambito internazionale e sanciti dai Patti: il diritto alla vita (ICCPR art. 6), il diritto dei popoli a disporre liberamente delle proprie ricchezze e risorse naturali (ICESCR art.1), il diritto alla sicurezza sociale (ICESCR art.9), all'alimentazione (ICESCR art.11) e alla salute (ICESCR 12). Secondo l'Osservazione generale n°15 del 2002, tale diritto consiste nella libertà di non subire interruzioni arbitrarie dell'approvvigionamento, di accedere ad un'acqua non contaminata, e nel diritto di avere accesso ad un sistema di approvvigionamento che dia a ciascuno, in condizioni di uguaglianza, la possibilità di esercitare il diritto all'acqua (§10). Ciò detto, l'acqua va considerata come un bene sociale e culturale e non come un bene economico (§11), che abbia le caratteristiche di disponibilità sufficiente e costante, di qualità salubre, di accessibilità fisica, economica, informativa e non discriminativi (§12). Fornire tali garanzie è obbligo degli Stati (§ 3).
A solo un anno di distanza però, gli stessi stati che hanno partecipato alla formulazione dell'Osservazione generale n°15, hanno ripetuto nella dichiarazione conclusiva del 3° Forum Mondiale dell'Acqua a Kyoto che l'acqua deve essere considerato un bene economico cui si deve attribuire un valore secondo i prezzi di mercato tale da consentire un recupero del costo totale di produzione51.
Nonostante da molte parti l'acqua sia considerata un patrimonio comune dell'umanità, la cui più alta priorità va alla preservazione della vita nel suo complesso, quindi agli interessi generali e solo in ultima istanza allo sviluppo inteso come relativo agli interessi privati52, non ci sono strumenti legalmente vincolanti a livello internazionale dedicati alla protezione del diritto all'acqua.
La posizione dell'ONU resta estremamente vaga. Nel documento informativo del 2003, infatti riconosce che "L'esclusione dell'acqua quale diritto esplicito era dovuta principalmente alla sua natura: come l'aria, era considerata talmente fondamentale che una sua inclusione esplicita venne considerata non necessaria"53. I sostenitori del diritto all'acqua ritengono che l'obbligo giuridico motiverebbe i governi e offrirebbe un più solido terreno per le rivendicazioni dei cittadini, rafforzando il ruolo del settore pubblico nella soddisfazione di un bisogno così essenziale. Eppure proprio al Vertice della terra di Rio del 1992 i governi hanno concordato che, oltre gli impieghi idrici strettamene necessari (la soddisfazione delle necessità fondamentali e la tutela degli ecosistemi), gli ulteriori costi devono essere addebitati agli utenti. Come prosecuzione di questa linea politica, nel Piano di Attuazione adottato al Vertice di Johannesburg del 2002, i governi hanno deciso di "impiegare la gamma completa di strumenti politici, compresi regolamentazione, controllo e recupero dei costi dei servizi idrici"54.
La critica maggiore mossa nei confronti della gestione pubblica dei servizi infrastrutturali è la sua inefficienza che dipende spesso, soprattutto nei paesi del Sud del mondo, da limitazioni finanziarie ed umane, e che si traduce in bassa produttività e copertura territoriale incompleta. Per questa ragione, ad un sempre maggiore abbandono del servizio pubblico, corrisponde una crescente attenzione verso il privato, sollecitato soprattutto da prestatori internazionali. Nel Documento Informativo ONU del 2003 relativo alla privatizzazione nel settore idrico55 si sostiene che la convinzione diffusa che l'accesso all'acqua, in quanto bene comune e bisogno primario, possa essere meglio garantito dal settore pubblico, conduce a ignorare i costi reali di esternalità del servizio di fornitura (ad esempio lo smaltimento delle acque di scolo), come pure i "costi di opportunità" (cioè i benefici perduti per non avere usato altrimenti l'acqua), applicando, dove questo avviene, delle tariffe che corrispondono ai costi medi e non ai costi reali. Di conseguenza l'acqua non viene valutata abbastanza e viene sprecata e, prosegue il documento, "in mancanza di un giusto compenso per i costi sostenuti, i governi dei paesi in via di sviluppo di solito non possono permettersi di estendere i propri servizi a tutti quelli che ne hanno necessità"56.
Anche la gestione da parte del settore privato però è tutt'altro che esente da critiche: pericolose sostanze contaminanti nell'acqua, tubazioni che perdono e non vengono riparate, aumento dei prezzi insostenibile per la popolazione.... Nel tentativo di aggiudicarsi l'appalto per la gestione delle forniture idriche le imprese, infatti, spesso sottostimano i costi necessari e, una volta che il contratto è stato aggiudicato, ricorrono alla riduzione del personale e dei costi di manutenzione, oltre che all'aumento del prezzo.
Nonostante, sulla base di queste considerazioni, i detrattori della gestione privata sollecitino il riconoscimento di un diritto all'acqua che la escluda dai meccanismi di mercato, la posizione ONU è quella di sviluppare politiche di prezzo che tengano conto di considerazioni sociali, tecniche, economiche e ambientali, in cui il governo paghi per le famiglie che soddisfano determinati requisiti e, superato il minimo essenziale, il consumatore paghi tariffe crescenti per unità utilizzate, per evitare che l'acqua cada al di sotto dei costi economici. L'assunto di fondo rimane comunque la necessità di mediazione tra pubblico e privato: "I governi potrebbero trasformare il proprio ruolo da quello di esclusivi finanziatori e fornitori di servizi infrastrutturali, a quello di facilitatori e regolatori di servizi erogati da aziende private. I contratti dovrebbero essere ben costruiti, con un corretto equilibrio di requisiti minimi e penalità, come pure di incentivi"57.

Conclusioni
In mancanza di una legislazione internazionale che ne regoli l'accesso e di un diritto che lo garantisca, in mancanza di una regolamentazione diretta e, soprattutto, in mancanza delle risorse necessarie per la sua gestione, il mercato è stato visto come unico candidato in grado di trovare e impegnare concretamente risorse economiche nei servizi idrici.
Tale operazione implica che non solo la questione allocativa ma anche la questione distributiva siano delegate al gestore privato, nonostante le opposizioni di quanti ritengono che questo meccanismo, soprattutto se non controllato da alcuna autorità politica in grado di porre dei veti e garantire realmente l'accesso paritario, possa assetare molti e arricchire pochi. Il timore è che il prezzo dell'acqua, o meglio della fornitura del servizio idrico, come i gestori privati tengono a precisare (dimenticando che nella maggior parte dei casi le due cose coincidono per i cittadini in termini concreti), possa aumentare a scapito della qualità e che coloro che non potranno far fronte a tali costi siano privati del servizio con un pericoloso impatto sulla salute pubblica.
Al di là delle motivazioni pratiche e sociali sottese al modello delle privatizzazione e della (ri)pubbliccizzazione, forse, come spesso accade in decisioni che riguardano ambiente e società, il piano principale su cui interrogarsi è quello politico. La decisione ha poco a che fare con quale modello sia teoricamente più efficiente, ma molto a che fare con quale società scegliamo di essere.
Per non permettere che l'acqua, da bene indispensabile diventi bene indisponibile.

Chiara Certomà